Bach Johann Sebastian
Great Organ Works
Una collezione delle grandi esibizioni di un eccellente interprete di Bach. Priva di scadenti elementi artificiosi, la musica è capace di mantenere un coinvolgimento costante senza risultare in alcun modo eccessiva. Ho ascoltato molte registrazioni di quest’opera, nessuna delle quali è in grado di combinare virtuosismo e compostezza come questa. A parer mio la Toccata e Fuga in Re minore e la Toccata e Fuga in FA maggiore sono le migliori all’interno dell’album, sostenute da un’incredibile crescendo apparentemente semplice ma di difficile esecuzione. Altri punti salienti sono rappresentati dalla Passacaglia e Fuga in DO minore e il magnifico Preludio e la Fuga in MI bemolle maggiore (Sant’Anna). I primi minuti di quest’ultima Fuga sono forse i più maestosi di tutta la produzione Bachiana per organo. Se amate la musica per strumento solista di Bach, non potete fare a meno di Helmut Walcha. Registrazioni effettuate da 1959 al 1971. Audio ottimo. Altamente raccomandato.
L’organista Helmut Walcha
1907 – 1991
Quando era in vita Helmut Walcha non mancò di rilevare – anche più di una volta – quanto fosse superfluo soffermarsi sulla cecità che l’aveva colpito irrimediabilmente in giovane età. Voleva essere considerato nulla più che un musicista ed essere apprezzato per le sue prove artistiche, non diversamente da ogni altro musicista. E non ci sarebbe stato motivo di ricordare questa circostanza se lo stesso Helmut Walcha non avesse accennato nel corso di una trasmissione radiofonica come la sua malattia, nel precludergli per sempre la percezione diretta del mondo visibile, al tempo stesso avesse però dischiuso ed allargato per lui visioni ed orizzonti interiori. Per chi è completamente al riparo da quell’eccesso di impressioni visive che coinvolgono ormai letteralmente l’uomo moderno, l’udito diventa infatti un organo sensoriale primario e l’immagine acustica di un mondo interiore assurge ad acquisizioni di ricchezza incalcolabile. Se si tratta poi, come nel caso di Helmut Walcha, di un talento musicale straordinario, allora vi si rafforzerà la capacità di penetrare e cogliere complesse strutture musicali, e ciò in una misura ben diversa da chi, condizionato direttamente dall’ottica dell’evento musicale (ad esempio dal fascino della figura di un direttore o di un virtuoso), è indotto a percepire stimoli musicali più epidermici, seppur sollecitati dalla stessa composizione. Si può osservare e contemplare una cattedrale dall’esterno come anche dall’interno, ma è soprattutto la sua visione interna a rivelare i principi statici della costruzione. In un musicista predestinato a conoscere, intendere ed interpretare delle composizioni solo dall’interno, non poteva non determinarsi un’esigenza di qualità aliena da ogni compromesso ed immune da ogni fugace sollecitazione. Solo una polifonia ineccepibile poteva sostenere una verifica siffatta, ed era così inevitabile che il rapporto di Helmut Walcha con la musica venisse a configurarsi come un rapporto privilegiato con la musica di Bach, intesa come quintessenza d’una rigorosa architettura di linee e suoni, d’una armonia cosmica e serenità terrena che non si pongono come istanze contrastanti. Helmut Walcha è divenuto un grande, autorevole punto di riferimento nell’interpretazione bachiana della nostra epoca; tante persone che pensavano di aver ben compreso e di saper apprezzare Bach dovettero riconoscere che solo la conferenza tenuta da Helmut a Gottinga per il secondo centenario della morte del compositore li aveva messi in grado di intendere per la prima volta in tutta la sua portata il mondo ideale del Thomaskantor.
Non c’è poi bisogno di sottolineare che una siffatta autorevole competenza in campo bachiano ha preservato il talento di Walcha, oltre che interpretativo anche creativo, dal confondere “improvvisazione” con “fantasia”.
Helmut Walcha, nato il 27 ottobre 1907 a Lipsia da un impiegato delle poste e cresciuto dunque in un ambiente non certo segnato da forti interessi musicali,
già all’età di tredici anni ebbe un’esperienza decisiva in quella parabola che l’avrebbe condotto a Bach. Non per consapevole assunto pedagogico, ma per puro caso s’imbatté nell’ Invenzione in fa M di Bach, che nella sua struttura a canone venne ad assumere per il giovanissimo musicomane Walcha un valore di simbolo, di “canone”. Arthur Nikisch, il celebre direttore dell’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia, riconobbe lo straordinario talento del ragazzo e caldeggiò per lui una solida formazione professionale.
Helmut Walcha
Dopo un anno di lezioni private Walcha entrò al Conservatorio di Lipsia, dove studiò organo sotto la guida dell’allor giovane Gunther Ramin. La parabola esterna dell’organista Walcha si compì senza eventi particolarmente appariscenti, un po’ come per Bach. Senza conoscere vicende sensazionali (ed ingannevoli nella loro precarietà), pervenne ad una fama tanto più salda ed autentica, sostenuta e diffusa da un gruppo sempre più numeroso di ammiratori. Dopo l’ultima guerra fu il disco a svolgere nell’intero mondo musicale un’opera “missionaria” in tal senso e a moltiplicare gli ammiratori di Walcha, che sono poi anche i grandi appassionati di Bach. Alla Friedenskirche (Chiesa della Pace) di Francoforte sul Meno il giovane organista Walcha ebbe il suo primo impiego, e là gli sarebbe conferita la medaglia intitolata a Goethe. E sempre la città di Francoforte gli tributò ulteriori riconoscimenti professionali: una cattedra alla Musikhochschule, la direzione dell’Istituto di Musica Sacra e l’ufficio di organista presso la Dreikonigskirche (Chiesa dei tre re). E a sua disposizione stavano due organi in grado di rispondere alle sue esigenze e idee musicali.
Ma al centro della sua attività rimanevano le “Ore bachiane di Francoforte”, manifestazioni musicali createsi al di là dei programmi concertistici, nelle quali spiegazione ed interpretazione, analisi ed esperienze d’ascolto si congiungevano come in un atto di umana riflessione. Lo stesso atteggiamento di rigorosa coerenza che ha fatto di Walcha un’autorità assoluta nell’interpretazione bachiana ha caratterizzato le sue predilezioni riguardo allo strumento scelto per realizzare la sua visione sonora del messaggio bachiano. Walcha ha decisamente rifiutato l’illusionismo sonoro degli strumenti giganteschi d’impianto sinfonico realizzati nella tarda epoca romantica. Il ritorno all’organo barocco si è rivelato in realtà come un passo in avanti verso le future prospettive storiche dell’organo. Tutte le opere di Bach incise da Helmut Walcha per la Archiv Produktion della Deutsche Grammophon sono state registrate su strumenti di antica tradizione nel loro ambiente storico originale. Veridicità della musica e veridicità del suolo, questi due fattori hanno rappresentato per Helmut Walcha una totalità inscindibile.
Da uno scritto laudativo di Karl Grebe, 1970.
Gli organi di queste registrazioni
L’organo della Laurenskerk (Chiesa di San Lorenzo) di Alkmaar (Olanda), ristrutturato radicalmente all’inizio del Settecento da Frans Caspar Schnitger, figlio del famoso organaro Arp Schnitger, si inserisce sostanzialmente nella tradizione organaria della Germania del Nord. Lo strumento originario, che risaliva agli anni 1638-1645 e che per i suoi tempi era particolarmente importante e grandioso, era stato costruito dagli organari Eckmans, Germer Galtus e Jacobus Galtus van Hagerbeer. In base ad antiche relazioni documentarie risulta che per la costruzione dello strumento fu anche utilizzato materiale delle canne dell’organo situato nella cantoria della parete sud, uno strumento costruito con ogni probabilità da Hans von Coblenz, lo stesso organaro al quale si deve anche lo strumento situato nella cantoria della parete nord, che fu costruito nel 1511 e si è conservato fino ai giorni nostri.
Il grande organo secentesco aveva in origine 31 registri, divisi tra grand’organo, positivo e positivo tergale. L’ottava inferiore, che a quell’epoca aveva
generalmente un ambito ridotto, era qui invece completa e nel grand’organo era anzi ampliata verso il registro grave di altri sette suoni (giungendo così in estensione fino al fa più basso), sì che con questi tasti aggiunti del manuale si poteva azionare l’annessa pedaliera.
Ma nuove esigenze artistiche fecero ben presto sentire la necessità di una radicale ristrutturazione dell’organo: le composizioni di epoca più recente richiedevano una pedaliera autonoma ed inoltre all’inizio del Settecento cominciava ad imporsi il temperamento equabile. A partire dal 1723 fu dato a Frans Caspar Schnitger l’incarico di modificare radicalmente lo strumento. Il contratto prevedeva la costruzione di nuovi meccanismi interni, lasciando però inalterate facciata e cassa.
Helmut Walcha
Schnitger jun. accrebbe il numero dei registri dei manuali, aggiunse una pedaliera autonoma di 13 registri e portò le tre tastiere dei manuali ad un ambito unitario, dal do al re. Nell’Ottocento l’organo fu sottoposto ad alcune modifiche; ma l’organaro olandese D. A. Flentrop l’ha infine restaurato ampiamente in base alle disposizioni di jun., ripristinando fedelmente lo strumento nelle sue caratteristiche timbriche originarie.
L’organo della chiesa di Saint-Pierre-le-Jeune di Strasburgo, terminato nel 1780, risale agli ultimi anni di attività del celebre organaro locale Johann Andreas Silbermann. Nella sua disposizione originaria lo strumento aveva 16 registri su un unico manuale con pedaliera. Negli anni 1819-1820 Conrad Sauer (1775-1828), il padre del quale aveva lavorato nella bottega di Silbermann, vi aggiunse un positivo tergale con 6 registri. L’organo fu poi radicalmente ampliato e ristrutturato due volte.
Negli anni 1897-1900, in occasione di un restauro della chiesa, lo strumento, già situato su una tribuna alla parete ovest della navata centrale, fu collocato all’altezza del pluteo in fondo a quest’ultima e ristrutturato da E.-A. Roethinger di Schiltigheim. Per la nuova collocazione l’organo dovette necessariamente esser ricostruito in base a criteri differenti.
Così la consolle fu collocata lateralmente, la cassa fu ampliata in profondità e la superficie posteriore dello strumento, ora non più addossato ad una parete, fu decorata con una copia della facciata del grand’organo. Il sistema di trasmissione pneumatico e l’ampliamento dell’estensione con mezzi pneumatici fino al sol erano misure tipiche dell’arte organaria nel periodo intorno al 1900. Nel 1948 – 1950 l’organo fu quindi restaurato da E. Muhleisen di Strasburgo- Kronembourg, che lo ampliò portandolo a tre manuali (con l’aggiunta di un meccanismo per il crescendo) e pedaliera, vi costruì un sistema meccanico di trasmissione e un sistema di registrazione elettropneumatica.
Vi furono aggiunti nuovi somieri a tiro per la pedaliera e per il meccanismo del crescendo inserito nella torre centrale; il numero dei registri fu portato a 41. E furono ancora utilizzati i somieri e le canne di Silbermann e Sauer dei quali si poteva ancora disporre. In tal modo nel suo ampio, accurato restauro l’organaro di Strasburgo A. Kern poté servirsi di una grande quantità del materiale originario. Nel 1966 l’organo fu ancora una volta sottoposto a restauro ed in parte modificato nell’intonazione. Il sifflet 1′ del grand’organo ed il sesquialtera dupla del meccanismo di crescendo furono ricostruiti in base alle misure di Silbermann, i ripieni realizzati in base ad un nuovo amalgama di registri sì da divenire più conformi alla qualità sonora originaria.
Nanny Drechsler
(traduzione: Gabriele Cervone)