Bruch Max

Concerto per violino

Questi sono i due concerti per violino più famosi del repertorio romantico, quindi insieme sono una coppia da sogno. Beh, nelle mani di Anne Sophie Mutter ed Herbert von Karajan, lo diventano davvero. Il suono del violino della Mutter sembra venir fuori senza sforzo. L’accompagnamento dei Berliner Phlilharmoniker è molto bello e sempre emozionante. Nonostante entrambi i pezzi siano interpretati alla perfezione, trovo che l’esibizione del concerto di Bruch sia maggiormente meritevole, soprattutto per la complicità tra strumento solista e orchestra. Fantastico anche il secondo movimento del concerto di Mendelssohn per l’estrema liricità. Qui l’orchestra funge solo da accompagnamento. Splendido l’audio in DDD. Ascoltatelo quando siete con gli amici senza dire nulla e se chiedono di chi sia questo CD, non sono veri appassionati di musica concertistica. Registrazione in DDD eseguita nel 1981 e rimasterizzazione effettuata nel 2001. Ultraraccomandato.

Concerto n. 1 per violino e orchestra in sol minore, op. 26

Da molto tempo Max Bruch è un musicista dimenticato. Ma già nel 1920, quando egli morì che stava per compiere ottantatre anni, molti stupirono per averlo creduto morto da tempo, come narra Donald E. Tovey negli Essays in Musical Analysis (capitò la stessa cosa nel 1956 quando morì Gustave Charpentier). Per tutti, e con ragione, Bruch era un uomo dell’Ottocento, un artista secondario ma significativo dell’epoca di Brahms e di Bruckner. Del molto che Bruch aveva composto, nel 1920 erano ancora in repertorio qualche Lied, la cosiddetta Fantasie écossaise per violino e orchestra, il Kol Nidrei per violoncello e orchestra e soprattutto questo Concerto per violino e orchestra in sol minore, prediletto fino a non molto tempo fa da molti violinisti famosi e da tutti i dilettanti. Oltre a questo restava già allora poco o nulla, nessun ricordo delle tre sinfonie, né degli altri concerti, né delle opere, né degli oratori, alcuni dei quali avevano goduto di grande successo alla fine dell’Ottocento, in Germania e in Inghilterra: e almeno l’Odysseus, 1871-72, una delle creazioni più significative della musica tedesca di tendenza non wagneriana, meriterebbe di essere ascoltato anche oggi.
Forse la lunga ed esagerata popolarità del Concerto in sol minore e del Kol Nidrei ha danneggiato l’immagine artistica di Max Bruch (nel 1938 Schönberg, dopo aver composto un altro Kol Nidrei, disse di detestare quello di Bruch). Questo oblio l’autore, ostile alla musica dei suoi tempi (ma non a Brahms, amico quasi venerato), l’aveva previsto, con malinconica intelligenza: «Di qui a cinquant’anni – disse in un’intervista nel 1907 – Brahms apparirà uno dei massimi compositori di tutti i tempi, mentre io sarò ricordato principalmente per aver scritto il Concerto per violino in sol minore». Fu un ostinato conservatore, spesso litigioso e irato (soprattutto contro Liszt e Wagner, e poi naturalmente contro Strauss), ma fu anche un buon musicista tedesco. E Mendelssohn, Schumann, il quasi coetaneo Brahms rimasero i suoi modelli.
Poco più di venti anni dopo il Concerto per violino (1845) dell’amato Mendelssohn, nel 1868 Max Bruch compose il suo, uno tra tanti del secondo Ottocento e tra i migliori (i capolavori sicuri, sappiamo, sono solo tre, di Mendelssohn, di Brahms, di Cajkovskij).
Perché in quei decenni il genere del “Concerto per violino” ebbe un così largo favore? Per spiegarselo basta leggere la locandina di un’interminabile serata “sinfonico-vocale” a Londra, o Parigi, o Vienna di quegli anni: si eseguiva di tutto, dominando su tutto il gusto del virtuosismo e della melodia sentimentale, nelle voci (arie d’opera, Lieder, canzoni popolari) e nei pezzi strumentali. E lo strumento melodico, sentimentale e virtuosistico per eccellenza è il violino: che nelle sue “arie” tendeva sempre di più a imitare la voce (del resto Spohr già aveva intitolato Gesangsszene – “Scena di canto” – il suo Concerto per violino, op. 47).

Max Bruch

Insomma anche il concerto stava diventando teatro. Non è da trascurare poi il fatto che erano molti i violinisti acclamati, primo tra i quali il grande Joseph Joachim (1831-1907), una solidissima celebrità, cui i compositori si affidavano per consigli tecnici, affidandogli poi le loro opere (con dedica, come fecero Bruch e Brahms).
Nello stile migliore dell’epoca questo Concerto di Bruch è costruito con felicità melodica e notevole libertà costruttiva. Il primo tempo che si avvia con un’estesa cadenza virtuosistica del solista, più che un regolare movimento sinfonico è una rapsodia, o un movimentato dialogo tra il solista e l’orchestra. Già il fatto di averlo intitolato Vorspiel (Preludio) indica nell’autore una decisione di indipendenza formale, come se la prima parte servisse da passionale introduzione all’Adagio (in mi bemolle maggiore): che infatti si allaccia senza interruzione. È questa una pagina eccellente, di commovente intensità eppure severa nella costruzione, che è quella della forma-sonata con tre temi, elaborati in un sapiente contrappunto nello sviluppo e nella coda, dove li ascoltiamo ancora riesposti in un semplice crescendo emotivo per poi dissolversi “morendo”.
Il Finale, Allegro energico, si avvia in mi bemolle maggiore, prepara con brevi incisi ritmici il primo dei due temi principali, che finalmente esplode in sol maggiore con un sorprendente scarto tonale. Il carattere gitano di questa scattante invenzione risponde alla moda etnica-popolare del sinfonismo dell’epoca. Il secondo tema (re maggiore) è una larga melodia passionale, che canta per ampi intervalli fino alla fine, quando si fonde con il ritmo popolare in chiarissima esultanza.
Non sono molte le composizioni tardo-romatiche tedesche dalle quali possiamo avere un’idea della buona musica “borghese” concepita senza grandi ideali, ma certo con sapienza e vero sentimento: il Concerto per violino di Max Bruch è una delle migliori.

Concerto in mi minore per violino e orchestra, op. 64

Il Concerto per violino e orchestra in mi minore op. 64 di Mendelsshon fu e rimane uno degli evergreen dei repertori internazionali e uno dei capisaldi della letteratura per lo strumento. Come la gran parte dei Concerti di epoca romantica, anche questo illustra a pieno titolo la collaborazione tra compositore e interprete, in questo caso il violinista Ferdinand David, primo violino dell’Orchestra del Gewandhaus. Nel luglio 1838 Mendelssohn scriveva all’amico: «Vorrei proprio scrivervi un Concerto per violino per il prossimo inverno, ne ho in testa uno in mi bemolle, il cui inizio non mi lascia un minuto di pace». Ma dovette passare un anno prima che il compositore facesse di nuovo allusione alla sua proposta, e solo come risposta ad un nuovo invito di David: «È molto gentile da parte vostra reclamare da me il Concerto», scrisse nell’agosto 1839, «e io ho il più vivo desiderio di scrivervene uno, ma il compito non è semplice. Voi lo vorreste brillante, e come credete che uno come me lo possa! Il primo assolo deve essere tutto nella tonalità di mi». Celiando, Mendelsshon alludeva forse al carattere più osservato che permeava il suo primo tentativo nel genere, il Concerto in re minore, scritto nel 1822 a soli

tredici anni, in cui è manifesta l’impronta bachiana anche se già smaliziata la conoscenza dello strumento. L’opera tuttavia non fu completata che nel settembre 1844, durante un soggiorno di convalescenza a Soden, presso Francoforte sul Meno, e continuamente perfezionata prima di darla all’editore per la stampa nel dicembre. Conobbe la sua prima esecuzione, assente l’autore ammalato, il 13 marzo 1845 con David e sotto la direzione del danese Niels Cade. Il 3 ottobre 1847 Mendelsshon potè invece ascoltarlo nell’esecuzione del giovane Josef Joachim, appena un mese prima di morire.
Lavorando al Concerto Mendelssohn consultò regolarmente il violinista sia per questioni di struttura formale e di dettagli che sugli aspetti pratici della scrittura per solo. Di più, una buona parte della cadenza del primo movimento come noi la conosciamo, si crede sia stata scritta proprio da David. Il carattere esecutivo del pezzo, tuttavia, è legato all’equilibrio che deve instaurarsi tra virtuosismo e rigore, in una asciuttezza che non ammette sbavature sentimentali pur nell’ampia retorica espressiva romantica.
Il primo tema del primo movimento Allegro molto appassionato, nonostante la melodia seducente, è di grande semplicità e di mezzi armonici relativamente contenuti. Nella nebbia degli archi gravi, scandita da due colpi del timpano esso si stacca con il caratteristico ritmo anapestico. L’orchestra (a due) è sempre ancella del solista e ne riprende il tema nell’esposizione presentando poi un tema derivato dal primo che il solista si affretta a riprendere variandolo. I fiati introducono il secondo tema in sol maggiore con andamento di semplice corale e il dialogo col solista nello sviluppo prosegue fino alla cadenza, articolatissima, che, con una certa novità formale, precede la ripresa. Il rientro dell’orchestra affiora dalle ultime battute in pianissimo del violino e l’effetto di sospensione è straordinario. La ripresa con il riascolto del tema di corale precede la coda brillante che si conclude con una nota tenuta del primo fagotto che permette di collegare questo movimento direttamente all’Andante.
Questo “sipario” che dal mi minore conduce al do maggiore rievoca paesaggi beethoveniani e costituisce il fondale ideale perché la melodia purissima in forma di Lied tripartito possa aprirsi. La grazia del tema è decisamente sentimentale e intimistica e offre all’esecutore la possibilità di sfoggiare arcate, legati e note tenute. I corni e l’orchestra introducono la sezione centrale che vira verso un tono più drammatico fino alla riesposizione del Lied che conclude in pianissimo il movimento.

Felix Mendelsshon

L’Allegro molto vivace in mi maggiore è preceduto da una frase recitativa di poche battute con funzione di collegamento, in realtà più emotivo che strutturale, nella quale riappare in forma variata il tema dell’Allegro molto appassionato. In tal modo lo stacco Leggiero dell’arpeggio del violino offre un effetto plastico superiore, dando vita ad un movimento elegante in forma di Rondò-Sonata. Anche questo appare di semplicità melodica e armonica, anche se Mendelsshon “sporca” di cromalismi i movimenti del basso che appaiono fra il primo e il secondo tema, fra la ripresa e la coda e fra la coda e la cadenza conclusiva per creare interesse. Il dialogo con l’orchestra si fa più serrato, nello scambio reciproco dei temi, dando modo al solista di esporsi con gli effetti di pizzicato e di staccato all’ottava acuta. La cadenza finale annunciata dai trilli ascendenti del violino, punteggiati dai fiati, conclude con slancio e brillantezza il movimento, nella cifra tipica di Mendelssohn che non rinuncia alla costruzione “dotta” ma la dissimula in una superiore eleganza formale.