Brahms Johannes
Requiem Tedesco
Splendida interpretazione del Requiem tedesco di Brahms. Karajan conferisce solennità con tempi lenti un po’ a tutti i movimenti (Selig sind, e Denn alles Fleisch sono meravigliosi) se li paragoniamo alla maggior parte delle altre versioni. Rispettivamente, i tempi dei primi due movimenti sono 11:35 e 14:46. Personalmente preferisco questa modalità, anche se capisco che la maggior parte degli amanti di questo pezzo preferiranno passi vivaci. L’audio è molto pulito se paragonato ai CD DGR dei primi anni Ottanta. Questa bellissima registrazione del 1964 e rimaterizzata nel 1980 rimane ancora oggi il punto di riferimento. Imperdibile!
Il progetto di un Requiem prese forma probabilmente dopo la morte della madre di Brahms, nel febbraio del 1865, visto che lo stesso anno furono portati a termine tre dei sette movimenti in cui si articola la composizione nella sua veste definitiva (e precisamente il primo, il secondo e il quarto). Nell’aprile del 1866 Brahms compose il terzo movimento, e durante l’estate anche il sesto e il settimo. Un’esecuzione parziale della partitura, limitata ai primi tre movimenti, avvenne il 1° dicembre 1867, con johannes Herbeck sul podio e il baritono Rudolf Panzer come solista. E fu un disastro. Ciononostante, Karl Reinthaler, maestro di cappella nel duomo di Brema, era così convinto della bellezza di questa composizione che se ne assicurò la prima esecuzione completa, che diresse il 10 aprile del 1868, il giorno del Venerdì santo, nel duomo di Brema (con Julius Stockhausen come solista). Questa volta il successo fu tale che il Requiem tedesco venne replicato il giorno successivo, e l’eco di questo trionfo contribuì in maniera decisiva a consolidare la fama di Brahms in tutta la Germania e nel resto dell’Europa. Mancava però ancora, rispetto alla versione definitiva, il quinto movimento (con soprano solista), che Brahms compose solo nei mesi successivi e che fu eseguito in forma privata il 17 settembre 1868 a Zurigo (col soprano Ida Suter-Weber e diretto da Friedrich Negar) e fu poi inserito stabilmente all’interno del Requiem. La versione integrale in sette movimenti fu eseguita per la prima volta al Gewandhaus di Lipsia il 18 febbraio 1869 con Carl Reinecke sul podio, e Emilie Bellingrath-Wagner e Franz Krükl come solisti.
Herbert von Karajan
Questo Storico “Deutsches Requiem” di Brahms fu registrato nel 1962. Il geniale produttore Walter Legge affiancò infatti l’inossidabile coppia liederistica Elisabeth Schwarzkopf- Dietrich Fischer-Dieskau all’eccelso Otto Klemperer sul podio della Philharmonia Orchestra e Coro, ottenendo un risultato inossidabile, giacché questa pregiata versione non è mai uscita dal catalogo EMI per tutti questi anni.
Ne è passata di acqua sotto i ponti, sono passati Karajan con Gundula Janowitz, Giulini , Abbado… insomma, tutti i grandi non hanno potuto fare a meno di confrontarsi col capolavoro corale del genio di Amburgo, eppure nessuno come Klemperer è riuscito rendere tanto perfettamente lo spirito di questa composizione così intima e vicina a quella (anseatica) cultura protestante che la lega a doppio filo con l’esperienza di Bach e delle sue inarrivabili Cantate, sembrando così il rovescio di una stessa medaglia.
La voce celestiale di Elisabeth Schwarzkopf è semplicemente insuperabile quando affiancata a quel genio canoro ed operistico che è stato Dietrich Fischer-Dieskau, ed entrambi entrano definitivamente nella Storia della discografia quando sono affiancati dalla perfezione del Philharmonia Chorus. Il celebre “Ihr habt nun traurigkeit” è senza dubbio la vetta più alta di quest’opera, e certamente una delle vette interpretative della stessa Schwarzkopf.
Un’incisione imperdibile ed imprescindibile per poter dire di conoscere il “Deutsches Requiem”, e soprattutto per apprezzarlo nel modo migliore. Registrazione eseguita nel 1962 e rimasterizzazione effettuata dal 1997 al 1998. Altamente raccomandato.
Otto Klemperer
Beati gli afflitti perché saranno consolati – di Thomas Kohlhase
Requiem – così viene chiamata la messa funebre in lingua latina della Chiesa cattolico-romana, dalla parola iniziale del canto d’entrata. A partire dal Introitus, nel 16o secolo i testi del Proprium e dell’Ordinarium prescritti per questa messa furono continuamente musicati a più voci: da Ockeghem e Orlando di Lasso, da Morales e Palestrina, da Cavalli e Bassani, da Hasse e Mozart, da Cherubini, da Berlioz, da Liszt e Verdi, da Dvorák a Fauré – per nominare solo alcuni compositori.
Oltre che in questa tradizione cattolico-latina la messa da requiem, i cui testi si conformavano strettamente al canone liturgico, fu coltivata anche da musicisti protestanti e trasferita dal suo originario ambito liturgico a quello della commemorazione borghese e secolare dei defunti e del concerto edificante.
A partire dalla Musicalischen Exequien (1636) del grande Heinrich Schutz esiste poi anche una tradizione protestante della musica funebre tedesca. Essa si fonda non solo sui testi religiosi relativi alla cerimonia funebre, ma anche su testi liberamente scelti dalla Bibbia. La più famosa musica funebre di tipo non liturgico è senza dubbio il Requiem tedesco op. 45 di Johannes Brahms, composto negli anni tra il 1856 e il 1868. Nella sua versione definitiva, in sette
movimenti, quest’opera fu eseguita per la prima volta il 18 febbraio 1869 a Lipsia.
Per il testo Brahms si rifece alla traduzione di Lutero dell’Antico e del Nuovo Testamento. Egli combinò le parti da lui scelte associandole liberamente, ma le dispose sempre, quanto al loro contenuto di pensiero e d’immagini, in modo avveduto e stringente. “Dall’esaltazione degli afflitti il testo conduce, si passa alle riflessioni sulla caducità della esistenza, sul ministero della morte e dell’annientamento e sulla promessa della vita eterna, fino all’esaltazione dei morti, che muoiono nel Signore. La tromba non chiama al Giudizio, ma annuncia la Resurrezione” (Hans Gal, Johannes Brahms. Werk und personlichkeit, Frankfurt a. M. 1961).
Col Requiem tedesco Brahms non intendeva comporre un’opera liturgico- chiesastica. “Libero da riferimenti al corale protestante e da una qualunque collocazione di tipo dogmatico, il Requiem dà espressione alle idee più comuni che erano legate alla celebrazione dei defunti, una solennità che in uno spirito illuministico era stata introdotta nel 1816 da Federico Guglielmo III: un’opera d’arte sublime situata nell’ambito in influenza del Cristianesimo, ma non musica liturgica.
Per questo motivo durante l’Ottocento poteva essere eseguita nel Duomo di Brema solo se accompagnata ad un’opera di chiaro stampo religioso, per cui si faceva quasi sempre ricorso all’aria di Handel “So che il mio Redentore vive” (Georg Feder cit. in Friedrich Blume, Geschichte der evangelischen Kirchenmusik). Tuttavia il berlinese Siegfried Ochs, illustre maestro di coro, (1858-1929), richiamò l’attenzione su “un unico, anche se non distinto riferimento” a un corale protestante presente nel Requiem di Brahms. Nella sua introduzione alla partitura (Casa editrice Peters di Lipsia, edizione tascabile) Ochs ricorda un suo incontro con Brahms: “Mentre stavamo parlando dell’impiego del Lied “Heil dir im Siegerkranz” all’inizio del suo Triumphlied op. 55, Brahms fece un riferimento al Requiem tedesco. Alla mia osservazione, che non capivo cosa intendesse, egli rispose nel modo flemmatico e al tempo stesso un po’ sarcastico: “Mah, anche se non lo sente nessuno, non fa molta differenza. È un noto corale, si trova nelle prime battute e nel secondo movimento che derivano dal corale Wer nur den lie-ben.
Questo riferimento emerge in modo ancora più chiaro nel famoso passaggio “Poiché tutti i mortali sono come l’erba” (secondo movimento). Si è voluto spesso vedere l’impulso creativo che ha spinto Brahms a comporre il Requiem, sicuramente la sua opera corale più bella e significativa, nella morte di Schumann, suo amico paterno, avvenuta nell’estate del 1856.
Come riferisce il biografo di Brahms Max Kalbeck nel 1885, anche Schumann avrebbe avuto l’intenzione di scrivere un Requiem tedesco, ma non aveva più potuto realizzarla.
Nell’esaminare le carte di Schumann dopo la sua morte, Brahms avrebbe trovato degli appunti che vi facevano riferimento.
Johannes Brahms
Non c’è nulla tuttavia che provi una simile affermazione. Lo stesso Brahms la rigettata (cfr. Siegfried Kross, Die chorwerke von Johannes Brahms, Berlin- Halensee 1963). Si è anche voluto mettere in relazione la composizione del Requiem tedesco con la morte della madre avvenuta nel febbraio 1865, ma la composizione dell’opera ebbe inizio già nell’anno 1856 (quando Brahms cominciò a scrivere il secondo movimento), mentre il completamento del secondo movimento e la composizione dei movimenti restanti, con eccezione del quinto composto nel maggio 1868, risalgono agli anni tra il 1860/61 e il 1866.
Come questi due avvenimenti, così profondamente sconvolgenti per Brahms, abbiano influenzato la sua attività creativa, lo si può avvertire senz’altro anche in altre composizioni di questo periodo; non è conforme al vero invece che essi siano all’origine della composizione del Requiem.
I singoli movimenti
Nel primo movimento (Ziemlich langsam und mit Ausdruck, fa maggiore – re bemolle maggiore – fa maggiore) la forma musicale A-B-A corrisponde alla disposizione del testo: esaltazione degli afflitti (Matteo), Salmo 125 (Chi semina nelle lacrime), nuovamente esaltazione degli afflitti. Con l’esclusione dei violini, gli archi del registro grave creano un caldo, intenso tessuto a sei voci, mentre i corni e i tromboni danno ancora più spessore a questo colore dell’orchestra, appena rischiarato dai legni e dalle arpe.
Su un pedale di fa si inserisce, col procedimento imitativo, il motivo principale del movimento, di cui già si è detto, fino a che il corno a cappella canta il tema principale, diviso in due parti.
Una melodia ascendente dell’oboe introduce la seconda sezione della parte A. La parte B con i suoi caratteristici fraseggi “a sospiro” inizia all’improvviso sulla cadenza d’inganno di re bemolle. Brahms sviluppa dei motivi “discorsivi” basandosi sul testo, proprio come avveniva negli antichi mottetti: esaltazione e consolazione degli afflitti, lacrime, giubilo sono le parole, o gli affetti, che ne stanno all’origine. Le tre parti del movimento sono articolate sia dal punto di vista motivico che formale in corrispondenza a questi affetti: A (ab), B. (cdae d), transizione (a), A’ (ab), coda (b).
Il secondo movimento è costituito in realtà da due sezioni: la prima: A (a a), B (b b), A (a a) – Langsam, marscomassig, si bemolle minore – sol bemolle maggiore – si bemolle minore; la seconda – Un poco sostenuto – Allegro non troppo. La prima sezione è un inquietante danza macabra in forma di sarabanda, un opprimente, pesante Marche funèbre (in misura ternaria!), su il coro, all’inizio all’unisono e senza soprani, canta una melodia sul tipo di corale sulla caducità di ogni creatura.
Della derivazione di questa melodia dal corale protestante “Wer nur den lieben Gott lasst walten” si è già parlato.
Essa colloca il lugubre testo in un altro nesso, e anche questo testimonia della enigmaticità e della profondità di pensiero del Requiem di Brahms: anche se in modo nascosto, già qui il pensiero della morte è attenuato dalla certezza della fede.
La sezione B, etwas bewegter è rischiarata verso sol bemolle maggiore, invita con una cullante aria cantata dal coro a nutrire una speranza paziente nel futuro. Dopo la ripresa di A segue la seconda sezione, introdotta da un imponente intervento in blocco del coro, Ma la parola del Signore rimane in eterno, con la profezia del ritorno dei riscattati nel Signore. Dal punto di vista compositivo, nella seconda sezione procedimenti polifonici sul tipo della fuga e di altro genere (che impiegano temi indipendenti sui versetti I riscattati dal Signore e Gioia e felicità – il tema di quest’ultimo versetto viene al tempo stesso presentato in contrappunto con la sua forma aumentata) sono uniti con liberi elementi di tipo mottettistico e concertante.
Una cosa che si intensifica con bell’effetto su un pedale di si bemolle conclude questo movimento.
Anche nel terzo movimento (Andante moderato, fa maggiore) Brahms unisce due parti contrastanti in una coppia di sezioni, dove però, diversamente che nel movimento precedente, la prima sezione (Salmo 38) sfocia, dal punto di vista formale, nella seconda (Sapienza). Nella prima sezione l’assolo del baritono si alterna al coro in modo che il coro riprende il testo appena cantato dal solista. La ripetizione formale segue anche qui il testo: A (Rivelami Signore), B (Solo un soffio) – re maggiore e poi nuovamente fa maggiore – C (Ora, che attendo, Signore) e transizione (In Te la mia speranza) su un pedale di la (dominante). La seconda sezione è costituita da una poderosa fuga di 36 battute su un pedale di re tenuto dall’inizio alla fine (da tromboni, tuba, timpani, contrabbassi, e anche da fagotti e violoncelli).
Essa è una testimonianza musicale monumentale, dal contrappunto serrato e dalla dinamica imponente, di una irremovibile certezza della fede: Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio……
Il quarto movimento (massig bewegt, mi bemolle maggiore) fa da contrasto, con la sua omofonia cantabile e la sua intimità di espressione, all’impeto della fuga precedente, sviluppata sul pedale tenuto da una parte dell’orchestra. Esso ha una forma di rondò (A-B-A-C-A) caratterizzata dai grandi archi melodici del motivo principale. Elementi fugati sono presenti solo nelle parti centrali (B e C).
Il quinto movimento, l’ultimo ad essere stato composto, (Langsam), è nella tonalità di sol maggiore, in funzione di mediante rispetto a quelle del movimento precedente. La semplice disposizione tripartita (A-B-A’), il suono delicato e vellutato degli archi con sordina e l’espressivo dialogo in piano tra il soprano solista, la cui parte è condotta sul registro alto e in andamento tranquillo, e il coro omofono fanno di questo movimento il più lirico e personale dell’intera opera. Il testo del soprano solista Così anche voi, ora siete nella tristezza o Vedete con gli occhi e quello del coro Così io vi consolerò vengono combinati insieme. Questi due ambiti del testo, che solo in apparenza sono divisi, vengono collegati sia da un punto di vista motivico che ideale: la melodia vi vedrò di nuovo che si insinua così piena di promesse, e con cui il movimento comincia anche negli archi, viene fatta propria dal coro, sottoposta ad un procedimento di aumentazione alle parole Così io vi consolerò.
Il sesto movimento si ricollega, col suo oscillare tra do minore e do maggiore, al mi bemolle maggiore del quarto movimento, e con l’alternarsi di assolo di baritono e coro all’organico del terzo. Per il resto, i mezzi impiegati per il coro nei tre movimenti iniziali si accrescono qui, dopo il due intermezzi lirici (quarto e quinto movimento), fino ad assumere proporzioni monumentali, prima che il settimo movimento concluda l’intero ciclo solennemente (feierlich) – questa l’indicazione originale – rifacendosi al primo. Il sesto movimento si sviluppa secondo una disposizione aperta e contemporaneamente cresce di intensità di episodio in episodio per culminare in una fuga complicata e assai articolata. Esso comincia (Andante) con una cupa marcia funebre Perché non abbiamo quaggiù una città stabile. La melodia che accompagna l’annuncio della resurrezione dei morti (baritono solo e coro, Prima lettera ai Corinzi) inizia con un repentino fa diesis minore ed è, contrariamente alla marcia funebre, di ampio respiro. Una vigorosa, breve musica del Giudizio universale (al suono dell’ultima tromba) conduce a un poderoso tutti dell’orchestra, Vivace, in do minore. Brahms evoca qui in due riprese, interrotte da un breve pezzo solistico, le immagini della resurrezione dei morti e della vittoria pasquale sull’inferno. Il finale è costituito da una fuga in do maggiore di 141 battute, Allegro: Tu sei degno, o Signore e Dio nostro. La sua tecnica compositiva e la sua articolazione formale sono trattate liberamente, nell’intento di realizzare cangiamenti ricchi di contrasto e una intensificazione drammatica.
Brahms lavora con contrappunti fissi o liberi, con strette, con incisi o episodi di tipo mottettistico, con la scissione dei temi, con blocchi omofoni, estremamente profilati dal punto di vista ritmico, con una parte lirica contrastante (poiché Tu hai creato tutte le cose) il cui tema viene anch’esso fugato. In breve, il movimento diventa “progressivamente sempre più denso fino a raggiungere nel finale un effetto conclusivo incredibilmente massiccio e compatto, dalla cui chiara sonorità di do maggiore la lode di Dio si irradia fin nelle parti fosche dell’opera” Siegfried Kross).
Nel testo (Beati fin d’ora i morti), nel tempo, nella tonalità (fa maggiore) e nella forma (A-B-A-coda) il settimo movimento si riallaccia al primo. Ricollegandosi nella sua ampia coda del tema principale del primo movimento (Beati gli afflitti) l’opera si conclude anche dal punto di vista ideale: consolazione degli afflitti – redenzione dei morti.
Herbert von Karajan
Omnia ad majorem Dei gloriam
Il “Te Deum” di Bruckner
Il protestante Brahms e il cattolico Bruckner si consideravano essi stessi agli antipodi. Opposti erano i loro caratteri, e come due mondi differenti si fronteggiavano le loro opere. Le due grandi composizioni per orchestra e coro di questa registrazione lo mostrano in modo esemplare. “Nella musica di Brahms si esprime il cosmopolitismo colto e raffinato del tempo; in Bruckner si
cela (senza che egli stesso ne sia conscio) qualcosa del risveglio estatico dell’elementare spirito popolare”, scrive Friedrich Blume nel suo eccellente articolo su Bruckner nell’enciclopedia Die Musik in Geschichte und Gegenwart. E più avanti aggiunge: Bruckner “era dominato, oltre che da idee musicali, solo da idee religiose: da entrambe con pari intensità. Le esperienze fondamentali elementari vissute dall’umanità: Dio e demonio, vita e morte, bene e male, beatitudine e dannazione, luce e tenebre, sconfitta e vittoria costituiscono il mondo in cui egli vive”.
La composizione del Te Deum si prolunga negli anni come quella di quasi tutte le opere mature di Bruckner. Nel maggio 1881 Bruckner inizia a scrivere unicamente la parte vocale, ed è solo nell’autunno del 1883 e nella primavera dell’anno seguente che porta a compimento la partitura.
L’Inno ambrosiano di lode (dal punto di vista liturgico esso appartiene, nell’ora canonica, al Mattutino, ma viene intonato fin dall’epoca antica anche in altre occasioni solenni non liturgiche) non fu composto da Bruckner per una circostanza precisa. Al contrario, come tutte le sue opere, egli lo compose a gloria dell’Onnipotente, come una testimonianza della sua fede.
Sulla copertina della prima edizione egli vi fece stampare come motto O.A.M. D.G (Omnia ad mayorem Dei gloriam).
Bruckner lascia sprigionare un’energia di intensità inusitata, valendosi di un massiccio apparato orchestrale, di animate figure in un ostinato costituite dalla nota fondamentale e dalla quinta, e quindi dall’accentuato unisono delle poderose gestualità del corno. Questo passaggio iniziale, scolpito come in blocco, ritorna continuamente come un motto (per esempio ai versetti Te Deum laudamus, Te gloriosus Apostolorum chorus, Per singulos dies).
Esso pone degli accenti in quest’opera che, con i suoi fluidi collegamenti per affinità di terza e di quinta, sembra composta tutta d’un pezzo, quantunque sia articolata in più parti e riveli forti contrasti.
Vi spiccano soprattutto i delicati assolo e i pezzi d’insieme: la musica eterea degli angeli che pronunciano la lode del Signore (Tibi omnes Angeli) e la supplichevole, insistente preghiera degli uomini per impetrare la misericordia (Te ergo quaesumus, Salvum fac populum tuum), per tenore solista accompagnato da una piccola orchestra e dal violino solo.
Disgiunta dalla ampia e complessa stratificazione che la precede, appare, proprio come nella vecchia tradizione compositiva, la fuga finale, che qui è introdotta da una parte solistica e dal tutti: In te Domine, speravi: non confundar in aeternum. In essa Bruckner connette in uno spazio limitato il carattere del corale innodico e dell’estatica gestualità melodica con i moduli della fuga in doppio contrappunto e con un’omofonia intima e cantabile, sì da creare un’opera monumentale e di grande impeto espressivo, semplice e ineffabile al tempo stesso. Registrazione in DDD eseguita nel 1985. Audio
super. Altamente raccomandato. Tra le tre versioni c’è l’imbarazzo della scelta. Buon ascolto!!
(Traduzione: Adriano Cremonese)