Corelli Arcangelo

12 Concerti grossi Op. 6

Registrazione eseguita nel 1974 e rimasterizzazione effettuata nel 1995.

12 Concerti grossi, op. 6

Fu Sir John Hawkins nella sua General history of the Scienze and practice of Music a riferire dell’arrivo dell’Op. 6 di Corelli in Inghilterra.
In quel tempo viveva dirimpetto alla Southampton Street, nello studio (viale del centro di Londra, N. d. R), il signor Prevost, un libraio che commerciava principalmente con l’Olanda. Un giorno questi ricevette una grande consegna di libri da Amsterdam, fra cui i Concerti di Corelli che erano stati appena pubblicati; guardandoli gli venne in mente il signor Needler (un illustre violinista) e glieli portò subito a casa…… ma avendo appreso che Needler si trovava al concerto del signor Loeillet, si recò da quest’ultimo. Il signor Needler fu emozionato alla vista di un simile tesoro; le parti furono immediatamente distribuite, e lui e gli altri suonatori eseguirono, senza alzarsi, tutti i 12 Concerti dal principio alla fine.

Anche se i suonatori di strumenti ad arco avevano conosciuto per parecchi anni le raccolte corelliane di Sonate a tre e gli assoli (l’Op. 1 era stata pubblicata nel 1681), è facile capire l’entusiasmo con cui furono accolti i Concerti. Si trattava infatti dei primi esempi accessibili, oltre che meravigliosamente stampati, del moderno stile orchestrale italiano, e se n’era parlato in modo lusinghiero per anni prima della pubblicazione; evidentemente avevano già circolato in forma manoscritta, almeno fra gli italiani, già dal 1689. Corelli non ebbe bisogno di affrettarne la pubblicazione grazie al generoso mecenatismo del cardinale Ottoboni, nel cui palazzo romano ogni lunedì si tenevano regolarmente delle accademie serali.
E grazie agli interessi mondani del cardinale, Corelli ebbe la possibilità di sviluppare e perfezionare il suo stile senza trovarsi nell’obbligo – come era assai comune durante il Barocco – di fornire settimanalmente una nuova composizione.
A corte la composizione ed anche l’esecuzione musicale potevano fiorire senza preoccupazioni finanziarie.
Questa atmosfera ovviamente incoraggiò Corelli a rimandare la pubblicazione della sua ultima Opera finché ogni particolare non fosse stato verificato (forse ricordava il famoso scandalo delle “quinte”, quando il sospetto nella presenza di quinte parallele in uno dei suoi Trii dell’Op. 2 aveva coinvolto numerosi musicisti italiani in una prolungata e astiosa disputa); tra l’Op. 5 e la pubblicazione dei Concerti grossi trascorsero dunque non meno di quattordici anni.
Sappiamo ben poco di Corelli come uomo (al di là dei racconti come la descrizione fatta da Handel – di un uomo che si vestiva sempre di nero e collezionava quadri per i quali non pagava mai), ma vi è di certo che come interprete fece parlare di sé tutta Europa.

Una certa persona che l’ha sentito suonare dice che mentre suonava il violino il suo aspetto si deformava, gli occhi diventavano rossi come il fuoco e i globi degli occhi roteavano come se fosse in agonia (Hawkins).

Anche la sua direzione dell’orchestra suscitò commenti da parte dei colleghi: Geminiani (secondo Burney) fu estremamente colpito dalla maniera in cui eseguiva i propri Concerti, e dell’ottimo trattamento del suo complesso, la cui insolita accuratezza nell’esecuzione dava ai Concerti un effetto meraviglioso; non solo per l’orecchio ma anche per l’occhio; poiché Corelli considerava essenziale per l’ensemble del complesso che gli archi si muovessero insieme con esattezza, tutti quanti in su o tutti in giù; in maniera che alle sue prove, che precedevano sempre ogni esecuzione pubblica dei suoi Concerti, egli immediatamente fermava il complesso se scopriva un’arcata irregolare.
Una preziosa evidenza per altri particolari riguardanti l’esecuzione viene fornita da Georg Muffat, il quale si recò a Roma nel 1682 dopo aver assorbito lo stile francese da Lully a Parigi.
Egli suggerisce che i Concerti si potevano eseguire sia con un solo strumento per parte, sia con una grande sezione di ripieno.(Sappiamo che nel 1687, per un intrattenimento organizzato dalla regina Cristina di Svezia, Corelli diresse un’orchestra di 150 archi). Alla linea del basso orchestrale poteva unirsi un fagotto, anche senza la presenza di altri strumenti a fiato. Il gruppo del continuo per il ripieno poteva includere “clavicembali, tiorbe, arpe e strumenti simili. Per quanto riguarda il concertino, che venga suonato…… con l’accompagnamento di un organista o di una tiorba”.

Neville Marriner

Quest’ultima possibilità viene menzionata anche nelle pagine di copertina dell’Op. 1-3 di Corelli, e nella presente incisione dell’Op. 6 vengono usate varie combinazioni strumentali.
L’orchestra è disposta nella consueta maniera barocca, con i primi violini (solo e tutti) sulla sinistra, i secondi sulla destra e viole e continuo al centro.

Christopher Hogwood

Traduzione DECCA 1995