Chopin Fryderyk
Concerto per pianoforte e orchestra n. 1
Questa registrazione risale al 1968. Martha Argerich e Claudio Abbado, entrambi molto giovani, hanno perfettamente interpretato la maestosa grandezza dell’Allegro e la quieta profondità degli Adagio in questi due concerti per pianoforte. Sono rimasto estremamente colpito dalla chiarezza dell’audio, soprattutto perchè si tratta di una registrazione analogica di sessanta anni fa. L’equilibro tra l’orchestra e il solista è tra i migliori che abbia mai sentito in tante versioni del concerto di Chopin che possiedo. Mi è immensamente piaciuto Liszt. Lo stile scintillante della Argerich è un puro piacere da ascoltare e Abbado tira fuori il meglio dalla London Symphony Orchestra. In entrambe le partiture l’orchestra e il solista, si completano alla perfezione. La stupefacente qualità audio di questa registrazione può essere dovuta in parte dal fatto che è avvenuta presso la Wahthamstow Town Hall, nella periferia di Londra. Secondo le note del CD questa location era stata scelta appositamente perché l’acustica di questa sala d’incisione era molto buona. Registrazione eseguita nel 1968 e rimasterizzazione effettuata nel 1985. CD Raccomandato senza alcun dubbio e con grande entusiasmo.
Claudio abbado
Concerto n. 1 in mi minore per pianoforte e orchestra, Op. 11, BI 53, CI 47
Chopin scrisse i suoi due Concerti per pianoforte e orchestra tra i 19 e i 20 anni d’età, quando ancora si trovava a Varsavia; furono pubblicati durante il periodo parigino, il Concerto in mi minore nel 1833 come op. 11 mentre il Concerto in fa minore, composto precedentemente, fu stampato nel 1836 come op. 21. Resta singolare che nella seconda metà della sua esistenza, dopo aver abbandonato la Polonia, Chopin non abbia più scritto alcun lavoro per pianoforte con accompagnamento d’orchestra.
Se Liszt, che pure fu un grande ammiratore dell’arte di Chopin, osservò che nei due Concerti c’era, a suo giudizio, “plus de volenté que d’inspiration”, Schumann era disposto a spezzare la sua penna di critico musicale di fronte alla grandezza di questi lavori. In merito ai quali nell’Epistolario dell’autore le notizie e i commenti sono assai più numerosi di quanto vi figuri in merito a qualsiasi altra sua composizione, dal momento che l’ispirazione s’intrecciava strettamente alla biografia. Al pari del Larghetto del Concerto in fa minore, la
Romanza del Concerto in mi minore è definita una autentica professione d’amore, con le parole “una meditazione nel bel tempo primaverile durante il chiaro di luna” (Cfr. Lettera del 3 ottobre 1829 a Tytus Wojciechowski). In linea generale l’eloquio musicale chopiniano in questi Concerti è del tutto personale pur se numerosi studiosi, e in particolare lo Schering, vi ravvisarono l’influenza dei Concerti virtuosistici di Kalkbrenner e di Hummel, due compositori che allora dominavano il campo.
La stesura del Concerto in mi minore impegnò Chopin tra il marzo e l’agosto del 1830: la conferma che egli scrivesse il primo movimento in tale periodo la si rinviene nella lettera del 27 marzo allo stesso Wojciechowski al quale, in un’altra lettera del 25 maggio, viene riferito che il Rondò conclusivo era allora in gestazione. Da un’altra lettera del 31 agosto al medesimo destinatario si apprende che in quel mese Chopin si era proposto di far una prova d’insieme di tale partitura con un quartetto d’archi nella casa dei genitori, “allo scopo di familiarizzare gli strumentisti non solo con la lettura del testo ma anche col genere di interpretazione più adatto”. Qualche giorno dopo, alla metà di settembre, Chopin comunicò a Wojciechowski che la prova aveva avuto luogo e che era “abbastanza soddisfatto ma non troppo”. Assai importante è un’altra lettera allo stesso amico, quella del 22 settembre, in cui il compositore ebbe a confessare: “Ora si tratta di suonare in pubblico il Concerto e mi trovo nel medesimo stato in cui ero quando ignoravo tutto del pianoforte. C’è bisogno d’una esecuzione speciale… Il Rondò fa effetto e l’Allegro è buono…”.
La prima esecuzione assoluta del Concerto in mi minore coincise con l’ultima esibizione in pubblico di Chopin prima della sua partenza dalla Polonia, e si svolse al Teatro Nazionale di Varsavia l’11 ottobre 1830 con l’orchestra diretta da Warlo Ewasio Soliwa. L’indomani, al fedele Tytus, Chopin scrisse: “II mio Concerto è riuscito bene: non avevo alcun timore, ho suonato come quando mi trovo da solo. Sono soddisfatto. La sala era piena. Dopo il pezzo d’inizio, la Sinfonia di Goerner, ho suonato l’Allegro in mi minore, che pareva andasse da solo, su un pianoforte Streycher. Applausi assordanti. Soliwa era contento. Poi si è eseguita l’Aria con coro di Soliwa che M.lle Volkow, vestita d’azzurro come un angelo, ha cantato con slancio. Seguivano l’Adagio e il Rondò; e poi c’è stata la pausa. E nella seconda parte altre musiche, di Rossini e di altri”. Le recensioni della stampa? Una sola menzione, quasi di sfuggita, nel “Corriere di Varsavia”, fece intendere a Chopin che l’opinione pubblica aveva cessato di mostrare qualsiasi interesse per lui. Nemmeno una parola, su quel Concerto, fu dedicata dagli altri giornali polacchi.
Neanche un mese dopo, al termine di un breve riposo in campagna a Zelazowa Wola, Chopin provvide a rassicurare Wojciechowski che nulla l’attraeva all’estero ma che s’era deciso a partire soltanto “per soddisfare la vocazione e il buon senso”: tutti infatti attorno a lui, dal padre agli insegnanti ai giovani amici, lo incoraggiavano al viaggio all’estero che doveva consacrare la sua affermazione come concertista di pianoforte.
Friedrich Kalkbrenner
Seppur a malincuore, Chopin stesso s’era deciso a tale passo, rendendosi conto che nel clima artistico di Varsavia, in cui l’unica cultura musicale che avesse solide radici era l’opera di gusto italiano, non vi erano le condizioni propizie al suo successo. E, per di più, le autorità gli avevano negato una borsa di studio per un soggiorno in Germania, Italia e Francia: nel comunicargli l’esito negativo a tale richiesta, il ministro Mostowski precisò che “la commissione governativa e la polizia non potevano condividere l’opinione che i fondi pubblici fossero destinati ad incoraggiare artisti sprecati e senza avvenire”. Alla vigilia della partenza, fissata per il 2 novembre 1830, Chopin fu calorosamente festeggiato dagli amici che, dolorosamente presaghi del futuro, donarono al giovane artista una coppa d’argento contenente alcune zolle di terra polacca.
Dedicata a Friedrich Kalkbrenner, la partitura del Concerto in mi minore s’apre con l’Allegro maestoso, il movimento più ampio, di gran lunga più orientato ad una solidità costruttiva. Un Tutti dell’orchestra presenta i due temi principali, l’uno nella tonalità di mi minore, l’altro in mi maggiore: il primo soggetto, dopo un risoluto inizio in forte, cede il campo ad una frase in piano e legato espressivo, che è una tipica manifestazione dello “zal”, la malinconia polacca; il secondo tema, contrassegnato dalla didascalia cantabile, ha un incedere di elegante gradevolezza. Il solista entra con vigore e riespone i temi, trascorrendo ben presto da sonorità poderose ad una accattivante cantabilità, per procedere poi, attraverso magiche figurazioni e ornamentazioni virtuosistiche, sino ad un culmine in fortissimo, eseguito dal Tutti. L’inizio dello svolgimento, che è una pagina d’intensa poesia, si basa sul motivo malinconico del primo gruppo tematico, affidato al solista in do maggiore con la didascalia dolce ed espressivo; subentrano poi passaggi di bravura ed un febbrile episodio cromatico conduce alla ripresa. A questo punto si nota una nuova deroga rispetto allo schema tonale tradizionale, in quanto il secondo soggetto viene presentato in sol maggiore anziché in mi minore. Una vibrante Coda sigla il movimento con ardenti virtuosismi del solista che approdano a un Tutti orchestrale.
Del Larghetto in mi maggiore, intitolato Romanza, Chopin, secondo una lettera all’amico Tytus, precisava che non doveva essere “energico, ma piuttosto romantico, tranquillo, malinconico, per dare l’impressione di uno sguardo gentile al luogo che risveglia nel pensiero mille cari ricordi. È una meditazione nel bel tempo primaverile, ma durante il chiaro di luna: perciò l’accompagno con le sordine”. Dopo una breve introduzione dell’orchestra, il pianoforte espone il tema principale, caratterizzato da una estrema dolcezza; un episodio intermedio viene dipanato dal pianoforte accompagnato dagli archi in sordina; ricompare poi al pianoforte, con vari abbellimenti e sviluppi, il tema principale, che viene affidato alla fine agli archi, mentre il pianoforte esegue eleganti e quiete figurazioni.
Martha Argerich
Senza soluzione di continuità, il Larghetto si collega al Rondò finale, anch’esso in tonalità di mi maggiore, dopo l’avvio in do diesis minore con un breve e risoluto Tutti dell’orchestra, che trascorre presto alla tonalità d’impianto di mi maggiore, precedendo l’entrata del pianoforte con il tema principale. Tale soggetto, che costituisce il ritornello del Rondò, viene presentato in piano scherzando e si alterna quindi, secondo lo schema classico, con altri temi. La struttura adottata viene attraversata da sfolgoranti episodi di virtuosismo di bravura ed è percorsa da ritmi di danze popolari. Nel terzo tema del movimento si ascolta esplicitamente il ritmo della danza nazionale polacca denominata Krakoviac: più antico della Polacca, il Krakoviac è una danza della regione di Cracovia in tempo 2/4 e con numerose sincopi nella melodia e nell’accompagnamento, risorse che Chopin sfrutta ampiamente durante lo svolgimento del Rondò, pur nella brillante stilizzazione dell’incedere musicale. Singolare appare, ad un certo punto, la riapparizione del ritornello in mi bemolle, un semitono sotto la tonalità d’impianto. La Coda, da ultimo, è una pagina di magistrale scrittura pianistica, per nulla inferiore ad alcuni dei coevi Studi.
Concerto n. 1 in mi bemolle maggiore per pianoforte e orchestra, S 124
Liszt iniziò a comporre intorno al 1830 tre grandi lavori per pianoforte e orchestra: i due concertii e Totentanz. Tuttavia la gestaziono di queste opere fu lunga e travagliata: esse infatti apparvero nella loro stesura definitiva rispettivamente nel 1857, 1861 e 1859. Per quel che riguarda il concerto in mi bemolle maggiore, gli abbozzi risalgono al 1830, mentre la prima versione completa è solo del 1849; il compositóre rivide la partitura più volte prima della pubblicazione presso l’editore C. Haslinger di Vienna nel 1857. La prima esecuzione avvenne il 17 febbraio 1855 al castello di Weimar con Liszt stesso al pianoforte e l’orchestra diretta da Hector Berlioz.
Il Concerto in mi bemolle di Liszt, parimenti ad altri concerti composti negli Anni ’40, rappresenta una svolta nella storia del concerto per pianoforte e orchestra: esso segna l’abbandono dello schema del concerto in tre movinenti con l’introduzione di uno Scherzo dopo il tempo lento come nella sinfonia; per questo tipo di concerto Henry Litolff coniò l’espressione «Concerto symphonique» ed esso costituì il modello per il Seondo Concerto in si bemolle maggiore di Johannes Brahms. Liszt nel concerto affronta il problema di mediare la struttura del pezzo caratteristico e della parafrasi pianistica con l’dea della grande forma sinfonica.
La soluzione che egli propone è quella di avvicinare la tecnica della variazione- parafrasi, che lasciava largo spazio al virtuosismo pianistico, a quell’unione di grandiosità e di logica tematica differenziata che, secondo i canoni estetici dell’Ottocento, costituiva l’essenza della musica sinfonica.
La forma in Liszt è difficilmente riconducibile a schemi generali poiché essa viene in certa misura reinventata in ogni singola composizione e anche laddove
si possono cogliere dei riferimenti alla tradizione, essi sono alquanto sfumati e comunque sempre problematici.
Il concerto si apre con il motto principale attaccato dagli archi all’unisono in fortissimo: esso si basa su un motivo nettamente profilato sotto l’aspetto ritmico: tale motivo è poi ripetuto un tono sotto venendo così a formare la prima frase (x) del tema principale. A questo punto, invece della prosecuzione del I tema, si ha l’ingresso del solista con un passaggio in ottave doppie che sfocia in un’ampia cadenza.
La nuova entrata dell’orchestra ripresenta il tema principale, completato da una seconda frase (y) affidata al pianoforte; questa però ora appare non come la naturale conseguenza del motto iniziale, (x) ma come un’improvvisa apertura lirica, una melodia cantabile, riccamente fiorita e in un’altra tonalità (mi maggiore). Sorge allora la domanda se si tratti realmente di un tema unico o se debbano considerarsi due klee musicali distinte, accostate volutamente per contrasto, o ancora se siamo di fronte a una nuova concezione ilei tema che ammette la compresenza di elementi così diversi. Tale episodio viene ripetuto mezzo tono sopra, prolungato da una breve cadenza del pianoforte alla quale segue una nuova idea melodica, affidata al clarinetto, che funge da transizione al II tema.
Il tema secondario, una melodia cantabile e appassionata, viene esposta prima dal pianoforte, poi ripresa in tonalità differenti e con sempre maggiore slancio dal clarinetto, dal violino e dal violoncello, quindi di nuovo dal solista, donde una sezione di carattere squisitamente cameristico.
È questo uno degli aspetti più tipici della strumentazione lisztiana che ritroviamo anche nei poemi sinfonici: quando il compositore vuole ottenere una leggerezza di scrittura, caratterizzata da timbri particolari, egli isola nella grande orchestra un gruppo di strumenti e per esso compone delle pagine che si direbbero di «musica da camera».
Segue una digressione modulante in cui appare in orchestra il motivo x e la melodia del clarinetto della transizione, mentre il solista si lancia in virtuosistiche figurazioni arpeggiate. Il ritorno di x in fortissimo all’orchestra ci riporta alle misure iniziali del concerto e funziona come una sorta di ripresa, più propriamente una «falsa ripresa» poiché si presenta in una tonalità diversa dalla tonica. Va notato che questo procedimento di dissociazione tra la ripresa tematica e il ritorno della tonica è un altro aspetto caratteristico del comporre lisztiano.
Il nuovo intervento del solista è costituito dalla variante del motto principale (x), trasformato per diminuzione e si conclude riagganciandosi alla cadenza iniziale. È sempre il tema principale che viene riproposto nella sua interezza,
con scrittura cameristica nel dialogo tra i legni e il pianoforte e poi ancora affidato agli archi finalmente nella tonalità della tonica. Ma siamo ormai all’epilogo e l’ultima presentazione del motto x, su vorticosi arpeggi e scale cromatiche del pianoforte porta a conclusione il movimento.
Il secondo movimento è articolato in tre parti: la prima, dopo una breve introduzione orchestrale, è esposta dal pianoforte solo ed è una melodia cantabile di suggestione chopiniana. Una variante di questa melodia da parte dell’orchestra introduce un recitativo del pianoforte, sostenuto dal tremolo degli archi e da accordi dei fiati, recitativo che si muta in un’elaborazione pianistica dell’inizio della melodia principale. Al flauto appare una nuova idea melodica di carattere popolare che è ripresa dall’oboe, quindi dal violoncello; infine il clarinetto ripropone un’ultima volta il motivo della melodia iniziale.
Su un doppio trillo del pianoforte si ha, senza interruzione, il passagio al terzo movimento. Liszt nella partitura lo segna come continuazione del secondo movimento, di cui l’Allegretto vivace costituirebbe la seconda parte e l’Allegro animato che segue, la terza. L’effetto all’ascolto però è quello di uno scherzo il cui tema, caratterizzato da frequenti salti, staccati del pianoforte e pizzicati dagli archi, da improvvisi accenti, nonché dalla presenza del triangolo, è proposto alternativamente dal pianoforte e dall’orchestra e ripetuto variato altre due volte. Una breve cadenza conduce all’Allegro animato, sezione di transizione o di raccordo dello scherzo al finale: comincia il pianoforte con la variante x’ in ottave doppie, ripresa poi dagli archi in tremolo con un incalzante crescendo che porta a una nuova perorazione di x da parte dell’orchestra in fortissimo seguita dalle prime battute della cadenza del pianoforte; il che provoca nell’ascoltatore la sensazione di riudire l’inizio del concerto. Ma la cadenza del pianoforte si interrompe dopo poche battute per lasciare spazio a una sezione in cui vengono riproposti e combinati diversi motivi tematici sino adesso presentati, mentre i timpani scandiscono, come viene indicato nella partitura, il ritmo del tema principale.
Il finale attacca subito e può essere interpretato nell’insieme come una grandiosa variazione del secondo e terzo movimento. La variazione consiste nella trasformazione di carattere dei temi, nelle modifiche della strumentazione e nella combinazione dei temi stessi.
Henry Litolff
L’Allegro marziale animato si apre con un tema di marcia, festosamente enunciato dall’orchestra, tema che è una trasformazione della prima idea melodica dell’Adagio. Il pianoforte subentra all’orchestra con la seconda frase del tema che trasforma poi in una sorta di cadenza, i cui rapidi passaggi in ottave sfociano in una seconda idea tematica; questa, affidata sempre al solista, si rivela una variante ritmica del secondo tema dell’Adagio. Ritorna il tema di marcia all’orchestra mentre il pianoforte prima gli ricama intorno figurazioni di arpeggi, poi lo riprende e lo varia con una scrittura sempre più brillante e virtuosistica. Annunciato dal triangolo, ecco ricomparire il tema dello scherzo ancora al pianoforte, parafrasato virtuoslsticamente e punteggiato da interventi dell’orchestra, quindi il tema-motto x, modificato in un tetracordo cromatico discendente dai valori ritmicamente uguali. L’ultima parte del movimento reca l’indicazione Presto e ritroviamo ancora la variante x’ del tema principale con un
travolgente crescendo sino al fff in cui x risuona un’ultima volta. Una breve formula cadenzale conclude il concerto.