Franz Joseph Haydn
Le Stagioni
Personalmente definirei questo Oratorio una grande composizione corale intervallata da recitativi e arie dei tre solisti. Martti Tavela è stato il basso di Karl Bohm in molte sue registrazioni. Possiede una delle voci basse e più ricche che abbia mai sentito, con un tono profondo che potrebbe essere rauco e serioso, così come divertente. La versatilità che dimostra di avere in questo spartito e l’espressività sono semplicemente stupefacenti. Il suo timbro è differente da un altro grande basso di quel periodo, Cesare Siepi, che aveva un suono più lirico. Gundula Janowitz è stata un soprano “classico-lirica” impeccabile. Le sue abilità interpretative per Mozart, Wagner, Hadyn, Handel e Beethoven vennero notate da grandi conduttori quali Bohm e Karajan. Lei è un’esemplare della tipica scuola austro-tedesca e la sua specialità in questo repertorio classico è, a parer mio, insuperabile. Peter Schreier è diventato il successore di Fritz Wunderlich nella metà degli anni sessanta. La sua specialità nelle opere religiose è di nuovo insuperabile, mentre nel repertorio operistico, secondo il mio modesto parere, non eguaglia Wunderlich. I tre solisti cantano come venissero dal Cielo in questa registrazione e la musica esplode di vitalità rendendo giustizia a questo immenso capolavoro. Conclude la performance una brillante esecuzione di Karl Bohm sul podio dei Wiener Symphoniker. Un plauso al Coro Wiener Singverein, importantissimo in questa partitura, per la loro stupenda interpretazione. Registrazione eseguita nel 1967 e rimastrizzazione effettuata nel 1998. Audio eccezionale. Imperdibile!
“Le stagioni” per un pubblico adulto
Per otto giorni, tra la fine di aprile e l’inizio di maggio del 1967, si protrasse la registrazione delle Stagioni di Haydn, per la quale la Deutsche Grammophon era riuscita ad impegnare Karl Bohm insieme a un terzetto di solisti vocali di primissimo livello, perfettamente omogeneo, oltre ai Wiener Symphoniker e al Wiener Singverein.
A queste premesse artistiche ideali fece il migliore riscontro una progredita tecnica di registrazione, caratterizzata da presenza, colorito, spazialità e proporzioni di volumi e dati sonori.
Sembrò quasi che insieme con l’interpretazione da parte di Bohm di questa tarda opera haydniana – eseguita per la prima volta il 24 aprile 1801 nel Palazzo Schwarzenberg di Vienna – si fosse anche riusciti a riversare nei nastri di registrazione la risonanza plastica della Sala Grande del Musikverein di Vienna. Già le prime battute dell’introduzione ci faranno comprendere che non c’è da aspettarsi un singspiel garbato e gradevole: drastici colpi di timpani, taglienti accordi di fiati, moti concitati nei registri medi e gravi della compagine orchestrale rivelano una visione interpretativa orientata più in senso autonomo- musicale che secondo principi descrittivi.
Anche i brevi interventi orchestrali con funzione di commento o illustrazione al testo (dal liquefarsi della neve fino al gracidare delle rane) non decadono mai in Bohm in effetti sonori divertenti – un aspetto che ha dato indubbiamente popolarità all’opera ma che ha anche contribuito ad applicarle una patina di primitiva semplicità.
Le Stagioni qui registrate sono così intese per un pubblico adulto, per ascoltatori più sensibili allo sviluppo sempre variato delle piccole componenti motiviche e alla poliedrica elaborazione di temi liederistici che non alle possibili tentazioni descrittive dell’angusto supporto testuale di Gottfried van Swieten, in cui lo stesso Haydn rilevava “sciocchezze francesi”.
Naturalmente anche per Bohm rimane vincolante il tema della natura e delle quattro fasi del ciclo vitale, ma sempre nell’ambito di una composizione autonoma e condotta secondo principi prettamente musicali.
Così l’interpretazione di Bohm si inserisce nella grande tradizione borghese del genere dell’oratorio, dove la musica assume una posizione libera nei confronti di ogni vincolo testuale e i solisti non si pongono come narratori canori dalla
dizione bonaria e manierata – un tratto applicato spesso a “papà Haydn” – ma come parti autonome della struttura musicale con qualità e gestualità sonore ben specifiche.
La calda e duttile voce di Gundula Janowitz è tutt’altro che candida e ingenua e possiede la medesima energia oratoria di Peter Schreier, che dà una configurazione ideale ai giovanili empiti in arioso e parlando.
Martti Talvela infine rappresenta il ripiego e il riscontro degli eventi naturali nelle regioni più profonde, oltre a fungere da sostegno e cornice nei terzetti e nei duetti – che di rado si possono ascoltare con altrettanta trasparenza e altrettanto senso di equilibrio.
Karl Bohm
E Karl Bohm, che conosce anche interventi drastici e rudi, che contribuisce alla pregnante e nitida connotazione vocale del Wiener Singverein, conosce al tempo stesso tanti momenti di esitazione e di indugio come di effusione.
In tal modo il testo, al quale la musica dovrebbe solo servire da tramite privilegiato per giungere alle orecchie degli ascoltatori, è immerso in un paesaggio sonoro poliedrico e cangiante, sì che il modesto contenuto idealen delle frasi è ben presto dimenticato.
Regioni cupe e luminose, zone climatiche miti e temperate, densa e scarsa vegetazione, contrade coltivate e inospitali: tutto ciò diviene evento sonoro in una veste formale sempre nuova.
E questo non è mai un mero effetto ma scaturisce, come nelle sinfonie, dalla concezione formale innovativa di Haydn. Il desiderio del creatore delle Stagioni di vedere apprezzate le sue qualità di compositore e non di illustratore di pittoresche e decorose immagini sonore è stato avvertito e accolto apertamente da tutti quanti hanno concorso a realizzare questa registrazione.
Bernhard Uske
(Traduzione: Gabriele Cervone)
Die Jahreszeiten (Le stagioni), Hob:XXI:3
Col passaggio dal diciottesimo al diciannovesimo secolo la produzione di musica sacra subì un brusco calo. Anche l’oratorio fu coinvolto in tale declino e il ruolo attivo che aveva avuto nella vita sociale e religiosa della Roma di Carissimi, della Lipsia di Bach, della Londra di Haendel, della Vienna di Giuseppe I e Carlo VI si perse per sempre; in seguito gli splendidi apporti all’oratorio di alcuni grandi, come Mendelssohn, Berlioz e Liszt, avrebbero arricchito la storia della musica di qualche capolavoro ma sarebbero stati solo un revival in chiave romantica d’un genere musicale del passato.
Dunque l’oratorio perse verso il 1800 la sua funzione originaria per diventare musica da concerto: in questa trasformazione, che ne avrebbe assicurato la sopravvivenza per un altro secolo, Joseph Haydn ebbe un ruolo fondamentale. Era nato ancora in tempo per vivere gli ultimi anni in cui a Vienna l’oratorio (rigorosamente in lingua italiana) assumeva presso la corte imperiale non solo una funzione devozionale ma anche un significato politico, celebrando avvenimenti festosi o severi, nascite e genetliaci, matrimoni ed esequie, firme di trattati e riunioni della Dieta. Ma Haydn si cimentò personalmente nell’oratorio italiano una sola volta e piuttosto tardi, ad oltre quarant’anni d’età, nel 1775, dopo di che per molti anni non mostrò più alcun interesse per questo genere musicale diventato ormai obsoleto, finché, nel corso dei suoi due lunghi soggiorni londinesi tra il 1791 e nel 1795, ebbe modo di ascoltare alcuni oratori di Haendel, tra cui Israel in Egypt e Messiah. Fu profondamente colpito da quella musica così “antica” (cinquanta anni erano molti in un’epoca in cui gli autori del passato venivano solitamente sistemati in un pantheon e lì dimenticati) eppure ancora capace di entusiasmare il pubblico inglese.
Tornato a Vienna, Haydn trovò una sponda nel barone Gottfried van Swieten (1733-1803), prefetto della biblioteca imperiale e appassionato dilettante di musica, che già stava cercando di introdurre a Vienna il culto di Haendel (e di
Bach). Swieten tradusse e rielaborò il testo d’un oratorio che Haydn aveva portato con sé da Londra e che – pare – cinquant’anni prima era stato destinato a Haendel. Haydn vi lavorò per un tempo (due anni) e con un accanimento (testimoniato da numerosi schizzi e correzioni) assolutamente insoliti per lui e per ogni altro compositore prima di Beethoven. Nacque così Die Schöpfung (La Creazione), il primo capolavoro della storia della musica scritto pensando consapevolmente alla posterità: “Ci metto molto, perché voglio che duri molto”, diceva Haydn.
L’enorme successo di quest’oratorio alla prima esecuzione viennese del 1798 – e alle altre che presto seguirono nella stessa Vienna e in mezza Europa, dall’Inghilterra alla Svezia e alla Russia – ebbe un peso determinante nella decisione di fargli avere un seguito con Die Jahreszeiten (Le Stagioni). Per il testo questa volta Swieten s’ispirò al poeta scozzese James Thomson (1700- 1748), il cui poema The Seasons era stato uno dei primi a prendere come soggetto la natura e aveva avuto un posto importante nella poesia in lingua inglese del diciottesimo secolo. Haydn cominciò a comporne la musica nel marzo del 1799 e per due anni dedicò tutte le sue forze ormai calanti a quella che sarebbe rimasta l’ultima sua grande opera: “La fatica che provo a comporre Die Jahreszeiten e la mia attuale debolezza m’impediscono di lavorare ad altro”, scriveva all’editore Breitkopf & Härtel. Die Jahreszeiten furono eseguite per la prima volta privatamente il 24 aprile 1801, nel palazzo del principe Schwarzenberg, e ripetute pubblicamente il 29 maggio, alla Redoutensaal. Il successo fu di poco inferiore a quello di Die Schöpfung.
Sebbene Die Schöpfung sia stato definito oratorio sacro e Die Jahreszeiten oratorio profano, entrambi sono permeati da un simile amore per ogni aspetto del creato e da un simile atteggiamento deista, che riconosceva l’esistenza d’un dio come creatore e ordinatore del mondo, mentre non dava credito alle religioni storiche, alle chiese, alla rivelazione, ai dogmi, ai miracoli. La differenza sostanziale è che in Die Schöpfung a narrare i momenti della creazione e le meraviglie del mondo sono esseri soprannaturali, tre arcangeli, mentre in Die Jahreszeiten il compito d’introdurre, illustrare e commentare gli avvenimenti che scandiscono il ciclo delle stagioni è affidato ai più semplici e modesti tra gli esseri umani, i contadini Hanne, Lukas e Simon, che talvolta intervengono come attori ma più spesso sono semplici narratori, ricoprendo una funzione simile a quello dello “storico” nell’oratorio seicentesco. Esprimersi per bocca di quei tre contadini non doveva essere una finzione per Haydn, che era nato in un villaggio di campagna e che, sebbene fosse stato portato dalla vita professionale nei palazzi più sfarzosi e nelle metropoli più moderne, aveva conservato nei confronti della natura lo spirito contadino, per cui la vita dell’uomo e quella della natura sono inscindibili, le stagioni dell’anno sono le
stesse della nostra esistenza, il lavoro della terra non è sofferto come un’amara fatica da servi ma è istintivamente amato come testimonianza di una benefica presenza divina nella natura che sostiene l’uomo con i suoi frutti.
Nonostante il testo di Swieten per Die Jahreszeiten sia stato considerato mediocre fin dall’inizio e il suo oleografico descrittivismo appaia oggi ancora più ingenuo di ieri, Haydn riuscì a dargli una superiore unità, annullando in una sintesi su grande scala ogni distinzione tra sublime e popolaresco, come nella Zauberflöte di Mozart. Ovunque si riconosce lo straordinario dominio della materia musicale maturato nella lunga pratica del mestiere da parte di un grande compositore giunto al culmine della maturità, che si era rinnovato quotidianamente nel corso di decenni di attività, senza mai fermarsi, e che ora si vedeva dischiuso un ulteriore orizzonte creativo, ancora più ampio e vario. Si alternano episodi di vita familiare e contadina nello spirito gioviale e leggero del Singspiel, momenti solenni improntati allo stile della musica sacra, colorati affreschi corali pieni di vivacità e di vigore, riflessioni interiorizzate venate di malinconia e tristezza profonde. Da un lato le grandiose fughe corali che concludono la Primavera e l’Inverno proseguono la tradizione della musica sacra barocca, ma d’altro lato il sommesso finale dell’Estate, con i leggeri rintocchi della campana della sera (realizzati dagli strumenti a fiato) e la conclusione in pianissimo, lascia intravedere una nuova sensibilità. Nella sofferenza comune dell’agricoltore e della natura a causa della siccità (recitativo accompagnato e cavatina di Lukas nell’Estate) e nello smarrimento esistenziale del viaggiatore che ha perso la sua strada nella nebbia (aria di Lukas nell’Inverno) già si respirano le atmosfere di certi Lieder di Schubert. Alcune scene di esterni (in particolare i cori dei cacciatori e quello dei vendemmiatori nell’Autunno) aprono la via al Freischütz di Weber, in cui vengono anche riprese quasi alla lettera le risate del coro alla conclusione della scherzoso Lied di Hanne (nell’Estate). L’altro Lied di Hanne col coro delle filatrici (sempre nell’Estate) è un’anticipazione meno remota di quanto si potrebbe pensare del Fliegende Holländer di Wagner.
Dunque Die Jahreszeiten si collocano, non solo dal punto di vista della cronologia, all’intersezione tra diciottesimo e diciannovesimo secolo, quando la tendenza alla pittura sonora in auge durante tutto il Settecento si mescolava ai nuovi ideali del romanticismo, che chiedeva alla musica di sostituire il calligrafico descrittivismo con l’espressione dei moti interiori dell’animo umano di fronte alla natura. L’ormai anziano maestro avvertì i tempi nuovi e rispose con sicura intuizione poetica alle nuove esigenze fin dall’Introduzione che precede la prima delle quattro parti dell’oratorio e che descrive il passaggio dall’inverno alla primavera, sostituendo le solite imitazioni sonore con toni più interiorizzati: la corrusca e concitata atmosfera iniziale si scioglie nel corso del recitativo seguente in lievi fremiti di serenità e di gioia.
Franz Joseph Haydn
E il successivo coro dei contadini ha un’espressione spontanea e sincera che fu senz’altro tenuta presente da Beethoven quando, otto anni più tardi, compose la Sinfonia “Pastorale”. Si può dunque affermare senza forzature che la nuova posizione della musica nei confronti della contemplazione della natura, riassunta poi da Beethoven nella frase “Mehr Ausdruck der Empfindung als Marnerei” (Espressione del sentimento più che pittura), era già stata almeno intuita da Haydn. Andando avanti s’incontrano altri esempi di quest’atteggiamento preromantico: particolarmente notevole è l’Introduzione all’Inverno, dove audaci e suggestive soluzioni armoniche (per le quali è stato addirittura proposto un accostamento a Wagner e al suo Tristan und Isolde) evocano il paesaggio immoto e muto e lo sfinimento della natura sotto il gelo.
Ben inteso, nonostante questi spiragli aperti su una nuova sensibilità, Haydn non ripudia nulla delle sue ormai ben assestate conquiste stilistiche. L’aria di Hanne nell’Estate, pur esprimendo con sottile sensibilità preromantica il sentimento di serenità da cui è invasa l’anima al contatto con la natura benigna, è nel più puro stile tardosettecentesco. L’aria di Simon nell’Inverno (forse la più nota delle otto distribuite nelle Jahreszeiten tra i tre solisti) non solo ha la giovialità e la bonomia che, a torto o a ragione, sono considerate tipiche di “papà Haydn”, ma anche cita chiaramente uno dei temi più inconfondibili di Haydn, l’Andante della Sinfonia n. 94 “La Sorpresa”, che allora era nelle orecchie di tutti i viennesi. Accanto alle pagine in cui affiora il nuovo sentimento della natura, non mancano i momenti che restano ancora sul terreno settecentesco della pittura sonora, realizzata con l’imitazione stilizzata dei fenomeni naturali. Nel temporale dell’Estate, Haydn ricorre alle tradizionali riproduzioni sonore dei tuoni e dei lampi, che d’altronde ritorneranno ancora nella Pastorale di Beethoven, anteponendovi però un recitativo accompagnato di Hanne, che arricchisce questi effetti descrittivi con un nuovo senso di sospensione e di panica attesa. Altrove Haydn, che pure aveva mostrato apertamente la sua insofferenza per l’eccessive pretese illustrative del testo di Swieten, sembra divertirsi a escogitare originali effetti descrittivi, come il canto della quaglia, lo stridio dei grilli e il gracidare delle rane nel terzetto con coro che chiude l’Estate.
Alla fine di questo vasto poema sonoro diventa chiaro che il volgere delle stagioni è anche allegoria della vita umana. Giunti alla fine suprema della vita, per chi si apriranno le porte del cielo? Per chi avrà vissuto secondo bontà, verità, carità e giustizia, le stesse virtù richieste a Tamino nella Zauberflöte di Mozart. Le porte del cielo si aprono, le pene della vita si sono calmate, così come si sono calmati i venti invernali, e una grandiosa e solenne fuga corale porta a un “Amen” tanto stringato quanto traboccante di energia.