Handel Frideric George
Concerti grossi op. 3 – Concerti per organo n. 4
Registrazioni eseguite dal 1972 al 1976 e rimasterizzazione effettuata nel 1994
Gli spettacolari stratagemmi di Handel – I Concerti grossi op. 3 e i Concerti per Organo op. 4 – di Gloria Staffieri
Nell’ambito dell’ingente produzione di Handel, la musica strumentale occupa un posto se non marginale certamente secondario rispetto alla musica vocale (soprattutto Opere ed Oratori), che costituisce il vero e proprio asse portante della sua attività creativa.
Anzi, possiamo dire che, se si escludono quei lavori che egli compose con finalità prevalentemente didattiche o specificatamente cerimoniali, gran parte della stessa produzione strumentale è occupata da opere concepite non per essere eseguite autonomamente, ma per impiegarsi – in funzione di preludi, interludi o semplici intervalli – all’interno delle sue composizioni drammatiche. Parte di questi lavori, dopo una più o meno accurata opera di revisione e rielaborazione, giungeva poi alle stampe, o per diretta decisione del compositore, che desiderava in tal modo scoraggiare le numerose edizioni- pirata che circolavano sotto il suo nome, o a volte per esclusiva volontà dell’editore, che intendeva sfruttare a suo vantaggio il successo di particolari generi strumentali.
È questo probabilmente il motivo per cui furono pubblicati nel 1734 dall’editore londinese John Walsh i sei Concerti grossi op. 3, noti fin dalla metà del 18o secolo come “Concerti per oboe”.
Si può ipotizzare che Walsh, il quale aveva già stampato le Sonate a due (op. 1) e a 3 (op. 2) del compositore tedesco e dal 1734 era divenuto (con privilegio reale) il suo editore esclusivo, avesse tentato questa impresa per ripetere con l’op. 3 il successo commerciale già ottenuto con i Concerti grossi di Corelli e Geminiani.
Comunque stiano le cose, gran parte dei movimenti che formano i Concerti della raccolta è costituito da materiale proveniente da lavori orchestrali che Handel aveva originariamente concepito, durante i primi anni del suo soggiorno londinese, come introduzioni o interludi.
Nel Secondo Concerto, ad esempio, il primo e il terzo movimento sono derivati dalla Brockes Passion, composta da Handel nel 1716. Nel Terzo Concerto vengono utilizzati movimenti tratti dal Chandos Anthem n. 7 (primi due tempi), dal Chandos Te Deum (terzo tempo), nonché dalla Fuga in sol maggiore per clavicembalo (quarto tempo).
Anche il Quinto Concerto fa uso di pezzi strumentali tratti da Anthems (“In the Lord put I my trust” e “Aspants the hart” rispettivamente per i primi due tempi e per il quarto).
Tutti i movimenti del Quarto Concerto sono derivati, inoltre, dai brani strumentali da lui composti per l’opera Amadigi del 1716, così come ancora dalle sezioni strumentali di due sue opere, Ottone del 1722 e Il Pastor fido del 1712, è tratto il materiale per gli unici due movimenti che formano il Sesto Concerto.
Assai frastagliato è il profilo formale dell’op. 3, che allinea concerti in due, in tre, in quattro o cinque movimenti, passando altresì in rassegna varie tipologie strutturali: dal concerto in forma-ritornello di derivazione veneziana al concerto grosso corelliano, dall’ouverture dalla suite di influenza francese alla musica per complessi a fiato di gusto prettamente tedesco.
Di livello qualitativo ben più alto, oltre che di indubbia rilevanza storica, è la successiva raccolta a stampa pubblicata da Walsh nel 1728 come op. 4, che consacra la nascita di un nuovo genere di composizione: il Concerto per organo. Celebrato dai contemporanei per le straordinarie doti di virtuoso e improvvisatore alla tastiera, Handel inventò un tipo di concerto in cui venivano genialmente a coniugarsi la vocazione tipicamente solistica dell’organo (con la sua innata tendenza al virtuosismo e all’improvvisazione) e la moda allora imperante del concerto grosso di derivazione italiana, un genere che il compositore tedesco aveva avuto modo di conoscere, più che dalle numerose edizioni a stampa, per via diretta durante il suo viaggio in Italia (avvenuto tra il 1706 e il 1709).
Raymond Leppard
Anche i Concerti per organo, tuttavia, non furono concepiti in vista di un’esecuzione autonoma, bensì sempre in via subalterna ad opere drammatiche, funzionando in questo caso come semplici interludi tra gli atti degli Oratori da lui composti ed eseguiti nell’ambito delle stagioni operistiche organizzate dallo stesso Handel prima allo Haymarket di Londra, poi al Covent Guarden. Secondo la testimonianza di Charles Burney (e di altri cronisti dell’epoca), i Concerti per organo fanno infatti la loro comparsa nell’intervallo dei suoi primi Oratori Esther e Deborah, eseguiti rispettivamente nel 1732 e nel 1733, divenendo poi un ingrediente abituale negli Oratori successivi.
La nascita di questo nuovo genere di composizione appare pertanto direttamente connessa all’insolita circostanza che Handel, nel contesto musicale londinese, fosse al tempo stesso compositore, esecutore ed impresario dei suoi spettacoli: è probabile che la presenza dell’orchestra in scena e il fatto che il musicista stesso presiedesse all’esecuzione, sedendo alla tastiera per accompagnare i cantanti durante l’oratorio, abbiano fatto scattare in lui l’idea di combinare, nei momenti di pausa dell’azione drammatica, organo e compagine strumentale per la creazione di un pezzo autonomo.
Di più, elaborando un prodotto di forte richiamo sul pubblico, l’Handel impresario poteva felicemente contrastare la forte crisi finanziaria che, agli inizi degli anni Trenta, stava rischiando di compromettere le sue stagioni operistiche.
Sulla base di tali riflessi contestuali si possono meglio comprendere alcune delle caratteristiche di questo nuovo genere di composizione. Innanzitutto, data la finalità di puro intrattenimento, i concerti per organo possiedono una sostanziale semplicità d’impianto e di trama sonora – con i brillanti passaggi in omofonia con basso continuo e la polifonia di carattere estemporaneo – , che li colloca sul versante opposto del severo contrappunto lineare tipico dello stile organistico tedesco.
In secondo luogo, il più aereo e leggero tipo di scrittura – sostanzialmente a due voci – riservato alla tastiera deve mettersi in relazione con le caratteristiche tecniche dell’organo inglese che, all’epoca di Handel era sprovvisto di pedaliera. Da qui consegue quella sostanziale equiparazione tra idioma organistico e cembalistico – rivelato chiaramente nel frequente uso degli arpeggi, bassi albertini e analoghe figurazioni – che è una delle cifre caratteristiche di tali concerti, equiparazione testimoniata altresì dalla relativa indifferenza verso il tipo di medium tastieristico prescritto nell’opus a stampa (“for Harpsichord or Organ” reca infatti espressamente il frontespizio dell’edizione del 1738).
Verso una tale convergenza di scrittura conduceva del resto anche un altro elemento, di gran lunga assai più importante e significativo rispetto ai problemi di tecnica strumentale sopra delineati: l’influenza decisiva dello stile organistico italiano, che favoriva il manuale ed escludeva virtualmente la pedaliera.
Come dimostrano i sei Concerti per organo op. 4, che costituiscono i prototipi di questo nuovo genere tastieristico, lo schema generale della composizione, tranne alcune eccezioni, riprende la suddivisione in quattro movimenti – lento-
veloce-lento-veloce – tipica della tradizione sonatistica corelliana.
In linea di massima, i movimenti lenti, avendo come principale funzione quella d’introdurre i tempi veloci successivi, hanno un valore sospensivo, di attesa.
I movimenti rapidi – il primo di solito un ritornello, il secondo una danza in forma binaria – sono invece i luoghi privilegiati da una parte dei lunghi passaggi solistici, dall’altra dei più vivido contrasto tra solo e tutti.
English Chamber Orchestra
Dei quattro tempi, il più sviluppato e originale è senz’altro quello costruito in forma-ritornello (di chiara influenza vivaldiana), che viene utilizzata abitualmente nel secondo tempo veloce. A tale disegno di varietà contribuisce l’orchestrazione, realizzata da Handel mediante un raffinato montaggio di tre principali pannelli sonori: alle sezioni in cui suonano tutti gli strumenti simultaneamente si alternano quelle con l’organo solista, oppure passaggi in stile concertato, che implicano solo alcuni strumenti del tutti. Analogamente a quanto abbiamo riscontrato nell’op. 3, anche i Concerti per organo appaiono come il frutto di una massiccia opera di rielaborazione di brani composti da Handel alcuni anni prima (per limitarci ad un solo esempio: il Quinto Concerto dell’op. 4 è una trascrizione quasi completa dell’undicesima Sonata per flauto op. 1).
Si è a lungo discusso sulla natura e l’entità di questi autoimprestiti handeliani, un fenomeno che del resto riguardava la stragrande maggioranza della sua produzione. Al di là della puntuale identificazione delle fonti (proprie ma spesso anche altrui) da cui di volta in volta sono tratti i differenti materiali – identificazione che ha impegnato e impegna tuttora una fitta schiera di musicologi – , occorre tener presente che, se uno dei motivi di tale procedimento era certamente quello dell’economia creativa, il presupposto del suo duraturo impiego risiedeva tuttavia in un tipo di concezione compositiva che poneva l’accento non tanto sull’originalità dell’opera, quanto sulla sua perfetta aderenza alle necessità del momento, allo scopo cui era diretta: non era quindi l'”invenzione” dei temi o dei motivi a rivelare la grandezza di un compositore, bensì la ricerca di un coerente equilibrio tra le singole parti e il tutto, il sapiente lavoro di montaggio che, anche utilizzando elementi preesistenti, egli era in grado di realizzare in vista di un particolare obiettivo.
(1994 Philips classics productions)