Bach Johann Sebastian
Passione secondo Matteo
Se Bach era il portavoce di Dio, Richter è il portavoce di Bach. Il calore emozionale che il direttore tedesco sa infondere alle sue interpretazioni è davvero eccezionale ed unico. Ogni Cantata o Passione o Messa che sia nelle sue mani diventa diversa come fosse una musica nuova più vicina alle nostre orecchie moderne assetate di patos. Il pezzo forte di Richter sono indubbiamente gli archi che conoscono nelle sue interpretazione un’ampiezza invero eccezionale. Tutte le arie solistiche e l’introduzione sono trattate nel medesimo modo, ampio spazio agli archi che creano una melodia di una bellezza impareggiabile. In tal modo il suono antico diventa intramontabile, ciò che era destinato ad un’epoca lontana da noi diventa attuale come la colonna sonora della passione di Cristo. Arie solistiche come “Blute nur”,”Erbarme dich”, “Mache dich” assumono un colore emozionale più unico che raro. Nessun altro interprete bachiano riesce ad ottenere simili risultati. I corali a mio avviso sono, invece un po’ troppo corposi e quindi vengono a tratti a perdere di intimità e religiosità, ma chi potrà mai scordare la lezione dell'”Erkenne dich main unter”? Anche i recitativi della voce del Cristo grazie alla sapiente gestione degli archi di Richter acquistano un maggiore spessore poetico che conferisce dignità al dramma dell’uomo Dio. Per la prima volta l’intramontabile versione della Passione Secondo Matteo è presentata in due ottimi DVD. Solisti impeccabili, coro maestoso, e soprattutto scenografia sorprendente. Nell’insieme profondamente commovente. Da acquistare immediatamente.
Matthäus-Passion (Passione secondo Matteo), BWV 244
A partire dalla riscoperta avvenuta in epoca romantica, quando Felix Mendelssohn-Bartholdy ne diresse a Berlino una prima e in realtà piuttosto ridotta esecuzione “moderna” (1829), la Passione secondo Matteo è stata di fatto innalzata a simbolo dell’intera produzione sacra di Bach, generando una prospettiva che ha per molto tempo lasciato in ombra gli altri grandi capolavori bachiani. Il consolidamento di questo prestigio deriva in primo luogo dalla forte carica di originalità drammatica della Passione secondo Matteo, da una decisa teatralizzazione della sequenza coro-recitativo-arioso, dalla chiara riconoscibilità degli intermezzi di commento spirituale (corali, arie etc), ovvero da una più diretta evidenza comunicativa che questo lavoro possiede rispetto alle altre opere sacre di Bach. Nella Passione secondo Matteo (e almeno in parte anche nella Passione secondo Giovanni) Bach abbandona il duro linguaggio seicentesco delle sue Cantate e adotta invece uno stile più disteso, dotato di un’espressività più popolare, capace di suscitare in tutti i fedeli l’atteggiamento di dolorosa immedesimazione richiesto dalla liturgia del Venerdì Santo. Bach si avvicina così al gusto “moderno” che ormai si era affermato a Lipsia e nelle maggiori città tedesche: un gusto profondamente influenzato dalla sintassi del melodramma italiano e da quello stile concertante a cui già Händel e Telemann avevano ispirato le loro composizioni sacre. Nonostante la sua riconosciuta esemplarità, la Passione secondo Matteo non è dunque da intendere come il monumento sommo dell’arte bachiana, ma come il più riuscito adattamento fra il linguaggio arcaico cui Bach era più profondamente legato e le istanze innovative dell’epoca nella quale viveva. Per questo, la Passione secondo
Matteo non deve essere neppure giudicata come il risultato di un progetto calcolato fin dall’inizio in ogni sua parte, come forse siamo portati a credere sulla scorta di un’idea ottocentesca dell’opera d’arte. Essa nasce piuttosto dalla necessità di aderire a una specifica pratica di culto, alla sua tradizione e al suo effettivo percorso nella liturgia. La differenziazione espressiva e poetica tra implorazione (il coro iniziale e quello finale), narrazione (i recitativi e le parti figurate del coro), meditazione e preghiera (arie e corali) può essere correttamente intesa solo ove si tenga presente la sua originaria destinazione, ovvero il suo legame con la partecipazione dei fedeli ai riti di preparazione della Pasqua.
Fin dalla fine del Cinquecento la liturgia luterana della Settimana Santa prevedeva la possibilità di eseguire una Passionsmusik nella forma per coro a cappella (cioè senza accompagnamento strumentale), con parti polifoniche più o meno ampie. A partire dalla prima metà del secolo successivo si era poi diffusa la pratica della passione oratoriale, ovvero una costruzione musicale che integrava la narrazione canonica del Vangelo con testi poetici tratti dalle Sacre Scritture oppure di varia elaborazione, secondo l’impianto della cosiddetta poesia madrigalistica. Già a partire dalle prime Passioni di questo tipo si era affermata con chiarezza una ripartizione di ruoli che sarebbe stata conservata nella sostanza anche da Bach e che imprime una forte connotazione drammatica alla narrazione: il racconto vero e proprio viene esposto in forma di recitativo da un personaggio specifico, l’Evangelista, mentre le arie solistiche intonano i testi poetici liberi, ai quali è riservata di solito una parte di commento o di meditazione. Il coro svolge funzioni differenti e può intervenire sia per dar voce alla turba, cioè al popolo ebraico che partecipa direttamente alla vicenda, sia per ricoprire il ruolo tradizionale della comunità dei fedeli che intona il corale o, più in generale, dell’umanità che esprime il suo sentimento attraverso i testi madrigalistici. A Lipsia, l’uso della Passionsmusik si era affermato con una procedura sistematica solo intorno al 1720, dopo che le maggiori chiese cittadine avevano disposto l’esecuzione al Venerdì Santo, durante il Vespro, di una Passione in stile polifonico basata sul testo di uno dei quattro Vangeli. In precedenza era invece consuetudine l’intonazione in stile monodico della versione di Matteo la Domenica delle Palme, e di quella di Giovanni il Venerdì successivo.
Secondo quanto è riferito dal figlio Carl Philipp Emanuel e dal compositore Johann Friedrich Agricola nel Necrologio compilato in morte di Johann Sebastian, Bach avrebbe composto cinque diverse Passionsmusiken per la liturgia pasquale: la Passione secondo Matteo (BWV 244), l’unica a doppio coro, rielaborata più volte a partire da una versione realizzata probabilmente nel 1727; la Passione secondo Giovanni (BWV 245), ugualmente conosciuta in differenti versioni; quindi una Passione secondo Marco (BWV 247) che sarebbe stata composta riutilizzando brani già realizzati da Bach per le sue Cantate, una secondo Luca (BWV 246) oggi ritenuta apocrifa; infine un’altra composizione non meglio identificata sul testo di san Matteo, forse testimonianza dell’impegno di Bach nel genere della Passionsmusik anche prima del suo trasferimento a Lipsia. In ogni caso, in tutti i lavori che conosciamo, Bach tende a rendere coerente il disegno delle Passioni, raccogliendo in un tessuto unitario tanto i caratteri drammatici, quanto quelli religiosi e contemplativi richiesti dall’occasione liturgica. Per questo, pur rispettando da un punto di vista formale la tradizionale divisione dei ruoli fra recitativo, aria e corale, Bach ne annulla il significato stilistico, adottando nelle Passioni gli stessi criteri strutturali che avevano trasformato i moduli delle sue Cantate in un organismo plastico, capace di adeguarsi ad esigenze espressive diverse.
La coesione dell’organismo musicale è resa possibile anche dall’originale trattamento della figura dell’Evangelista: questi non ha solo il compito di narrare gli eventi e di introdurre i personaggi che parlano in prima persona (Gesù, Pilato etc), ma anticipa di volta in volta la meditazione e il commento delle Arie. L’Evangelista non si limita a raccontare, ma partecipa, producendo una sintesi tra obbiettività narrativa e immedesimazione che funge da guida nella recezione dell’intero evento religioso. La forza di immedesimazione prodotta dalla resa drammatica del testo non si deve così a una ricostruzione operistica dei personaggi, come avviene ad esempio negli oratori di Händel, ma ad una presenza concreta che dispone l’ascolto fornendo ai partecipanti alla liturgia la chiave per interpretare nel presente la ripetizione della Passione di Cristo.
Le due grandi Passioni delle quali possediamo almeno una versione intera mostrano una struttura sostanzialmente omogenea e sono caratterizzate dagli ampi cori che le introducono. A queste pagine, nella loro indipendenza dal contesto narrativo, Bach affida infatti il rispecchiamento di due diverse interpretazioni delle Sacre Scritture. Mentre la Passione secondo Giovanni ha un tono più cupo, giansenista, ed è costruita attorno al legame concettuale fra il sacrificio di Cristo e il suo significato di redenzione, la Passione secondo Matteo è costantemente guidata e illuminata dal riferimento all’evento della resurrezione e al suo contenuto di speranza. Il racconto evangelico di Matteo è assai più ricco di circostanze e, diversamente da quello di Giovanni, annuncia lentamente il martirio di Cristo attraverso il susseguirsi di episodi che lo preparano in un crescendo di drammaticità. La sua traduzione nel linguaggio della Passione consente di potenziare il carattere espressivo della musica e richiede l’aumento degli interventi di meditazione intercalati alla vicenda attraverso corali e testi madrigalistici scelti direttamente da Bach.
Karl Richter
Il testo della Passione secondo Matteo venne preparato da Picander (pseudonimo del poeta Christian Friedrich Henrici, 1700-1764) sulla base della trama evangelica e della rielaborazione di altre fonti della poesia madrigalistica tradizionalmente in uso negli oratori di Passione. Da questi, Picander aveva tratto per esempio la caratterizzazione di un personaggio, la figlia di Sion, rappresentata dal coro come allegoria dell’umanità pentita dinanzi al sacrificio che la redime. Grazie all’uso del doppio coro, per tradizione funzionale a una forma di scrittura dialogica fra blocchi contrapposti, Bach introduce un supporto drammatico anche in alcune delle più efficaci pause di meditazione inserite nel racconto. La maggiore consistenza drammaturgica del testo comporta infine la rappresentazione di un elevato numero di personaggi. Se nella Passione secondo Giovanni trovavamo l’Evangelista (tenore), Gesù, Pietro e Pilato (bassi), l’ancella (soprano) e il servo (tenore), nel corso della Passione secondo Matteo vengono aggiunti Giuda (basso), un’altra ancella (soprano), tre sacerdoti (bassi), la moglie di Pilato (soprano) e due testimoni (contralto e tenore), oltre alla figlia di Sion, ai sacerdoti, ai soldati e alla folla, tutti impersonati dai cori.
La presenza di questa molteplicità di voci ha un evidente riscontro nella forma e nella varietà del recitativo. Il valore espressivo della declamazione dell’Evangelista è molto accentuato: la scrittura procede in questo caso attraverso intervalli molto ampi o è portata ai limiti dell’arioso, mentre l’accompagnamento del continuo non manca di proporre alcune efficaci associazioni descrittive (è il caso del terremoto, sulle parole « Und siehe da » dell’Evangelista). La voce di Gesù è sempre accompagnata da sequenze di accordi o da brevi figure degli archi. Il modulo del recitativo accompagnato e la linea spesso ariosa del suo canto divengono in questo caso il segno che distingue con immediata evidenza l’unicità della natura divina del Cristo. Alla forma libera del recitativo sono consegnati alcuni dei momenti più interessanti dell’intera Passione secondo Matteo, poiché attraverso la sua elaborazione musicale Bach trasferisce le scene della vicenda narrata sul piano simbolico di un’atemporale universalità, di un più alto livello di preghiera. Basterà segnalare la scena dell’ultima cena, quando Gesù pronuncia le parole della consacrazione del pane e del vino in un arioso sorretto da una rigorosa scrittura a quattro voci degli archi, oppure il momento del primo interrogatorio, quando le risposte di Gesù assumono un tono più chiaramente profetico (« Ihr verdet sehen ») e l’accompagnamento accordale assume una configurazione quasi tematica. Solo sulle ultime parole di Gesù crocifisso (« Eli, Eli, lama sabathani! ») gli archi tacciono. La scelta di servirsi in questo caso del recitativo secco potenzia un momento di intensa concentrazione religiosa, ma al tempo stesso riveste una funzione drammatica, sottolineata dalla linea arcaica della declamazione e dall’indicazione Adagio in partitura.
Le parti del coro sono distribuite in modo tale da sostenere l’impatto emotivo del racconto o da sospenderne la tensione in un afflato meditativo a seconda dei casi. Gli interventi della turba sono generalmente brevi, talvolta un semplice grido, come avviene per l’invocazione di Barabba che i due cori pronunciano in un accordo di settima diminuita, oppure rendono il fanatismo della folla attraverso un contrappunto che simbolicamente descrive un movimento convulso (« Lass ihn kreuzi-gen »). Proprio l’essenziale incisività di questi passaggi è tuttavia ciò che si staglia di fronte ai corali e ai testi madrigalistici di più ampio disegno. L’uso del doppio coro consente spesso una complessa scrittura dialogica, come avviene nel canone «Ja nicht auf das Fest» o in «Weissage uns». Questa idea del dialogo incide però su tutta la dinamica espressiva della Passione secondo Matteo ed è a volte estesa da Bach anche ai brani scritti per un solo coro («Herr, bin ichs») o alle arie nelle quali il doppio coro interviene insieme alle voci soliste. Il tema del corale «O Haupt, voll Blut und Wunden» guida la scena della Crocifissione e fornisce il disegno melodico di altri momenti della Passione, dalla scena del Getsemani all’interrogatorio di Pilato, fino al corale «Wenn ich einmal soll scheiden».
Come si è detto, il momento di più alta concentrazione della scrittura bachiana è nel grande prologo, il coro «Kommt, ihr Töchter». L’atteggiamento religioso di tutto il lavoro, la sua tensione verso la redenzione portata dalla resurrezione di Cristo, viene alla luce proprio nella composizione di questo coro e determina un’impronta che si distingue dalla visione più schiettamente tragica della Passione secondo Giovanni. Inoltre, proprio in quanto sposta il centro focale della vicenda verso la resurrezione, il carattere del coro fornisce ai successivi momenti di meditazione un orientamento spirituale che li solleva dal decorso drammatico degli episodi: la flessuosa cantabilità delle arie e la scrittura di molte pagine corali della Passione secondo Matteo risente profondamente di questa prospettiva.
Nel prologo, dopo una lunga introduzione dell’orchestra piena, il coro che rappresenta la figlia di Sion chiama le sue compagne alla contemplazione e alla pietà davanti al cammino della croce. Al suo tema, svolto secondo una densa condotta contrappuntistica, fa eco il secondo coro con brevi domande, con lo sgomento di una folla smarrita. Più avanti, la figlia di Sion comparirà sempre nei momenti nei quali sarà più intensa la pietas davanti alle sofferenze di Cristo. Ma sull’ampio disegno polifonico del coro iniziale si inserisce in un nuovo intreccio la voce degli angeli (coro di voci bianche) che intona il corale «O Lamm Gottes unschuldig». La melodia del corale si alza luminosa come un solenne cantus firmus sullo scompiglio cromatico delle voci sottostanti, come la guida offerta dalla fede che conosce la necessità del sacrificio e prefigura l’ascesa di Gesù alla destra del Padre.
La maggior parte della arie della Passione secondo Matteo, come si diceva, è generata dal riferimento ideale alla resurrezione, ancor meglio inquadrato dagli ariosi che la precedono. L’evidenza della linea del canto è posta in ulteriore risalto dal prosciugamento dell’orchestra, in un caso ridotta al solo continuo dell’organo e della viola da gamba («Geduld», aria del tenore), oppure impegnata in dialogo con uno o più strumenti obbligati, come avviene in «Aus Liebe will mein Heiland sterben» per soprano, flauto e due oboi da caccia, o ancora nella celebre «Erbarme dich, mein Gott» per contralto, violino solo e archi.
Nei pezzi solistici della Passione secondo Matteo la vocalità conserva uno stile melodrammatico e una sintassi distesa, non troppo carica di complicazione nè dal punto di vista melodico, nè da quello armonico. Come abbiamo visto, esso corrisponde bene alla lettura del testo sacro che Bach propone in questo caso.
In quanto elementi di supporto di un’interpretazione già stabilita, le arie e gli ariosi si subordinano però nel loro senso espressivo alla guida offerta dai corali e dai testi madrigalistici, elementi portanti di questa grande partitura.