Mahler Gustav

Sinfonia n 4 in sol maggiore

Pensata nel 1892 Mahler diresse, la prima esecuzione della sua quarta sinfonia, nel 1901 a Monaco di Baviera . Questa è la sua più bella sinfonia la cui complessa partitura esprime la visone paradisiaca della vita da parte di un fanciullo. Leggendo con attenzione il lied del quarto movimento ci si accorge della presenza degli angeli, delle gioie del cielo (e della terra), di San Pietro e San Giovanni che benedicono il vino buono, gli ‘ asparagi e fagioli saporiti’ che crescono nel giardino celeste. Insomma c’è un’anima ( la visone celestiale della musica) ed un corpo in carne ed ossa ( che assapora ‘fagioli ed asparagi saporiti’) che chiedono pari dignità. Klemperer era convinto che l’indicazione mahleriana secondo la quale l’ultimo movimento dovesse essere cantato senza intenti parodistici dovesse essere estesa all’intera sinfonia. Mahler chiamò la sinfonia ‘Humoresque’, anche se in seguito soppresse tale descrizione. È una sinfonia di difficile esecuzione e di difficilissima interpretazione: Mahler di volta in volta decide quali e quanti spartiti devono suonare e nel secondo movimento ‘ ma tutta la partitura è così ‘ c’è una atmosfera musicale popolata da incubi che contrasta con le sezioni di trio nello stile rustico. Si riconoscono, all’ascolto, la quarta e la quinta di ‘ajkovskij (1877- 1893), i ‘Carmina Burana’ di Orff (1895 ‘ 1982), ‘Il Pulcinella’ di Stravinskij (1882 ‘ 1971), ma Mahler, diversamente da ‘ajkovskij riesce ‘ad essere romantico senza essere romantico’, in una sinfonia tra le più citate per originalità e modernità. Tra i movimenti esistono connessioni tematiche la più ovvia delle quali è il ritornello iniziale con la campanella da slitta, i temi si dividono in frasi ed elaborati in contrappunto e quando la tensione sembra improvvisamente allentarsi ecco udire nelle trombe lo stesso motivo militare che apre la marcia funebre del primo movimento della Quinta sinfonia.
Dopo Beethoven molti compositori avevano incontrato difficoltà per la conclusione di una sinfonia. In questo caso Mahler compose la sinfonia ‘attorno’ all’originalissimo lied già esistente e che usò come finale, qui interpretato dal soprano Silvia Stahlman ( a mio parere la voce giusta per questo lied , coerente nel tono con l’impianto dell’intera sinfonia).
Un disco bello e raro.
Un disco bello per il fascino suscitato dalla musica mahleriana e per la passione degli interpreti ( un grande disco non si fa solo con un grande direttore, ma con grandi musicisti, con un ambiente di registrazione adeguato alla ‘massa orchestrale’ e con un ingegnere del suono che conosca quello che si sta incidendo). Per inciso, Kenneth Wilkinson è stato il più grande ‘ o almeno tra i più grandi ‘ ingegneri del suono di casa Decca ( e non solo).
E’ un disco raro perché fa parte di una particolare selezione in casa Decca definita ‘Ovation/Jubilee’ caratterizzata da esecuzioni ed incisioni ‘storiche’. Qui sembra essere tutto esemplare, ed il disco può essere definito ‘audiofilo’: il suono è chiaro, godibile, non vi è sovrapposizione degli strumenti ed anche nei pieni orchestrali questa registrazione – di oltre 50 anni – fa regge il confronto con le registrazioni più receenti. Ma la bellezza ‘audiofila’ di questo disco sta nel movimento finale ‘ e qui nessuna descrizione può rendere l’idea della bellezza dell’ascolto – quando la voce della soprano Silvia Stahlman (1929 ‘ 1998) lascia spazio ai violini ed all’arpa che piano piano si spengono fino ad un silenzio totale di indescrivibile bellezza. Ecco perché questa è una delle mie incisioni preferite, confermando una volta di più che Sir Georg Solti (1912 ‘ 1997) è il ‘più audiofilo’ tra i grandi direttori del Novecento.
Tra i movimenti esistono connessioni tematiche la più ovvia delle quali è il ritornello iniziale con la campanella da slitta, i temi si dividono in frasi ed elaborati in contrappunto e quando la tensione sembra improvvisamente allentarsi ecco udire nelle trombe lo stesso motivo militare che apre la marcia funebre del primo movimento della Quinta sinfonia.
Dopo Beethoven molti compositori avevano incontrato difficoltà per la conclusione di una sinfonia. In questo caso Mahler compose la sinfonia ‘attorno’ all’originalissimo lied già esistente e che usò come finale, qui interpretato dal soprano Silvia Stahlman (a mio parere la voce giusta per questo lied , coerente nel tono con l’impianto dell’intera sinfonia).

Sylvia Stahlmon

Un disco bello e raro.
Un disco bello per il fascino suscitato dalla musica mahleriana e per la passione degli interpreti (un grande disco non si fa solo con un grande direttore, ma con grandi musicisti, con un ambiente di registrazione adeguato alla ‘massa orchestrale’ e con un ingegnere del suono che conosca quello che si sta incidendo). Per inciso, Kenneth Wilkinson è stato il più grande ‘ o almeno tra i più grandi ‘ ingegneri del suono di casa Decca (e non solo).
E’ un disco raro perché fa parte di una particolare selezione in casa Decca definita ‘Ovation/Jubilee’ caratterizzata da esecuzioni ed incisioni ‘storiche’. Qui sembra essere tutto esemplare, ed il disco può essere definito ‘audiofilo’: il suono è chiaro, godibile, non vi è sovrapposizione degli strumenti ed anche nei pieni orchestrali questa registrazione – di oltre 50 anni – regge il confronto con le registrazioni più recenti. Ma la bellezza ‘audiofila’ di questo disco sta nel movimento finale ‘ e qui nessuna descrizione può rendere l’idea della bellezza dell’ascolto – quando la voce della soprano Silvia Stahlman (1929 ‘ 1998) lascia spazio ai violini ed all’arpa che piano piano si spengono fino ad un silenzio totale di indescrivibile bellezza. Ecco perché questa è una delle mie incisioni preferite, confermando una volta di più che Sir Georg Solti (1912 ‘ 1997) è il ‘più audiofilo’ tra i grandi direttori del Novecento.
Imperdibile!

Ho ascoltato questa sinfonia diretta da Sir Georg Solti con la Chicago Symphony Orchestra e questa potente interpretazione non lascia spazio ad errori. Kiri Te Kanawa è stata sublime. L’ingegneria del suono eccezionale. L’audio è chiaro, ricco e perfetto. L’approccio di Solti a questo spartito è molto convincente. Ci sono tutte le sfumature. Una musica davvero stupenda e un’orchestra in cima alle classifiche del tempo. Che gioia! Registrazione eseguita nel 1984.

Sinfonia n. 4 in sol maggiore

La Quarta sinfonia occupa un posto particolare nella produzione sinfonica di Gustav Mahier: da un lato conclude il ciclo delle Wunderhorn-Symphonien, chiudendo, in definitiva, la prima fase del sinfonismo mahieriano; dall’altro inaugura un nuovo stile, più essenziale nella severità del contrappunto e meno incline alla monumentalità. Composta nelle estati del 1899 e 1900, la Quarta sinfonia conosce in realtà un più lungo periodo di gestazione. Il finale si trova infatti composto, come lied, fin dal 1892, mentre il piano iniziale dell’opera risale agli anni della Terza sinfonia. Quanto alle dimensioni e all’articolazione in quattro tempi, Mahler dichiarò all’amica Natalie Bauer-Lechner ai primi di agosto del 1900: «Per la verità volevo scrivere solo una umoresca sinfonica, e me ne è uscita la misura normale di una Sinfonia, mentre prima, quando
pensavo di dover comporre una Sinfonia, saltava fuori un’opera che durava tre volte di più, com’è stato il caso della Seconda e della Terza».
Singolare è la circostanza che nel piano primitivo della Quarta sinfonia, che comprendeva sei movimenti, il tema unificatore era dato da tre lieder, tolti da Des Knaben Wunderhorn (La vita terrena, Campane del mattino, La vita celestiale), sul comune sfondo dell’infanzia, riguardata nei suoi risvolti ora più ingenui, ora più tragici (come ne La vita terrena, dove si narra la storia di un bimbo che muore di fame per i fatali «ritardi» delle cose del mondo). I Kindertotenlieder (1901-1904) avrebbero dunque il loro precedente nel piano non realizzato della Humoreske, portando a compiuta espressione musicale la riflessione di Mahler sulla innaturale morte dei bambini. È allora evidente che la «semplicità», l’aspetto «felicemente» retrospettivo di quest’opera che guarda ai modelli classici ma nasce da simili presupposti, non può che connotarsi dell’ambivalenza di un Giano bifronte.
Sul lied, che conclude la sinfonia e ne è il punto di partenza, lo stesso Mahler ebbe a dire (a Natalie, nel marzo 1901): «Che tono birichino vi si trova, unito al più profondo misticismo! Tutto è sconvolto e rovesciato, la causalità non ha assolutamente alcun valore! È come se di colpo tu guardassi l’altra faccia della luna!». E ancora a Natalie: «C’è la serenità di un mondo superiore, per noi estraneo, che possiede qualcosa di spaventoso e orrendo. Nell’ultimo tempo il bambino, che allo stato di larva ha già fatto parte di questo mondo superiore, spiega quale ne sia il significato». La natura ambivalente del lied, il suo umorismo amaro e un po’ sinistro rendono di fatto la sua «ingenua semplicità» soltanto apparente e – come è stato detto – pongono fra virgolette il discorso dell’intera sinfonia. Le tre battute introduttive del primo movimento sono, sotto questo profilo, emblematiche: «È veramente un campanello birbone – ha osservato il filosofo tedesco Theodor Wiesengrund Adorno, riferendosi ai sonagli che vi vengono suonati – che, senza dirlo, dice: – Nulla di ciò che state ascoltando è vero». Ma anche la pretesa classicità tout-court di questa sinfonia viene smentita in queste battute. Avverte Adorno: «II tema principale, che all’ascoltatore ignaro appare come una citazione da Mozart o Haydn e deriva di fatto dal conseguente del secondo tema dell’Allegro moderato della Sonata in mi bemolle maggiore per pianoforte op. 120 di Schubert, è il più improprio di tutti i temi mahleriani, poiché l’inizio coi sonagli – del tutto estraneo alla Sinfonia – e il tema col suo comportamento ingenuo, scomposto e arraffato, sono di natura sostanzialmente diversa. Anche la strumentazione non è pertinente: i fiati solistici che concertano nelle battute introduttive sarebbero impensabili in quel classicismo viennese che informa di sé il tema principale. E con la coerenza dell’inesattezza le parti dei fiati continuano anche in seguito a mettere in dubbio la sicura priorità degli archi, come avviene già nella continuazione del primo tema, un conseguente affidato al registro acuto dei corni, che con grande tensione espongono la melodia».

Natalie Bauer-Lechner

La strumentazione della Quarta sembra dunque essere ancora una volta «impropria», anche se con un significato e in un contesto particolare, dove il riferimento sono i modelli della classicità viennese. Elemento di non trascurabile novità, la strumentazione sobria e trasparente, specchio fedele e logica conseguenza della concezione contrappuntistica dell’insieme, contribuisce a staccare questa sinfonia dalle precedenti, segnando la svolta verso i Ruckert-Lieder. La costante preoccupazione è di ottenere il massimo di chiarezza possibile: «L’esigenza alla quale io voto fino all’ultimo tutti i mezzi che ho a disposizione – ebbe a dire Mahler in una conversazione del 1900 – è che sia udibile tutto ciò che risuona al mio orecchio interiore». Quanto alla complessità della trama contrappuntistica, il primo movimento si rivela già emblematico: «Comincia come se non sapesse contare fino a tre, poi giunge rapidamente a complicate moltiplicazioni e finisce per dare le vertigini con giganteschi calcoli di milioni e milioni».
Semplice nella articolazione delle sue parti, il primo movimento (Beddchtig. Nicht eilen) si impone per la complessità delle relazioni interne del materiale tematico e delle varianti, concatenate in modo che ognuna di esse sia la conseguenza della variante precedente. Le sole deviazioni dalla forma-sonata sulla quale il primo tempo è strutturato, sono il ritorno del tema principale nella sua tonalità fondamentale, subito prima della Ripresa, e il ritorno reiterato dell’introduzione, come avverrebbe in un rondò. Dopo il primo gruppo di temi, che allinea elementi nitidamente individuati e particolarmente fecondi di possibili sviluppi, un fresco tema di marcia funge da transizione, conducendo al secondo tema: una distesa melodia che i violoncelli eseguono cantando largamente. Dopo una prima idea conclusiva, sembra che abbia inizio la ripetizione dell’Esposizione. con una variante delle battute introduttive e del primo gruppo tematico (falsa Ripresa). al quale si collega direttamente, non il secondo tema, ma una seconda, delicata idea conclusiva. Nella frenetica animazione dello Sviluppo trovano spazio una singolare melodia acuta che quattro flauti intonano all’unisono, simili a «una fantastica ocarina: … timbro di un ideale strumento infantile» (Adorno), momenti di chiassosa allegrezza (che Adorno ha paragonato al «chiasso che fanno i bambini battendo sulle pentole e magari facendole a pezzi») e. in un clima sonoro teso di sinistri presagi, gli squilli penetranti di una tromba che sembrano prefigurare la fanfara iniziale della Quinta sinfonia. Una pausa ad libitum sospende suggestivamente la musica, a chiusura dello Sviluppo. Inopinatamente la Ripresa attacca non dal punto corrispondente all’inizio dell’Esposizione, ma con una variante delle battute 20-31. Dopo un episodio di transizione, il secondo tema ritorna con ancora più slancio. Prima codetta, falsa Ripresa, seconda codetta, quindi, sullo struggente indugio dei violini, che ne ritardano l’entrata, il tema principale viene eseguito un’ultima volta prima della precipitosa chiusa finale.

Georg Solti

Il secondo movimento (In gemächlicher Bezuegung. Ohne Hast) è uno Scherzo in do minore, caratterizzato in buona misura dall’effetto di straniamento prodotto dal suono stridulo di un violino accordato un tono sopra, a imitazione della fiedel, vecchio strumento popolare dei suonatori ambulanti. Il sinistro crin-crin del violino rinvia simbolicamente alla morte, qui rappresentata idealmente nella persona dell’amico Hein (il motto, poi espunto, del secondo tempo era in origine: Freund Hein spielt auf – «sta suonando l’amico Hein»), un menestrello dal volto familiare, che, al suono del suo violino, conduce i bambini all’Aldilà. Ne discende il tono grottesco di questo Scherzo con andamento di Ländler, in cui la sensazione è quella di una danza satanica, di un incessante girare a vuoto.

Un riferimento di Mahler al terzo movimento (Ruhevoll) si trova in una conversazione con Natalie dell’autunno del 1901, dove è anche espresso molto bene il tono sfumato e ambiguo dell’intera Sinfonia: «Quel che mi balenava alla mente per il terzo movimento era estremamente difficile da realizzare. Immaginatevi l’indifferenziato azzurro del cielo che è più difficile da cogliere di qualsiasi altro colore cangiante o contrastante. Questa è l’atmosfera base del tutto. Soltanto, di tanto in tanto, esso si oscura e diventa spaventosamente spettrale; non è però il cielo che si turba; esso in realtà continua a brillare di un eterno azzurro. Solo per noi diviene improvvisamente orrido, cosi come in una bellissima giornata nel bosco immerso nella luce, si può essere colti dal terrore panico. Mistico, confuso, inquietante, da far rizzare i capelli, è lo Scherzo. Ma subito dopo, nell’Adagio, dove tutto si dissolve, vedrete che le intenzioni non erano poi cosi cattive. E tutto è attraversato da una melodia divinamente serena e profondamente triste, sicché sorriderete e piangerete insieme».

L’Adagio, il cui carattere intensamente lirico presenta chiare affinità col Finale della Terza sinfonia, si articola in una successione di cinque sezioni e può essere considerato come un seguito di variazioni su due temi diversi che, contenendo elementi fra loro comuni e nella melodia e nell’accompagnamento, consentono un più articolato procedimento di variazioni interne. All’alternarsi delle variazioni corrisponde quello dei modi maggiore e minore. con i relativi mutamenti di luce. La prima sezione, in sol maggiore, è pervasa da un diffuso sentimento di quiete, mentre l’ostinato del basso, fatto anch’esso oggetto di variazioni, fa pensare a un passacaglia. Nella seconda, in mi minore, l’oboe, dolente e molto espressivo, apre spazi di infinita mestizia, in cui si trova pure una prefigurazione di un motivo del secondo dei Kindertotenlieder, coi quali questo movimento ha molti elementi in comune nell’espressione così come nella concezione timbrica (Mahler era persuaso di aver realizzato nell’Adagio della Quarta «i migliori impasti timbrici che siano mai stati dati»).

Kiri the Kanawa

La terza si presenta come una variazione in un tempo più rapido della prima. Con la quarta sezione la musica torna a ripiegarsi nell’elegiaco modo minore, pervenendo ai più dolorosi contrasti. L ‘ultima sezione alterna tempi diversi nella successione: Andante 3/4 – Allegretto 3/8 – Allegro 2/4 – Allegro molto 2/4 – Poco adagio 4/4. Ai primi tre tempi corrispondono altrettante variazioni del primo tema (la quarta variazione, corrispondente all’Allegro molto, viene interrotta bruscamente da un breve interludio dei corni apparso nella prima sezione). Un improvviso fortissimo di tutta l’orchestra preannuncia – nel motivo degli ottoni – il tema principale dell’ultimo movimento. L’Adagio si conclude con una coda di rarefatta leggerezza strumentale.

Quanto alla natura ambigua e un po’ terrifica delle gioie celesti cantate in Das himmlische Leben (Sehr behaglich), a conclusione della Sinfonia, si sono già riportate le parole di Mahler. Resta da sottolineare come anche il dato testuale valga a confermarle: sullo sfondo di una sonorità strumentale tesa a un massimo di leggerezza e di smaterializzata trasparenza, rinunciando al tutti e prescrivendo spesso agli archi l’utilizzo della sordina, il soprano, «con espressione infantilmente serena – è scritto in partitura -, assolutamente senza parodia», canta questo strano paese ultraterreno, dove, fuori del mondano frastuono, «tutto vive in una pace dolcissima», nello spensierato godimento di improbabili felicità gastronomiche, in virtù delle quali innocenti agnellini vengono messi a morte e i buoi macellati. Un paese di Cuccagna, in realtà, in cui il cibo ha una parte essenziale e le cui incongruenze sono rese anche più inquietanti dal tono volutamente ingenuo del canto. Per definire il bambino che allo stato di crisalide era appartenuto già a quel mondo superiore, Mahler, nel passo dianzi citato, usa la parola puppe, il cui doppio significato (di crisalide, appunto, e di bambolotto) induce a «identificare nei giuochi infantili – ha osservato il Duse – l’unica vita celeste che ci è dato conoscere: quella stessa che alla tragica infanzia di Mahler era stata negata». Il lied conclude la Sinfonia con una soluzione assai diversa da quelle adottate da Mahler nelle opere precedenti, incapace di proporre visioni risolutive, siano esse trionfali (come nella Prima o nella Seconda sinfonia) o utopisticamente conciliate (come nella Terza) «chiudendo la Parentesi della convinzione antropomorfica fenerbachiana ed aprendo quella della crisi esistenziale che troverà le sue più evidenti manifestazioni.