Mussorgsky Modest

Quadri di una esposizione

Karajan ha inciso due volte con i Berliner i “Quadri”e “La Mer: nel 1966 e nel 1986. Sul CD in questione (ADD) ci sono tutti i brani che a suo tempo vennero pubblicati su due LP separati: da una parte i “Quadri” ed il “Bolero”, dall’altra “Debussy e Ravel”. E’ un disco che ascolto sempre volentieri per la qualità interpretativa/esecutiva e la bellezza della registrazione.
L’incisione rimasterizzata con tecnologia 24-bit, appartiene alla categorie delle ottime registrazioni della etichetta tedesca. Qui Karajan si produce in una lettura superba per attenzione ai particolari e per capacità introspettiva. L’orchestra Filarmonica di Berlino dimostra le sue inaudite capacità tecniche ed esecutive. Registrazioni eseguite dal 1965 al 1966 e rimasterizzazione effettuata nel 1995. Altamente raccomandato.

Virtuosismo e fulgore timbrico

Modest Mussorgski aveva composto i Quadri di un’esposizione nel 1874 come ciclo pianistico, sotto la forte impressione di un’esposizione di acquarelli e disegni del pittore e architetto Viktor Hartmann. Una serie di “quadri”, di associazioni e fantasie musicali quale omaggio ad un artista figurativo, ma anche quale testimonianza della propria, libera immaginativa che sa anche affrancarsi dagli spunti figurativi originari.
La sostanza tematica dell’episodio introduttivo (“Promenade”) dei Quadri, riproposta in altre “Promenades” con funzione meditativa e propulsiva, è sottoposta a raffinate metamorfosi. Fu senza dubbio questa tecnica della variazione ritmico-coloristica e – nell’ambito più ampio dell’intera composizione – del contrasto di caratteri ad indurre Maurice Ravel a trascrivere per grande orchestra il ciclo pianistico di Mussorgski, dove però il maestro francese si è preso la libertà di apportare quelle modifiche che gli dettava la sua sensibilità drammaturgica.
In questa versione per orchestra la composizione è ormai nota a milioni di ascoltatori in tutto il mondo. Ma è raro che un’orchestra si dimostri veramente all’altezza delle sue notevoli esigenze tecnico-interpretative e riesca anche ad integrare compiutamente tali difficoltà nel processo di definizione coloristica e illustrativa.
Se in questa registrazione di Mussorgski/Ravel, Ravel e Debussy i Berliner Philharmoniker si sono mostrati pienamente all’altezza del loro compito, la spiegazione è naturalmente da ricercarsi nel livello artistico di ogni singolo orchestrale e nella vivida immaginativa del loro direttore. Ma saranno anche rivelatrici alcune considerazioni sulla dinamica di gruppo e sulla psicologia di una compagine orchestrale.
Da quando era succeduto a Wilhelm Furtwangler come direttore stabile dei Berliner Philharmoniker (1955), Karajan non era solo interessato a proseguire una collaborazione prestigiosa e di successo: con sagacia, con uno spiccato senso pratico per tutto ciò che era ogni volta possibile e necessario, e anche con la dovuta considerazione degli aspetti finanziari della questione (ad esempio la ricerca delle indispensabili fonti di denaro), si impegnò a migliorare l’equipaggiamento strumentale dei suoi orchestrali. E in tal modo si affinava anche la loro sensibilità.
Così in una solida routine (nel miglior senso della parola) in un’accresciuta dimestichezza tra il Maestro e i suoi “uomini”, con indennità migliori e anche in seguito al crescente livello tecnico dei nuovi componenti dell’orchestra, si erano create le migliori premesse per eseguire e registrare a livelli di compiute “rappresentazioni drammatiche” composizioni come i quadri di un’esposizione di Mussorgski, il Bolero di Ravel e La Mer, i tre “schizzi sinfonici” di Debussy che non solo alludono alle suggestive sonorità del vento e del mare, ma sanno evocarle con un’immediatezza tangibile.
E tali premesse sarebbero state appena immaginabili cinque o dieci anni prima. Le tre opere qui presentate hanno avuto sempre un particolare rilievo nel repertorio dei Berliner Philharmoniker e di Herbert von Karajan fino alla morte di quest’ultimo. Ciò non può certo stupire se si considera la ricca sostanza musicale dei Quadri e la raffinata “psicologia marina” di Debussy. Ma la serietà con la quale Karajan si impegnò in un brano popolarissimo, in un pezzo di bravura che il suo stesso autore definì con una certa modestia “studio” compositivo, non è solo testimoniata da questa registrazione del Bolero, meticolosamente preparata nel suo spiccato piglio ritmico: anche nelle sale da concerto Karajan sapeva entusiasmare con questo “studio” di Ravel – e non esitò ad eseguirlo a conclusione di un concerto del Festival di Salisburgo.

Peter Cossé
(traduzione: Gabriele Cervone)

Tra le pagine orchestrali più prodighe di colori e più proteiformi dell’intero repertorio, i Quadri di un’esposizione di Modest Mussorgski (nell’istrumentazione di Maurice Ravel) occupano senza dubbio un posto di assoluto rilievo. Ad eseguirli sono i Berliner Philharmoniker diretti da Herbert von Karajan, un sodalizio artistico all’insegna del virtuosismo e del fulgore timbrico, già divenuto leggendario negli anni Sessanta. Questa registrazione, travolgente nello slancio quanto cesellata nel dettaglio, fu realizzata nel novembre 1965 e marzo 1966, e rimane ancora oggi un punto di riferimento fondamentale per ogni serio confronto con il ciclo di Mussorgski.
Nel marzo 1966 Karajan e la sua orchestra registravano anche un elettrizzante e incandescente Bolero di Ravel, mentre l’incisione degli “schizzi sinfonici” La Mer di Debussy era stata compiuta già due anni prima. Herbert von Karajan, come mostra questa scelta di opere, si spingeva verso Occidente e verso Oriente, mostrava e apriva agli orchestrali berlinesi nuove vie esecutive, li metteva in grado di cogliere le atmosfere, le prospettive e le gestualità più eterogenee.
Così queste pagine – fossero esse russe, francesi o franco-russe – apparivano ora intimamente connaturate ai Berliner, come una lingua che avessero parlato e posseduto da sempre.

Mussorgski-Ravel – Quadri di una esposizione

“Voglio non solo conoscere il popolo, ma del tutto affratellarmi ad esso” scriveva il cadetto e proprietario terriero Musorgskij ed a questo motto restò fedele anche dopo aver perso ogni ricchezza familiare con la liberazione nel 1861, dei servi della gleba. Nato a Karevo nel 1839 entra nella Scuola dei Cadetti di Pietroburgo ma ben presto si dedica completamente alla musica. Persa ogni risorsa economica dal 1861 conduce una modesta esistenza alternando il lavoro presso vari Ministeri con l’attività musicale. Nel 1880 abbandona ogni impiego stabile e trascina nella miseria gli ultimi mesi di vita finché nel 1881, muore d’infarto nell’ospedale militare di Pietroburgo. Nonostante le sue precarie condizioni finanziarie, non rincorre il successo e fa della musica un continuo ricercare e sperimentare l’animo popolare russo. Nel 1874 per onorare la memoria dell’amico architetto e pittore Viktor Hrtmann morto l’anno precedente, compone “Quadri di un’esposizione”, un’opera per pianoforte, ispirata ad una serie di opere dell’amico esposte a Pietroburgo.

Herbert von Karajan

La composizione si presenta come un percorso ideale in cui si alternano pagine descrittive (quadri) con brevi episodi musicali che indicano lo spostamento del visitatore da una sala all’altra (Promenade). In realtà l’autore utilizza spunti e suggestioni iconografiche per creare con forza visionaria quadri musicali autonomi che soddisfano diversi archetipi creativi: il gusto per le scene popolari, il mondo della fiaba e dell’infanzia, il senso del grottesco e del macabro, la concezione epica della storia e della tradizione russa, mentre le “Promenade” in sé estranee ai quadri veri e propri, gli servono per raccordare sostanziali variazioni di tonalità, di ritmo e di ambiente. Nel 1922 Maurice Ravel trascrive per orchestra l’opera di Mousorgskij per farne una versione orchestrale. La geniale trascrizione di Ravel rispetta fedelmente lo spirito ed il testo dell’originale e comprende i 14 pezzi, di cui quattro sono costituiti da una “Promenade”.

Claude Debussy – La Mer

«Forse non sapete che avrei dovuto intraprendere la bella carriera del marinaio – recita una lettera di Debussy – e che solo per caso ho cambiato strada. Ciononostante, ho mantenuto una passione sincera per il mare». L’amore per il mare risaliva ai tempi dell’infanzia, quando Debussy si recava a Cannes per le vacanze estive, in casa del padrino Achille-Antoine Arosa. Evocando quei tempi felici, il musicista ricordava «la ferrovia che passava davanti a casa con il mare sullo sfondo: in certi momenti pareva che il treno uscisse dal mare, o che dovesse tuffarvisi (a vostra scelta)».
Memorie che a distanza di tanto tempo rivelano la profonda emozione che il mare ha sempre suscitato nell’animo di Debussy. Non è sorprendente dunque se Debussy, aldilà delle numerose pagine legate alla misteriosa simbologia dell’acqua sparse nella sua produzione, abbia pensato al mare per affrontare il lavoro sinfonico più impegnativo della sua carriera. Debussy cominciò a comporre la musica nel luglio del 1903, durante il soggiorno estivo a Bichain. La partitura venne terminata nell’estate del 1905 a Eastbourne, sulla costa inglese, dove il musicista si era rifugiato per trovare un po’ di tranquillità nel periodo più tempestoso della sua vita sentimentale. L’abbandono della moglie Rosalie Texier, compagna degli anni faticosi di Pelléas et Mélisande, e la fuga con Emma Bardac, signora della buona società parigina e moglie di un facoltoso uomo d’affari, avevano suscitato una valanga di pettegolezzi, diventati un vero e proprio scandalo dopo il tentato suicidio di Lilly con un colpo di pistola. A seguito di queste vicende, che avevano coinvolto un po’ tutto l’ambiente artistico di Parigi, Debussy ruppe i rapporti con la maggior parte degli amici d’un tempo, a cominciare da quello più caro, Pierre Louys.
Dopo l’entusiasmante successo dei Nocturnes (1900-1901), l’accoglienza della prima esecuzione della Mer, il 15 ottobre 1905 ai Concerts Lamoureux diretti da Camille Chevillard, fu deludente. Gli ammiratori di Debussy speravano forse di ritrovare nella nuova composizione il clima notturno, i sussurri pieni di allusioni, i vapori misteriosi che li avevano incantati in Pelléas et Mélisande. Debussy invece aveva composto una musica che sembrava animata dal desiderio di un ritorno all’ordine. La Mer metteva in primo piano il problema della forma musicale. Le atmosfere velate e fiabesche dei Nocturnes lasciavano il posto a una scrittura luminosa, nitida e diurna. La Mer sembrava una forma arci-raffinata di classicismo settecentesco, ispirato dall’antica abitudine dei compositori francesi di conferire ai propri lavori un titolo di fantasia. Dietro la maschera di una descrizione bozzettistica (De l’aube a midi sur la mer, Jeux de vagues, Dialogue du vent et de la mer), si scorge la struttura di una sinfonia in tre movimenti, intrecciata di riferimenti strutturali e concepita su un grande arco formale.

William Turner

Il tema del mare assume nei tre pannelli sinfonici un significato diverso dal naturalismo ottocentesco. «Mi ribatterete che l’Oceano non bagna esattamente le colline della Borgogna…! – scriveva l’autore – E che tutto sembrerà probabilmente un paesaggio costruito a tavolino! In effetti ho del mare infiniti ricordi; e questo, a mio avviso, vale più della realtà, il cui fascino in genere soffoca troppo il nostro pensiero». Debussy non intende raffigurare la natura nella sua realtà oggettiva, con l’occhio dell’artista ansioso di descrivere il fenomeno che l’ha impressionato. La sua musica cerca piuttosto di esprimere il processo intimo della percezione, cogliendo le infinite vibrazioni dell’essere di fronte a un’esperienza. «Cerco di fare “altro” – diciamo delle realtà – che gli imbecilli chiamano “impressionismo”, un termine che viene usato del tutto a sproposito, soprattutto dai critici d’arte, i quali non esitano ad affibbiarlo a William Turner, il più grande pittore di “mistero” che l’arte abbia mai avuto!».
Baudelaire in Correspondances, una delle poesie più importanti per l’estetica simbolista, aveva fissato i nuovi limiti espressivi del rapporto tra uomo e natura:

La Nature est un temple où de vivants piliers
Laissent parfois sortir de confuses paroles;
L’homme y passe a travers desforèts de symboles
Qui l’observent avec des regards familiers.

È un tempio la Natura, dove a volte parole
escono confuse da viventi pilastri
e che l’uomo attraversa tra foreste di simboli
che gli lanciano occhiate familiari.
(tr. Giovanni Raboni)

Ecco che nella musica di Debussy le “occhiate familiari” di Baudelaire si trasformano in echi misteriosi, che risuonano continuamente all’interno del discorso articolando il percorso temporale in una forma. Il mare di Debussy diventa un fenomeno quasi junghiano, come se quell’immagine rispecchiasse l’archetipo di una forza oscura e irrazionale che muove la coscienza. L’atmosfera serena che domina le tre vedute marine viene turbata all’improvviso da un brivido, ogni volta che la musica si avvicina all’ignoto regno delle passioni. La velocità del tempo muta in continuazione e altera il disegno del fraseggio, segno di un’inquietudine profonda che agita sotterraneamente la scrittura musicale. Tuttavia mai come in questo lavoro Debussy ha cercato di conferire al magma delle pulsioni emotive una struttura architettonica di grande respiro. L’unità della forma è affidata al percorso armonico, che traccia una lunga campata dal re bemolle del Modéré, som lenteur in De l’aube a midi sur la mer fino al poderoso accordo finale di re bemolle degli ottoni nel Dialogue du vent et de la mer. All’interno di quest’ampia arcata si svolge un’animata sequenza d’impasti sonori e ritmici di stupefacente bellezza e inventiva.
Secondo il critico Edgell Rickwood, Rimbaud «è un maestro della frase, non del periodo, che difatti non ha quasi mai costruito». Questa osservazione

potrebbe essere vera in linea di massima anche per Debussy. I processi costruttivi della scrittura di Debussy tendono a isolare il singolo frammento, anziché elaborare uno sviluppo tematico. Le immagini sonore sono rapide e brucianti, ardono per così dire in una singola fiammata sonora, come certi versi abbaglianti di Mallarmé: le vierge, le vivace et le bel aujourd’hui.
In De l’aube a midi sur la mer Debussy si sforza di conferire a certi motivi di carattere contrastante un rilievo tematico, come per abbozzare la dialettica di un movimento di sonata. L’articolazione della forma resta tuttavia legata principalmente al timbro armonico, con accordi raffinati sparsi sulla partitura come macchie di colore, e alla plasticità dei gesti musicali di cui è ricca la musica di Debussy. La musica s’illumina all’improvviso con effetti di sconvolgente bellezza, come l’abbagliante accordo suonato dai violoncelli divisi a quattro, al centro del quadro.
Jeux de vagues riprende l’idea dello Scherzo classico come di un movimento di danza. La forma originalissima di Debussy mescola assieme, vorticosamente, una serie di frammenti che suggeriscono diversi tipi di ballo: valzer, giga, bolero. La strumentazione ha una trasparenza fantastica e la capacità di rinnovare continuamente l’immagine del paesaggio.
Il Dialogue du vent et de la mer si apre con un lungo rullo dei timpani, in maniera analoga al primo pannello. Tutta la parte iniziale esprime l’inquietante contrasto tra il mare e il vento, finché un colpo secco del timpano scarica la tensione accumulata in orchestra. Il tema principale del finale, esposto dai fiati, spunta con fatica da un’appoggiatura espressiva e si gonfia d’emozione man mano che cresce. La tonalità di re bemolle viene così a configurare una sorta di emblema musicale del mare, che riappare ora come archetipo, ora come sogno.

Maurice Ravel – Boléro

È difficile, ed è forse superfluo, commentare una musica universalmente nota, verso la quale chiunque di noi ha in sé una disposizione istintiva (quella dei molteplici ascolti e dei ricordi) e riflessa, che non coincide né sempre né in tutto con l’idea che abbiamo della musica di Ravel.

Ida Rubinstein

Qui mi sembra stia “il problema” del Bolèro. La popolarità corrente, e consunta alquanto, di questa musica non corrisponde, si direbbe, al successo chiaro e giustificato di tutte le altre musiche di Ravel, che hanno il privilegio rarissimo di non mostrare mai una ruga per quante volte siano ripetute.
Si sa, Ravel non ha scritto una battuta che sia sciatta o distratta, e questo vale anche per il Bolèro, che in sé ostenta un’originalità di stile e di mezzi e una fantasia formidabili. Ma l’idea prima dell’artista di creare una forte pagina sinfonica (che essa sia nata come musica di balletto per la Rubinstein, ha qui poca importanza) sottratta del tutto allo sviluppo tematico e costretta alla ripetizione ossessiva di un solo disegno, si è rivoltata contro la composizione stessa: che è diventata nell’opinione comune l’espressione della trasgressione esotica, dell’erotismo eccessivo e sognato, da vacanza iberica o in un’impossibile avventura gitana (molte interpretazioni sceniche e coreutiche, anche famose e ripetutamente teleproiettate, hanno confuso l’immagine anche di più). Che il carattere e il valore di una musica non dipendano dalle convinzioni correnti, è indiscutibile; ma nel caso del Bolèro ciò che crediamo di aver sempre ascoltato e ciò che dagli ascolti passati speriamo o ci attendiamo di sentire, limita e definisce la nostra percezione e forza probabilmente le esecuzioni stesse. Forse l’istintiva aristocrazia di Toscanini aveva percepito il pericolo della banalizzazione del significato, quando staccò nel Bolèro un tempo più secco e più rapido del previsto (che dice «Tempo di bolero moderato assai»), attenuando molto la sensualità della pagina (come si sa, Ravel ne fu irritato, ma poi si scusò col maestro).
La sensualità, dunque, l’ossessione erotica, il dionisismo estatico, sono tutte energie accolte nella concezione originaria e messe in azione nella musica – ma messe in azione da Ravel, dunque da uno degli artisti del Novecento più raffinati, sapienti, e più diffidenti di eccessi e di trasporti. È bene ormai, perciò, che prima del significato celato e sinistro, si gusti di questa musica la magnifica forma sonora.

Ernest Ansermet e l’orchestra della Suisse Romande interpretano queste tre composizioni molto popolari infondendo un climax grandioso e spettacolare. Molto interessante è anche lo spartito “Night on the Bare Mountain”, dove Ansermet da il meglio di se stesso mettendo in risalto l’estrema drammaticità di questo pezzo. Conclude questo splendido CD un’ottima interpretazione del Preludio dell’opera incompiuta, Khovanshchina. Audio ottimo come di consueto in casa Decca. Registrazioni eseguite dal 1959 al 1964 e rimasterizzazione effettuata nel 1984. Altamente raccomandato. CD di difficile reperibilità.

Quadri di un’esibizione – versione per orchestra

“Voglio non solo conoscere il popolo, ma del tutto affratellarmi ad esso” scriveva il cadetto e proprietario terriero Musorgskij ed a questo motto restò fedele anche dopo aver perso ogni ricchezza familiare con la liberazione nel 1861, dei servi della gleba. Nato a Karevo nel 1839 entra nella Scuola dei Cadetti di Pietroburgo ma ben presto si dedica completamente alla musica. Persa ogni risorsa economica dal 1861 conduce una modesta esistenza alternando il lavoro presso vari Ministeri con l’attività musicale. Nel 1880 abbandona ogni impiego stabile e trascina nella miseria gli ultimi mesi di vita finché nel 1881, muore d’infarto nell’ospedale militare di Pietroburgo. Nonostante le sue precarie condizioni finanziarie, non rincorre il successo e fa
della musica un continuo ricercare e sperimentare l’animo popolare russo. Nel 1874 per onorare la memoria dell’amico architetto e pittore Viktor Hrtmann morto l’anno precedente, compone “Quadri di un’esposizione”, un’opera per pianoforte, ispirata ad una serie di opere dell’amico esposte a Pietroburgo.
La composizione si presenta come un percorso ideale in cui si alternano pagine descrittive (quadri) con brevi episodi musicali che indicano lo spostamento del visitatore da una sala all’altra (Promenade). In realtà l’autore utilizza spunti e suggestioni iconografiche per creare con forza visionaria quadri musicali autonomi che soddisfano diversi archetipi creativi: il gusto per le scene popolari, il mondo della fiaba e dell’infanzia, il senso del grottesco e del macabro, la concezione epica della storia e della tradizione russa, mentre le “Promenade” in sé estranee ai quadri veri e propri, gli servono per raccordare sostanziali variazioni di tonalità, di ritmo e di ambiente. Nel 1922 Maurice Ravel trascrve per orchestra l’opera di Mousorgskij per farne una versione orchestrale. La geniale trascrizione di Ravel rispetta fedelmente lo spirito ed il testo dell’originale e comprende i 14 pezzi, di cui quattro sono costituiti da una “Promenade”.

Promenade

Allegro giusto, nel modo russico; senza allegrezza, ma poco sostenuto – Ravel presenta il motivo degli spostamenti utilzzando in crescendo prima una tromba e gli ottoni, poi aggiunge i legni e gli archi, e quindi tutti i fiati.

Gnomus

Sempre vivo – Il protagonista del primo quadro è un essere repellente che si muove e si contorce sulle gambe rattrappite; il tono grottesco della rappresentazione sconfina nel demoniaco. Nella prima sezione si susseguono frasi con figure guizzanti e fulminee, chiuse da una pausa. Le singole frasi sono affidate ai legni ed agli archi gravi, alternati a note tenute dei corni, e concluse dagli archi acuti e dalle percussioni. La seconda sezione presenta un tema proposto prima da legni, archi pizzicati, note lunghe degli ottoni, xilofono e timpani, poi da celesta, arpa, glissando degli archi con note tenute del clarinetto basso e del corno. Dopo una ripresa del tema iniziale abbiamo la terza sezione affidata a tutti i legni con corni, su note d’appoggio di arpa, timpani e grancassa con interpolazioni del tema iniziale. Tutti i legni con trombe, tromboni e glissandi discendenti degli archi ci conducono alla ripresa della seconda parte. Ancora in evidenza sono legni e archi gravi (trilli e folate cromatiche), sui quali si appoggiano gli accordi discendenti di legni acuti, arpa, violini e viole pizzicati. L’intervento degli ottoni ci porta alla conclusione affidata alle scale dei legni e degli archi.

Promenade

Moderato comodo e con delicatezza – La seconda “Promenade” abbreviata ed ingentilita, è affidata al corno alternato con i legni.

Il vecchio castello

Andante – Un trovatore intona il suo canto desolato ai piedi di un castello medioevale.

Ernest Ansermet

La presenza costante di una nota di pedale, la ripetitività incantatoria delle figure ritmiche e melodiche, l’uniformità espressiva danno alla musica una dimensione onirica, sfumata e distante. Il fagotto seguito dagli archi gravi che introducono la nota di pedale, ed il sassofono contralto si alternano nella presentazione del tema che viene poi ripreso dagli altri strumenti: archi, oboe, flauto e corno inglese, flauto e clarinetto fino al sassofono finale.

Promenade

Moderato non tanto, pesante – La “Promenade” viene riproposta con un tono burbero e robusto. All’entrata della tromba sostenuta dai legni bassi segue tutta l’orchestra.

Tuileries (Dispute d’enfants après jeux)

Allegretto non troppo, capriccioso – Il terzo quadro è uno schizzo parigino: fugace, unitario nella lievità dei tratti volubili, ora staccati ora legati, sfrutta l’agilità dei legni e degli archi. Da notare nella parte centrale il flauto ed il clarinetto con i violini.

Bydlo

Sempre moderato pesante – “Bydlo” evoca un carro polacco trainato da buoi. Il carro incede faticosamente sulla scena con una melodia affidata alla tuba su un’ostinato ritmico degli strumenti gravi. Nella sezione centrale il tema passa alla piena orchestra con un cospicuo apporto delle percussioni. Nella ripresa il tema viene attribuito ai legni. Il carro esce di scena in progressivo diminuendo lasciando l’eco sonora del suo passaggio.

Promenade

Tranquillo – Situata nel registro acuto anticipa lo stacco dal quadro successivo. Ravel utilizza qui i legni, i corni e gli archi.

Balletto dei pulcini nei loro gusci

Scherzino. Vivo leggiero – Questo quadro è uno Scherzino con Trio centrale. L’orchestrazione è un autentico gioco di prestigio per il velocissimo zampettare e pigolare di accordi. Nella prima parte sono chiamati in causa legni, arpa ed archi pizzicati. Nel Trio intervengono anche corni, celesta e tamburo. Nella seconda parte si aggiungono triangolo e piatti.

Samuel Goldenberg und Schmuyle

Andante – La tragica ironia del sesto “quadro” si regge sull’opposta caratterizzazione musicale e sul dialogo di due ebrei polacchi, Samuel Goldenberg e Schmuyle, l’uno ricco e l’altro povero. Il primo è ritratto con un vigoroso tema ebraico affidato a legni ed archi, che assume le fattezze di un recitativo severo e per nulla cordiale. Il povero esprime una tremolante e lamentosa melopea con il suono triste e velato di una tromba accompagnata dalle note basse dei legni. Nella terza parte si mescolano le due figure con il raddoppio delle trombe (ebreo povero) sugli accordi degli archi gravi (ebreo ricco). La chiusa riprende il tema del ricco ebreo affidato nuovamente a legni ed archi.

Limoges – Le marché

Allegretto vivo sempre scherzando – Il settimo pannello evoca una scena di mercato con una mirabolante scrittura orchestrale, iridescente di timbri e colori. Nella prima parte i corni introducono un gioco vivacissimo tra archi e fiati. Nella seconda prosegue il gioco strumentale con un cospicuo apporto delle percussioni. La chiusa è a pieno organico.

Catacombae – Sepulchrum Romanum

Largo – Dal mercato ad una scena macabra: tanto repentino quanto sconcertante è il passaggio all”ottavo “quadro” ispirato da un acquerello in cui Hartmann ritraeva se stesso a lume di fiaccola, nelle catacombe di Parigi. Nella prima parte Ravel utilizza gli strumenti più gravi e tradizionalmente associati a situazioni metafisiche e mortuarie: gli ottoni rinforzati da fagotti, controfagotto e contrabbassi. Si respira l’oscurità, il senso della morte e la pesantezza dell’aria. In testa alla seconda parte, Andante non troppo, con lamento, Mussorgskij appose un sottotitolo latino, Cum mortuis in lingua mortua, e una didascalia: “Lo spirito creatore di Hartmann mi conduce ai teschi, mi chiama a loro, i teschi si illuminano leggermente”. La scena raccapricciante coinvolge l’autore: i tremoli degli archi traducono il sinistro baluginio dei crani, mentre circola tra i legni e i bassi il tema della “Promenade”, autoritratto di Musorgskij. Nella chiusa compare l’arpa.

La cabane sur des pattes de poule

Allegro con brio, feroce – Al macabro succede l’aggressività grottesca di “La capanna su zampe di gallina Baba-Jagà)”. Il riferimento è ad un progetto di Hartmann per un orologio in stile russo del XIV secolo rappresentante la capanna della fiabesca strega Baba-Jagà. Si tratta di un brano tumultuoso, di scatenata pulsione barbarica, incentrato sulla figura folle e stravolta della strega. Dopo un’introduzione sardonica e percussiva con legni gravi, archi e colpi di timpano e grancassa, compare il tema affidato prima ai corni ed alle trombe e poi agli archi pizzicati. La parte centrale contrappone il sommesso mormorio dei flauti ad una linea tematica affidata al fagotto. Segue uno sviluppo in cui sentiamo l’arpa, la celesta, lo xilofono, i legni con interventi puntiformi, e gli archi suddivisi fra tremoli e pizzicati. Un improvviso cambio di tempo (Allegro molto) ripropone il tema dell’introduzione e ci avvia alla tumultuosa conclusione che ci conduce al brano successivo.

La grande porta di Kiev

Allegro alla breve. Maestoso. Con grandezza – L’ultimo “quadro” si richiama al progetto di Hartmann per una struttura in stile russo antico, dotata di una piccola chiesa, che avrebbe dovuto sostituire le vecchie porte di legno di Kiev. E’ l’apoteosi di una Russia epica, religiosa ed eroica.

Orchestra Suisse Romande

Il pezzo si presta ad un grandioso trattamento orchestrale. La sezione principale viene esposta da ottoni e legni ma presto è suonata a pieno organico. La sezione secondaria è configurata come una sorta di corale ortodosso affidato ai legni. Il pieno orchestrale che ripropone il primo tema è seguito dai soli legni che suonano nuovamente il corale. I rintocchi della campana con corni, tuba, percussioni e pizzicati degli archi introducono il progressivo ingresso di tutta l’orchestra che ci porta prima alla sezione Meno mosso sempre maestoso e poi al gran finale.

Una notte sul Monte Calvo

I primi abbozzi per un’opera lirica (da Gogol), intitolata La notte di San Giovanni, risalgono al 1858. Musorgskij utilizzò poi il materiale, nel 1867, per una composizione orchestrale con un nuovo titolo, La notte di San Giovanni sul Monte Calvo, rielaborata più volte, ma sistemata, finalmente (dopo la morte dell’autore), da Rimskij-Korsakov che la stampò nel 1886, a Pietroburgo, con il titolo Una notte sul Monte Calvo.
Rimskij-Korsakov preparò per la stampa (senza pretendere mai un soldo) la Kovàncina, Boris Godunov, oltre che pagine orchestrali, corali e da camera (ivi compresi i Quadri d’una esposizione, per pianoforte, trascritti per orchestra da Ravel, nel 1922). In genere, si è irriconoscenti nei confronti di Rimskij- Korsakov. Nessuno sì ricorda più che c’erano una volta (proprio come in una favola) due amici, musicisti entrambi, Modinka e Korsinka (così,
affettuosamente, Borodìn chiamava Musorgskij e Rimskij-Korsakov) i quali, per un certo tempo, abitarono persino nella stessa stanza.
Dal mattino fin verso mezzogiorno, Modinka si serviva del pianoforte che poi prendeva Korsinka il quale, intanto, al tavolino, mandava avanti la copia o la strumentazione di partiture. Modinka e Korsinka si accordavano quotidianamente, «sfruttando» l’uno le occupazioni dell’altro; si scambiavano idee e progetti e, mentre l’uno era intento al Boris, l’altro componeva La Pskovitana. Si scambiavano pure, reciprocamente, impressioni, e non era sempre Modinka (di cinque anni più anziano di Korsinka) ad accettare i consigli dell’amico.
Korsinka, poi, si sposò e andò ad abitare altrove. Quando Modinka morì, cercò di farlo finalmente vivere, aggiustandogli (lo aveva fatto anche quando Modinka era in vita, avendone sempre il consenso) la musica che sarebbe andata altrimenti dispersa, ed era per luì come un continuare con l’amico le antiche conversazioni.
Lo schizzo sinfonico, lasciato da Musorgskij (cercò variamente di utilizzarlo, senza mai riuscirvi) si articolava in quattro momenti: Il convegno delle streghe – II corteo di Satana – Trionfo di Satana – Sabba delle streghe.
Rimskij-Korsakov riordinò il brano in sei episodi, aggiungendo un tranquillo finale dopo l’Allegro feroce.
La struttura della Fantasia da concerto è pertanto questa (non necessariamente indispensabile, però, alla comprensione della musica): Suoni sotterranei di voci sovrannaturali – Apparizione degli spiriti delle tenebre e di Satana – Trionfo di Satana e “Messa Nera” – Sabba -Suono della campana che disperde gli spiriti delle tenebre – Sorgere del giorno.

Viktor Alekandrovic Hartman

L’orchestra è piuttosto nutrita; la percussione include, con i timpani, piatti e grancassa; il tam-tam interviene nei momenti di esasperazione fonica e timbrica, ottenuta nel «crescendo» di una geniale sovrapposizione di strati sonori. Allo smalto timbrico si unisce la ricchezza armonica (cara a Musorgskij), per cui la Fantasia passa attraverso varie tonalità, prima di giungere al re maggiore del conclusivo Poco meno mosso, avviato dai rintocchi lunghi di una campana, risuonanti in un alone fonico assicurato da flauti, clarinetti, fagotti e violoncelli. Sono sei lenti rintocchi, dai quali si distacca una melopea dei violini (con sordina), poi interrotta da altri sei colpi della campana, sostenuti dall’area vibrazione dell’arpa. Dall’evanescenza del quarto rintocco di
questa seconda serie, si libera il canto del clarinetto che, dopo il quinto suono della campana, cede il passo al flauto dischiudente, in sette battute, la limpida luminosità di uno spazio nel quale fanno in tempo, prima dell’ultimo rintocco, Modinka e Korsinka, a scambiarsi ancora un bagliore d’intesa.