Mussorgsky Modest
Quadri di una esposizione
Negli ultimi anni della sua vita Herbert von Karajan volle dedicare una parte della sua attività alla creazione di una serie di video dischi digitali che lasciassero una testimonianza degli ultimi risultati da lui raggiunti nell’interpretazione di alcuni brani che lo avevano accompagnato nel corso di tutta la sua carriera. Uno è di sicuro Quadri di un’esposizione di Mussorgsky. La lettura di Karajan è di qualità eccezionale per profondità e bellezza del suono. E’ anche un’occasione per “ammirare” il maestro mentre “scolpisce” l’esecuzione di un brano a lui tanto congeniale. In particolare, è entusiasmante la parte finale: la “grande porta di Kiev” è da antologia e fa capire come e quanto Karajan sia stato un grande direttore. Le riprese sono pulite ed essenziali. Altamente raccomandato
Quadri di un’esposizione
I Quadri di un’esposizione, composti da Musorgskij nel 1874 terminano con l’evocazione musicale della “Grande porta di Kiev”: l’afflato monumentale del brano dà tutto il senso della potenza visionaria che caratterizza la creatività del compositore e nel contempo è chiara celebrazione del nazionalismo culturale ottocentesco di cui Musorgskij si faceva interprete in ambito russo. Ma a questi aspetti bisogna aggiungere che l’immagine della “porta” ha anche un alto valore simbolico. La musica del brano in questione sembra testimoniare come il percorso che sperimentiamo ascoltando i Quadri, che, come è noto, è la trasposizione musicale di una visita a un’esposizione del pittore V. A. Hartmann in cui si susseguono dieci pezzi ispirati da altrettanti quadri e collegati da una “passeggiata”, ci abbia guidato fino al punto in cui la nostra sensibilità deve spingersi avanti per accedere a un mondo “altro”. La grande porta infatti chiude la composizione ma sembra aprire i suoi battenti verso il futuro, spinge coraggiosamente i nostri sensi verso il nuovo e la contemporaneità. L’enfasi con cui la musica ci fa immaginare questa porta che non esiste (Hartmann, in veste di architetto, ne aveva progettata per la città di Kiev una in stile rinascimentale russo di cui Musorgskij vide il bozzetto) vuole invogliarci a oltrepassarla, a superarla, e non è certo la semplice descrizione di un’immagine. Non a caso i Quadri di un’esposizione hanno trovato grandi estimatori tra i compositori del Novecento, i quali hanno avvertito in essa quella fiducia nel futuro che ne caratterizza l’essenza sonora. Primo fra tutti Ravel che ne fece una trascrizione per orchestra nel 1922 tratta dall’originale per pianoforte.
Egli, come molti altri compositori della sua epoca, si cimentò più volte nella trascrizione di musica del passato, tendenza che nei primi decenni del Novecento diede origine a una vera e propria cultura del trascrivere (si pensi a Ferruccio Busoni). Il bisogno di dare una veste nuova a composizioni nate per altri organici era dovuta solo in parte alla necessità di riproporre al pubblico quelle composizioni o alla finalità di lasciarsi fecondare dalla creatività altrui; la trascrizione, specialmente nel primo Novecento, era intesa soprattutto come il momento in cui i fili del passato e del futuro venivano annodati per dare un senso all’attualità. La versione dei Quadri di un’esposizione compiuta da Ravel,
oltre a essere un saggio di grande maestria d’orchestrazione, fu anche uno degli strumenti intellettuali possibili per tamponare una crisi storica che il compositore francese affrontò chiamando in soccorso il genio di Musorgskij.
Vladimir Vasil’evič Stasov
In tale versione orchestrale si sommano dunque due altissime potenzialità creative.
Tendenze espressive dei Quadri
Scendendo nello specifico, la composizione pianistica di Musorgskij possiede già essa stessa una grande quantità di colori, suggerisce una notevole varietà di timbri, tende già nel suo tessuto intimo a lievitare in forme orchestrali. Vi appartiene anche l’aspetto stesso della trascrizione poiché il brano della Promenade (passeggiata), che collega i vari pezzi, compare nell’originale pianistico in cinque versioni differenti. Elemento motorio che trasporta l’ascoltatore da una visione all’altra, la Promenade si basa su un tema pentatonico dalla linea melodica semplice, ma che si incide subito nella memoria dell’ascoltatore per la sua natura “russa”, marziale e fantastica a un tempo. In essa appare subito chiara la particolare cifra della musica di Musorgskij con la sua capacità di cogliere l’essenza di una cultura a cavallo tra Oriente e Occidente. Ma la grande ricchezza dei Quadri non si limita certo a questo. La si può in qualche modo riassumere, però, affermando che nei brani della raccolta è possibile riscontrare quattro tendenze espressive principali.
La prima è quella ricollegabile alla corrente del nazionalismo ottocentesco russo, a cui avevamo fatto cenno per la Grande porta di Kiev. Musorgskij non intende questo aspetto in senso grettamente patriottico: il nazionalismo culturale del nostro è più un ribelle afflato alla libertà e alla civiltà. Così l’oppressione russa perpetrata contro i polacchi è contestata da Musorgskij: la parola Bydlo, nome di un pesante carro contadino polacco trainato usualmente da buoi, diviene metafora della sofferenza dei polacchi, schiacciati da un giogo militare, non importa se russo. La musica di Musorgskij evoca in tutta la sua concretezza il lento avanzare del pesante carro, dapprima da una distanza che ci impedisce di contemplarlo in tutta la sua gravita, poi facendolo avvicinare a noi nella sua piena massa sonora, per sfumare poi nella Promenade. Anche l’incontro tra Samuel Coldenberg, ricco ebreo polacco, grasso e tronfio, e il povero Schmuyle, anch’egli ebreo polacco, ma piccolo e magro, incarna nella musica il senso della disuguaglianza tramite la contrapposizione del tema ebraico riferito a Schmuyle con quello incisivo e schiacciante che richiama Goldenberg.
Il Vecchio castello ci porta invece nella seconda tendenza espressiva dei Quadri, quella dai tratti più ombrosi e cupi. L’antico rudere riposa solitario nella malinconica rimembranza del passato, e la musica, in una danza dai tratti lontanamente orientali e un poco funebri, ne culla il riposo accompagnandola con una sinuosa melodia. Una riflessione, qui solo accennata, sulla morte, riflessione che si svolge più approfonditamente in Catacombae dove la
profondità degli antichi sepolcri diventa spunto per una nebulosa sonora, annunciata da solenni accordi di fiati ed ottoni, che sembra sprofondare lentamente nelle viscere del silenzio.
Herbert von Karajan
Vi ricompare poi il tema della Promenade, qui divenuta simbolo del nostro essere di “passaggio”, non senza un chiarore finale di speranza. Musorgskij pone di suo pugno nell’autografo questo commento al brano: “lo spirito creatore del defunto Hartmann mi conduce verso i teschi e li invoca: questi si illuminano dolcemente all’interno”.
Fa da contraltare a queste atmosfere un vitalismo istintivo e cieco: il Balletto dei pulcini nei loro gusci con la buffa agitazione degli strumenti, i giochi di bambini nel parco parigino delle Tuileries, con il suo cullare sornione inframmezzato da acute volatine melodiche, la vivacità del Mercato di Limoges (quasi uno Scherzo fantastico), proiettano in una dimensione fresca e primigenia la musica di Musorgskij.
La quarta tendenza è quella che inscena la mostruosità terribile. Ne abbiamo un esempio in Gnomus: il minaccioso motto iniziale e il sospettoso marciare intende rappresentare, in atmosfere quasi cinematografiche, un nano malvagio che si aggira nella foresta. Anche la strega Baba Jaga appartiene alla categoria dei “mostri”: definita nei racconti russi “nonna del diavolo”, abita in una capanna che si erge su zampe di gallina ai limiti della foresta. Con la sua evocazione entriamo nell’ambito del folklore magico slavo pur rimanendo ancora nella dimensione evocativa dell’infanzia. Si racconta infatti ancora oggi ai bambini “cattivi” che essa potrebbe arrivare da un momento all’altro per divorarli. E ci pare proprio di vederla avanzare verso di noi, con la sua casa spaventevole, grazie agli incisi violenti, all’indimenticabile dinamismo e alle sfumature sinistre che Musorgskij riesce a donare alla musica del brano che la descrive.
Il percorso dei Quadri sembra così alternare le fattezze musicali della mostruosità terribile a quelle della vitalità istintiva con la scansione della dimensione neutra, più frequente nei brani iniziali, della Promenade. Così dall’apparizione del terribile si passa alla rimembranza della morte, della sofferenza, e da essa ancora alla dimensione magica di Baba-Jaga, cioè all’energia primigenia, inconscia, madre di quella vitalità intellettuale che fa della “grande porta” il simbolo di un possibile accesso al futuro.