Niccolò Paganini
24 Capricci
Questi brevi spartititi sono di una difficoltà tecnica estrema. Il maestro Salvatore Accardo ci lascia incantati dalla sua bravura. Un disco da ascoltare con la giusta concentrazione per capirlo fino in fondo.
Tra Paganini e Accardo c’è un particolare feeling e il risultato di questa compilation è stellare. La registrazione benché del 1978 è ottima.
Confezione economica ed ottimo prezzo. Documento di gran valore e imperdibile. Avere i Capricci di Paganini suonati da Accardo è quasi un obbligo per poterli ascoltare e riascoltare. Audio ottimo. Rimasterizzazione effettuata nel 1990.
I 24 capricci di Paganini
Perduti gli originari caratteri contrappuntistici di Ricercare a metà del 18o secolo Capriccio è ormai sinonimo di cadenza solistica all’interno ad esempio di un concerto (cfr. l’op. 3 di Locatelli L’arte del violino) oppure significa Studio, esercizio tecnico per uno strumento ad arco – il violino – come nel caso di Fiorillo e poi di Kreutzer e Rode.
Da questi “precedenti” e nella sua più formidabile sintesi creativa, Niccolò Paganini fonde la cadenza da concerto con lo studio violinistico e inventa per il Capriccio una dimensione e un significato nuovi.
La successione svagata e brillante di note acquista un ordine netto, logico, conseguente nella forma come nelle figure esecutive, pur senza rinunciare ai tratti bizzarri, estemporanei che caratterizzavano il Capriccio anche nel Barocco. Contemporaneamente la raccolta di esercizi scolastici viene trasformata dal musicista genovese in “musica” (cioè investita di una qualità creativa nuova per il genere: come poi gli Studi chopiniani) e diventa una summa della didattica trascendentale destinata a stagliarsi assoluta nel tempo: un “manuale” del perfetto violinista dove l’autore chiarisce anzitutto a se stesso (e codifica) le proprie acquisizioni sullo strumento gettando le basi per la nascita dello Studio da concerto d’esecuzione trascendentale che verrà messo a punto poi sul pianoforte da Liszt.
Non si conosce la data di composizione dei 24 Capricci paganiniani, a proposito dei quali è stata ipotizzata una collocazione giovanile peraltro non dimostrabile a la nascita in fasi e tempi diversi. Divisi nell’autografo in tre raccolte – Opera 1a i primi sei, Opera 2a altri sei, Opera 3a i dodici rimanenti – i Capricci vengono comunque portati a termine nel 1817, quando il 24 novembre l’editore milanese Giovanni Ricordi fa incidere le lastre per pubblicare la raccolta due anni e mezzo dopo, nel giugno 1820, con i brani raggruppati tutti e ventiquattro nell’op. 1, numerati progressivamente e con dedica “Alli Artisti” cioè all’impegno privato dei professionisti.
Nel Capriccio n. 1 (sugli arpeggi, come il primo Studio pianistico op. 10 di Chopin) si osservava il ricorrere di ampi arpeggi “balzati” col l’archetto che volteggia elastico, sinuoso e senza sosta sulle corde secondo un virtuosismo musicalissimo e di impalpabile leggerezza.
Il Capriccio n. 2, imperniato sul motivo tecnico dei salti di corde con arco sempre elastico e leggero, vede insieme una nota-pedale ora al grave ora all’acuto e una frase composta, dolente nei respiri semitonali e nel discendere per gradi congiunti, con una malinconia (da ricondurre anche al si minore d’impianto) che lunghe e difficili escursioni cromatiche accentuano.
Cornice del Capriccio n. 3 è un “Sostenuto” in minore tutto ottave intensamente cantabili e pure trillate. Al centro un “Presto” in maggiore a moto perpetuo dalle mosse sfuggenti e romantiche da suonare “legatissimo”.
Col suo gonfio do minore, il Capriccio n. 4 emerge su tutti per ampiezza e profondità di respiro compositivo sonatistico. Lo scintillante ricorrere di motivi trascendentali è tutt’uno con il nutrito sviluppo del brano dove il primo tema, la frase pensosa e dolente d’apertura, è assoggettato ad arditi scambi tonali per enarmonia, gronda romantiche diminuite e si allarga in densi accordi.
Pierre Rode
Il Capriccio n. 5 apre e chiude con una funambolica cadenza: impressionanti e via via estreme scalate in arpeggi con ripida ridiscesa su scale, più un lungo svolazzo cromatico ascendente-discendente. Al centro, ancora un perpetuum mobile, dall’intestazione “Agitato”, con un bizzoso e irregolare colpo d’arco “balzato” che caratterizza l’agitazione della pagina.
Il Capriccio n. 6 con i suoi echi mandolinistici e la malinconica ambientazione, è un poeticissimo tour de force imperniato da capo a fondo, per oltre 50 battute di “Lento”, sul virtuosistico “tremolo” con la mano sinistra unito alla melodia.
Nel Capriccio n. 7, con le sue microcellule variate, spicca l’impiego dello “staccato”-“picchettato” nelle due direzioni, mentre col Capriccio n. 8 Paganini sembra fare la parodia, sorta di Doctor gradus ad Parnassum debussiano ante litteram, del classico Studio; di qui il disegno ricorrente a note lunghe con movimento contemporaneo di quartine.
Il Capriccio n. 9 è detto – non dall’autore – “La caccia” per gli effetti di imitazione dei corni (“sulla terza e quarta corda”, come recita la didascalia) in fanfare e su intervalli caratteristici. In esso incontriamo anche l’imitazione, sempre a note doppie dei flauti (“sulla tastiera”) secondo quel gusto degli effetti onomatopeici che fu particolarmente sviluppato nel violinismo barocco di area tedesca. La forma è di Rondò, con Ritornello e due Strofe.
Al Capriccio n. 10, con la sua grinta ritmica, il vortice di passaggi veloci, trilli e “picchettati” fa seguito e contrasto il n. 11 che apre e chiude con il commosso, cantabilissimo “Andante” trascritto da Schumann per pianoforte, e porta al centro un “Presto” di carattere popolaresco.
Nelle note-pedale il Capriccio n. 12 mostra un tratto in comune col n. 2. Le analogie però si fermano qui perché il secondo Capriccio risulta “saltato” e su corde spesso lontane mentre questo è “legato” su corde contigue e con un colore diafano molto particolare.
Nel Capriccio n. 13 una discesa di terze cromatiche sembra tradurre uno scoppio di risa – di qui il titolo apocrifo: “La risata” – mentre il n. 14, che è improprio chiamare “La marcia” e suonare nello spirito di una marcia, vede come l’entrata progressiva di strumenti sino al “tutti” in “fortissimo”, quasi che il violino di Paganini voglia e possa sostituirsi ad un’intera orchestra.
Con il Capriccio n. 15 ecco una enigmatica melodia in ottave fare da spunto variato (“Posato”), quindi una parte in accordi con “picchettati” fulminei e andamenti immaginosi.
Il Capriccio n. 16 a sua volta, è uno stupendo morceau de bravoure immerso in un bagno romantico e allucinato, con ansiogeni, sussultanti accenti ritmici spostati da marcature “forte” dove altrimenti cadrebbe l’accento debole.
Nel Capriccio n. 17, dopo una sospensiva e piroettante introduzione “Sostenuto”, troviamo come uno Scherzo (“Andante”) a dialogo fra brillanti volatine e bicordi pacati e sornioni con al centro, in minore, una sequela d’ottave tipicamente paganiniana.
Il Capriccio n. 18 apre con l’indicazione “Corrente” da intendersi nel senso di “scorrevole”, come è stato osservato, piuttosto che in riferimento all’omonima danza. Di qui, con la scorrevolezza dei 6/8, la sola quarta corda che per sedici battute si impegna in una sorta di richiamo di tromba. Vi si aggancia un “Allegro” danzante, imperniato su un elegante modello di scale prima a note semplici e poi a note doppie.
Nel Capriccio n. 19 una cadenzina lievissima, come rarefatta e in tempo “Lento” di sole quattro misure prelude ad un “Allegro assai” ritmico tutto basato sull’avvicendarsi continuo di “piano” e “forte” che troviamo replicato nel minore di mezzo, imperniato da capo a fondo su un’acutissima, acrobatica quarta corda.
Il Capriccio n. 20 impiega nuovamente un effetto imitativo con la terza corda fatta risuonare a vuoto e sopra un disegno melodico caratteristico a mo’ di zampogna natalizia in 6/8. È l'”Allegretto” pastorale che fa da cornice al brano, prima del minore nervoso e trillato.
Nel Capriccio n. 21 Paganini punta su un “Amoroso” corredato dalla didascalia “con espressione”. Con l’espressione che si confà ad un’aria d’opera, anzi ad un duetto poiché la melodia procede congiuntamente su due corde, in seste, prima sulla terza e quarta corda poi sul cantino e sulla seconda come accostando due diversi registri vocali e senza rinunciare a giochi di volatine. Con il contrasto improvviso di un “Presto”, tutto veloci scale “picchiettate” e arpeggi di bel risalto violinistico.
Il Capriccio n. 22 apre con un cantabile incisivo dalla singolare disposizione per terze, seste, decime e accordi (l’episodio mediano – “Minore” – ha invece caratteristico andamento “picchettato” con trilli rapidi di collegamento), mentre con un colpo d’ala inatteso il Capriccio n. 23 si pone, per audacia virtuosistica e immaginosità espressiva, fra i maggiori della raccolta paganiniana.
Rodolphe Kreutzer
Degno preludio al finale: il Capriccio n. 24, l’unico della raccolta in forma esplicita di Tema con variazioni. Brano, quest’ultimo, che riprende ed esalta come in un consuntivo storico la consuetudine, subito riscontrabile nel tardo
Barocco di Corelli (l’op. 5a), Vivaldi (l’op. 1a), Tartini (l’op. 1a), Locatelli (l’op. 3a) ecc., di concludere una raccolta violinistica all’insegna del bizzarro e dell’imprevedibile: talora di difficoltà esecutive che rimandano al motto locatelliano “facilis additus, difficilis exitus” (“facile l’accesso, difficile la riuscita”). Qui l'”accesso” è dato da un tema originale la cui fortuna sarà la stessa incontrata nel Sei-Settecento da quello della Follia di Spagna: un motivo cordiale ed espansivo, quadratissimo e ammiccante in tempo “Quasi Presto” che generazioni di musicisti riprenderanno per variarlo come fa Paganini. La “riuscita” invece consiste nel superare le difficoltà delle undici Variazioni di bravura più il Finale, che vedono nel brano una sorta di compendio dei motivi trascendentali già incontrati, ai quali s’aggiunge, nuovo per i Capricci, un “ingrediente” tipico delle variazioni da concerto: i pizzicati con la mano sinistra (Variazione nona). Come a dire, per congedo, un ponte dal chiuso dello studio, dall’impegno privato che fa capo agli altri ventitré Capricci, alla sala da concerto e alle folle da trarre a sé con armi affilatissime di prestigiatore del suono.
Alberto Cantù
Ventiquattro capricci per violino solo, op. 1
Figura straordinaria di artista, Paganini ha riempito di sé la vita musicale dei primi decenni dell’Ottocento, conquistando ed entusiasmando il pubblico di molti paesi europei per la sua sbalorditiva tecnica violinistica. I suoi 24 Capricci per violino solo, che inizialmente furono giudicati ineseguibili e contribuirono a creare intorno al musicista genovese quell’alone di mito e di leggenda che ha sempre circondato in vita e dopo la morte questo singolare personaggio così romanticamente ricco di luci e di ombre, restano a tutt’oggi un’opera fondamentale della letteratura violinistica, una specie di summa di tecnica e di virtuosismo, un vero e proprio vademecum per tutti coloro che si dedicano allo studio del violino. Molto si è discusso e si continua a discutere sul «segreto» di Paganini e sul modo come egli abbia potuto raggiungere una tale altezza nelle acrobazie trascendentali del suo violinismo strepitoso.
In realtà nessun artista prima di lui (sembra che soltanto Pietro Antonio Locatelli possa definirsi un suo precursore) è riuscito a sviluppare e a potenziare fino all’inverosimile le possibilità espressive e tecniche del violino, dall’uso della scordatura ai bicordi e tricordi, dagli armonici doppi ai passi di terze, seste, ottave e decime, dai glissando ai pizzicati con la mano sinistra, dall’uso dei sopracuti al salto di corde.
Ignazio Fiorillo
Se si aggiunge tutto questo bagaglio di risorse strumentali alla sua capacità ineguagliabile di improvvisatore e di inventore di variazioni su musiche altrui, non disgiunta da una cultura musicale eccellente (conosceva perfettamente le composizioni di Haydn, Mozart e Beethoven), si avrà un’idea del “fenomeno”
Paganini e si potrà capire perchè i suoi brani violinistici influenzarono e ispirarono una nutrita schiera di musicisti romantici e moderni, a cominciare da Chopin, Liszt, Schumann e Brahms.
I ventiquattro Capricci per violino solo op. 1 furono scritti intorno al 1800 da Paganini a Genova, di ritorno da un giro concertistico compiuto in Toscana. Vennero pubblicati come op. 1 da Ricordi nel 1818 e propagandati ampiamente dai giornali, insieme ad un gruppo di Sonate per violino e chitarra op. 2 e op. 3 e ai sei Quartetti per archi e chitarra op. 4 e op. 5. I Capricci furono dedicati “agli artisti”, cioè ai violinisti di classe superiore e non agli “amatori”, considerati con questa qualifica del musicista dei semplici dilettanti. Ristampati più tardi da Pacini a Parigi, i Capricci richiamarono l’attenzione di musicisti di gran nome, come Schumann, che ne curò per primo la trascrizione per pianoforte, e Liszt, il quale li definì «di rara freschezza e leggerezza» simili a «tanti diamanti che l’incastonatura più ricca richiesta dal pianoforte potrebbe rafforzarli piuttosto che volatilizzarli». In particolare il ventiquattresimo Capriccio diede lo spunto per scrivere una serie di brillanti variazioni a Brahms, Rachmaninov, Lutoslawski, Boris Blacher e’altri compositori.
Il termine “capriccio” sta ad indicare, secondo una pratica derivante del Seicento, un tipo di composizione affidata prevalentemente all’estro e all’improvvisazione. Probabilmente Paganini tenne presenti i modelli violinistici precedenti, specie quelli di Locatelli, di Kreutzer e di Rode, che scrissero capricci improntati ad un fitto gioco polifonico. Ma non c’è dubbio che i Capricci di Paganini, oltre ad avere un valore didattico indiscutibile, costituiscano un esempio di alta scuola violinistica e racchiudano un messaggio musicale ed estetico di notevole importanza, collocandosi sullo stesso piano degli Studi pianistici di Chopin. In queste pagine è sparso a piene mani tutto il virtuosismo paganiniano, con il ricorso alle più straordinarie trovate o effetti, dettati da una natura demoniaca e rivolti ad allargare al massimo l’arco espressivo, sia timbrico che ritmico, del violino, così da toccare il vertice dell’arte di tale strumento nell’Ottocento europeo. Ogni Capriccio è un problema a sé e offre uno spunto per una serie di idee armoniche e contrappuntistiche caratterizzate da fosforescenti invenzioni musicali.
I Capricci, croce e delizia di ogni violinista che si rispetti, mostrano sin dal primo numero la loro particolare sigla tecnicistica, sul filo della più spericolata estrosità di suoni. Si passa quindi da un Moderato più tranquillo e contenuto ad un tempo Sostenuto, grave e riflessivo, inframezzato da un Presto, agile e guizzante come un fuoco, per continuare con un Maestoso in do minore, oscillante fra il tono solenne e il capriccioso, con un Agitato in la minore, percorso da fremito febbrile e travolgente, con un Lento in sol minore dalle modulazioni audaci e ardite.
Pietro Antonio Locatelli
Abbastanza cantabile è il Capriccio n. 7 (Posato in la minore), non privo di impennate e scale ascendenti e discendenti con sonorità leggere e taglienti nei sopracuti; il Maestoso in mi bemolle maggiore è flessuoso e incisivo nel gioco degli accordi; l’Allegretto ha un tono elegante e brillante, quasi un’antica caccia di corte; il Vivace in sol minore si distingue per varietà e luminosità di accenti, bene incastonati da una girandola di suoni; il Capriccio n. 11 si articola in un Andante liricamente disteso, in un Presto dal respiro vivace e in una ripresa del tempo Andante; l’Allegro in la bemolle maggiore è uno studio improntato ad un fraseggio denso e compatto.
Ed eccoci al Capriccio n. 13 in si bemolle maggiore, detto “La risata” con gli arpeggi legati e sbalzati nel ritmo; il n. 14 in mi bemolle maggiore utilizza i
bicordi ad imitazione delle fanfare; nel Posato in mi minore si assiste ad uno scherzoso e ironico dialogo fra due immaginari e diversi personaggi; il Presto in sol minore è un pezzo di assoluta bravura, mentre il n. 17 in mi bemolle maggiore è cosparso di calibrati picchettati nel passaggio al registro acuto; il n. 18 (Corrente e Allegro in do maggiore) somiglia ad una cavatina rossiniana, in contrasto con il tempo più misurato del Lento successivo, che sfocia in un inarrestabile Allegro in mi bemolle maggiore. L’Amoroso è una romanza affettuosa e molto dolce, spezzata dal Presto in la maggiore; il Marcato in fa maggiore si distingue per gli stacchi armonici su più corde, tra svettanti suoni verticalistici; il n. 23 in mi bemolle maggiore è frastagliato di innumerevoli artifici politimbrici. La serie inestimabile dei ventiquattro Capricci si chiude con il famosissimo e cuspidale studio n. 24 in la minore, zeppo di diavolerie di trascinante ed entusiasmante fascino sulle quattro corde e tale da diventare nel tempo il simbolo più popolare della acrobatica fantasia violinistica paganiniana.