Rachmaninov Sergej
Le Sinfonie e altre composizioni
Registrazioni eseguite dal 1982 al 1984. Audio buono man non eccezionale. Altamente raccomandato.
Rachmaninov: Le 3 Sinfonie – “La Roccia” – “L’Isola dei Morti”
Sergej Rachmaninov si inserisce in quella tradizione di grandi pianisti- compositori, che da Beethoven si spinge fino a Lizst e Brahms, e in Russia da Anton Rubinstein fino a Skrjabin e Prokofiev. Ma oltre a numerose composizioni per il suo strumento – tra cui quattro Concerti per pianoforte e orchestra, la Rapsodia su un tema di Paganini, due volumi di Preludi (alcuni dei quali famosi in tutto il mondo) – Rachmaninov scrisse nel corso dell’intera sua vita della musica sinfonica, in cui seppe congiungere in modo originale e sviluppare ulteriormente gli stili delle due grandi scuole musicali del suo paese: Mosca (Ciaikovski) e Pietroburgo (il “gruppo dei Cinque” composto da Mussorgski, Rimski-Korsakov, Balakirev, Borodin e Cui).
Tra le sue grandi partiture per orchestra ci sono tre Sinfonie (composte nell’ampio arco di quarant’anni), due Poemi sinfonici e le tarde Danze sinfoniche.
Rachmaninov scrisse ancora composizioni per coro e orchestra di ampie proporzioni, e ancora numerosi Lieder con accompagnamento di pianoforte molto popolari in Russia; nella seconda metà della sua vita, vale a dire dopo la sua emigrazione dalla Russia (1917), svolse un’intensa attività concertistica, quale prima di lui potè vantare al massimo Franz Liszt negli anni in cui la sua parabola virtuosistica era all’apogeo.
Se si considera questo enorme impegno di Rachmaninov quale compositore e interprete, non si potrà fare a meno di tributare il massimo riconoscimento a questo artista dotato di un gran senso di disciplina. Sembra che quest’imperativo d’un ‘ instancabile attività artistica egli l’abbia ripreso da Ciaikovski, il suo idolo.
Alludendo al suo grande talento “a tre facce” – di compositore, virtuoso di pianoforte e direttore d’orchestra – un critico disse una volta che Rachmaninov aveva “acceso la sua fiamma ai tre capi” della candela.
Prima Sinfonia
Fu considerata a lungo ineseguibile, dopo che la sua prima esecuzione assoluta di Pietroburgo nel marzo 1897 aveva avuto esito catastrofico. Il direttore d’orchestra era ubriaco, anche se Rachmaninov riferendosi a questo fatto fece poi uso di una garbata perifrasi: “Era come se non capisse più nulla” – la persona in questione era nientemeno che Aleksandr Glazunov, il futuro direttore del Conservatorio di Pietroburgo.
Per oltre quarant’anni si pensò che Rachmaninov avesse distrutto la partitura della Sinfonia. Egli l’aveva lasciata invece nel 1917 nella sua villa di campagna e qui andò perduta probabilmente durante le vicende della Rivoluzione. L’autografo non è stato finora ritrovato, ma verso la fine dell’ultima guerra mondiale furono rinvenute per puro caso nella Biblioteca del Conservatorio di Leningrado le parti orchestrali della Sinfonia. Sulla base di queste è stato possibile ricostruire l’intera partitura; così nel 1945, dopo che erano trascorsi quasi cinquant’anni della prima esecuzione e due anni dalla morte di Rachmaninov, la sua Prima Sinfonia veniva di nuovo presentata al pubblico. Ascoltandola oggi, ci si può bene immaginare in quale misura il giovane compositore rimanesse colpito dal suo insuccesso. Non è certo un’opera fallita. C’è comunque da dire che Rachmaninov aveva presentato al pubblico di Pietroburgo di allora una composizione di difficile comprensione, con consapevoli tratti sperimentali.
Nella sua predilezione per la liturgia ortodossa, aveva inserito alcune formule melodiche tratte dall'” Ochtoechos” (una raccolta di monodie sacre) in tutti i movimenti della Sinfonia, con la funzione di cellule costruttive; un esempio è offerto dal motto iniziale dell’opera, che corrisponde al motto letterario premesso da Rachmaninov alla partitura “A me la vendetta, sono io che ricambierò, dice il Signore” (Lettera ai Romani, 12,19).
Una spiegazione è offerta dalla dedica ad Anna Lodysenskaja, una zingara sposata ad un amico del compositore, con la quale Rachmaninov ebbe assai probabilmente una relazione intima. (Il medesimo motto si poteva già leggere nell’ “Anna Karenina” di Tolstoi). Il tema secondario del primo movimento è come il ritratto sonoro di Anna Lodysenskaja: una struggente melodia cromatica con un’inflessione esotica. Lo sviluppo inizia con un fugato su un tema derivato da materiale compositivo precedente. Segue poi una marcia tipica per Rachmaninov, elastica ed energica. Poco prima della ripresa il tessuto sonoro è percorso da una scala per toni interi composta da note di più lunga durata – un modulo che con “Russlan e Ludmilla” di Glinka era ormai entrato a far parte del repertorio tecnico dei compositori russi.
Lo Scherzo, nel cui tema principale si trova ulteriormente sviluppata quell’idea cromatica di accento esotico già incontrata nel movimento iniziale, presenta una sezione intermedia dal piglio più originale. Si sente qui echeggiare chiaramente il “motivo della vendetta”, elaborato poi anche nella sezione intermedia del Larghetto che segue.
Nella sezione iniziale e in quella conclusiva di questo movimento ha una funzione portante l’agile cantilena del clarinetto, anch’essa con un leggero colorito orientaleggiante. L’inizio del Finale ha un carattere festoso, con fanfare a tre voci delle trombe che variano in tonalità maggiore il “motivo della vendetta”. Quindi il paesaggio sonoro si offusca. Dopo una grandiosa intensificazione ha alla fine il sopravvento il motivo che funge da motto dell’intera Sinfonia; e qui il compositore fa anche uso delle timbro singolare del tam-tam. Già nel 1897, in una delle poche reazioni obiettive alla prima esecuzione di questa Sinfonia, il critico Nikolaj Findeisen ne aveva rilevato la “bellezza, modernità e ispirazione”.
Seconda Sinfonia
Lo shock provocato dal fiasco della Prima Sinfonia aveva addirittura paralizzato Rachmaninov, che si affidò alle cure dello psicoterapista Nikolaj Dahl. Passarono tre anni prima che riprendesse l’attività compositiva, e scrisse allora quello che sarebbe divenuto il suo più grande successo a livello mondiale: il Secondo Concerto per pianoforte e orchestra, che fu dedicato allo stesso Dahl. Rachmaninov riscosse poi un ulteriore grande successo con i Preludi op. 23 (1903), e inoltre fu assai richiesto come direttore d’orchestra (dal 1904 al Teatro Bolscioi di Mosca) e ancora come accompagnatore dei concerti di Lieder del grande Scialjapin. Intanto aveva interrotto l’attività compositiva, e così verso la fine del 1906 andò all’estero, a Dresda, dove nessuno lo conosceva. Sulle rive dell’Elba, voleva comporre un’altra Sinfonia, se non altro per superare il trauma provocato dalla Prima.
Il frutto di tutto questo fu la Seconda Sinfonia, una delle sue composizioni migliori.
La partitura fu compiuta nel 1907, e la prima esecuzione assoluta ebbe luogo a Pietroburgo nel 1908. Pur nelle sue notevoli proporzioni, essa riuscì ad avvincere il pubblico, e il sinfonista Rachmaninov era così completamente riabilitato.
Aleksandr Glazunov
Come nella Prima Sinfonia anche qui il movimento iniziale è introdotto da un motto di tono cupo; dopo un’ampia e calma introduzione risuona il tema principale dell’Allegro, tratto dal motto iniziale e di accento elegiaco.
Un intimo lirismo pervade il tema secondario, anch’esso – come il primo tema – con un’evidente impronta diatonica. La concezione drammaturgica si riallaccia a Ciaikovskij, mentre le raffinatezze dell’istrumentazione rimandano piuttosto a Richard Strauss. Il secondo movimento è uno Scherzo con movenze di marcia; il suo tema principale di carattere solenne (dapprima presentato dal corno) è liberamente modellato sul “Dies irae”, ma senza quel simbolismo fatale di cui questa antica sequenza sacra sarà portatrice due anni dopo nell'”Isola dei morti”. Una fervida cantilena degli archi (condotta ancora una volta per gradi congiunti) dà la propria impronta alla parte intermedia contrastante. La coda è due volte turbata dalla reminiscenza del tema-motto del primo movimento (ottoni), con un procedimento analogo a quello di Ciaikovskij, che nella Quarta e Quinta Sinfonia più volte ripropone il “tema del destino”.
Una fervida melodia risuona nell’Adagio, un autentico inno all’amore. Qui Rachmaninov ha ripreso dei passi del grande Duetto dalla “Francesca da Rimini”, la sua terza opera, composta nel 1904/05.
E proprio in questo canto affascinante, con le sue suggestive stratificazioni di linee profilate ad intervalli di terza, si può rilevare nel modo più convincente come Rachmaninov – che in primo luogo era un compositore di musica pianistica – fosse tuttavia in grado di scrivere della schietta musica sinfonica. Oltre a questa cantilena che ha un po’ la funzione di ritornello, un’altra vibrante melodia, costituita ancora una volta di suoni procedenti quasi sempre per gradi congiunti, funge da tema principale di questo Adagio articolato in tre sezioni. Sotto questa melodia, intonata dapprima dal clarinetto solo, si muove una trama sonora finemente intessuta e armonicamente raffinata. La sezione mediana è di carattere inquieto, e nel suo insistente tono interrogativo sembra quasi ricercare una conferma di quel senso di felicità precedentemente espresso.
Va ancora ricordato che l’episodio di transizione a questa sezione intermedia è costituito da un dialogo tra il violino solista (tema-motto del primo movimento) e i legni solisti (ritornello).
Il movimento conclusivo sorprende per la sua atmosfera particolarmente sbrigliata, addirittura carnevalesca – un aspetto inconsueto in Rachmaninov. Tutto viene trascinato nel vortice del ritmo delle terzine, persino il motivo di tono interrogativo dell’Adagio. Con grande abilità (e con maggiore spontaneità che nella Prima Sinfonia) il compositore elabora in questo vivace Finale del materiale tratto dai movimenti precedenti. Il tema secondario, caratterizzato da continui salti melodici e intonato dagli archi all’unisono, è l’acme lirico della Sinfonia: qui sembra che “il cuore si allarghi”, per usare un’espressione dei
poeti romantici……
Terza Sinfonia
Dovettero trascorrere quasi trent’anni prima che Rachmaninov scrivesse una nuova Sinfonia. Tra le opere più importanti che nel frattempo aveva scritto, c’erano altri due Concerti per pianoforte e orchestra, due grandi composizioni di tipo oratoriale (“Le campane” su un soggetto di E.A.Poe e “La messa del vespro” su testi liturgici); due composizioni in forma di variazione, e cioè la Rapsodia su un tema di Paganini (che al tempo stesso è un larvato Concerto per pianoforte) e le Variazioni su un tema di Corelli per pianoforte solo; tra la musica pianistica composta tra la Seconda e la Terza Sinfonia c’erano tra l’altro un secondo volume di Preludi (op. 32), e gli Etudes-Tableaux, segno di nuovi sviluppi nell’attività creativa di Rachmaninov.
La sua esistenza era completamente cambiata, una nuova, seconda vita aveva avuto inizio nel 1917 con l’emigrazione dalla Russia; ben presto si era portato negli Stati Uniti, dove aveva iniziato tardivamente una carriera di virtuoso itinerante tra antico e nuovo mondo.
La Terza Sinfonia risale all’ultimo periodo di vita di Rachmaninov; la partitura fu terminata nel 1936 e nello stesso anno fu eseguita per la prima volta dalla Philadelphia Orchestra, per la quale il compositore l’aveva scritta, sotto la direzione di Leopold Stokowski. La prima impressione suscitata fu di perplessità: dopo la Rapsodia su un tema di Paganini, a volte ampollosa, ecco che si aveva ora di fronte un linguaggio musicale crudo, ridotto all’essenziale. Le armonie più ardite, il ritmo libero, la fusione dei movimenti intermedi tradizionali in uno solo, il differenziato impiego degli strumenti a percussione: tutto ciò non fece dormire Nikolaj Medtner – il compositore russo amico di Rachmaninov – per tutta la notte successiva alla prima esecuzione londinese della Terza.
Per Medtner Rachmaninov era caduto vittima del modernismo…… Anche questa Sinfonia inizia con un’idea motto dal colorito russo-arcaico. Il tema principale è dato da una melodia di carattere malinconico, e i suoi accenti dolcemente struggenti lasciano trasparire non poca nostalgia, questa volta nel senso più pieno del termine: come ogni emigrante russo Rachmaninov sentiva nostalgia per la patria che aveva lasciato…… Comunque questa atmosfera elegiaca di base era già sempre stata una delle componenti della gamma artistica di Rachmaninov e aveva già trovato espressione in Ciaikovskij come in Cechov.
La Terza Sinfonia di Rachmaninov non ha un unico movimento intermedio: un “Adagio” di tipo consueto ne è la cornice, mentre lo “Scherzo” ne costituisce la sezione intermedia.
Nel tema dell'”Adagio” si può riconoscere una metamorfosi del motto iniziale (corno solista su accordi delle arpe). Un piglio energico, quasi scontroso caratterizza lo “Scherzo”. La sua vitalità alimenta per così dire il Finale, un pezzo di grande virtuosismo orchestrale dove non manca anche una fuga di grande tensione costruttiva.
Piotr Ilich Ciaikovskij
Tra i vari temi, per lo più di carattere semplicemente episodico, c’è ancora una volta quel motivo che in Rachmaninov ha già quasi il significato di una idée fixe: la sequenza funebre medievale del “Dies irae”.
“L’isola dei morti”
Cordoglio patetico, angoscia mista ad un senso di godimento, maestà della morte – tutto ciò è espresso nel dipinto di Arnold Bocklin “L’isola dei morti”, che ispirò Rachmaninov alla composizione dell’omonimo poema sinfonico (1909). L’atmosfera dominante del dipinto, del quale esistono cinque versioni risalenti agli anni 1880 -1886, era senz’altro congeniale al temperamento di Rachmaninov, che una volta scrisse a Marietta Sciaghinjan, una scrittrice con la quale mantenne per anni un contatto epistolare: “I colori luminosi, gioiosi non
mi riescono con facilità”.
Rachmaninov accentua qui ulteriormente l’atmosfera fatale inserendo il “Dies irae”, quella sequenza della liturgia cattolica la cui melodia è costruita con piccoli intervalli, e che sembra presentare tante affinità ideali con un edificio romanico.
Rachmaninov tenne poi presente il dipinto ispiratore nel dare una configurazione sonora veramente impressionante all’acqua, questo elemento primordiale con la sua dinamica staticità, con la sua eterna, irrequieta imperturbabilità e indifferenza. Qui si attraversa il mare dell’oblio, e Caronte trasporta le anime dei trapassati al di là dello Stige.
Nella misura di 5/8 le sue onde fanno oscillare la barca dei morti, e pedali prolungati sottolineo l’ineluttabile calma che è al di là di ogni movimento. Il “Dies irae”, il cui motivo iniziale risuona per la prima volta nel corno e contro i 5/8 della misura, non viene mai citato per intero da Rachmaninov.
E a poco a poco la tensione s’accresce, la tonalità modula da la minore a mi minore: la barca è giunta all’altra sponda. Ma ancor prima che l’anima trovi il suo definitivo luogo di riposo, la musica intona un ultimo appassionato ed addio alla vita – un toccante passaggio lirico in mi bemolle maggiore. A tale proposito così Rachmaninov scrisse a Leopold Stokowski: “Deve creare un forte contrasto rispetto al resto della composizione – deve essere più veloce, più nervoso e con una maggiore carica emotiva…… Finora ha dominato la morte, ma d’ora in poi è la vita a dominare”. Ma questo elemento aggiunto dal compositore al modello ispiratore di Bocklin non perdura a lungo: il “Dies irae” ritorna, la morte e la vita lottano l’una contro l’altra. Le ultime battute raffigurano ancora una volta i regolari colpi di remi di Caronte che sta per accogliere e trasportare sulla sua barca altre anime di trapassati.
La roccia
Anche se Rachmaninov aveva iniziato a scrivere composizioni per orchestra già all’età di quattordici anni, la prima sua partitura pubblicata fu “La roccia”, scritta all’età di vent’anni, quando si era diplomato in composizione al Conservatorio di Mosca. Ciaikovskij, che già si era interessato perché fosse rappresentata “Aleko” (l’opera di argomento zingaresco composta da Rachmaninov per l’esame di diploma), era rimasto entusiasta della “Roccia” e volle inserirla nel cartellone dei suoi concerti di Pietroburgo per la stagione invernale 1893/94.
Ma Ciaikovskij morì prima, e così a dirigere la prima esecuzione di questa Fantasia sinfonica (nell’aprile del 1894) fu Vassili Safonov, il maestro di Skrjabin, e allora direttore del Conservatorio di Mosca.
Alla partitura è premesso un motto tratto dal poema omonimo di Michail Lermontov: “La nuvoletta d’oro posò la notte/sul seno della roccia gigantesca”.
Ma non fu Lermontov ad ispirare il giovane Rachmaninov, ma Anton Cechov che nella sua novella Na puti narra dell’incontro notturno di una fanciulla con un uomo anziano duramente provato dalla sorte. E in una partitura di questa Fantasia sinfonica c’è anche una dedica a Cechov; i due versi di Lermontov sono dunque da intendere quale semplice metafora.
Il cupo tema iniziale (violoncelli e contrabbassi all’unisono) che ritorna nel punto culminante dell’opera, intonato dagli ottoni in fortissimo, simboleggia l’uomo e il suo destino (la “roccia” di Lermontov), mentre l’arpeggio ondeggiante dei legni sta a simboleggiare la fanciulla che ascolta il racconto dell’uomo con partecipazione sempre più intensa, anzi con intima agitazione (la “nuvoletta” di Lermontov).
È intriso di questa atmosfera “femminile” un motivo struggente di due battute presentato dapprima dal flauto solista, al quale Rachmaninov sembra abbandonarsi con tutto se stesso. Da questo motivo si sviluppa un tema d’ampio respiro nello stile di Ciaikovskij, ma con un profilo melodico per gradi congiunti, quale anche in seguito sarà caratteristico di Rachmaninov.
Questo motivo ritorna poi nella composizione cronologicamente seguente, il Trio con pianoforte op. 9 dedicato alla memoria del suo grande sostenitore Ciaikovskij, ed esattamente nel tema del movimento in forma di variazione.
Christoph Rueger
(Traduzione: Gabriele Cervone).
Sinfonia n. 1 in re minore op. 13
La Sinfonia n. 1 fu il biglietto d’ingresso nel mondo ufficiale della composizione; il ventiduenne Rachmaninoff aveva steso la partitura tra il gennaio e il settembre del 1895, in parte a Mosca e in parte nella residenza estiva della sua famiglia a Ivanovka; la prima esecuzione, avvenuta a Pietroburgo alla fine del 1897 diretta da Glazunov, fu però un fiasco colossale. I fischi che sommersero la Sinfonia furono tali che Rachmaninoff abbandonò la sala prima della fine del concerto e la critica, il giorno dopo, non fu più tenera del pubblico giudicando l’opera in modo pesantemente negativo. Lo shock fu tale da indurre Rachmaninoff ad abbandonare, per ben due anni, l’attività di compositore e da causargli una forte crisi depressiva. Certo era ancora un autore giovane ma quella stroncatura ci appare oggi veramente eccessiva come se nascondesse qualcosa di premeditato. Si disse che l’esecuzione era di scarso livello e che il direttore non fosse propriamente ‘sobrio’ ma probabilmente pubblico e critica non furono in grado di apprezzare le mille novità che l’opera presentava. Molti anni dopo, nel 1917, in una lettera ad un collega, Rachmaninoff scriveva: “Dopo quella Sinfonia non composi più nulla per quasi tre anni.
Sergej Rachaninov
Ero come uno che avesse subito un colpo e che per lungo tempo avesse perduto l’uso della testa e delle mani. Non voglio mostrare la Sinfonia a nessuno e me ne assicurerò anche al momento di scrivere le mie ultime volontà”. In effetti la Sinfonia ebbe un destino tragico: il compositore non la ascolterà mai più durante la sua vita e il manoscritto andrà perduto a Mosca, forse durante la Rivoluzione.
Divisa nei canonici quattro movimenti (Grave-Allegro ma non troppo, Allegro animato, Larghetto e Allegro con fuoco) e dotata di una robusta orchestra, la Sinfonia n. 1 in re minore op. 13 non sembra proprio una composizione giovanile, incerta e priva di un carattere deciso. Anzi: la forte coesione dell’intera partitura, il sapiente uso della tavolozza orchestrale, l’impiego di temi ricorrenti in tutta l’opera ci presenta un compositore perfettamente padrone dei propri mezzi, assolutamente a suo agio nell’utilizzare una forma ampia e complessa come la sinfonia.
Scritta in re minore (la tonalità ‘drammatica’ per eccellenza: quella del Requiem di Mozart) la Sinfonia si apre con il Grave che dopo un solenne accordo presenta il tema principale di sei note; questo incipit, modificato in tanti modi, ritornerà in continuazione non solo nel primo movimento ma per tutta la Sinfonia. La scrittura orchestrale affida spesso agli archi la funzione di accompagnamento mentre i fiati, oboi e clarinetti su tutti, hanno il compito di fissare nella mente le melodie che ci accompagneranno lungo tutto il corso della composizione. Quelle che ascoltiamo sono vere e proprie ‘ondate’ di suono che dagli abissi dei contrabbassi salgono alle vette dei flauti; qua e là certe melodie esotiche (inconfondibili perché basate su scale diverse dalla nostra) ci ricordano che siamo nelle stesse atmosfere create da altri grandi dell’Est come Rimskij- Korsakov (Shéhérazade, 1888), Dvorak (Sinfonia “dal nuovo mondo”, 1893) o Smetana (Má vlast, 1874).
Il secondo movimento in fa maggiore (Allegro animato) cambia decisamente registro ritmico innestando la marcia ternaria che ricorda una danza animata, fiocchi di neve portati in giro dal vento, a volte regolare, a volte turbinoso. È proprio qui, come dicevamo all’inizio, che basta il semplice tintinnio del triangolo a farci pensare ad una slitta che corre in mezzo alla neve; tanta naturalezza inventiva è però frutto di un attento lavoro compiuto sia sul ritmo (in 3/4 ma in continua mutazione grazie ad accenti spostati e battute asimmetriche) sia sull’armonia estremamente mutevole e certamente suggestiva.
Nel terzo movimento (Larghetto) Rachmaninoff concentra tutta la carica espressiva e da sfogo al suo sovrabbondante senso melodico affidando a clarinetto ed oboe, gli strumenti più ‘umani’ tra i legni, il ruolo di protagonisti. Anche i corni, portavoci della natura in tutta la musica romantica, segnano la partitura con il loro inconfondibile timbro a metà tra l’austero e il nostalgico. In un rincorrersi di crescendi e diminuendi, di ritardando e a tempo, questo movimento sembra proprio un organismo vivente che respira in mezzo alla natura, quella natura intatta e ancestrale che sicuramente circondava la residenza estiva del compositore.
Il quarto movimento è forse il più complesso di tutta la Sinfonia, sia per le dimensioni, sia per l’infittirsi delle percussioni che giocano un ruolo essenziale, o per quei ritmi sincopati che sembrano voler accelerare le pulsazioni già piuttosto sostenute di questo Allegro con fuoco. Aleggia su tutto il movimento un sapore orientaleggiante, zigano, che si spiega forse con la dedica ad “A.L.” ovvero Anna Aleksandrovna Lodizhenskaia, una donna di estrazione zingara il cui marito era stato il dedicatario del Capriccio sui temi zigani dello stesso Rachmaninoff. Tale motivazione spiegherebbe, almeno in parte, la focosa turbolenza della Sinfonia e non può essere una semplice coincidenza il fatto che le inflessioni melodiche di stampo orientale che caratterizzano il materiale tematico secondario in tutti i movimenti vada a scontrarsi con altri motivi derivati dagli antichi canti della chiesa ortodossa russa.
Dopo l’insuccesso di questa gigantesca partitura passarono ben dieci anni prima che Rachmaninoff ritornasse al genere sinfonico; rinfrancato dal successo ottenuto con il Secondo Concerto per pianoforte e orchestra (1901) e diventato un affermato direttore, l’autore ritrovò finalmente la fiducia e la serenità per scrivere la Seconda Sinfonia eseguita a Pietroburgo l’8 febbraio del 1908. Rachmaninoff era ormai un compositore riconosciuto e la definitiva consacrazione sarebbe avvenuta dieci mesi dopo, con l’attribuzione del prestigioso premio Glinka.
Sinfonia n. 2 in mi minore op. 27
A più riprese, nel corso della sua vita, Sergej Rachmaninov fu vittima di profonde crisi creative che gli inibirono l’attività compositiva per periodi di diversi anni. Ripercorrendo a ritroso queste crisi, Rachmaninov fu incapace di scrivere musica negli ultimi tre anni di vita, trascorsi presso la villa di Beverly Hills dove il vecchio compositore aveva ricostruito un angolo della vecchia Russia, e durante i quali si applicò solamente alla revisione del Quarto Concerto per pianoforte. Ma anche nei primi anni del soggiorno negli Stati Uniti, fra il 1918 e il 1926, il compositore era stato incapace di scrivere musica; la fortuna straordinaria che subito arrise a Rachmaninov nel Nuovo Mondo, come pianista e compositore, era legata quasi interamente ai lavori scritti prima di abbandonare la Russia alla fine del 1917, quando i bolscevichi prendevano il potere cancellando per sempre quella società aristocratica che costituiva anche l’humus culturale in cui il giovane virtuoso si era formato ed affermato. Le tre opere liriche, le prime due Sinfonie (su tre), i primi tre Concerti pianistici (su quattro), tutta la musica da camera, quasi tutta la produzione pianistica vennero infatti composti prima di quella data. E tuttavia già nei suoi anni giovanili Rachmaninov aveva subito una lunga battuta d’arresto, causata dal trauma legato all’accoglienza sfavorevole che era stata riservata alla sua Prima Sinfonia; la prima esecuzione di questa partitura, effettuata a Pietroburgo nel 1897, costituì un fiasco clamoroso, seguito da celebri stroncature (la più feroce fu quella di Cesar Cui) ; una parte di colpa fu legata probabilmente alla cattiva esecuzione, diretta da Aleksandr Glazunov, e ancora alla cattiva predisposizione del pubblico pietroburghese verso un fenomeno musicale che era maturato essenzialmente all’interno dei circoli moscoviti. Dopo i folgoranti studi al Conservatorio della capitale, era al Teatro Bol’Soj che Rachmaninov, appena ventiquattrenne, aveva colto una grande affermazione con la sua opera Aleko, nel 1893.
Lorin Maazel
Lo shock dovuto al fiasco della Prima Sinfonia doveva ripercuotersi in tre anni di inattività compositiva, poi, grazie anche alle cure dello psicologo Nikolai Dahl, in un cauto ritorno alla scrittura. Nel 1904 Rachmaninov è alla guida dell’orchestra del Bol’soj, ma il suo interesse verso la composizione, confortato dal successo del Secondo Concerto, gli fa abbandonare ogni incarico fisso, considerato troppo oneroso. È durante il biennio 1906-1907, trascorso in gran parte a Dresda, che matura nel compositore l’idea di tornare a scrivere una Sinfonia; la partitura venne terminata nel 1907 ed eseguita per la prima volta a Pietroburgo il 26 gennaio 1908 (8 febbraio per il calendario giuliano, occidentale) sotto la direzione dell’autore. Il caloroso successo incontrato da questa Sinfonia n.2 in mi minore op. 27 ha dunque, per Rachmaninov, la funzione di sanare definitivamente una ferita. D’altronde questa partitura, segnata dagli ideali espressivi del post-romanticismo, si inserisce in modo autorevole nel solco di una tradizione lunga e illustre. L’esempio di Caikovskij e di Rimskij-Korsakov, di una musica fermamente legata al sistema tonale, volta a stabilire uri diretto contatto fra sentimento creativo, espressività e comunicazione, abilmente giocata sull’impatto emotivo verso l’ascoltatore, è centrale; non a caso la partitura – che si articola nei quattro movimenti classici, con un tempo lento in terza posizione – sembra ispirarsi direttamente all’esempio del sinfonismo di Caikovskij nell’adesione al principio di una interna evoluzione, basata sulle trasformazioni di un tema di base, una sorta di “motto”. Non a caso l’introduzione lenta del primo movimento (Largo] è basata tutta su questo “motto”, una melodia di sette note, forse tratta da un canto liturgico ortodosso, che viene esposta subito nei bassi, ed è poi protagonista di un procedimento di climax e anticlimax che coinvolge tutta l’orchestra, puntando soprattutto sul lirismo dei violini.
Comincia così la vera e propria esposizione (Allegro moderato), il cui primo tema dall’andamento di ballata, esposto dai violini sul sostegno dei legni, deriva da una trasformazione del “motto”; manca in questa sezione una vera e propria dialettica tematica (il secondo tema è più passionale e frammentario), e il succedersi delle varie idee ha piuttosto la funzione di illuminare diversamente un medesimo principio espressivo; gli impasti dei fiati, il canto dei violini si spengono poi nella frase espressiva dei violoncelli. Per converso la sezione dello sviluppo, aperta del primo violino solista, non vede la netta affermazione di un tema, ma piuttosto il continuo e inquieto riaffiorare di frammenti, secondo il processo di tensione-distensione della frase: si stagliano a tratti gli interventi degli ottoni. Come nella Patetica di Caikovskij, la riesposizione non si sofferma sul primo tema, ma dona spazio al secondo, per sfociare in una coda affermativa anche se forse troppo serrata nell’equilibrio della costruzione.
In seconda posizione troviamo uno Scherzo il cui tema principale prende spunto dal Dies irae gregoriano, autentico fìl rouge di tanta produzione sinfonica e sinfonico-corale dell’autore (appare infatti nel Poema sinfonico L’isola dei morti, nella Cantata Le campane, nella Rapsodia sopra un tema di Paganini per pianoforte e orchestra, nelle tarde Danze sinfoniche). Questo movimento coniuga insieme contenuto fantastico e andamento di marcia, interrotto a guisa di parentesi da una lunga melodia lirica dei violini. La sezione centrale de! tempo, una sorta di Trio, consiste in un moto perpetuo fortemente ritmato e con aspetto di fugato, che scivola progressivamente verso la riesposizione.
Nella coda spetta agli ottoni riecheggiare frammenti del “motto”, prima che il movimento si spenga nel silenzio. Pagina chiave della Sinfonia è però soprattutto il movimento lento, singolarmente esteso e diviso in tre sezioni principali. Vi troviamo all’inizio il tema principale accennato dai violini, cui fa subito seguito una lunga cantilena del clarinetto; crea un contrasto la sezione centrale, basata su dialoghi fra vari strumenti e nella quale riappare all’inizio il “motto”; dopo una cesura, la riesposizione costituisce una intensificazione espressiva dell’idea principale; è qui che Rachmaninov concentra tutto il proprio lirismo, portando il suo materiale verso una progressiva estenuazione.
Il principio della costruzione ciclica della Sinfonia trova ovviamente la propria logica affermazione nel finale, dove riemergono a tratti temi già apparsi nei tempi precedenti, dal “motto”, allo Scherzo, al tempo lento; non a caso Rachmaninov sceglie qui la forma del rondò, più adatta all’avvicendamento di varie idee secondarie rispetto ad una idea principale. L’enfasi vitalistica di questo movimento sembra richiamarsi però, più che ad autori russi, alle tecniche orchestrali di Richard Strauss, mostrando Rachmaninov bene attento a tutto quanto succedeva sulla scena europea (d’altronde la Sinfonia venne scritta a Dresda, città così legata a Strauss). La seconda idea del finale, che si contrappone per il suo carattere passionale al vitalismo dell’idea principale, da luogo alla conclusione trascinante, entusiastica, perfettamente calibrata in tutti gli effetti retorici, con adesione convinta alle poetiche postromantiche.
Sinfonia n. 3 in la minore op. 44
Nella partitura della Terza Sinfonia di Rachmaninoff c’è un intruso: il cinema. Basta ascoltare poche battute, anche qua e là, per rendersi conto immediatamente di quanto per noi quella musica rappresenti in modo immediato e inequivocabile l’esperienza del cinema. Sotto molti profili.
Il primo, quello più immediato, è che la musica di Rachmaninoff è stata ed è tuttora utilizzata in modo massiccio nelle colonne sonore del cinema, hollywoodiano e non: gli esempi sono decine, con pellicole di tutti i generi che vanno da Sabrina a Ronin (entrambi accompagnati dall’Andante cantabile della sua Rapsodia su un tema di Paganini), da Il matrimonio del mio miglior amico (che usa uno dei Vespri) ad Equinox (la prima Danza sinfonica) a Breve incontro (Secondo concerto per pianoforte e orchestra). E poiché la cifra stilistica di Rachmaninoff è costante, subito riconoscibile, è chiaro che gli ascoltatori del presente, tutti consumatori di pellicole, in pochi istanti associano le sue partiture alla visione di immagini in movimento, a storie che vengono raccontate su uno schermo, a esistenze narrate attraverso un montaggio: al cinema, appunto.
Lorin Maazel
Il secondo aspetto che lega la musica di Rachmaninoff al grande schermo è la sua essenza sonora: come capita anche per altri autori del primo Novecento (si pensi a Prokof’ev, a Sostakovic, a Puccini…), il modo di orchestrare di Rachmaninoff, le sue scelte timbriche, il suo modo di pensare alla massa sonora sono stati il modello di suono al quale si sono rifatti i compositori e soprattutto gli orchestratori delle grandi colonne sonore. In questo senso, a rigore, è il cinema a suonare come Rachmaninoff, e non viceversa, ma per noi cambia poco: appena abbiamo davanti alle orecchie un’orchestra che suona qualcosa del buon Sergej ci immaginiamo al buio, lo sguardo in avanti, un film che scorre là in fondo.
Il terzo legame con il mondo di cellulosa è più sottile ed ha a che fare con la nostra idea di romanticismo: sempre per via della nostra assuefazione al cinema, quando diciamo “romantico” noi oggi pensiamo a George Clooney che porta dei fiori alla sua fidanzata, non a Friedrich che vuole dipingere l’infinito. Lo sanno bene i registi di Hollywood, che infatti non si sognerebbero di accompagnare una scena “romantica” con una musica prodotta durante il Romanticismo: se i protagonisti si baciano al chiarore della luna non si può fare ascoltare una Sinfonia di Schumann, che travolgerebbe inutilmente gli spettatori. No, per fare ascoltare alle orecchie il suono di ciò che oggi diremmo romantico ci vuole una musica speciale, una musica che da Schumann, da Cajkovskij, da Liszt abbia ereditato un profumo, un colore, ma poi si sia sviluppata a contatto con il mondo del Novecento, abbia capito in fretta che la comunicazione è ormai fatta di icone, sappia far intuire il proprio intento senza dover trascinare chi ascolta in un vero vortice romantico. Ci vuole una musica che simuli il Romanticismo, che lo riecheggi, che finga. Esattamente come la musica di Rachmaninoff, in molti casi perfetta per lo scopo così com’è, negli altri indubbia matrice per la composizione di colonne sonore “a la manière de”. Senza Rachmaninoff, insomma, gli stilemi della colonna sonora non sarebbero quelli che sono, ed è dunque chiaro, ancora una volta, che quando noi la ascoltiamo ci ritroviamo in testa uno scorrere di fotogrammi.
Un ultimo legame, fortissimo, che unisce questa musica al mondo dorato della pellicola è dato dal fatto che, mentre nasceva, nel 1936, la Terza Sinfonia si immergeva in un contesto straordinario sotto il profilo cinematografico: tra Metropolis di Fritz Lang (1926), Tempi moderni di Charlie Chaplin (proprio del 1936), Orson Wells che realizzerà Quarto potere (1941), è facile rendersi conto di come il linguaggio del cinema fosse ormai a uno stadio di raffinatezza, potenza e suggestione tale da non lasciare indenne nessuna altra forma espressiva. Nemmeno la musica, dunque, tanto che il tratto costruttivo più evidente, la caratteristica “narrativa” più immediata della Terza Sinfonia di Rachmaninoff è il suo essere costruita con continui stacchi, segmentazioni, riprese, allargamenti di piano: il suo essere cioè montata esattamente come si faceva davanti a una moviola per realizzare un film. Bisogna dunque avere in mente la sua collocazione – cronologica e ideale – quando si prova a ragionare sulla Terza Sinfonia, perché soltanto così si può evitare il tranello di liquidarla come opera secondaria di un artista nostalgico: si tratta di musica poderosa, che va ascoltata con mente libera e aperta.
Certo, il rapporto con il genere sinfonico per Rachmaninoff era sempre stato difficile. La sua Prima Sinfonia, battezzata a San Pietroburgo nel 1897, era stata un tale catastrofico disastro che l’autore aveva contemplato la possibilità di suicidarsi e, comunque, quella di abbandonare la composizione. Nel 1906, quando decise di scrivere la Seconda, confessò sentimenti di angoscia, apatia e disgusto, che non impedirono tuttavia all’opera di riscuotere un caloroso successo facendo tributare a Rachmaninoff il premio Glinka, con i suoi allettanti 20.000 rubli di dotazione. La Terza nacque negli Stati Uniti, dove Rachmaninoff si era rifugiato nel ’17 per non essere travolto dalla Rivoluzione d’Ottobre e dopo un pellegrinaggio in cerca di rifugio in Svezia e in Danimarca. Era l’opera di un musicista posseduto dalla malinconia, consapevole di non poter più ritornare in patria, e non deve stupire il fatto che questa Terza sia stata descritta come “il pezzo di musica più triste che Rachmaninoff abbia mai composto”. Nonostante la partitura fosse affidata ai musicisti prodigiosi della Philadelphia Orchestra, nonostante la direzione del grande Leopold Stokowski, l’accoglienza fu pessima. La critica bollò il lavoro come anacronistico, anemico, privo di nerbo – e sembra evidente che nessuno volesse capire la bellezza di una musica che conteneva il cinema. È vero che in quegli anni nascevano capolavori che raccontavano il Novecento in modo nerboruto, violento, travolgente (l’Opera da tre soldi di Brecht e Weill è del ’28, Il naso di Sostakovic” è del ’30, la Lulu di Berg è del ’33, Porgy and Bess di Gershwin del ’35…) e che dunque per capire il carattere solitario ma incantevole della musica di Rachmaninoff occorreva un’ampiezza di vedute non facile da raggiungere. Ma di fatto lo stesso Stokowski, dopo il fallimento di quella esecuzione, non la volle più dirigere fino al 1975.
Eppure il grande direttore era sempre stato un combattivo sostenitore della musica di Sergej. A proposito dei suoi lavori aveva proclamato: “Nella musica di Rachmaninoff io percepisco sempre la più grande sincerità e, benché i suoi lavori siano spesso complessi, si tratta di una complessità organizzata; ed è questo che produce un’impressione di semplicità”. Alla testa della Philadelphia Orchestra, tra il 1920 e il 1936 Stokowski aveva diretto tutti i grandi lavori sinfonici di Rachmaninoff – il suo successore Ormandy si sarebbe poi preso cura delle Danze Sinfoniche, l’ultima partitura del Maestro. Affidare a lui la Terza Sinfonia garantiva dunque all’autore l’attenzione e la benevolenza necessari per affrontare un lavoro inedito.
Leopold Stokowki
E, in effetti, ricordando il concerto, al quale era stato naturalmente presente, Rachmaninoff scrisse che “l’esecuzione era stata meravigliosa. Sia il pubblico che la critica hanno reagito in modo acido. Ma personalmente sono fermamente convinto che si tratti di un buon lavoro. Talvolta, tuttavia, l’autore si sbaglia! In ogni modo io mantengo la mia opinione”.
L’ isola dei morti op. 29 Poema sinfonico in la minore, da un quadro di Bocklin
Il poema sinfonico L’isola dei morti, che Rachmaninoff compose nel 1908, due anni dopo aver licenziato quella Sinfonia n. 2 che forma con esso la coppia di opere che si possono considerare i suoi capolavori sinfonici. Naturalmente è una “pittura che ama”, l’elemento che ispirò l’autore, il quale in realtà non vide alcuna delle cinque versioni del celeberrimo dipinto dello svizzero Arnold Böcklin – le dipinse tra il 1880 e il 1886 e sono conservate in varie città del mondo – ma solamente una riproduzione in bianco e nero esposta a Parigi nel 1907. Tanto bastò però a indurlo a decidere che il soggetto di Caronte, che a bordo di una barca a remi traghetta sul fiume Stige un’anima destinata appunto all’Isola dei morti, raffigurata come geometrico insieme di rocce sepolcrali e cipressi, era quello che faceva per lui, che da circa un anno andava cercando il soggetto ideale per un poema sinfonico. Come avrebbe confidato per lettera a una amica anni dopo: «i colori luminosi, gioiosi, non mi riescono con facilità».
E certo luminosi non sono i colori della Toteninsel di Böcklin, dipinto che potrebbe avere affascinato Rachmaninoff non solo per la cupezza del soggetto ma anche per l’alto grado di Classicismo che la tela sprigiona. Al Böcklin dell’Isola dei morti non mancano infatti suggestioni naturalistiche ma sono in secondo piano rispetto all’amore per la qualità allegorica del soggetto: i personaggi non comunicano, sono modelli ideali inseriti nello spazio, espressi da una pittura levigata e plastica, mentre la natura, attorno a essi, tende a una rappresentazione fisica delle cose ma statica, antica, misteriosa, ove il colore assume intonazioni di severo grigiore, le linee di severa grandezza e l’insieme di severa solennità. La vita è lontana, scomparsa, l’azione è raggelata. Questo è l’elemento concettuale che incantò Max Reger nel 1913, quando dedicò al dipinto il terzo dei suoi Quattro poemi musicali da Böcklin ma questo è anche l’elemento magico, spettrale che traspare dal poema di Rachmaninoff, il quale infatti si guardò bene dal pubblicare una traccia d’ascolto del brano, e tanto meno un “programma” vero e proprio.
Ciò naturalmente non impedisce che alcuni “oggetti” del lessico sfruttato nella circostanza da Rachmaninoff non rievochino gli elementi dell’allegoria pittorica böckliniana. La dinamica immobile dell’acqua, ad esempio, si coglie fin dall’apertura del sipario negli ostinati di arpa, archi gravi, clarinetto basso, corni e timpani; lo sciabordio della barca mossa dai remi dello psicopompo Caronte è reso da un ritmo in 5/4; i pedali suggeriscono la calma della scena.
Michail Lermontov
E soprattutto il contrasto tra la vita e la morte è reso da un lato dalla presenza del motivo del Dies Irae gregoriano, così caro al musicista russo (lo aveva abbondantemente usato in tutti i quattro tempi della Prima Sinfonia e lo userà ancora nelle Danze sinfoniche) e, dall’altro lato, dall’irrompere di un magnifico, rapinoso tema di marcata intensità espressiva, che sembra voler rappresentare
un ricordo gioioso della vita prima di soccombere al potente dominio della morte.
La Roccia
Rachmaninov compose La roccia nell’estate del 1893, durante un soggiorno in campagna nei dintorni do Charkiv. Il compositore fu ispirato dall’omonima poesia di Michail Lermontov, e dal racconto In viaggio di Anton Chehov, che descrive l’incontro casuale in una locanda solitaria di due viaggiatori: una giovane donna solare ed un uomo di mezz’età oppresso dai suoi fallimenti. La roccia piacque molto a Ciakovskij, che ebbe modo di ascoltarla eseguita al pianoforte da Rachmaninov stesso, durante un incontro in casa di Sergey . L’opera venne eseguita in pubblico per la prima volta a Mosca il 20 marzo 1894, diretta da Vasiliij Safonov, in occasione di un concerto della Società musicale russa.
Struttura della composizione
La fantasia inizia con un tema suonato da violoncelli e contrabbassi, che rappresenta l’uomo, seguito da una luminosa melodia del flauto, che rappresenta la giovane donna. Il flauto introduce poi un ulteriore motivo che si ripete nel corso dell’opera, che simboleggia i problemi dell’uomo. I vari elementi portano ad un climax, fino a quando la ragazza se ne deve andare, lasciando solo l’uomo.