Rachmaninov Sergej

Preludes opp. 23 & 32

Per coloro che amano la musica per pianoforte e in particolare i Preludi di Sergej Racmaninov, questo CD fa per voi. Registrazione eseguita nel 1975 e rimasterizzazione effettuata nel 2001. Audio eccezionale. Altamente raccomandato.

13 Preludi op. 32

Il preludio per antonomasia di Rachmaninov fu per moltissimo tempo quello in do diesis minore, secondo numero dell’op. 3 composta a diciannove anni, nel 1892. Azzeccato il pezzo di successo, per quasi dieci anni, durante i quali il Preludio in do diesis minore entrava nel repertorio di tutti i pianisti e diffondeva il nome del suo autore in tutto il mondo, Rachmaninov non pensò più alla forma del preludio.
Tra il 1901 e il 1903, tornato a comporre dopo aver attraversato una gravissima crisi, Rachmaninov scrisse dieci preludi, pubblicati sotto il numero d’opera 23.

L’ordinamento tonale sembra essere del tutto casuale, ma è singolare il fatto che i dieci preludi siano in dieci diverse tonalità, e che tra le dieci non si trovi il do diesis minore del Preludio celeberrimo.
Della serie op. 23 divennero molto noti lo spettacoloso n. 2 in si bemolle maggiore e il n. 5 in sol minore, che sembra una piccola storia cavalleresca. Vari pianisti li misero in repertorio, Rachmaninov li esegui spesso, con l’aggiunta, di solito, di alcuni altri, ma senza presentare di norma la serie completa.
Nel 1910 Rachmaninov compose altri tredici Preludi, pubblicati come op. 32. Tredici pezzi in tredici diverse tonalità: tutte quelle che, insieme con le dieci dell’op. 23 e con l’unica dell’op. 3 n. 2, componevano il mosaico delle ventiquattro tonalità.
Ventiquattro preludi nelle ventiquattro tonalità li avevano composti verso il 1830 Hummel e Kessler. Ma si doveva ascrivere a merito indiscusso di Chopin l’aver fatto, dell’idea geometrica della raccolta in ventiquattro tonalità, l’idea architettonica di un ciclo organico che simboleggiava la musica stessa.
Molti altri compositori – Skrjabin per ultimo – avevano provato a ripetere l’impresa di Chopin, affrontando il problema di petto. Rachmaninov arrivò invece ad affrontarlo per le vie traverse: un pezzo nel 1892, dieci tra il 1901 e il 1903, tredici nel 1910. E per scaramanzia o per gioco – non è pensabile che si tratti di un caso – fece attenzione ai numeri d’opera: op. 3/2, op. 23, op. 32.
Resta da vedere, e il problema è stato qualche volta discusso, se il complesso dei ventiquattro pezzi sia da intendere come unità, o se Rachmaninov, più che pensare a un ciclo, pensasse a mettere insieme tutti i tasselli di un puzzle. Le forti diversità stilistiche fanno credere a noi che sia da ritenere fondata la seconda ipotesi, che il Preludio in do diesis minore si inserisca quindi perfettamente solo nel contesto dell’op. 3, e che le altre due raccolte siano artisticamente autonome. Le ventiquattro tonalità, sempre a parer nostro, appartengono insomma a uno schema intellettuale, non a un disegno architettonico.
Il Preludio n. 1 in do maggiore, Allegro vivace, è tra i più brevi della raccolta, occupando tre pagine a stampa mentre il ‘taglio’ medio prevalente dei preludi di Rachmaninov è di quattro pagine; per dare un’idea del diverso modo di intendere il termine stesso di «preludio» diremo che il taglio prevalente in Skrjabin è di una pagina, e che i pezzi più brevi occupano in lui un mezzo o un terzo di pagina. Il Preludio n. 1 è basato su una formula tecnica da studio, che può ricordare il primo dei due Studi op. 1 di Carl Tausig, molto noti nella Russia prerivoluzionaria. La forma è quella dello studio: esposizione, sviluppo, riesposizione e breve coda.

Il Preludio n. 2, Allegretto in si bemolle minore, è formalmente un po’ più complesso, sebbene sempre monotematico. Il tema, in ritmo di siciliana, dà origine a una transizione e a uno sviluppo in movimento più mosso (Allegro) e di scrittura molto ornamentata; la riesposizione (Allegro moderato) è variata, e la coda (Allegro scherzando) è assai più ampia di quella del Preludio n. 1.
Il Terzo Preludio, Allegro vivace in mi maggiore, è una vera e propria toccata in forma di studio, con una singolare caratteristica formale: il tema viene presentato incompleto nell’esposizione e completo nella riesposizione.
Il Preludio n. 4, Allegro con brio in mi minore, è il più lungo (otto pagine a stampa) e il più interessante formalmente. Il tema principale, in rapidi accordi staccati, è preceduto e inframmezzato da una fanfara in suoni lunghi e tenuti da cui nascerà il secondo tema (Lento). A collegare i due temi Rachmaninov pone uno pseudofugato (solo la partenza, non il seguito, è un fugato) sul primo tema. Dopo il secondo tema Rachmaninov inserisce un altro sviluppo del primo tema molto virtuosistico per l’impiego delle seste e poi delle ottave e degli accordi, e lo raccorda con un terzo tema; una sintetica citazione del primo tema e una coda brevissima concludono la composizione, che per l’ampiezza delle proporzioni e la difficoltà tecnica costituisce l’elemento di raccordo tra i Preludi op. 32 e le Etudes-Tableaux op. 33 del 1911.
Le tonalità di sol sono spesso impiegate da Ravel, fin dal primo pezzo della Suite op. 5 per due pianoforti, in composizioni ispirate al simbolismo dell’acqua. Il Preludio n. 5, Moderato in sol maggiore, è tutto percorso da un moto ondeggiante di suoni brevi che a parer nostro si richiama appunto all’acqua; una incantevole melodia si staglia sopra questo accompagnamento incantatorio. La forma è monotematica, con uno sviluppo brevissimo.
Anche il Preludio n. 6 in fa minore, Allegro appassionato, preannuncia le Etudes-Tableaux, ma non è sviluppato quanto il n. 4. La figurazione iniziale (una terzina, due suoni lunghi) si sdoppia in tema e accompagnamento, con passi virtuosistici tra i più ardui che Rachmaninov abbia mai immaginato.
L’organizzazione formale dell’op. 32 è basata sui contrasti di carattere, non sulle tonalità, ma al centro abbiamo comunque una progressione secondo la scala diatonica (mi, sol, fa, la, si) e un regolare alternarsi dei modi maggiore e minore. Dopo il tumultuoso Preludio n. 6 in fa minore, il n. 7 è un Moderato in fa maggiore, calmo e incantatorio, in cui Rachmaninov gioca uno sull’altro, e uno complementare all’altro, tre elementi sonori: una melodia, una contromelodia, un ritmo molto caratteristico. Si tratta in realtà di un’ultima ed estenuata riassunzione della struttura sonora inventata da Mendelssohn nelle Romanze senza parole e che nella seconda metà dell’Ottocento era diventata comunissima e usuratissima. Rachmaninov la riprende come oggetto straniato, trasfigurandolo in una terza parte in cui ricompare il simbolo dell’acqua.

Vladimir Ashkenazy

Toccatistico è l’Ottavo Preludio, Vivo in la minore: un brano a moto perpetuo in cui rivive l’eco di un Settecento (Scarlatti in particolare: basti pensare ai giochi delle mani incrociate) guardato con gli occhi del virtuoso tardoromantico.
Nell’equilibrio della raccolta entra anche l’alternarsi di tipi di strumentazione diversi. Dopo la linearità del Preludio n. 8, il n. 9 in la maggiore, Allegro moderato, è di scrittura densissima, con molti raddoppi. Il modello è anche qui quello delle Romanze senza parole di Mendelssohn, ma la strumentazione è virtuosistica, non più legata all’esecuzione privata del dilettante. Si tratta di una caratteristica essenziale della poetica di Rachmaninov, che trasferisce, che ‘trapianta’ nella sala di concerto il filone intimistico della musica romantica.
Il decimo Preludio, Lento in si minore, è il più rappresentativo di alcuni filoni costanti della poetica e dello stile di Rachmaninov. Nella parte centrale (il pezzo è in forma tripartita, con due temi) la scrittura strumentale condensa su un solo pianoforte due blocchi di eventi sonori che potrebbero trovare la loro collocazione su due pianoforti. Nella formazione del linguaggio pianistico di Rachmaninov questa è una caratteristica che, dopo lo studio accurato della Suite op. 5 per due pianoforti, si definisce nei Momenti musicali op. 16 e che permane fino a quando Rachmaninov non abbandona la Russia (dopo, negli anni degli Stati Uniti, lo stile pianistico di Rachmaninov si evolverà, ma la creazione di pagine nuove diventerà marginale rispetto al lavoro di interprete).

Il collegamento tra la seconda parte e la riesposizione avviene con una cadenza che cresce fino a un punto culminante rappresentato da una grande coloratura in tempo libero.

Vladimir Ashkenazy

Nella prima e nella terza parte il tono è quello, tipico anch’esso di Rachmaninov, di racconto epico, di vicende immutabili che vengono incessantemente ripercorse. E infine, nelle ultime tre battute, un cromatismo orientaleggiante introduce il banale, il Kitsch del quotidiano, della musica d’uso priva di qualità; e anche di questi violenti contrasti – il paragone è forse troppo impegnativo, ma si possono ricordare i poeti metafisici inglesi – è fatta la poetica di Rachmaninov. La scrittura del Preludio n. 11, Allegretto in si maggiore, è a blocchi di accordi, senza coloratura e senza ‘messinscena’, e ricorda sorprendentemente quella del tardo Brahms. Anche il tono espressivo di danza leggera e la mancanza di culmini emotivi (in tutto il pezzo, caso unico in Rachmaninov, figura un solo forte) ricorda il tardo Brahms disincantato.
Il penultimo Preludio, Allegro in sol diesis minore, riprese i toni del n. 5, con una scrittura più delicata ancora e più lucente. L’ultimo, Grave in re bemolle maggiore, è una pagina complessa formalmente, ricca di episodi contrastanti, di sonorità molto densa, che apre, come il n. 4, la strada alle Etudes-Tableaux.

10 Preludi op. 23

Strano destino quello di Rachmaninov, amato dal pubblico per la sensibilità armonica e la vena melodica inesauribile e, per le stesse caratteristiche, ritenuto un epigono del Romanticismo da critici e colleghi. Nella Russia di fine Ottocento vi sono ottimi musicisti usciti dalle Accademie, con una grande preparazione tecnico artigianale ma talvolta “ingenui” dal punto di vista culturale; Rachmaninov credeva in un Romanticismo acritico in cui il suo esuberante senso melodico trovava un’espressione diretta senza porsi problemi riguardo alla forma o al mezzo espressivo. Le innovazioni linguistiche dei suoi contemporanei lo lasciavano indifferente (o poco disponibile) e considerava “cerebrali” musicisti come Debussy, Ravel, Skrjabin e Schönberg. Ciò non significa che non si ponesse problemi di carattere formale (spesso rivedeva le proprie partiture sottoponendole a tagli e revisioni) ma è certo che si possono apprezzare di più le sue doti nelle pagine di dimensioni ridotte piuttosto che nelle composizioni dalla forma più elaborata, come ad esempio le Sinfonie.
Pur avendo uno straordinario talento pianistico, Rachmaninov fu sempre interessato alla composizione e vinse, a soli 19 anni, la medaglia d’oro del Conservatorio di Mosca. Incoraggiato da Cajkovskij e da un contratto con l’editore Gutheil, vedeva nella scrittura musicale il mezzo più immediato di espressione: «Per me – affermava – comporre era come parlare, e spesso la penna riusciva a malapena a seguire il rapido volo delle mie idee musicali». Tanta naturalezza però si scontrò con i gusti del pubblico che decretò un solenne fiasco alla sua prima Sinfonia scritta a ventiquattro anni. «Mi sentivo come uno che aveva sofferto un colpo apoplettico e perduto per molto tempo l’uso della testa e delle mani»; fu necessario l’intervento di un “ipnotizzatore” per tirar fuori il compositore da questo stato di prostrazione e ridar vita al suo talento.
La nuova stagione creativa si aprì con il Concerto n. 2 per pianoforte e orchestra seguito dalla Sonata per violoncello e pianoforte, la Cantata La primavera, le 12 Canzoni (op. 21), le Variazioni su un tema di Chopin e i 10 Preludi (op. 23). Pubblicata nel 1904, la raccolta dei 10 Preludi fu pensata per formare, insieme ai 13 dell’op. 32 e al Preludio in do diesis minore op. 3 n. 2, un ciclo di 24 Preludi che abbracciassero tutte le tonalità. A partire da Bach, con il suo Clavicembalo ben temperato, molti musicisti erano rimasti affascinati dalla possibilità di comporre su ogni nota della scala (12 semitoni intesi nell’accezione maggiore e minore) proprio con l’idea di poter sondare le caratteristiche di ogni singola tonalità (ricordiamo tra gli altri esempi celebri, i 24 Preludi op. 28 di Chopin, i 24 Preludi op. 11 di Skrjabin e il Ludus Tonalis di Hindemith). In Rachmaninov l’influenza chopiniana è molto forte anche se i suoi Preludi sono più lunghi e strutturalmente più complessi di quelli del compositore polacco. La libertà formale, connaturata al genere del Preludio, è

sfruttata appieno e in queste pagine troviamo decine di idee melodiche e formule tecniche inconsuete; le atmosfere sono in continua mutazione e accanto al sentimento nostalgico (frutto di una delicata melodia adagiata su una tonalità minore) troviamo momenti rudi o ironici (caratterizzati da veloci accordi ripetuti su e giù per la tastiera).
Anche i 10 Preludi op. 23, sono un numero sufficiente per dar conto, dell’enorme capacità espressiva e dell’inesauribile fantasia del compositore. Nel n. 1 (Largo in fa diesis minore) il tema frammentato affidato alla mano destra si intreccia con la melodia della sinistra offuscata dall’accompagnamento per quartine; l’incrocio della mani permette al compositore di sfruttare appieno tutti i registri della tastiera alternandoli continuamente. Nel n. 2 (Maestoso in si bemolle maggiore) continui arpeggi della mano sinistra coprono quasi metà della tastiera e, in mezzo a cascate di note dall’acuto al grave, emergono i temi principali. Nel n. 3 (Tempo di minuetto in re minore) la scrittura per grandi accordi rimanda alle sonorità dei cori russi; l’armonia è piuttosto originale e l’assenza di “arabeschi” strumentali permette di assaporarne tutte le sfumature. Nel n. 4 (Andante cantabile in re maggiore) sembra di sentire l’eco di Chopin grazie all’idea, tutta classica, di affidare il canto alla mano destra e l’accompagnamento alla sinistra.
Il n. 5 (Alla marcia in sol minore) è forse il più famoso dei dieci, non solo per il tipo di scrittura pianistica molto robusta (con accordi fitti e ribattuti e forti accenti sul tempo debole della battuta), ma soprattutto per il modo in cui è costruito, tipico di Rachmaninov. La composizione segue infatti una curva espressiva nella quale l’elemento iniziale (eroico e baldanzoso) viene ripetuto ossessivamente in un crescendo dinamico pieno di energia, interrotto da una parte centrale più cantabile. Nel n. 6 (Andante in mi bemolle maggiore) si intrecciano due linee melodiche, una con note veloci alla mano sinistra, l’altra con note lente affidate alla destra. Si annulla così il principio del “canto e accompagnamento” grazie al sottile gioco di rifrazioni tra regione grave ed acuta della tastiera. Il n. 7 (Allegro in do minore) è tra i più difficili tecnicamente e richiede una grande scioltezza e leggerezza delle mani: l’indicazione metronomica prescrive l’esecuzione di più di otto note al secondo, una richiesta plausibile se si trattasse di note vicine, ma in questo caso le note sono spesso lontane e apparentemente impossibili da raggiungere.

Preludio in do diesis minore op. 3 n. 2

Il Preludio in do diesis minore fu una delle prime composizioni del diciannovenne Rachmaninov come “libero artista”, dopo essersi diplomato al Conservatorio di Mosca il 29 maggio 1892. Il brano venne eseguito per la prima volta dall’autore nel settembre 1892 al festival Moscow Electrical Exhibition, assieme agli altri Morceaux de fantaisie.

Vladimir Ashkenazy

Dopo questa première, una recensione del concerto si soffermò sul preludio, notando che aveva “acceso l’entusiasmo. Da quel momento la sua popolarità crebbe per diventare una delle composizioni più famose di Rachmaninov. Suo cugino Aleksandr Ziloti rese celebre il brano nel mondo occidentale. Nell’autunno del 1898 Rachmaninov fece un tour in Europa e negli Stati Uniti d’America, con un programma contenente il preludio. Poco dopo, le testate di Londra fecero uscire diverse edizioni con titoli come The Burning of Moscow (Il rogo di Mosca), The Day of Judgement (Il giorno del giudizio) e The Moscow Waltz (Il valzer di Mosca). In America accadde la medesima cosa, con titoli come The Bells of Moscow (Le campane di Mosca). Il brano divenne così famoso che ci si riferiva ad esso come al “preludio”, ed il pubblico quando ne chiedeva la replica ai concerti di Rachmaninov urlava:”C sharp!” (do diesis in inglese).