Saint-Saens Camille

Les Carnaval des Animaux

Questo CD è molto bello. Camille Saint-Saens mi ha trasportato in un incredibile viaggio allo zoo con il Carnevale degli Animali, nell’Antica Grecia con Phantéon, nel mondo di Hercules con Le Rouet d’Omphale e al cimitero con Danse Macabre. Ho ascoltato diverse versioni di quest’ultima e la valuto come la migliore eseguita. Il Carnevale degli Animali è stato, comunque sia, il mio preferito tra tutti. L’ho ascoltato quando ero giovane e da allora non ho fatto altro che cercarlo. Poi l’ho finalmente trovato in questo CD. Mi è piaciuta molto l’Introduzione e la Marcia reale del Leone per la sua maestosità e regalità, l’Acquario per la sua grazia e il Cucù nel bosco per la sua calma ed Emioni per la sua velocità.
Il cigno è il più famoso, però i miei preferiti sono Acquario e Fossili.
È proprio vero che da idee semplici possono nascere opere geniali come quelle dell’autore francese. Ottima registrazione e un pannello di esperti di musica francese come il direttore svizzero Charles Dutoi e il pianista Pascal Rogé .

Nell’insieme, mi è realmente piaciuto questo CD e lo raccomando a tutti. Registrazione in DDD eseguita nel1980 e rimasterizzazione effettuta nel 1986.

Les Carnaval des animaux

Singolare destino quello di Le carnaval des animaux: diventare il brano più celebrato e diffuso di un compositore che ne aveva assolutamente proibito l’esecuzione. Ma forse proprio in questo paradosso è possibile cogliere i motivi più autentici della proibizione: Camille Saint-Saëns temeva che l’esecuzione pubblica della deliziosa partitura potesse compromettere la sua immagine di compositore “serio”, i cui galloni erano stati guadagnati sui campi del Secondo Impero e della Terza Repubblica. Del secondo romanticismo francese, infatti, Saint-Saëns fu protagonista indiscusso, come virtuoso di pianoforte, di organo, compositore, didatta, animatore di rinomate istituzioni, e via dicendo. La fondazione, nel 1871, della Societé National de Musique, insieme a Lalo, Franck, Fauré, Massenet, lo vide in prima fila nello sforzo di definire un’arte nazionale, come argine da contrapporre al dilagare della musica tedesca, e wagneriana in particolare, promuovendo la musica francese e i giovani compositori.
In un panorama che vedeva fiorire una produzione strumentale estremamente fertile, Saint-Saëns rappresentò, nel mondo musicale della III Repubblica, il punto di incontro e di equilibrio fra tendenze opposte, quella di un rigore formale di estrazione classicistica, sempre attento alla costruzione di architetture meditate, e quella di una espressività controllata sì, ma non esente da estroversioni e implicazioni passionali. Di qui una produzione che alterna sinfonie e poemi sinfonici, opere teatrali e musica da camera, composizioni chiesastiche. Un contesto serioso oltre che serio, in cui la piccola “Grande fantasia zoologica” – l’ossimoro è lecito, poiché il titolo ha sapore ironico – non è facilmente inseribile senza tener presente da una parte la vocazione gaudente della Parig fin de siècle, dall’altra la destinazione privata.
Sembra che la prima idea del Carnaval des animaux fosse didattica, ovvero rivolta a insegnare la tecnica pianistica ai discenti della celebre Ecole Niedermeyer, cercando nel contempo di non annoiare, attraverso una galleria di ritratti di animali. Il progetto, comunque, si concretizzò solamente nel febbraio 1886, quando Saint-Saëns, dopo una trionfale tournée a Praga e Vienna, si fermò a riposare in una cittadina austriaca. Qui nacque la partitura destinata a undici strumentisti e pensata in vista di una festa di carnevale. Il 9 marzo, sera di martedì grasso, presso l’anziano violoncellista Charles Lebouc – figlio adottivo di Adolphe Nourrit, il grande tenore rossiniano che aveva creato il ruolo di Arnold nel Guillaume Tell – la fantasia venne eseguita con il concorso di alcuni scelti solisti; ai due pianoforti sedevano lo stesso Saint-Saëns e Louis Diémer, futuro docente al Conservatoire nonché insegnante di allievi quali Alfred Cortot e Robert Casadesus; entrambi i pianisti indossavano maschere facciali zoomorfe.

Camille Sain-Saens

Dopo pochi giorni, ecco una seconda esecuzione privata, presso la società “La Trorripette”; poi il 2 aprile i salotti di Mme. Pauline Viardot – la figlia di Manuel Garcia e sorella di Maria Malibran – si aprirono per una terza e ultima esecuzione, pensata per omaggiare Franz Liszt, venerato maestro di passaggio a Parigi. Dopo di che, il silenzio, o quasi. Saint-Saëns consentì in vita la pubblicazione solamente del penultimo numero della partitura, “Le cygne”, per violoncello e pianoforte, pensato per far ben figurare il padrone di casa Lebouc, brano che divenne ben presto favorito di molte ballerine, come la leggendaria Pavlova. Saint-Saëns diede però disposizioni che Le carnaval des animaux venisse pubblicato dopo la sua morte (1921) dal suo editore Durand; e infatti il 25 febbraio 1922 si ebbe la prima esecuzione pubblica, da cui ebbe origine la straordinaria fortuna del pezzo.
Saint-Saëns, autore rivoluzionario da giovane e conservatore in vecchiaia – quando, secondo una parabola comune a molti, scagliava anatemi contro Strauss, Debussy e ovviamente Stravinskij – non poteva sapere che il suo lavoro umoristico sarebbe tornato a vivere nel momento storicamente più propizio. Il fiorire, negli anni Venti, delle poetiche neoclassiche, in funzione antiromantica, era il miglior humus possibile per accogliere un lavoro che proprio il romanticismo metteva in berlina. Il carnevale, festa del rovesciamento dei valori, dello sdoppiamento della personalità, aveva stimolato in Saint-Saëns una operazione di raffinato esito intellettuale, prima che musicale, affine per molti versi ai calembours del vecchio Rossini, e possibile, d’altronde, solo da un compositore di ascendenza classicista. Attraverso la galleria degli animali esposta dalla partitura, gli stilemi della musica romantica venivano come depurati, oggettivati, e quindi irrisi. Non a caso la partitura accoglie numerose citazioni, da autori iperromantici, come Berlioz e Mendelssohn, o antiromantici, come Offenbach e Rossini, per tacere di una autocitazione. Lo stesso organico, lontanissimo dall’ipertrofia del tardoromanticismo, sembra novecentesco: due pianoforti, due violini, viola, violoncello, flauto (e ottavino), contrabbasso, clarinetto, armonica (o meglio glassarmonica) e xilofono; strumenti chiamati a suonare i quattordici bozzetti secondo una selezione di timbri che somma tutti gli esecutori solo nel finale.
Nella “Introduction et Marche Royale du Lion”, che apre la fantasia, converrà notare non solo la seriosità marziale dell’intonazione ma l’unisono degli archi rispetto ai ritmi solenni dei pianoforti, interrotti dai gravi ruggiti cromatici. “Poules et Coqs” seleziona clarinetto, due violini, i pianoforti per una raffigurazione onomatopeica. La didattica si affaccia in “Hémiones (animaux véloces)”, dove scale e arpeggi hanno il sapore dello studio. In “Tortues” troviamo la citazione del celebre can-can dall’Orfée aux enfers di Offenbach,
ma esposto dagli archi, sul sostegno del primo pianoforte, con un tempo “da tartaruga”, come si suol dire.

Charles Dutoit

La “Danza delle silfidi” dalla Damnation de Faust di Berlioz e l’aereo scherzo dal Sogno di una notte di mezza estate di Mendelssohn vengono appesantiti dal contrabbasso che, accompagnato dal secondo pianoforte, suona “L’Eléphant”. I salti delle due tastiere si alternano in “Kangourous”. L’armonia cromatica e una timbrica perfetta, dovuta agli archi con sordina, agli arpeggi dei pianoforti con “una corda”, e all’impasto fra flauto e armonica, creano l’ambientazione spaziale di “Aquarium”. I due violini si alternano nei grandi salti dei “Personnages à longues oreilles”. Ed ecco un altro stereotipo romantico, con “Le Coucou au fond des bois”, dove in primo piano sono gli accordi misteriosi dei due pianoforti (una corda) e, fra le quinte, il clarinetto, che ripete sempre lo stesso intervallo caratteristico. E non meno stereotipate sono le volatine del flauto e i rincalzi dei pianoforti, sui tremoli degli archi, in “Volière”. Fra i tanti animali non mancano i “Pianistes”, che mettono in berlina gli esercizi meccanici, goffamente eseguiti, dei principianti, ogni volta ascendendo di un semitono, con i secchi accordi degli archi. Quanto ai “Fossiles”, è in questo “Allegro ridicolo” che vengono inserite le citazioni più cospicue, ironiche e autoironiche, con la Danse macabre dello stesso Saint-Saëns, le canzoni popolari J’ai du bon tabac, Ah! Vous dirai-je, marnati, Partant pour la Syrie, nonché la cavatina della “vipera” dal Barbiere di Rossini; il tutto scandito dallo xilofono, insieme a clarinetto, pianoforti e archi. Il brano più celebre è però “Le cygne”; il delicatissimo accompagnamento dei due pianoforti fa qui da sfondo a una melodia lunga e levigatissima, suadente, del violoncello, tutta giocata sulla linearità e sulla capacità di rinviare da semifrase a semifrase l’atteso riposo. Dopodiché, il “Final” è un galop in cui riaffiorano lacerti provenienti da tutta la fantasia, in un carosello sintetico e brillantissimo.