Shostakovich Dmitri

The Symphonies

Tra le non molte integrali delle quindici Sinfonie di Shostakovich degne di nota (si pensi a Mravinsky, Barshai, Kondrashin, Jansons, Gergiev), quella che vede protagonista il direttore olandese Bernard Haitink, realizzata tra il 1977 e il 1986, ha goduto da sempre di una fama e di un successo di pubblico e di critica davvero larghissimi, a buon diritto e per più d’un motivo. Anzitutto, deve essere messa in primo piano la presenza di due orchestre del calibro di quella del Concertgebouw di Amsterdam e della London Philharmonic, che offrono performances di livello davvero eccellente, rispondendo pienamente alla direzione asciutta ma scrupolosissima di Haitink, capace di cogliere, esaltare e svelare in ciascuna sinfonia non solo le componenti tipicamente più caratteristiche dello stile, del colore e del linguaggio musicale di Shostakovich (spesso ricondotte in modo grossolano, semplicistico e riduttivo al “realismo socialista”), ma anche e soprattutto i passaggi più descrittivi e quelli più profondi e riflessivi. Due Orchestre di questo calibro, del resto, assicurano al Maestro olandese un’affidabilità che sembra invece mancare (purtroppo) ad altre orchestre cimentatesi in queste sinfonie sotto la bacchetta di pur grandi direttori (un esempio per tutti, la non sempre precisa Orchestra di Pittsburgh nell’integrale Warner di Jansons).
D’altro canto, in una logica che esula dal modello delle integrali sinfoniche affidate ad un unico direttore, ciascuno è pur libero di preferire altre versioni di ciascuna sinfonia (restano magistrali pilastri della discografia ad esempio le varie interpretazioni di Mravinsky, la Settima di Bernstein, la Decima di Karajan o alcune interpretazioni di Rostropovich, e per questo suggerisco l’acquisto della interessante integrale affidata a più bacchette edita recentemente dalla DG nella collana “Collector’s Edition”), ma Haitink si rivela una guida indubbiamente affidabile in questo repertorio: benché forse lontano dall’idiomatico temperamento di Mravinsky o dalle magistrali ed inquietanti capacità di Jansons nel cogliere i lati più introspettivi di questi lavori, il Maestro di Amsterdam appare come pochi altri costantemente ispirato nell’attenta esegesi di questi capolavori. Senza dubbio, però, il principale punto di forza dell’integrale di Haitink risiede, oltre che nelle Orchestre, nel meraviglioso ed inconfondibile suono Decca: le incisioni, sia analogiche che digitali, rimangono negli standard più elevati offerti dalla casa discografica britannica, cosicché l’ascolto di questi capolavori è ogni volta un vero piacere per le orecchie, che colgono subito e godono della trasparenza, dell’equilibrio, della presenza e della spaziosità del suono.
Particolare importanza è data qui ai primi lavori risalenti agli esordi compositivi dell’ultimo grande sinfonista Russo, con scrupolosa attenzione alla Sinfonia n. 2 “A Ottobre” e alla n. 3 “Il Primo Maggio”; spettacolari le grandi sinfonie di guerra, che vantano una Settima “Leningrado” e un’Ottava tra le più belle in discografia; epici e infuocati sono gli affreschi descrittivi dell’Undicesima (“L’anno 1905”) e della Dodicesima (“L’anno 1917”), in cui l’orchestra ritrae con efficace vigore i sommovimenti della Russia rivoluzionaria; grande è infine Haitink nel cogliere pienamente il dramma e l’angoscia che pervadono le ultime tre sinfonie, di cui vertice assoluto restano la lugubre Tredicesima “Babi Yar” e la Quattordicesima, che vede protagoniste d’eccezione le voci di Dietrich Fischer-Dieskau e della brava collega e consorte Julia Varady. Completano la raccolta i “Sei poemi di Marina Tsvetaeva” Op. 143, magistralmente interpretati dal contralto Ortrun Wenkel, e la splendida raccolta “Dalla poesia popolare ebraica” Op. 79, dove il trio di voci protagoniste annovera nientemeno che Elisabeth Soderstrom, affiancata da Ortrun Wenkel e dal tenore Ryszard Karczykowski.
Accompagna il box un bel libretto, finalmente anche in italiano, che descrive in modo efficace ed approfondito la genesi di ciascuna sinfonia.
Rimane dunque questa una delle più importanti ed imprescindibili integrali sinfoniche di Shostakovich, il cui ascolto è caldamente consigliato a chi già apprezzi il compositore russo e a chi voglia scoprirlo nella sua interezza e in una incisione di qualità complessivamente ottima. Buon ascolto a tutte e tutti voi! Registrazioni eseguite dal 1977 al 1986. Audio come di consueto in casa DECCA eccezionale. Cofanetto imperdibile!

Sinfonia n. 1 in fa minore, op. 10

Durante gli anni Venti la musica occidentale attraversò un periodo di rivoluzione: la tonalità non veniva più accettata come principio universale, ed era iniziata una reazione contro quella che veniva considerata la “smoderatezza” dell’epoca romantica, contro l’espressione intensamente soggettiva. Sotto il profilo politico quegli anni videro i primi tentativi della Russia postrivoluzionaria di mettere in pratica la propria ideologia. Le autorità esigevano che la nuova musica svolgesse un ruolo importante nello stabilire il nuovo modo di vivere; i compositori dovevano dare maggior peso alle questioni sociali e morali piuttosto che alle considerazioni estetiche, e la musica andava considerata come strumento di propaganda e non come espressione della visione personale di un artista. Per la durata di un decennio dopo la rivoluzione del 1917 fu permesso alle tendenze progressive di fiorire, dato che evidentemente era difficile definire il contenuto politico di una sinfonia puramente strumentale o di un quartetto per archi. Regnava quindi una tolleranza notevole nei riguardi dei metodi e degli stili musicali, e addirittura venivano incoraggiati con fervore gli artisti dell’avanguardia. Era considerato un grande merito oltraggiare i gusti convenzionali della borghesia, e in generale durante questo periodo si assumeva che gli idiomi musicali dell’Occidente si potessero adottare senza compromessi ideologici.
Shostakovich fu ammesso al conservatorio di Leningrado nel 1919 come pianista e compositore, e studiò composizione con Maximilian Steinberg, genero dell’allievo prediletto di Rimski-Korsakov. Ben presto diventò pianista virtuoso di notevole fama, distinguendosi nel 1927 al Concorso internazionale Chopin a Varsavia, e molte delle opere che scrisse da studente erano concepite per il pianoforte. Ciononostante la sua op. 1 fu uno Scherzo per orchestra, ed egli completò un certo numero di brani orchestrali prima della sua op 10, la sinfonia che consegnò nel 1925 come esame per il diploma. La prima esecuzione ebbe luogo a Leningrado l’anno successivo.
Il disegno formale dell’opera è tradizionale; il moto perpetuo del secondo movimento fa le veci di uno scherzo. La concezione è singolarmente unitaria, con riferimenti melodici tra i vari movimenti, come i drammatici colpi dei timpani senza accompagnamento nel finale che ripropongono, al rivolto, una figura di sei note che risalta nel terzo movimento. Certo non mancano gli echi di Hindemith, del Petruska di Stravinski, e della Sinfonia “classica” di Prokofiev, oltre alle reminiscenze di Ciaikovskij, Scriabin e Mahler. Tuttavia l’effetto della sinfonia è profondamente individuale.

Sinfonia n. 2 in si bemolle maggiore, “All’ottobre – una dedica sinfonica”

Tra le composizioni che nacquero tra la Prima e la Seconda sinfonia vi fu l’opera satirica Il naso (basato su Gogol), la musica per il film muto Nuova Babilonia, e la musica di scena per La pulce di Maiakovski nella produzione di Vsevolod Meyerhold, al cui teatro Shostakovich lavorò per alcuni mesi. Le sue esperienze nel cinema e nel teatro, e in particolare la sua osservazione dei metodi costruttivisti della presentazione teatrale di Meyerhold, si rispecchiarono nelle sonorità vistose dello stile che stava sviluppando oltre che nella strutturazione episodica. Shostakovich considerò la sua Prima sinfonia troppo tradizionale quando cominciò a scrivere la Seconda. Di conseguenza con la Seconda e la Terza sinfonia, rispettivamente del 1927 e del 1929, egli creò opere sperimentali nelle quali cercò di abbandonare i concetti della forma sinfonica e dello sviluppo tematico che gli avevano inculcato i suoi insegnanti – principi che erano stati derivati dalle opere di Ciaikovskij, Rimski-Korsakov e Saint-Saens.
La Seconda e la Terza sinfonia illustrano chiaramente le tendenze musicali e politiche di questa fase di transizione della musica russa, ed entrambe uniscono tecniche innovatorie con semplici arrangiamenti corali di testi rivoluzionari. Entrambe sono concepite in un arco unico che conclude con un adattamento corale. La Seconda non è nemmeno indicata come sinfonia sulla pagina della copertina, recando invece l’iscrizione “All’ottobre – una dedica sinfonica”; l’opera scritta su commissione dello Stato per la celebrazione del 10o anniversario della Rivoluzione d’ottobre. Il testo di Alexander Bezimenski parla della sofferenza e dell’oppressione delle masse prima che si sollevasse la rivolta: “Abbiamo marciato, abbiamo supplicato per il lavoro e per il pane, i nostri cuori erano afflitti nella morsa dell’angoscia”, e conclude con un saluto “All’ottobre, alla Comune e a Lenin!”.
La sezione puramente strumentale è estremamente sperimentale: gran parte di essa è priva di tonalità e densa nella tessitura. Nella seconda sezione del prologo strumentale, un trio del violino solista, clarinetto e fagotto – piuttosto bizzarro nelle sue armonie e nei ritmi, oltre che nella strumentazione e nella tessitura – viene intensificato al punto di diventare un “rumore” di tredici linee indipendenti nei legni e negli archi.
Un altro tocco futuristico, lo squillo di un “fischio di fabbrica” (strumentato alternativamente per corni e tromboni), annuncia l’introduzione del coro.

Sinfonia n.3 in mi bemolle maggiore, op.20 “Il primo maggio”

La Terza sinfonia, composta nel 1929, è basata su un testo di Semion Kirsanov in commemorazione delle celebrazioni annuali del Primo maggio nella Russia sovietica: “Mieteremo la terra, il nostro tempo è venuto…… Ogni Primo maggio è un passo verso il socialismo”. L’opera è di tessitura più semplice e risulta più chiaramente definita della Seconda nel ritmo, ma benché vengano impiegati più frequentemente gli accordi semplici, abbondano anche qui le contraddizioni tonali. Nonostante le ricorrenti figurazioni ritmiche e melodiche l’effetto è una successione vertiginosa di episodi separati. Il musicologo e critico sovietico Boris Asafiev definì la Terza sinfonia “praticamente l’unico tentativo di produrre una sinfonia dall’oratoria della rivoluzione, dall’atmosfera e le intonazioni degli oratori”.
Ben presto in Russia lo sviluppo “naturale” della musica secondo le leggi proprie sarebbe stato arrestato dalle condizioni poste dal credo politico. Shostakovich tuttavia non fu ostacolato nel conseguimento dei propri obiettivi artistici, e l’essenza del suo stile rimase intatta mentre le sue opere diventarono sempre più enigmatiche e paradossali. Le due sinfonie moderniste dimostrano chiaramente le caratteristiche fondamentali che in seguito egli avrebbe perfezionato e integrato: un alto grado di tensione nervosa, brusche giustapposizioni di scrittura diatonica e cromatica, e una veemenza e semplicità mussorgskiane.

Sinfonia n. 4 in do minore, op. 43

Nella Quarta sinfonia Shostakovich riuscì a riconciliare elementi del nuovo linguaggio musicale, che aveva esplorato recentemente, con i concetti più tradizionali della sinfonia e della forma sinfonica. Si tratta in effetti di una sinfonia “tradizionale” nel senso che si articola in tre movimenti: il primo è in forma-sonata, il secondo è uno scherzo e il terzo combina un movimento lento con un rapido finale. Inoltre essa contiene quegli ampi gesti tipici dello stile ottocentesco, insieme a un pathos e un’emozione ciaikovskiani. Fondamentalmente, tuttavia, essa appartiene a un mondo totalmente diverso da quello dei modelli che essa cerca di rivoluzionare con straordinaria brillantezza; tratta in altre parole della sinfonia concepita da una caratteristica mente del 20o secolo. La concezione sinfonica non si manifesta con nobile maestosità: l’intelletto che si trova alla base sembra guizzare ed irrompere nervosamente. Il suo vigore e il suo significato non derivano dallo spiegamento organico della musica ma dalle discontinuità ed incoerenze, dalle aspre giustapposizioni e dagli improvvisi cambiamenti nella tessitura, nella strumentazione e nell’andatura. Persino il sollievo e la calma che inizialmente sembrano offrire alcuni passaggi dell’opera ben presto si rivelano illusori.

Dmitrij Shostakovich

Il secondo movimento esordisce con tenera grazia, ma diventa sempre più assillante man mano che procede: frasi senza conclusione e senza equilibrio, tonalità che non vengono stabilite; melodie che potrebbero abbandonarsi in volo
vengono mantenute saldamente ancorate grazie all’inserimento di intervalli non vocali; danze che vengono frenate energicamente tramite spostamenti ritmici e snervanti cambiamenti di marcia.
La sinfonia è assillante persino nei momenti di calma: nel primo movimento un pedale tenuto a lungo sul si bemolle – si noti che non nasce dal discorso musicale ma appare all’improvviso minacciosamente – viene mantenuto nel registro acuto con effetto sinistro, articolato da un frullato di flauti e ottavini sopra i violoncelli e i contrabbassi; il pedale finale sul do (e quindi l’accordo di do minore) ha un effetto opprimente per la sua lunghezza oltre che per la sua strumentazione cupa.
Le dimensioni e lo spiegamento delle risorse orchestrali devono parecchio al modello mahleriano. L’orchestra è estremamente grande secondo qualsiasi criterio, e comprende legni quadrupli con l’aggiunta di due ottavini, un clarinetto in mi bemolle e un clarinetto basso, otto corni, quattro trombe, tre tromboni, due tube, due gruppi di timpani insieme a una grande sezione di strumenti a percussione, due arpe e sino a 84 elementi (secondo le disposizioni dell’autore) per il gruppo degli archi.
Tali forze possono creare effetti di violenza terrificante; ma di effetto ugualmente sinistro sono anche le tessiture semplici di ottavino e fagotto solisti, l’arpa e il controfagotto, l’improvvisa introduzione della celesta come strumento solista, oppure la sonorità delicata di archi ed arpa accompagnati da castagnette, woodblock e tamburo militare.
Negli anni che erano trascorsi da quando aveva completato la sua Terza sinfonia, Shostakovich aveva imparato a investire di significati emozionali le sue nuove scoperte nella tecnica musicale. Ma vi è da dubitare se questo gli sarebbe stato permesso al tempo della composizione. Infatti all’inizio degli anni Trenta il partito comunista aveva iniziato a occuparsi in maniera diretta delle attività artistiche operando attraverso la formazione di organizzazioni di partito. Poco tempo dopo che lo scrittore Maxim Gorki aveva formulato il concetto del “realismo socialista” per l’Unione degli Scrittori nel 1934, l’Unione dei Compositori si preoccupò a sua volta di spiegare il concetto ai musicisti: “L’attenzione principale del compositore sovietico deve essere diretta
verso la conquista dei principi progressivi della realtà, verso quelle qualità brillanti e meravigliose che distinguono il mondo spirituale della gente sovietica e che vanno rappresentate con immagini musicali piene di bellezza e di vita e che affermino il vigore.
Il realismo socialista richiede una lotta implacabile contro le tendenze moderniste contrarie al popolo che sono tipiche del declino dell’arte contemporanea borghese, contro la deferenza e la servilità verso la cultura borghese moderna” il significato pratico di queste frasi cominciò a rivelarsi nel 1938 quando nella Pravda apparvero due articoli contro il “formalismo” nella musica, che attaccavano ferocemente l’opera Lady Macbeth di Mtzensk di Shostakovich e la sua partitura per il balletto Chiaro fiume. Non era semplicemente una questione di estetica. Molti artisti creativi noti a Shostakovich (come il regista Meyerhold col quale Shostakovich aveva lavorato personalmente) furono arrestati e giustiziati per aver deviato dalla linea del partito.
Alcuni indizi suggeriscono che, se la première della Quarta sinfonia avesse avuto luogo come previsto nel dicembre 1936, l’esecuzione sarebbe risultata un fiasco, poiché sembra che né i suonatori né il direttore d’orchestra fossero all’altezza delle difficoltà della partitura. Di certo vi è che – anche lasciando da parte il livello tecnico – si temeva che l’esecuzione sarebbe risultata in un disastro personale per Shostakovich. Il compositore ritirò la sinfonia durante le prove, e l’opera non fu eseguita fino al 1961, più di un quarto di secolo più tardi.

Sinfonia n. 5 in re maggiore, op. 47

Nella Quinta sinfonia, composta nel 1937, Shostakovich conserva alcune delle caratteristiche sensazionali e sperimentali delle opere precedenti – tra cui le inattese svolte melodiche ed armoniche e l’orchestrazione profondamente individuale – raggiungendo però una maggiore coerenza ed espressività. Il tema simile a un Leitmotiv dal carattere tragico con cui esordisce la sinfonia presto cede il posto ad un altro materiale; ma durante i lunghi e lirici paragrafi dell’esposizione non scompare mai il senso di ansia sottostante. Con l’inizio dello sviluppo il passo accelera, e mentre l’atmosfera diventa sempre più frenetica alcuni frammenti delle idee melodiche – spogliate del carattere lirico che avevano avuto all’inizio – ora si presentano accostate e combinate, conducendo al punto culminante con una grottesca marcia mahleriana. Il movimento sembra quindi arrestarsi come se volesse riprendere il controllo, quindi avanza macinando la sua via del ritorno verso il materiale introduttivo e raggiungendo la calma ma non la serenità. Il secondo movimento è uno scherzo ironico dal carattere pesante e stridente. La contrastante radezza della tessitura del trio insieme alla burlesca del violino solista e le armonie primitive dell’accompagnamento servono a rinforzare la qualità inquietante che predomina in buona parte del movimento.
Il movimento lento è un Largo meditabondo. Le sue lunghe linee melodiche creano un sentimento di malinconia proprio per la loro lunghezza che non viene spezzata dalle cadenze regolari e dalle escursioni avventurose in regioni dalla tonalità non definitiva. La strumentazione del movimento ha una qualità cameristica; esso chiude con una melodia su armonici d’arpa raddoppiati dalla celesta, e al suo culmine emozionante il pianoforte, lo xilofono, gli archi nel registro acuto e l’ottavino richiamano alla mente le sonorità delle sinfonie “moderniste”. L’ultimo movimento è feroce e lacerante, e la disperazione domina nel turbine della prima metà dopodiché la tensione decresce soltanto per risalire di nuovo e conclude il movimento in un chiassoso re maggiore.
Questa sorda conclusione, con il “sottofondo dell’isterismo slavo” individuato da un commentatore, non è una vera risoluzione ma semplicemente sottolinea il vuoto e la disperazione che pervadono l’intera sinfonia – o per lo meno si tratta di una possibile interpretazione. Il compositore stesso fornì una spiegazione ben diversa al tempo in cui stava componendo la sinfonia “Il tema della mia Quinta sinfonia è l’evoluzione di un uomo. Vidi l’uomo con tutte le sue esperienze al centro della composizione, che è in forma lirica dall’inizio alla fine. Nel finale gli impulsi tragici e pieni di tensione dei movimenti precedenti vengono risolti con ottimismo e gioia di vivere”.
Certamente le autorità ufficiali si attendevano che i compositori presentassero opere dallo spirito ottimista, e questa sinfonia ebbe l’effetto di smorzare le loro critiche, almeno per qualche tempo. Forse essi percepiscono proprio questo aspetto: una sinfonia trionfante e piena di ottimismo. Ma negli ultimi anni della sua vita il compositore espresse un punto diverso: “Penso che debba essere chiaro a tutti che cosa accade nella Quinta…… È come se qualcuno ti stesse bastonando dicendo “È tuo dovere celebrare, è tuo dovere celebrare”, e tu ti alzi, tremante e te ne vai mormorando “È mio dovere celebrare, è mio dovere celebrare”.

Sinfonia n. 6 in si minore, op. 54

La Sesta sinfonia di Shostakovich fu stesa nel 1939, due anni dopo la Quinta, ed eseguita per la prima volta il 5 novembre dello stesso anno a Leningrado dall’Orchestra filarmonica di Leningrado sotto la direzione di Evgheni Mravinski. L’opera segue un piano di costruzione piuttosto peculiare: un Largo introduttivo seguito da appena due movimenti brevi simili a scherzi. Il Largo meditativo è formato da due lunghe sezioni – la seconda inizia con un assolo espressivo del corno inglese – le quali vengono semplicemente ripetute in versioni abbreviate mantenendo le loro caratteristiche essenziali. Il movimento è lirico e di ampio respiro, e la tragica intensità delle linee melodiche deriva dalla loro lunghezza e dalla maniera in cui si piegano e si voltano modulando in continuazione. Persino quando il movimento armonico appare saldamente ancorato tramite un doppio pedale, quest’ultimo emerge da un colpo di tam-tam come un tritono instabile: si presenta con aria spettrale piuttosto che rassicurante, sugli archi nel registro grave, a una distanza notevole dagli arabeschi tremolanti del flauto. Entrambi i movimenti rapidi hanno qualcosa dello spirito di Prokofiev. Il secondo movimento, un esuberante Allegro che sembra combinare la brillantezza con la giocosità, risalta per il virtuosismo della scrittura e l’ingegno dei suoi ritmi contrari. Il tono tuttavia è enigmatico, e accanto agli elementi burleschi vi è un sottofondo di malinconia, particolarmente evidente nella delicata coda. Il finale è un rondò in si maggiore, un carosello di allegria e di ottimismo – o almeno così pare alla superficie. Dietro all’elemento burlesco, alla spensieratezza, alle melodie baldanzose e alle armonie serpeggianti vi è un curioso senso di vuoto che dà all’allegria una qualità artificiale e distaccata.
Questo abbracciare di mondi di sentimento deriva da Mahler. E Mahler ispirò anche l’orchestrazione di Shostakovich.
Le sonorità sorde e minuziose contrastano in maniera particolare con i passaggi densamente orchestrati nel finale, il fragore e la volgarità del quale ricordano la conclusione della Quinta sinfonia.
Come la Quinta, la Sesta sinfonia inizia nel modo minore e conclude nel maggiore, ma in nessuna delle due opere ciò implica una risoluzione – nell’ultimo tempo – della tragica intensità del movimento introduttivo. Tra gli aspetti più singolari che hanno in comune Shostakovich e Mahler vi è un’affinità nell’umore, un pessimismo che nasce dalla consapevolezza della trivialità dell’esistenza umana. La Sesta sinfonia articola sentimenti di desolazione spirituale, solitudine e frustrazione; persino i momenti di buon umore non possono celare una penetrante malinconia. L’opera non chiude con aria di trionfo bensì con una smorfia, e forse con una indifferente scrollata di spalle.

Sinfonia n. 7 in do maggiore, op. 60 “Leningrado”

La Settima sinfonia di Shostakovich nacque nelle circostanze più drammatiche che si possono immaginare. Fu incominciata a Leningrado nel periodo dell’assedio della città che durò dal settembre 1941 al febbraio 1943, e durante il quale secondo i rapporti ufficiali 632.000 persone morirono di fame e di freddo, oppure sotto ai bombardamenti aerei ai quali la città fu sottoposta senza tregua.
Shostakovich acconsentì a essere sfollato soltanto all’inizio dell’ottobre 1941, dopo aver composto i primi tre movimenti della sinfonia; si recò prima a Mosca e quindi nella città di Kuibisciev, dove completò il finale dell’opera in dicembre. La sinfonia fu eseguita per la prima volta a Kuibisciev il 5 marzo 1942 dall’orchestra sfollata del Teatro Bolscioi sotto la direzione di Samuil Samosud; il 29 marzo vi fu un’esecuzione a Mosca, e il 9 agosto l’opera fu eseguita nella Leningrado ancora sotto assedio.

Adolf Hitler

Ancora prima che i cittadini di Leningrado avessero ascoltato l’opera, un microfilm della partitura aveva lasciato la Russia in aereo, in modo da consentire un’esecuzione della sinfonia in Occidente. Sir Henry Wood la diresse in un concerto che fu trasmesso dalla BBC il 22 giugno 1942 in occasione del primo anniversario dell’entrata in guerra della Russia, e il 19 luglio fu eseguita dalla NBC Symphony Orchestra sotto la direzione di Arturo Toscanini e trasmessa dal vivo attraverso gli Stati Uniti. In questo paese l’opera fu eseguita ben sessantadue volte soltanto nella stagione 1942-43, sotto la direzione di Koussevitsky, Stokowski, Rodzinski, Mitropoulos, Ormandy, Monteux ed altri. Ma che cosa “significava” questa sinfonia?
Infatti le autorità sovietiche si preoccupavano di scoprire il “significato” delle sinfonie in modo da valutare il loro successo o il loro fallimento secondo le dottrine del partito, senza essere consapevoli del fatto che quando la forma di un’opera è sufficientemente ambiziosa e il suo obiettivo abbastanza grande, il carattere svariato di un’opera musicale abbraccia sempre una gamma di possibilità espressive che possono essere “spiegate” da un numero qualsiasi di programmi. Shostakovich stesso forni un’ampia descrizione programmatica dell’opera: “La prima parte, un allegro sinfonico, fu ispirato dal mese di agosto a Leningrado. La guerra irruppe nella nostra vita tranquilla…… La nostra gente – lavoratori, pensatori, creatori – diventarono guerrieri. Uomini e donne semplici diventarono eroi…… La prima parte della sinfonia ha qualcosa di tragico e comprende un requiem. È piena di dolore per coloro che sono morti sul campo di battaglia. Ma siamo inconquistabili nella nostra grande guerra nazionale perché la nostra causa è giusta. Sappiamo che Hitler verrà sconfitto e che il nostro nemico troverà la sua tomba nella terra russa. Perciò lo spirito generale della prima parte è allegro, spensierato e ottimista. Ho composto la seconda e terza parte – uno scherzo e un adagio – in un periodo in cui sul nostro paese si stavano ammassando nuvole oscure, quando ogni passo dell’armata Rossa in ritirata evocava un’eco dolorosa e sofferente nei nostri cuori. Ma il popolo sovietico sapeva di essere invincibile…… Lo scherzo e l’adagio esprimano la certezza nel trionfo prossimo della libertà, della giustizia e della felicità. La quarta parte è, fino a un certo punto, la continuazione della prima. Il finale della sinfonia è anch’esso concepito nella forma di un allegro sinfonico. E se si può assegnare anche alla prima parte il titolo “Guerra”, la quarta dovrebbe essere intitolata “Vittoria”. La quarta sezione inizia con l’idea della lotta per la vita o la morte. La lotta unita cresce e si trasforma in raggiante esultanza. Stiamo svolgendo l’offensiva, la patria è vittoriosa”.
Verso la fine dei suoi giorni il compositore accennò a un’altra fonte di ispirazione e un altro “significato”, questa volta non concepito per quadrare con l’ideologia dei suoi maestri politici. Insistette sul fatto che la sinfonia era stata progettata prima della guerra; a quanto pare non era stata ispirata dall’assedio di Leningrado ma dai salmi di Davide, in particolare dai salmi sulla vendetta, come ad esempio il Salmo 94: “Dio della vendetta, o Signore…… Ora il Signore s’è fatto il mio rifugio, mia roccia di scampo, il mio Dio. Farà ricadere su di essi la loro malizia; li farà perire per la loro iniquità, li farà perire il Signore, il nostro Dio”. Secondo questo resoconto successivo, l’opera rappresenterebbe un requiem per la Leningrado di prima della guerra, la città della sua nascita, gran parte della quale era stata distrutta da Stalin e alla quale Hitler diede soltanto il colpo finale, un ricordo ai suoi cittadini massacrati e per coloro che piangevano.

Sinfonia n. 8 in do minore, op. 65

Quando scrisse l’Ottava sinfonia, Shostakovich non era preoccupato di nascondere il tono di rassegnazione e di pessimismo. Forse speculò sul fatto che in tempi di guerra questo sarebbe risultato accettabile alle autorità dato che la causa del dolore e della disperazione era un agente esterno, considerato legittimamente come un nemico malvagio dei sovietici. Ma non fu così. Nel 1948, a una riunione durata tre giorni, durante la quale fu discussa la risoluzione approvata quell’anno dal Comitato Centrale del Partito Comunista che aveva trovato Shostakovich, Prokofiev ed altri eminenti compositori colpevoli di “deformazioni formalistiche e tendenze antidemocratiche estranee al popolo sovietico”, l’Ottava sinfonia fu messa all’indice. Il compositore Victor Belji criticò l’opera con le seguenti parole: “…… Era chiaro che questa sinfonia aveva creato un’impressione opprimente e ripugnante: Shostakovich era diventato vittima della sua concezione eccessivamente individualistica della vita. Le esperienze tragiche e le sofferenze che l’hitlerismo aveva causato all’umanità si erano impossessate della coscienza di Shostakovich in misura straordinaria…… Il naturalismo di questa musica che esprime visioni terribili, crea un’impressione paurosa, quasi apocalittica. Ma l’intera concezione è unilaterale, e si sofferma troppo sugli aspetti lugubri e paurosi della realtà”. Nelle memorie pubblicate postume, Shostakovich affermò che l’Ottava sinfonia era un’opera ancora più sovversiva di quella che conoscevano i suoi critici. “La Settima e l’Ottava sono il mio Requiem”, rivelò, e non semplicemente un requiem per coloro che sono morti nella guerra, ma anche per i suoi connazionali sterminati prima della guerra per ordine di Stalin. La guerra diede a Shostakovich come a tanti altri – di questo egli era convinto –
un’opportunità di piangere per coloro che erano morti durante le purghe degli anni Trenta.
L’opera è concepita in cinque movimenti.
Il vasto piano di costruzione del movimento introduttivo somiglia a quello della Quinta sinfonia, non soltanto nel suo disegno fondamentale ma anche nella qualità di una parte del materiale, come ad esempio le ottave introduttive degli archi con le loro figure puntate. Come nella Quinta, i temi vengono brutalizzati nello sviluppo mentre il tempo gradualmente accelera da Adagio a un pressante Allegro. Il profilo viene mantenuto ma vengono introdotte angolarità e asprezze, le armonie vengono intensificate. L’impiego di due ottavini oltre ai due flauti rinforza la qualità stridente della strumentazione, e la frenesia viene aumentata dalla rapida successione e combinazione di figure ritmiche contrastanti.
Il secondo e il terzo movimento sono entrambi marce con carattere di scherzo. Di tanto in tanto l’Allegretto scivola in un tempo ternario come se volesse tentare di arrestare la marcia e cominciare a danzare, ma l’orchestrazione densa e i selvaggi ostinati mantengono il movimento severamente ancorato. Quando la strumentazione viene alleggerita, il carattere sardonico viene sottolineato con tessiture sorde e strumentazioni bizzarre come l’ottavino solo contro un pedale nella tuba. Il seguente Allegro non troppo non tenta nemmeno di danzare e si muove in avanti come una macchina, insensibile alle grida dei legni. Il richiamo di tromba aumenta il senso di terrore suonando estremamente vulnerabile, come una nota umana nel mezzo di tutta questa energia meccanica. Il movimento procede a capofitto verso un culmine emozionante che segna l’inizio del Largo. Questo movimento è un elegiaco basso ostinato ripetuto dodici volte, sopra il quale si librano gli altri strumenti. Esso conduce senza interruzione all’Allegretto conclusivo dal carattere leggero e pastorale, che cresce raggiungendo un culmine forzato per poi dileguarsi rapidamente. Alla fine di cinque lunghi movimenti la tensione non viene risolta; piuttosto, scende una specie di tranquillità ipnotica. L’orrore rimane, ma tutta l’emozione è spenta.

Sinfonia n. 9 in mi bemolle maggiore, op. 70

La Nona sinfonia fu composta ed eseguita per la prima volta nel 1945. La Settima, del 1941, e l’Ottava, del 1943, erano brani programmatici di guerra e in generale erano tutti convinti (in effetti all’origine il compositore aveva alimentato questa supposizione) che la Nona sarebbe stata un canto di vittoria di grandi dimensioni. Invece Shostakovich scrisse entro un solo mese un’opera che si potrebbe definire haydniana per le sue proporzioni e rossiniana per il suo humor.
Gli ultimi tre dei cinque movimenti della sinfonia sono uniti l’uno all’altro senza pausa. Il quarto può essere definito come un’introduzione al finale piuttosto che un movimento ben distinto. Il primo è una struttura di sonata completa di esposizione ripetuta, e il secondo è un’elegia delicatamente strumentata. Il vigore del Presto seguente non riesce a far scomparire del tutto il senso di inquietudine sottostante, creato come nel primo movimento con l’introduzione della terza minore della scala dopo soltanto poche battute nella tonalità maggiore. Il quarto movimento tocca una nota epica, ma i gesti si dimostrano

vacui e retorici quando l’appassionato recitativo del fagotto compie una svolta riprendendo il primo motivo triviale del finale, la cui banalità viene accentuata dal suono aspro di tamburo militare, tamburello, triangolo e piatti: questa è musica per una vittoria vacua. La tragedia nell’arte ritrae la nobiltà dell’uomo; Shostakovich evidentemente non desiderava conservare questa allusione, e la commedia è il suo mezzo per smascherare la verità – e spesso la verità è assurda.

Sinfonia n. 10 in mi bemolle minore, op 93

In effetti il primo movimento della Decima sinfonia (1953) è profondamente radicato nella tonalità di mi minore e si attiene allo schema tradizionale di forma-sonata. Ma la musica non si spiega con eleganza ed equilibrio classici, o con la romantica grandezza dell’eroico. Né si avverte un continuo aumento e rilassamento di tensione: tutto è ambivalenza e ambiguità; le linee melodiche procedono con moto irrequieto, a tastoni, passo per passo; i centri tonali mutano ma non vengono mai fissati intenzionalmente; gli elementi cromatici, diatonici e modali vengono mantenuti in costante tensione. Il secondo tema principale del movimento sembra librarsi nella tonalità attesa di sol maggiore; l’accompagnamento contraddice la tonalità rafforzando l’espressività di questo valzer nervoso e vacillante.
Nel secondo movimento Shostakovich impiega il pedale e l’ostinato non per evocare la calma o una sensazione di sicurezza, ma per creare un senso di paura attraverso ripetizioni selvagge e minacciose; e alla conclusione del primo tempo – un lungo pedale sulla tonica – per trasmettere un senso non di riposo ma di esaurimento. Nell’estremo registro acuto al di sopra degli archi due ottavini suonano una nota misteriosa. Infatti Shostakovich crea gli effetti di inquietudine e terrore non soltanto col peso dell’orchestra intera ma anche con bizzarri accostamenti di sonorità eterogenee: collocando tessiture dense e brutali accanto a linee singole oppure impiegando improvvisamente strumenti solisti senza accompagnamento.
Ma si tratta poi di un finale del tipo richiesto, un esempio di quei “tratti eroici, lucenti e meravigliosi…… incorporati in immagini musicali di bellezza e vigore pieno di ottimismo”, secondo le dottrine del realismo socialista. In effetti le meditazioni introspettive delle pagine in si minore dell’ultimo movimento cedono davanti a una danza leggera, chiara e vigorosa in mi maggiore. Ma questa sezione è relativamente breve, troppo breve per spazzare via gli accenti tragici di quanto è avvenuto prima, e la nota di tensione sottostante non viene scacciata da questa allegria alquanto forzata.
Nel terzo movimento il compositore aveva inserito il suo motto personale DS CH (re, mi bemolle, do, si), derivato dalla traslitterazione tedesca del suo nome,

Dmitri Schostakovitsch, ed ora, alla conclusione del finale, il motivo funesto torna con energiche ripetizioni. Sembra che Shostakovich stia dicendo: “È questo che voglio dire, è questo che voglio dire”. Quando al compositore fu chiesto se la Decima sinfonia aveva un programma, egli rispose che gli ascoltatori avrebbero dovuto “indovinare per conto loro”.

Sinfonia n. 11 in sol minore, op. 103 “L’anno 1905”

Mussorgski disse: “La vita, ovunque essa si manifesti; la verità, non importa quanto amara; che si esprime agli uomini in maniera audace, francamente, a bruciapelo – è questo il mio obiettivo…… Sono un realista nel senso più alto della parola – cioè il mio compito è di ritrarre l’anima dell’uomo in tutta la sua profondità”. Shostakovich ammirava Mussorgski per il suo atteggiamento verso la vita e l’arte, per il suo rispetto verso il prossimo, e per le sue opere. La sua Undicesima sinfonia, che per qualche tempo considerò come la sua composizione più mussorgskiana, fu composta nel 1957 in occasione del quarantesimo anniversario della Rivoluzione d’ottobre, anche se in realtà l’opera accenna agli avvenimenti rivoluzionari del 1905 e in particolare, alla “domenica di sangue” del 9 gennaio, quando le truppe zariste spararono su una folla di dimostranti davanti al Palazzo d’Inverno a Pietroburgo.
La sinfonia n. 11 fu eseguita per la prima volta il 30 ottobre 1957 dall’Orchestra sinfonica di Stato dell’Unione Sovietica sotto la direzione di Nicolai Rachlin, nella Grande sala del Conservatorio di Mosca.
L’opera è compagna intima della sinfonia successiva, “L’anno 1917”: entrambe sono sinfonie programmatiche, esempi di quello che Boris Asafiev definì “ritratto storico-musicale”, o se vogliamo l’aggiunta di un programma storico a un’opera musicale con lo scopo di spiegarne il significato. Come ha commentato lo stesso Shostakovich: “Il significato nella musica – per molti questo deve suonare molto strano. Soprattutto in Occidente. È qui in Russia che generalmente viene posta la domanda: Cosa voleva dire il compositore, in fin dei conti…… Cosa stava cercando di rendere chiaro? Le domande sono ingenue, naturalmente, ma nonostante la loro ingenuità e rozzezza esse meritano di essere poste. E vi aggiungerei ad esempio: Può la musica attaccare il male? Può fermare l’uomo e farlo pensare? Può gridare e attirare l’attenzione alle numerose azioni vili alle quali egli si è abituato? Alle cose che gli passano davanti senza cogliere il suo interesse? Tutte queste domande per me cominciano con Mussorgski”.
Il quattro movimenti dell’Undicesima sinfonia sono collegati l’uno all’altro, e alcuni temi riappaiono in vari movimenti, in particolare un tema che assume una funzione di Leitmotiv dell’opera e che viene eseguito assai dolcemente dai timpani subito dopo l’inizio. Esso forma la base di una sezione al culmine del secondo tempo, e ritorna sotto varie sembianze in tutti i movimenti, sia nella sua forma originale che in forma variata, sia come tema vero e proprio che intrecciato nell’accompagnamento.
Il primo movimento ritrae la piazza vuota coperta di neve di fronte al Palazzo d’Inverno e suggerisce una calma oppressiva. Il secondo tempo rappresenta la folla di lavoratori che si avvicina al palazzo per rivolgersi allo Zar; ma il sovrano è assente e le sue truppe si volgono contro la folla; vengono uccisi mille lavoratori. Il terzo movimento è un lamento funebre per gli eroi caduti, una lunga melodia elegiaca suonata dalle viole, che incorpora un ritmo caratteristico tratto in prestito dalle primissime battute introduttive dell’opera e accompagnato dai pizzicati dei violoncelli e dei contrabbassi con materiale derivato dal Leitmotiv.
Il finale è la promessa di una vittoria finale e allo stesso tempo un avvertimento che, con la stessa sicurezza con cui la gente alla fine sarà vittoriosa, i colpevoli verranno puniti.
Shostakovich attinse a una musica che era stata in qualche modo collegata autenticamente all’avvenimento storico, intrecciandola nella struttura della sinfonia. Nel primo movimento inserì due canzoni di prigionieri politici che risalgono all’Ottocento – Slusciai (Ascolta!) e Arestant (Il prigioniero). Nei movimenti successivi impiegò canzoni della rivoluzione del 1905, la marcia funebre vi zhertvoiu pali (Siete caduti come vittime), che fu cantata da Lenin e dai suoi compagni in esilio quando ascoltarono la notizia della “domenica di sangue”, e la Varsciavianka, una canzone di origine polacca. Nel secondo movimento Shostakovich introdusse anche due temi dai suoi Dieci poemi corali su testi rivoluzionari, op 88 per coro misto a cappella che aveva composto nel 1951. Questi sono derivati entrambi dal sesto brano delle storie intitolato Obnazhite golovy (Il nove gennaio: scoprite le teste), e Goi ti, tsar nas, batiuska (O nostro Zar, piccolo padre), il tema della prima parte del movimento. L’obiettivo di Shostakovich nel comporre l’Undicesima e la Dodicesima sinfonia era di rivolgersi a un pubblico di massa, e benché la sua musica descriva eventi storici, egli sperò di toccare la questione delle loro condizioni presenti.

Sinfonia n. 12 in re minore, opera 112 “L’anno 1917”

La Dodicesima sinfonia (1961) è dedicata “Alla memoria di Vladimir Iljic Lenin” e all’inizio della partitura appare l’iscrizione “L’anno 1917”. Nell’aprile di quell’anno Shostakovich, allora un bambino di dieci anni, fu presente quando Lenin arrivò alla Stazione finlandese di Pietrogrado.

Vladimir Iljic Lenin

Un ricordo molto più vivido, tuttavia, fu quello di un agghiacciante avvenimento che era accaduto alcune settimane prima quando un gruppo di soldati aveva cercato di disperdere la folla e un cosacco aveva ucciso un bambino con la sciabola; Shostakovich commentò l’incidente in un brano per pianoforte intitolato “Marcia funebre in memoria delle vittime della Rivoluzione”.
I quattro movimenti della sinfonia si succedono senza intervallo e ciascuno è dotato di titolo. Il primo è intitolato “La Pietrogrado rivoluzionaria”; il secondo “Razliv, si riferisce alla meravigliosa località situata a una settantina di kilometri da Leningrado, dalla quale Lenin diresse le sue attività clandestinamente in una capanna di contadini; il titolo del terzo movimento è “Aurora”, il nome dell’incrociatore che aveva dato il segnale per l’inizio della Rivoluzione d’ottobre sparando il primo colpo attraverso le finestre del Palazzo d’Inverno; l’ultimo movimento è “L’alba dell’umanità”. La sinfonia non è basata su canti rivoluzionari come l’Undicesima ma su temi inventati da Shostakovich, e non si attiene a un programma particolareggiato; il movimento introduttivo è un convenzionale allegro in forma-sonata. Attraverso l’opera avviene parecchia elaborazione tematica e i temi vengono trattati ciclicamente. La melodia di stampo popolare con cui esordisce l’opera riappare in una versione più animata come tema principale dell’Allegro, e nella sua forma originale nello sviluppo e nella coda, oltre che nel finale.
Lo scorrevole secondo tema di questo Allegro agisce come una specie di Leitmotiv e si ascolta in tutti i quattro movimenti. L’orchestra è di grandi dimensioni (Shostakovich raccomanda una sezione d’archi di almeno sessantaquattro suonatori) e la partitura prevede un ruolo importante per gli strumenti a percussione. Queste forze intensificano la qualità meditabonda, l’agitazione e il terrore dell’opera che vengono risolti nell’allegria dell’ultimo movimento.

Sinfonia n. 13 in si bemolle minore, op. 113

La sinfonia n. 13 del 1962 per basso solista, coro maschile e orchestra è un adattamento musicale di testi di Evgheni Evtuscenko. Nato nel 1933, il poeta appartiene alla tradizione russa di scrittori socialmente impegnati e la sua ambizione era di diventare il portavoce della sua generazione. Benché la musica provochi nell’ascoltatore sensibile una reazione emozionale diretta e profonda, la ricchezza dell’arte e le numerose allusioni non consentono un’interpretazione “precisa”, cioè entro limiti stretti o totalmente priva di ambiguità. Non v’è dubbio sul fatto che l’opera sia una critica della società staliniana, ma la natura esatta delle sue implicazioni ironiche non può essere spiegata letteralmente; ci si chiede ad esempio nel quarto movimento se le paure del passato sono state effettivamente messe a riposo, come il testo continua a ripetere, oppure se la violenza e l’orrore esploderanno ancora una volta dall’atmosfera di sospetto e di insicurezza che ancora prevale. Le autorità sovietiche certamente osservavano questi testi con una certa preoccupazione. Alla prima esecuzione l’intera piazza davanti al Conservatorio di Mosca era chiusa da un cordone di polizia; i testi non furono stampati nel programma di sala come era usanza; e sebbene l’opera fosse stata acclamata dal pubblico entusiasta in una sala stracolma, il mattino dopo la Pravda accennò all’avvenimento con un’unica frase. La difficoltà principale sembrava riguardasse la prima poesia, Babi lar, il cui titolo nel frattempo è stato impiegato per indicare la sinfonia intera.
Babi lar è il nome di un burrone situato nei pressi della città ucraina di Kiev, e che nel 1941 era stata la scena di un massacro di oltre 100.000 uomini, donne e bambini per opera dei nazisti.
La maggioranza delle vittime furono ebree, ma il poeta scrive come se fossero state ebree tutte quante; la poesia è un grido contro l’antisemitismo e fa riferimento ad altre atrocità.
Babi lar chiude con una nota di sfida. Tre dei movimenti successivi decantano la vitalità dello spirito umano. Nel secondo l’Humor viene personificato come “brava persona” e flagello dei tiranni. Qui Shostakovich attinge a materiale composto precedentemente per un adattamento de L’addio di Macpherson di Robert Burns (intitolato nella traduzione russa Macpherson prima della sua esecuzione). Nel negozio è un tributo alle donne della Russia le quali hanno “mescolato il cemento, arato i campi e fatto il raccolto” che fanno le code nei negozi per dar da mangiare alle famiglie, e “continueranno a sopportare tutto”. L’ultimo movimento esalta l’eroe che rimane fedele ai suoi ideali anche quando il compromesso sembra facile. Il quarto movimento contrasta con queste celebrazioni di coraggio evocando un’atmosfera di opprimente terrore. Diversamente dalla Quattordicesima, che in effetti è una composizione cameristica, un ciclo di canzoni con accompagnamento di orchestra d’archi e percussione, i cinque movimenti della Tredicesima mantengono la fisionomia della sinfonia come la intendeva Shostakovich basata sul modello di Mahler.
La tonalità dell’opera è incentrata sul si bemolle: minore nel primo movimento, seguito da sol minore come tonalità secondaria, e maggiore nell’ultimo movimento con una certa prominenza del sol maggiore. Il secondo movimento è in un audace do maggiore, mentre il terzo sale a mi minore, la tonalità più remota dal si bemolle. Un sostenuto sol diesis (la bemolle enarmonico), la terza maggiore di mi, serve a unire Nel negozio al quarto movimento, Paure, in cui non viene stabilita alcuna tonalità precisa – in questa atmosfera non vi può essere alcuna certezza di direzione – ma i pedali tenuti a lungo sul sol diesis costituiscono una presenza minacciosa. Un chiaro segno esteriore della struttura unitaria dell’opera è l’apparizione di un la bemolle che risulta sopra la triade di si bemolle maggiore con la quale si conclude la sinfonia.

Evgheni Evtuscenko

Vi sono anche dei nessi tematici tra i vari movimenti, generati in particolare dalla linea melodica del solista all’inizio di Babi lar e dalla figura “scivolosa” degli ottoni nella primissima battuta dell’opera. La forza e il vigore della Tredicesima sinfonia nascono in parte dalla direttezza e semplicità dell’espressione musicale. In aspirazioni come questa Shostakovich cercava di emulare il suo amato Mussorgski, del quale aveva strumentato i Canti e danze della morte, immediatamente prima di cominciare il lavoro alla sinfonia.
La maggior parte del testo è adattato sillabicamente e i contorni delle linee vocali tradiscono l’influenza del canto popolare. Per il coro maschile sono richieste da quaranta a cento voci anche se ad eccezione di una cadenza alla fine del terzo movimento esso canta all’unisono attraverso tutta l’opera. L’orchestra è di grandi dimensioni con legni triplici e una notevole sezione di strumenti a percussione che comprende tamburello, castagnette, campane tubolari e pianoforte; due arpe sono obbligatorie ma sarebbero desiderabili quattro, oltre a un minimo di sessantaquattro archi.
Il tutti orchestrale viene impiegato con economia e il suo effetto è ancora più travolgente per la rapidità con cui i culmini irrompono per poi scomparire di nuovo. Gli strumenti vengono utilizzati con grande moderatezza – il pianoforte ad esempio appare soltanto nel terzo e nel quarto movimento – e alcuni degli effetti più espressivi sono ottenuti con un unico strumento, come il clarinetto basso senza accompagnamento in Una carriera, il lungo assolo della tuba col quale inizia Paure, oppure il quasi insopportabile senso di intimità creato alla fine dell’opera con l’impiego del violino e viola solisti. La Tredicesima sinfonia tratta questioni che per Shostakovich rimasero importanti per tutta la vita: guerra e rivoluzione, la crudeltà e lo sfruttamento che risultavano dai pregiudizi (sia contro le donne sia contro la razza ebrea), e la relazione tra l’artista e la società in cui egli vive. La bellezza nostalgica alla conclusione della Tredicesima rappresenta, forse, l’accettazione dell’aspetto appariscente dell’esistenza e degli orrori del mondo, e l’opera è un’asserzione del potere indistruttibile dell’humor e la necessità di una costante ricerca delle verità artistiche.

Sinfonia n. 14 in sol maggiore, op. 135

A detta delle sue memorie, Shostakovich avrebbe raccontato durante gli ultimi anni di vita: “Negli anni recenti mi sono convinto che la parola è più efficace della musica. Purtroppo è così. Quando combino la musica con la parola diventa più difficile interpretare erroneamente le mie intenzioni”. Tutte le opere più importanti degli ultimi anni di Shostakovich sono adattamenti di testi: la Quattordicesima e la Quindicesima sinfonia, e una serie di importanti cicli di canzoni. E queste opere non potrebbero essere più remote dalle dottrine del “realismo socialista”. Le opere tarde di Shostakovich parlano di disperazione e desolazione, ma forse proclamano anche un eroismo di tipo particolare.
La Quattordicesima sinfonia per soprano, basso, orchestra d’archi e percussione fu composta nel 1969. L’opera è dedicata a Benjamin Britten (il quale ne diresse la prima esecuzione in Occidente al Festival di Aldeburgh nel 1970), e l’impiego di un testo che è un’antologia di vari autori può essere paragonato alla

Serenade e la Spring Symphony di Britten. L’elemento unificatore delle undici poesie è la morte; non un’immagine di sollievo o di consolazione, ma di inesorabile tristezza: “…… quelli che sostenevano di essere miei amici…… volevano che il finale fosse consolante, volevano che dicesse che la morte è soltanto un inizio. Ma non è un inizio; è la fine vera e propria, dopodiché non vi sarà nulla, nulla”. Invano si cercherà in questo ciclo un sentimento di pace o di liberazione dalla morte. Certamente i testi, in particolare quelli di Apollinaire, hanno una qualità lamentosa e nostalgica; ma questa finisce per risolversi in desolazione oppure, più spesso, esplode in qualsiasi momento con ferocia appassionata. L’ influenza di Mussorgski è percepibile nei ritmi dell’adattamento del testo e nell’impiego dell’armonia come mezzo espressivo per un fine particolare, governato dalle circostanze e dai dettami del suo orecchio interiore.
In genere le parole sono adattate sillabicamente; le voci hanno la tendenza a intonare una nota singola o una frase breve come De profundis, Réponse des cosaques, e all’inizio e la conclusione di Le Suicidé, creando un sentimento di malinconia senza alcun sollievo. Oppure, in pieno contrasto, le linee vocali si spostano cromaticamente con rapidità in una frenesia priva di alcuna direzione precisa come fanno in Loreley.
Shostakovich ricorre a una singola linea melodica per esprimere una pesante ironia: il tema scandito dello xilofono con brio marziale all’inizio di Les Attentives II rafforza gli effetti tonali facendo risaltare gli intervalli di quarta e quinta; ma si tratta di un tema dodecafonico, e di conseguenza non viene stabilita alcuna tonalità precisa; la risolutezza dello xilofono non crea quindi un senso di sicurezza ma di inquietudine. La scrittura è prevalentemente diatonica ma non suggerisce mai un’affermazione o una risoluzione, la tonalità viene tesa fino ai suoi limiti estremi. “Clusters” (ovvero “grappoli”) di note vengono impiegati al culmine lancinante di Le Suicidé e nel grottesco epilogo di Réponse des cosaques. L’ultimo accordo dell’opera è densamente cromatico e viene ripetuto dagli archi con funzione percussiva – e non tonale – esprimendo una selvaggia disperazione. Le forze strumentali non sono grandi ma vengono usate con eloquente senso di misura e immancabile ingegno. All’inizio dell’opera l’acuta linea vagante degli archi, riproposta più tardi in Der Tod des Dichters, suggerisce il paesaggio pallido e deserto dell’anima, con i violini acuti che contrastano con i contrabbassi divisi, il cui colorito cupo viene intensificato ancor di più dall’assenza dei violoncelli.
Mentre la Quattordicesima sinfonia è dominata da una cupa disperazione, non vi mancano i momenti di sfida ardente. “In essa io non protesto contro la morte, protesto contro quei macellai che giustiziano la gente…”; “…si può e si deve protestare contro la morte violenta”, disse Shostakovich.

Benjamin Britten

Esortato a impiegare l’arte per l’ideologia del potere, Shostakovich l’impiegò piuttosto per dire la verità nella quale credeva.

Sinfonia n. 15 in la maggiore, op. 141

La Quindicesima sinfonia, l’ultima composta da Shostakovich (benché alla sua morte stesse lavorando a una Sedicesima) fu composta durante l’estate del 1971 ed eseguita per la prima volta al Conservatorio di Mosca nel gennaio 1972. L’opera è strumentata per un’orchestra di dimensioni relativamente modeste, per lo meno se paragonata ai criteri di Shostakovich, e la scrittura è prevalentemente chiara e trasparente con una parte importante per gli strumenti a percussione. Dire che il tono della sinfonia sia enigmatico significa nientemeno che si tratta di un’opera caratteristica del suo compositore. Ma vi è un mistero tutto particolare nell’impiego che fa Shostakovich delle citazioni. Il primo movimento contiene un frammento (che appare cinque volte) dell’ouverture del Guglielmo Tell di Rossini, e il finale inizia con tre citazioni wagneriane: il motivo del Destino dall’Anello, che a sua volta conduce direttamente al ritmo della musica funebre di Sigfrido, e quindi le tre note introduttive del preludio del Tristano, le quali introducono la graziosa atmosfera di malinconia della prima sezione in Allegretto.
La sezione centrale del finale è una passacaglia; le prime quattro battute del suo soggetto alludono al tema della guerra nella Sinfonia “Leningrado”. Anche il terzo e quarto movimento contengono alcuni riferimenti alla fine del secondo tempo della Quarta sinfonia, e il terzo movimento presenta una singola affermazione del Leitmotiv del compositore, re-mi bemolle-do-si (dalla traslitterazione tedesca del suo nome Dmitri Schostakovitsch), motivo che aveva svolto un ruolo preminente nella Decima sinfonia. Si tratta semplicemente di allusioni private, senza alcun significato particolare né generale per l’ascoltatore, e che riflettono appena soltanto il tono contemplativo dell’intera opera. Secondo la nota di prefazione nell’edizione integrale il compositore stesso spiegò che il primo movimento “descrive l’infanzia – semplicemente un negozio di giocattoli, con sopra un cielo senza nuvole”, anche se bisogna tener conto del fatto che le affermazioni del compositore non possono mai essere prese letteralmente. Nelle Memorie egli descrive la sinfonia come “un’opera basata su motivi di Cechov… gran parte della Quindicesima è collegata al Monaco nero, anche se è un’opera del tutto indipendente”.
Rossini e Wagner non sono che citazioni poste tra virgolette, e la musica risulta diversa dal suo contesto originale. La voce di Shostakovich è una voce del ventesimo secolo che non può parlare senza un sottofondo ironico. La nostra non è un’epoca di eroi – forse è questo che vuol suggerire la musica – e l’artista mancherà certamente nella sua arte e nella sua vita se cercherà di mantenere l’illusione, come fece Kovrin nel Monaco nero, che è stato prescelto da Dio: l’illusione di essere uno dei prescelti che rivelerà verità eterne ai suoi compagni che si trovano nell’oscurità.
E quindi la sinfonia non conclude né con aria di trionfo né con disperazione, ma con uno sguardo chiaro, fisso e privo di sentimentalismo, verso una realtà che almeno ci permette di creare momenti di bellezza.

Sei poesie di Marina Tsvetaeva, op. 143a

La poetessa Marina Tsvetaeva, per citare le sue parole, è “condannata a scrivere versi come il lupo è condannato a ululare”.

Marina Tsvetaeva

Nata a Mosca, essa fu ostile verso la rivoluzione e trascorse diciassette anni in esilio, prima a Praga e quindi a Parigi. Rimpatriò nel 1939, anno in cui fu giustiziato il marito e la figlia fu inviata in un campo di lavori forzati; si suicidò nel 1941. Le poesie scelte da Shostakovich furono scritte durante il periodo della prima guerra mondiale. Egli compose le canzoni nella forma originale per contralto e pianoforte nel 1973; nel 1974, l’anno prima della sua morte, fece una versione per contralto e orchestra da camera. Le poesie sono intensamente personali e questo è il più intimo dei cicli di canzoni di Shostakovich.
La prima canzone, Versi miei, è una orgogliosa dichiarazione di fede nella creazione artistica; la seconda – cosa assai rara nell’opera di Shostakovich – è una canzone d’amore. Il dialogo di Amleto con la coscienza rievoca lo stato mentale di Amleto dopo la morte di Ofelia. La quarta e la quinta poesia, Il poeta e lo zar e No, il colpo di tamburo, si riferiscono entrambe a Puskin e il suo trattamento da parte dello Zar Nicola 1o: lo zar aveva sottoposto le opere dell’autore alla censura più rigida, tenendo il poeta sotto continua sorveglianza e, come fu sospettato da tutti, lo stesso Zar fu coinvolto negli avvenimenti che portarono alla morte del poeta in un duello nel 1837. La canzone conclusiva esalta la poetessa Anna Akhmatova (1889-1966), nota in Occidente per il suo Requiem e Poesia senza un eroe, ma famosa ai tempi del tributo della Tsvetaeva come autrice di liriche d’amore intime, colloquiali e appassionate. Nelle parole di un commentatore è “un grande peana al poeta come legislatore non riconosciuto nel mondo”.

Da poesie popolari ebraiche, op. 79

La raccolta di undici tra assoli, duetti e terzetti, che compongono il ciclo di canti Da poesie popolari ebraiche, venne composta nel 1948. Nel febbraio di quell’anno era apparso il famigerato decreto per cui alcuni compositori, con Shostakovich e Prokofiev in prima linea, vennero accusati di rappresentare delle “perversioni formalistiche e delle tendenze antidemocratiche in musica”, e di “infatuazione per le combinazioni confuse, nevrotiche, che trasformano la musica in cacofonia”. Erano chiaramente delle sciocchezze, ma erano sciocchezze di Stalin. I compositori in questione non avevano assolutamente altra scelta che quella di piegarsi a una qualche forma di ritrattazione e di adattarsi meglio che potevano al ruolo loro assegnato dal vecchio e paranoico dittatore. Nel caso di Shostakovich, l’atto esteriore di sottomissione venne in qualche modo temperato dalla composizione di lavori che il musicista fece eseguire solo durante il periodo di disgelo che seguì la morte di Stalin nel 1953. Tra essi vanno annoverati il Primo concerto per violino, il Quartetto per archi n. 4, e appunto il ciclo Da poesie popolari ebraiche, eseguito per la prima volta nel 1955 nella versione originale, con la parte del pianoforte suonata dallo
stesso Shostakovich. La versione con accompagnamento orchestrale qui registrata risale al 1964.
Paradossalmente il linguaggio musicale di Da poesie popolari ebraiche risulta ineccepibile rispetto ai canoni dell’estetica sovietica ufficiale. Lo stile armonico complessivamente semplice, le melodie dal sapore popolare, e la chiarezza dell’espressione musicale, rispondono alle caratteristiche essenziali del realismo socialista in musica. E che cosa ci potrebbe essere di più ortodosso dell’ottimismo dei tre ultimi canti, nei quali si insiste che le sofferenze espresse nella prima parte del ciclo sono cose del passato?
La scelta dell’argomento sarebbe tuttavia stata considerata estremamente provocatoria in un periodo in cui era in corso un deliberato tentativo di minimizzare e perfino sradicare la cultura ebraica; e, anche lasciando da parte le associazioni ebraiche, nessun tipo di pubblico contemporaneo avrebbe avuto la minima illusione riguardo alla fondatezza dell’ottimismo negli ultimi tre canti. Miseria, fame, separazione e galera non erano assolutamente cose del passato, e non erano nemmeno prerogativa esclusiva degli ebrei. Ma facendo sue molte delle convenzioni della musica ebraica, Shostakovich si trovò anche ad adottare una metafora che riusciva a esprimere un senso più ampio di protesta: “La musica popolare ebraica mi ha fatto una grandissima impressione. La gioia che essa mi dà è inesauribile, è una musica dai molteplici aspetti, può sembrare allegra mentre invece è tragica… Questa qualità… si avvicina alla mia idea di quello che la musica dovrebbe essere. Ci dovrebbero esser sempre due strati di musica. Gli ebrei sono stati tormentati per così tanto tempo che hanno imparato a nascondere la loro disperazione, e a esprimerla a ritmo di danza”. Shostakovich era un maestro dell’ironia e dell’allusione, e, componeva musica puramente strumentale o musicava un testo, il musicista si aspettava che l’ascoltatore prendesse parte attiva nei suoi lavori allo stesso modo degli esecutori.
La Quindicesima sinfonia e Da poesie popolari ebraiche sono entrambe opere scritte in un linguaggio particolarmente accessibile, ma dietro alla loro apparente superficialità ritroviamo una grande quantità di contraddizioni estremamente espressive.

Andrew Huth

Traduzione DECCA