Strauss Richard
Concerti per corno e orchestra n. 1 & 2
Dennis Brain e Wolfang Sawallisch interpretano magistralmente queste due composizioni poco note ma cionondimeno affascinanti. In particolare Dennis Brain, profondo conoscitore dei due spartiti, fa cantare il corno come nessun altro. Ottima anche la prestazione della Philharmonia Orchestra. Un Cd degno di essere annoverato tra le grandi incisioni del secolo scorso. Registrazioni eseguite dal 1957 al 1959 e rimasterizzazione effettuata nel 2002. Nonostante la datazione, l’audio è più che buono. Altamente raccomandato.
Concerto n. 1 in mi bemolle maggiore per corno e orchestra op. 11
Richard Strauss, figlio del cornista Franz Joseph Strauss, primo corno dell’orchestra di Corte di Monaco di Baviera, prima di comporre, all’età di 18 anni, il «Concerto n. 1» in mi bemolle maggiore, per corno ed orchestra aveva già composto nel 1878 «Introduzione, Tema, e Variazioni» in mi bemolle maggiore, per corno e pianoforte, «Alphorn» per voce e corno (1879) e «Serenata» per 13 strumenti a fiato (1881). Influsso paterno e pratica
individuale gli avevano, quindi, reso familiare l’anima e le sonorità di questo strumento cosî caro e prossimo alla sensibilité germanica.
Dopo 60 anni Strauss ritornerà (nel 1942 in piena guerra) al silvestre strumento, componendo il «Concerto n. 2 in mi minore per corno naturale ed orchestra» e il magistero, l’abilità tecnica, la sapienza architettonica e la scaltra manipolazione dei timbri, raggiunti in questo lungo periodo di tempo che porterà il maestro bavarese alla notorietà e alla fama internazionale, avranno un’eco nel secondo concerto per corno. Tale eco è percepibile attraverso una maggior fusione ed essenzialità che ne caratterizzano la struttura, mentre nel primo sono riscontrabili prolissità e squilibri, tipici di un concerto che, a detta di Dominique Jameux, «è, ad un tempo abile e maldestro, opera d’un maestro, che ammira Brahms, che vorrebbe far di più senza sapere esattamente cosa».
Il critico francese, tuttavia, termina con una nota positiva: «Quanta vitalità e quanta freschezza, in compenso, circolano nel concerto!». L’aspirazione alla nettezza di taglio classico, è tuttavia, comune a tutti e due i concerti, ma naturalmente, è realizzata in «disparata guisa» per il differente dominio dei mezzi sonori, dovuto alla differente padronanza delle forme, forme in cui — secondo l’espressione di Romain Rolland — attraverso la spessa coltre della polifonia germanica traluce il disegno e la linea pura e sorridente delle rive italiane e delle ronde che vi risuonano.
Il «Concerto n. 1 in mi bemolle maggiore, per corno ed orchestra» op. 11, dedicato al cornista Oscar Franz, fu eseguito, a Meiningen, nel marzo del 1885 dall’orchestra di corte, diretta da Hanz Von Bulow, solista Gustavo Leinhos.
Dopo alcune battute d’introduzione, seguite da alcune poderose note di richiamo dello strumento solista, riecheggiate, ancora, dall’orchestra, l’«Allegro» vero e proprio fiorisce sul corno con un motivo in cui il melos straussiano scorre gaio e trascinante, sfruttando, abilmente, il gioco di tutti i registri dello strumento, cui fanno eco con parsimonia ora i legni ora gli archi. Il motivo melodico risuona piû volte durante lo svolgimento, costituendo il tessuto fondamentale del tempo, giocando spesso di rifrazione con clarinetti e flauti nella chiave piû chiara e luminosa. Un dinamico balzo dell’orchestra sospinge, quindi, lo strumento solista a sgranare una successione di note acrobatiche rapide, in gara di lievità, particolarmente, con i flauti. Il tempo è chiuso da una stretta rigorosa dello strumento solista impegnato in una prova di magistero virtuoso.
Il secondo tempo è costituito da un «Andante» in tre quarti aperto dal tempo di marcia, moderatamente mosso, dell’orchestra. Estinte le ultime note di questa, il motivo rimbalza sullo strumento solista che lo varia in molteplici modi, ora evocando il remoto richiamo del corno da caccia nel labirinto verde della foresta ed ora suggerendo le festose fanfare dei cacciatori.
Dennis Brain
Nella seconda parte la voce del corno, mantenuto, prevalentemente nella chiave media, si vela di un’ombra di malinconia che sembra voler tradurre la tristezza di un lungo crepuscolo autunnale nel folto della selva.
L’ultimo tempo «Allegro» ripropone la tensione dinamica del primo, la cui fonte generatrice sembra inesauribile e che in effetti agisce da elemento connettivo nell’intera opera. Zone di calma distensiva s’avvicendano a momenti di particolare impegno motorio. L’orchestra, come nei due tempi precedenti, sostiene lo strumento solista con parchi interventi e il tempo e il concerto è concluso da un’ultima esibizione del corno che si frantuma in una pioggia di note dirompenti ove si ha un anticipo dello Strauss maturo, animatore di razzi sonori.
Concerto n. 2 in mi bemolle maggiore per corno e orchestra
Sessant’anni più tardi, Strauss volle concepire un nuovo Concerto per corno, nella medesima tonalità di mi bemolle, pensato come omaggio alla figura paterna. Il compositore avrebbe voluto che la partitura fosse eseguita una volta soltanto, nel corso di una cerimonia commemorativa per il padre. La prima esecuzione ebbe luogo al Festival di Salisburgo, con il solista Gottfried von Freiberg e la Filarmonica di Vienna diretta da Karl Böhm, nel 1943, in piena guerra. Non è certo un caso che in quegli anni Strauss componga diversi lavori strumentali che, con il loro diatonismo, sembrano guardare al passato, a un recupero della classicità che è personalissimo, e nulla ha a che fare con le correnti neoclassiche fra le due guerre. La trasparenza della scrittura e lo sguardo verso Mozart e Rameau sono in realtà un’evasione rispetto al clima bellico e agli orrori della dittatura militare.
In questa prospettiva si inserisce dunque il Secondo Concerto per corno, in cui si fondono memorie familiari e recupero della classicità. Un recupero che, comunque, non può ignorare il tempo trascorso dal Primo Concerto, dove prevaleva ancora un certo entusiasmo di matrice romantica. Basta ascoltare l’esordio della partitura, dove i festosi e incisivi richiami dello strumento solista, accompagnati dai soli archi, che spesso si alternano con il corno, appaiono come sospesi in un flusso che lascia emergere solo a tratti precise scansioni ritmiche. Solo in un secondo momento interviene l’orchestra intera – flauti, oboi, clarinetti, fagotti, corni – e particolarmente efficace è la sezione dello sviluppo che vede i vari legni a rotazione impegnarsi in duetti ed intrecci con il solista. Davvero novecentesca è insomma la logica per cui il solista procede per slanci ellittici, che illuminano in modo sempre rinnovato pochi spunti di base.
Senza soluzione di continuità si scivola nel secondo movimento, un Andante con moto, preparato da una adeguata introduzione orchestrale, che è un vero notturno, in cui il corno si lancia in una limpida e astratta melodia; ma il momento più enigmatico è nella breve sezione centrale, quando sul finissimo tessuto degli archi il corno staglia poche icastiche frasi interrogative, prima di una ripresa abbreviata.
Wolfgang Sawallisch
Si arriva così al finale, un Rondò in 6/8 aperto dalle festose fanfare del corno solista; non è difficile vedere, in questo movimento, una rievocazione dei Rondò finali dei Concerti per corno di Mozart, dove vengono rielaborati stilemi “di caccia”, cioè impiegati dal corno per i richiami nelle battute di caccia. Ma questi stilemi sono come riecheggiati attraverso una rielaborazione di grande complessità, che diventa una prova di bravura non solo per il solista, impegnato al massimo delle possibilità di espressione, duttilità, virtuosismo dello strumento, ma anche di un gusto trapuntato dell’intreccio fra il corno e l’intera orchestra, che chiude con un ultimo slancio entusiastico l’intera partitura.
Paul Hindemith: Konzertmusik per archi e ottoni op. 50
Quando Paul Hindemith fu stroncato da un collasso cardiaco a Francoforte sul Meno il 28 dicembre 1963 Lovro von Matacic, allora sovrintendente generale di quel Teatro dell’Opera e direttore d’orchestra di larga fama, molto apprezzato anche in Italia per le sue indimenticabili interpretazioni del repertorio wagneriano, bruckneriano e straussiano, dichiarò senza esitazione che era scomparso «uno dei più importanti musicisti del nostro secolo». A lui fecero
eco da Monaco di Baviera Werner Egk, per il quale lo scomparso artista aveva esercitato «un’influenza determinante su un’intera generazione di compositori», e da Parigi Darius Milhaud, il quale scrisse che «in tutte le opere di Hindemith, anche in quelle apparentemente più aggressive, si trovava un elemento di saggezza. Mi incontravo di frequente con lui negli Stati Uniti e sono stato sempre curioso in merito al suo modo di lavorare. Aveva una straordinaria facilità. Recava sempre con sé un libriccino per la musica, e mentre ad esempio aspettava un treno in ritardo egli poteva benissimo lavorare e comporre nella confusione della più rumorosa stazione ferroviaria. Il che non escludeva in lui la profondità dei sentimenti e del pensiero».
Hindemith si formò e studiò nell’ambiente musicale di Francoforte, diplomandosi in composizione nel 1915; all’Opera della stessa città trovò la sua prima occupazione in qualità di violino di spalla e poi di direttore d’orchestra, svolgendo dal 1921 attività di violista in un Quartetto da lui fondato e successivamente ammirato in tutta Europa. Sono di quegli anni, precisamente dal 1919 in poi, alcuni suoi lavori significativi in campo teatrale, sinfonico e strumentale, affiancati ad un’intensa collaborazione organizzativa al Festival musicale di Donaueschingen, trasferito in seguito a Baden-Baden e dal 1930 a Berlino. Nel 1927 venne nominato professore di composizione alla Musikhochschule berlinese, cattedra d’insegnamento conservata per dieci anni, nonostante le diffidenze e i contrasti di carattere politico che avrebbero costretto il musicista ad espatriare per continuare in Turchia, negli Stati Uniti, in Canada e nel Messico l’attività di compositore, di teorico e didatta, di violista e di direttore d’orchestra sempre più ammirato. Eletta a proprio domicilio la Svizzera dal 1938 e trasferitosi in America allo scoppio della seconda guerra mondiale, Hindemith prese nel 1940 la cittadinanza statunitense. Durante il conflitto insegnò all’Università di Yale, oltre che nei corsi estivi a Tanglewood e all’Accademia Berkshire di Stockbridge. Nel 1946 pubblicò un sostanzioso trattato di armonia a New York (Elementary Training for Musicians) e nel biennio 1948-49 fu docente alla Harvard University e di qui nel 1951 passò in Svizzera, occupando una cattedra di composizione all’Università di Zurigo. Nell’ultimo decennio di vita ottenne il Premio Sibelius, conferitogli dal presidente finlandese a Helsinki nel 1955, il dottorato honoris causa della Libera Università di Berlino e il Premio Balzan, riconosciutogli sette mesi prima che morisse.
Paul Hindemith
Hindemith compositore è passato attraverso varie esperienze linguistico- estetiche e culturali maturate nella Germania a cavallo della prima guerra mondiale, come l’espressionismo, la “Gebrauchmusik”, la cosiddetta musica d’uso a sfondo pedagogico-didattico con venature sociologiche e politiche, la “Neue Sachlichkeit”, la nuova obbiettività intesa come neo-classicismo nella riaffermazione di un tipo di musica solidamente costruita sul contrappunto e sulle chiare e antiche geometrie armoniche e ritmiche. Egli ha percorso con forte determinazione e indefesso lavoro una strada difficile, raggiungendo spesso risultati di notevole valore creativo: basti pensare alle opere Cardillac e Mathis der Maler, e in un certo senso anche a Sancta Susanna, senza trascurare la filosofica costruzione dell’Harmonie der Welt, e alle sette Kammermusiken nello stile concertante per organici strumentali molto variabili e a pagine sinfoniche di organico diverso fra di loro.
Al compositore Hindemith più caratterizzato e specifico sotto il profilo della costruzione musicale appartiene la Konzertmusik op. 50 per archi e ottoni, composta nel 1930 per il cinquantesimo anniversario della Boston Symphony Orchestra. Il discorso polifonico, molto denso e compatto, poggia su due precisi
blocchi sonori: da una parte una normale orchestra d’archi e dall’altra un gruppo massiccio di ottoni formato da quattro corni, quattro trombe, tre tromboni e un basso tuba. Il pezzo è articolato in due parti: la prima comprende i movimenti Mässig schnell, mit Kraft – Sehr breit, aber stets fliessend (Velocissimo con forza – Molto largo, ma in modo scorrevole), mentre la seconda parte racchiude i tempi Lebhaft – Langsam – Im ersten Zeitmass “Lebhaft” (Vivace – Lento – Nel primo tempo “Vivace”). Nella prima parte si scontrano i due blocchi attraverso un diverso materiale tematico, caratterizzato da una scattante energia dinamica. Il contrasto si risolve nell’episodio lento finale, dove alla cantabilità degli archi si unisce la sonorità organistica dei quattro corni, sugli accordi degli altri strumenti. Nella seconda parte la polifonia è impostata sul fitto contrappunto fugato di tutti gli strumenti. Da questo flusso sonoro si leva un tema leggero e gioioso dei violini, insieme ad una frase di intonazione pensosa della tromba. Ma è un breve momento, perché tutto si conclude nel clima contrappuntistico caratterizzante lo spirito della Konzermusik.