Strauss Richard

Don Quixote – Concerto per corno n. 2

Amo il poema sinfonico “Don Quixore” soprattutto per l’orchestrazione straordinariamente virtuosistica. Inoltre c’è un assolo per violoncello che potrebbe posizionarsi tra i migliori mai scritti. Se Strauss non avesse dato a questo pezzo quel sottotitolo, potrebbe esser considerato il suo primo e unico concerto per violoncello! Non posso immaginare un direttore/violoncellista/orchestra migliore del trio Karajan/Fournier/BPO in termini di brillantezza, timbro e colore. Ciliegina sulla torta: l’inusuale incisione del Concerto n. 2 per corno e orchestra con solista il primo corno dei Berliner Philharmoniker. Nonostante la datazione l’audio riprodotto dagli ingegneri della DG è straordinariamente caldo e spazioso. Registrazioni eseguite dal 1966 al 1974 e rimasterizzazione effettuata nel 1988. Imperdibile!

Karajan dirige il “Don Quixote” e il “Secondo Concerto per corno e orchestra” di Richard Strauss

Sarebbe stato difficile trovare un romanzo più consono al genio di Strauss del
Don Chisciotte. Il capolavoro di Cervantes possiede tutto ciò che il compositore avrebbe potuto desiderare: personaggi tratteggiati in modo superbo; una trama densa di avvenimenti; una brillante varietà di stili, dalla più sublime epica cortese al più crudo realismo. Strauss ultimò le sue “variazioni fantastiche su un tema di carattere cavalleresco” nel dicembre del 1897. Il pezzo fu eseguito per la prima volta a Colonia nel marzo del 1898: con il passare del tempo è giunto ad essere considerato uno dei più riusciti, certamente il più raffinato, fra i poemi sinfonici del compositore bavarese.
Strauss in origine desiderava che i personaggi di Don Chisciotte e del suo simpatico scudiero Sancho Panza fossero caratterizzati da solisti tratti dai ranghi dell’orchestra: violino e violoncello per il nobile signore; viola, clarinetto basso e tuba tenore per il servitore. Di fatto, la pura e semplice importanza della parte del violoncello, per non parlare delle difficoltà che presenta e delle soddisfazioni che garantisce, si dimostrò tale da spingere ben presto solisti di prima grandezza ad appropriarsene.
Non che orchestrali di ottimo livello non potessero svolgere un buon lavoro; è che grandi violoncellisti avrebbero potuto fare meglio ancora. Vi sono registrazioni di Strauss che dirige il pezzo sia con i primi violoncellisti delle orchestre, che con celebri solisti. Per la sua incisione in studio del 1933 a Berlino il compositore ingaggiò però Enrico Mainardi, grande stella italiana del violoncello di questo secolo, in qualità di solista. Mainardi fu prescelto anche da von Karajan per la sua prima esecuzione del Don Chisciotte che ebbe luogo ad Aquisgrana il 4 gennaio del 1939. Sarebbe stato logico aspettarsi che il Nobile Cavaliere Herbert von Karajan (titolo e nome di battesimo originari) dirigesse questa pagina come se fosse nato per eseguirla: in definitiva, l’apertura è marcata quale “ritterlich und galant”, “cavalleresca e galante”. Si sarebbero potute nutrire le medesime aspettative nei confronti di Sir Thomas Beecham (che non era un aristocratico nato, ma che della nobiltà acquisì lo stile) e di Clemens Krauss (rampollo sia pure ufficialmente illegittimo dell’Austria imperiale).
Nell’interpretazione di Karajan, tuttavia, v’è anche dramma, v’è pure poesia. L’assolo di oboe poco dopo l’inizio del lavoro – ove Don Chisciotte sogna Dulcinea, suo amore immaginario – è stato ben di rado suonato meglio di quanto faccio qui Lothar Koch, orchestrale dei Berliner Philharmoniker. Il presagio della perdita della regione, un passaggio dell’introduzione alquanto rischioso sotto il profilo orchestrale, è realizzato anch’esso con pregnante, espressiva efficacia. Per Karajan e per Pierre Fournier era il lato idealizzante e cavalleresco di Don Chisciotte a contare di più. V’è poco da stupirsi quindi che la fervida disquisizione delle nostro eroe sulla Cavalleria Errante (Variazione 3) rappresenti chiaramente uno dei momenti più alti di quest’esecuzione. Karajan sviluppò nel corso del tempo un amore particolare nei confronti di questo

lavoro, un amore non diverso comunque da quello nutrito per tutte le opere comprese nel suo vastissimo repertorio: in ogni caso, un amore che divenne vieppiù profondo col passare degli anni. Una volta ebbe ad esprimersi così: “Il più grande epilogo scritto da Strauss secondo me è quello alla fine del Don Chisciotte, dove il nobile spagnolo sembra dire: “Ho combattuto, ho commesso i miei errori, ma ho vissuto la mia vita come meglio potevo secondo la mia visione del mondo, e ora… “Trovo questa chiusura profondamente commovente”.
In questa incisione del 1966 Karajan e Fournier suonano la coda con uno spirito di sublime nobiltà, ma nei sussulti e nelle agitazioni finali della mente parzialmente squilibrata di Don Chisciotte viene toccata una corda d’angoscia, il che è perfettamente in linea con quest’esecuzione nella sua totalità. Don Chisciotte vi è concepito infatti non come figura comica, ma quale Puro Folle, un visionario, un martire delle sue stesse fantasticherie.
Karajan non aveva mai diretto il primo dei due Concerti per corno e orchestra scritti da Strauss. Dennis Brain li registrò entrambi a Londra nel 1966 con la Philharmonia Orchestra guidata in quell’occasione da Wolfgang Sawallisch. L’incisione del Secondo Concerto presentata qui, con Norbert Hauptmann, primo corno dei Berliner Philharmoniker, nelle vesti di solista, ha sempre occupato quindi un posto ben distinto e di spicco nella discografia. Composto da Strauss nel 1942, il Secondo Concerto per corno e orchestra è un piccolo, spumeggiante capolavoro cesellato con superba maestria, cosa piuttosto stupefacente se si considera come il suo autore, quasi ottantenne, fosse allora un vecchio musicista depresso che viveva in uno stato di semireclusione in un paese distrutto dalla guerra. Norman Del Mar, biografo del compositore, ha paragonato l’arte sopraffina e la torrenziale energia che sprizza da questo pezzo alle analoghe caratteristiche che si riscontrano nel Falstaff di Verdi. Ma Falstaff, va detto, è un’opera di ben maggiore sostanza: va anche detto, però, che venne scritta in tempi più propizi. È interessante notare come il dedicatario del Concerto di Strauss fosse un altro Hauptmann, il grande drammaturgo Gerhart, morto nel 1946.

Richard Osborne
(Traduzione: Massimo Acanfora Torrefranca)

Don Quixote (Do Chisciotte) variazioni fantastiche su un poema cavalleresco op. 35

Strauss compose il Don Chisciotte nel 1897 (prima esecuzione a Colonia, l’8 marzo 1898), dopo Così parlò Zarathustra (1896) e prima di Vita d’eroe (1898- 99).

Pierre Fournier

Nel significato complessivo del sinfonismo “a programma” (cioè di musica creata su un contenuto preesistente, letterario o no) e nell’evoluzione artistica dell’autore i tre poemi si completano a vicenda perché sono una trilogia sull’idea romantico-decadente dell’eroe. Ma per inventiva, originalità, magnificenza tecnica, per coerenza e misura, il Don Chisciotte è sicuramente superiore agli altri due poemi ed è forse (o almeno sembra a chi qui ne scrive) il capolavoro dello Strauss sinfonista. Vi si esprimono complete, infatti, le energie positive del suo genio, che sono la sintetica efficacia dei temi musicali, il vigore dell’immaginazione drammatica e descrittiva, il senso del comico e del grottesco, che si fondono in un equilibrio ammirevole, tra l’entusiasmo giovanile (quando compose il Don Chisciotte Strauss aveva 33 anni) e la maturità. Dunque, in questo Don Chisciotte ogni momento del racconto musicale, ogni battuta non diluisce né confonde mai caratteri e accadimenti, anzi riesce a specificare gesti e parole, senza che nulla vi sia di eccessivo, di arbitrario, di dispersivo nella forma. Nella rielaborazione di un personaggio di tale autorità culturale, causa di tentazioni e di abusi nelle interpretazioni (sappiamo che cosa abbiano significato per la spiritualità romantica temi quali il contrasto tra sogno e realtà e la solitudine dell’eroe) non era da tutti conciliare commozione e ironia, partecipazione e precisione espressiva. Riuscì a Strauss, perfettamente.
Non c’è qui spazio per studiare, né per additarle soltanto, tutte le invenzioni, fantasie, sottigliezze della partitura, enorme e agile. Essa è concepita e costruita in 10 Variazioni su due temi, precedute da una lunga Introduzione (le letture di Don Chisciotte, i suoi estri bizzarri, i propositi guerreschi, il fantasma dell’innamorata) e concluse dal meraviglioso Finale (la delusa rassegnazione alla realtà: «Yo fui loco y ya soy cuerdo… Perdonarne, amigo, de la ocasión que te he dado de parecer loco como yo», la morte: e la musica è all’altezza di quelle pagine supreme). Anche se Strauss disse nel sottotitolo che sono variazioni su un tema e anche se questo tema di Don Chisciotte è il protagonista assoluto delle dieci elaborazioni, c’è un secondo tema, quello di Sancho Panza, che partecipa da vero deuteragonista alle avventure musicali, nella narrazione naturalmente (era sempre il Sancho, pratico, assennato, sempliciotto) e nell’architettura sonora (il suo tema dialoga spesso, in complessi contrappunti, con quello di Don Chisciotte). I due temi principali, inoltre, hanno una fisionomia timbrica variabile secondo le situazioni e gli umori dei due personaggi. Sì, l’immagine di Don Chisciotte ci si presenta, generosa, cortese, stravagante, nel suono del violoncello soprattutto, ma la sentiamo farneticare di incantesimi e di amori anche nelle melodie del violino e di alcuni legni (corno inglese, clarinetto, e flauto per le vaneggianti conclusioni da premesse false), così come Sancho ragiona ed eccepisce nella voce della viola, ma borbotta e brontola col clarinetto basso e con la tuba tenore e strilla con l’ottavino.
Perché Strauss ha scelto la difficile costruzione del tema con variazioni nel trasferimento in musica del famoso personaggio? Certo, per il proposito di una narrazione avventurosa, sorprendente, varia, con due protagonisti ben riconoscibili, e per il gusto artigianale di una costruzione formale volubile e tuttavia coerente e salda (nella musica questa non è una contraddizione: non è tale, almeno, per i grandi musicisti). Ma c’è una ragione più profonda, connessa alla natura mitico-esistenziale di Don Chisciotte. Questi come modello di vita è l’opposto assoluto di Don Giovanni, figura ben nota a Strauss, creatore di un suo Don Giovanni e abilissimo interprete dell’opera di Mozart. Se Don Giovanni è eroe della vita molteplice e della dispersione di sé, Don Chisciotte è eroe della vita immobile e della contrazione in sé: infatti, per quanti giri e incontri egli faccia, vive e agisce fermo in un luogo che non è reale, nel passato cavalieresco e nei suoi fantasmi. L’essenza simbolica di questo stupendo mito letterario è nella sua coerenza tragicamente maniacale. Raffigurando Doni Chisciotte in un tema unico che si varia restando se stesso, Strauss ha attuato in musica il significato primario del mito.
Le Variazioni seguono liberamente, cioè non in un ordine continuo, nove episodi del romanzo, mentre la III Variazione, la più estesa e la più emozionante (Dialogo tra Don Chisciotte e Sancho), è un’idealizzazione di tutte le riflessioni realistiche dello scudiero e di tutti i nobili vaneggiamenti del cavaliere: la seconda parte di questa III Variazione, una lunga, intensa melodia di fa diesis maggiore su uno smagliante tessuto sonoro, è uno degli ultimi esempi di grande stile sinfonico. Si elencano qui i contenuti narrativi delle altre Variazioni con il riferimento ai capitoli del romanzo: I Variazione “L’assalto ai mulini a vento”, libro I cap. 8; II Variazione “II massacro del gregge”, I 18; IV Variazione “L’avventura con la processione dei penitenti”, I 52; V Variazione “La veglia notturna del cavaliere”, I 3; VI Variazione “L’incantesimo della falsa Dulcinea” ma Don Chisciotte, impaziente e scaltro, non crede che quella sia la sua dama, libro II 10; VII Variazione “Don Chisciotte e Sancho volano su un cavallo alato”, vittime ignare della beffa del Duca e della Duchessa, II 41: mentre violini, arpe, legni, macchina del vento ci evocano un’esperienza miracolosa e fantastica, un pedale bassissimo (re dei contrabbassi, e lenta discesa in profondo di fagotti e controfagotti) dice che i due sono rimasti miseramente a terra; VIII Variazione “Viaggio sulla barca incantata”, II 29; IX Variazione “Trionfo sui due maghi”, che sono due poveri monaci benedettini salmodianti, I 8; X Variazione “Don Chisciotte combatte col Cavaliere della Bianca Luna (che altri non è che il baccelliere Sansón Carrasco travestito) e ne esce sconfìtto” II 64. Come si è detto, segue alla X Variazione la grande pagina della rinuncia e della morte (anche qui una Variazione del tema principale): ma come nel Till Eulenspiegel, una maliziosa, sorridente cadenza, già ascoltata, stranita e divagante verso l’ultimo, luminoso accordo di re maggiore, ci promette che lo spirito eroico di Don Chisciotte non morirà mai.

Concerto n. 2 in mi bemolle maggiore per corno e orchestra

I due Concerti per corno e orchestra di Richard Strauss appartengono a due periodi opposti della creatività dell’autore – il primo venne scritto a 19 anni, il secondo a 78 – ma sono entrambi legati alla figura del medesimo solista: Franz Strauss, il padre del compositore, che esercitò una influenza determinante sul musicista in erba. Franz Strauss non era stato solamente primo corno presso l’orchestra di corte di Monaco di Baviera, ma anche uno dei più importanti cornisti-virtuosi del suo tempo, autore di brani da concerto e da studio per il suo strumento. Inoltre, pur essendo tenuto, per il suo ruolo orchestrale, ad eseguire i soli di corno delle varie opere di Wagner che trovarono la prima esecuzione assoluta proprio a Monaco di Baviera, era un fervente antiwagneriano. In un mondo musicale, come quello austrotedesco degli anni Sessanta e Settanta del secolo, in cui vivissima era avvertita la contrapposizione fra il presunto vecchio e il presunto nuovo, ossia la vocazione classicistica di Brahms e la scuola neotedesca di Wagner e Liszt, Franz Strauss si opponeva strenuamente alla seconda tendenza, parteggiando per il classicismo brahmsiano. Ovvio che il giovane Strauss – non ancora caduto sotto l’influenza del principale alfiere del wagnerismo, il direttore e pianista Hans von Bülow – scrivesse per il padre uno dei primi frutti maturi del suo ingegno, quel Concerto per corno op. 11 che tuttavia ebbe come primi interpreti altri solisti e venne poi dedicato a Oscar Franz. Sessant’anni più tardi, Strauss volle concepire un nuovo Concerto per corno, nella medesima tonalità di mi bemolle, pensato come omaggio alla figura paterna. Il compositore avrebbe voluto che la partitura fosse eseguita una volta soltanto, nel corso di una cerimonia commemorativa per il padre. La prima esecuzione ebbe luogo al Festival di Salisburgo, con il solista Gottfried von Freiberg e la Filarmonica di Vienna diretta da Karl Böhm, nel 1943, in piena guerra. Non è certo un caso che in quegli anni Strauss componga diversi lavori strumentali che, con il loro diatonismo, sembrano guardare al passato, a un recupero della classicità che è personalissimo, e nulla ha a che fare con le correnti neoclassiche fra le due guerre. La trasparenza della scrittura e lo sguardo verso Mozart e Rameau sono in realtà un’evasione rispetto al clima bellico e agli orrori della dittatura militare.

Herbert von Karajan

In questa prospettiva si inserisce dunque il Secondo Concerto per corno, in cui si fondono memorie familiari e recupero della classicità. Un recupero che, comunque, non può ignorare il tempo trascorso dal Primo Concerto, dove prevaleva ancora un certo entusiasmo di matrice romantica. Basta ascoltare l’esordio della partitura, dove i festosi e incisivi richiami dello strumento solista, accompagnati dai soli archi, che spesso si alternano con il corno, appaiono come sospesi in un flusso che lascia emergere solo a tratti precise scansioni ritmiche. Solo in un secondo momento interviene l’orchestra intera – flauti, oboi, clarinetti, fagotti, corni – e particolarmente efficace è la sezione dello sviluppo che vede i vari legni a rotazione impegnarsi in duetti ed intrecci con il solista. Davvero novecentesca è insomma la logica per cui il solista procede per slanci ellittici, che illuminano in modo sempre rinnovato pochi spunti di base.
Senza soluzione di continuità si scivola nel secondo movimento, un Andante con moto, preparato da una adeguata introduzione orchestrale, che è un vero notturno, in cui il corno si lancia in una limpida e astratta melodia; ma il momento più enigmatico è nella breve sezione centrale, quando sul finissimo tessuto degli archi il corno staglia poche icastiche frasi interrogative, prima di una ripresa abbreviata. Si arriva così al finale, un Rondò in 6/8 aperto dalle festose fanfare del corno solista; non è difficile vedere, in questo movimento, una rievocazione dei Rondò finali dei Concerti per corno di Mozart, dove vengono rielaborati stilemi “di caccia”, cioè impiegati dal corno per i richiami nelle battute di caccia. Ma questi stilemi sono come riecheggiati attraverso una rielaborazione di grande complessità, che diventa una prova di bravura non solo per il solista, impegnato al massimo delle possibilità di espressione, duttilità, virtuosismo dello strumento, ma anche di un gusto trapuntato dell’intreccio fra il corno e l’intera orchestra, che chiude con un ultimo slancio entusiastico l’intera partitura.

Altra incisione di tutto rispetto ma secondo il mio modesto parere il violoncellista Antonio Meneses non eguaglia l’interpretazione di Pierre Fournier. In questa versione mi ha colpito la bellezza e brillantezza del suono in DDD. Registrazione effettuata nel 1987. Raccomandato.

Strauss: Don Chisciotte . Till Eulenspiegel

Nel giocoso pezzo orchestrale Till Eulenspiegels lustige Streiche (I tiri burloni di Till Eulenspiegel) op. 28, finito da Strauss nel 1895, appare splendidamente risolto il problema principale del poema sinfonico, dare di un soggetto letterario una rappresentazione musicale autosufficiente e compiuta nella forma e nell’espressione. Ancor più chiaramente dei Poemi sinfonici precedenti questo lavoro rivela la straordinaria capacità del compositore di tradurre con esattezza nel linguaggio orchestrale tardo romantico le immagini della sua ricca fantasia. Essa poteva accendersi con particolare intensità a contatto con la vivacissima figura di Till, lo scaltro burlone in cui il giovane Strauss poteva in un certo senso identificarsi nella sua battaglia contro la meschina arretratezza piccolo borghese. Strauss crea temi di non comune plasticità, li trasforma con molta fantasia in rapporto alla situazione e crea con essi le sue sapienti strutture, tratta con arte magistrale il grande apparato dell’orchestra (con i legni a quattro, otto
corni e sei trombe), ne trae raffinati effetti sonori e lo fa risplendere e scintillare nell’intera gamma di colori.

Antonio Meneses

Soltanto dopo la prima esecuzione Strauss si decise a fornire un programma esauriente; ma, anche senza che lo si conosca, la musica con l’evidenza delle sue immagini e con il suo logico svolgimento può mettere gli ascoltatori nella condizione di spaccare “le noci che il burlone porge loro”.
Con piena semplicità il compositore attacca il suo “C’era una volta un burlone…”. Poi il nostro eroe entra in scena in forma di una melodia del corno sincopata e sghemba. Dopo un breve crescendo viene presentato il vero e proprio motivo del briccone, con cui il clarinetto in re produce un effetto spiritoso e sfacciato: è una variante ritmica delle sei note iniziali. Si svolge ora in forma di un libero rondò un furibondo gioco a rimpiattino o di trasformazione basato su due temi principali: in travestimenti sempre nuovi Till compie le sue pesanti burle – cavalca tra le donne del mercato, alle quali rompe le brocche; fa il predicatore, mentre sotto la veste fa capolino il suo costume di folle briccone; si atteggia a languido innamorato, che però viene respinto e sfoga la sua rabbia su un erudito filisteo; infine è il piagnucoloso imputato al processo che si conclude con una condanna a morte, finché, penzolando dalla forca emette l’ultimo respiro con l’ultimo trillo del flauto.
Spazi sonori ancora più ampi dischiude il Poema sinfonico Don Quixote (Don Chisciotte) op. 35, composto nel 1896/97 traendo ispirazione dal celebre romanzo di Cervantes “El ingenioso hidalgo Don Quixote de la Mancha”. Ma per quanto nella gigantesca partitura (che fra l’altro prevede una macchina del vento e una grandissima presenza di percussione) possano risultare affascinanti le naturalistiche pitture sonore e gli effetti timbrici spinti fino ad autentiche acrobazie di tecnica strumentale, tutti questi aspetti nel loro significato musicale passano in secondo piano in rapporto ai caratteri nettamente delineati e alle loro innumerevoli varianti, e in rapporto alla forma sinfonica ben costruita. Il sottotitolo “Variazioni fantastiche su un tema cavalleresco” tace il fatto che l’opera si basa, propriamente, su due temi. Essi simboleggiano le diverse figure di Don Chisciotte e del suo scudiero Sancho Panza.
Il suono del violoncello solista ritrae l’aspetto folle e cavalleresco del “cavaliere dalla trista figura”, mentre il clarinetto basso, la tuba tenore e la viola solista sono legati alla prosaica furbizia del servo. Dieci variazioni delineano altrettanti episodi del romanzo in una rapida successione di quadri piena di incisività, ironia ed umorismo: cavalcata e lotta con i mulini a vento e con il gregge di montoni (Variazione I e II) – Dialogo tra il Cavaliere e lo scudiero (III) – Avventura con una processione di pellegrini (IV) – Veglia d’armi di Don Chisciotte e le sue effusioni amorose (V) – Dulcinea stregata (VI) – Cavalcata nell’aria (VII) – Viaggio sulla barca (VIII) – Assalto ai presunti maghi (in realtà dei monaci) (IX) – Duello e ritorno a casa (X).
Il “Finale” ci fa prendere congedo dal cavaliere, che ha perduto tutte le illusioni e dopo essersi ravveduto muore. L’opera si spegne in un clima rasserenato, in un dolce re maggiore.

Siegmar Keil
(Traduzione: Paolo Petazzi).