Franz Joseph Haydn
Le sette ultime parole
Questo DVD è eccellente dal punto di vista dell’interpretazione delle «Sette Ultime Parole del nostro Redentore sulla Croce» di Haydn. E un documentario sugli affreschi di Piero della Francesca nella chiesa di San Francesco in Arezzo offre una buona occasione per apprezzare quei meravigliosi capolavori.
Le ultime sette parole di Cristo sulla Croce
Haydn scrisse tredici messe in cui è possibile avvertire con molta chiarezza l’evoluzione costante e continua della personalità dell’artista, proteso verso il nuovo senza dimenticare il passato. Le prime due composizioni del genere, la Missa Rorate coeli desuper in sol maggiore e la Missa brevis in fa maggiore rientrano negli schemi della musica religiosa austriaca tradizionale; l’autore aveva appena diciotto anni e non poteva non seguire le regole vocali e strumentali già utilizzate da altri compositori. Una maggiore varietà tecnica ed estetica, specie nella parte riservala al canto, si può riscontrare nella Missa Sanctae Caeciliae in do maggiore (1769-1773) e nella Missa Mariazell in do maggiore, così chiamata perché composta per il monastero di Mariazell (1782), ma la maturità di Haydn in questo .specifico settore si riscontra nel gruppo delle sei messe solenni, tra le quali spiccano per grandiosità e imponenza di costruzione, con l’uso più incisivo e vibrato dell’orchestra, la Missa in tempore belli in do maggiore, detta anche Paukenmesse (Messa dei timpani) del 1796, la Missa in angustiis in re minore, conosciuta pure come Nelson-Messe, del 1798, la Theresien-Messe in si bemolle maggiore del 1801, la Schöpfungs-Messe (Messa della creazione) in si bemolle maggiore del 1801 e l’Harmoniemesse in si bemolle maggiore del 1802. Né vanno dimenticati i due Te Deum in do maggiore, scritti rispettivamente nel 1764 e nel 1800, e il poderoso e denso Stabat Mater con orchestra e organo (1773).
Un discorso a parte merita il brano religioso Die seben letzten Worte unseres Erlösers ami Kreuze (Le sette ultime parole del nostro Redentore sulla croce) composto utilizzando sette frasi o versetti ricavati dai Vangeli per celebrare i funerali di Cristo. Il lavoro di Haydn, scelto in base ad un concorso bandito dalla chiesa Santa Cueva di Cadice nel 1785 e il cui canonico, il marchese José Saluz de Santa-maria, aveva indicato il soggetto, fu concepito in origine per orchestra d’archi, fiati e timpani: in questa versione venne eseguito a Vienna in casa del principe Auersperg il 26 marzo 1787 e poco dopo a Bonn, forse con lo stesso Beethoven in orchestra. Successivamente nel 1790 l’autore ne approntò una nuova versione per quartetto d’archi, inserita nella serie dei quartetti dell’op. 51, cui seguì l’edizione per solo pianoforte. Nel 1796 Haydn pensò bene di rielaborare le «Sette ultime parole di Cristo» in un oratorio per soli, coro e orchestra, aggiungendo fra il n. 4 e il n. 5 un pezzo nuovo per strumenti a fiato e facendo precedere ogni brano strumentale da un breve coro misto a quattro parti. Ecco quello che scrisse il musicista nella prefazione all’edizione di questa composizione per coro e orchestra stampata nel marzo del 1801 a Vienna e pubblicata da Breitkopf & Härtel: «Circa quindici anni fa sono stato pregato da un canonico del duomo di Cadice di comporre una musica strumentale sulle sette frasi pronunciate da Gesù in croce.
Franz Joseph Haydn
Durante la quaresima c’era allora l’usanza a Cadice di rappresentare nella cattedrale un oratorio, ad accrescere la suggestione del quale dovevano contribuire non poco i vari addobbi. Si velavano, per esempio, le pareti, le vetrate e le colonne della chiesa con panni neri e soltanto il grande lampadario al centro del tempio illuminava la sacra tenebra. All’ora di mezzogiorno tutte le porte venivano chiuse e si dava inizio alla musica. Dopo un preludio appropriato il vescovo saliva sul pulpito, pronunciava una delle sette frasi e vi faceva sopra una meditazione, dopo di che scendeva dal pulpito e si prostrava davanti l’altare. Questa pausa era colmata dalla musica. Quindi il vescovo risaliva sul pulpito e ne ridiscendeva per la seconda, la terza, la quarta volta etc, mentre l’orchestra tornava a suonare nei successivi intervalli tra i brevi discorsi del prelato.
La mia composizione doveva intonarsi a questo rituale. Non era un compito dei più facili far seguire sette adagi, uno dopo l’altro e ciascuno della durata di dieci minuti, senza stancare gli ascoltatori. Mi resi conto ben presto che non potevo attenermi ai tempi prescritti. Originariamente la musica era senza parole e in tale forma essa è stata fatta stampare. Solo più tardi mi sono deciso a rielaborarla sulla trama delle parole in modo che l’oratorio Le sette ultime parole del nostro Redentore sulla croce esce ora per la prima volta presso la casa Breitkopf & Härtel in forma completa e, per quanto concerne la musica vocale, del tutto nuova. Il grande amore con cui esso viene accolto da intenditori mi fa sperare che non mancherà di incontrare il favore anche di un pubblico più vasto ».
Il lavoro di Haydn è improntato a nobiltà e auslerità di concezione ed è sorretto da una melodia dolorosamente espressiva, perfettamente aderente allo spirito misticheggiante del testo. Esso è articolalo in sette brani per soli, coro e orchestra, più una introduzione per orchestra in tempo maestoso e adagio, un intermezzo per strumenti a fiato e un movimento conclusivo denominato «Il terremoto» per coro e orchestra (Presto e con tutta la forza). L’introduzione in re minore ha un tono solenne e drammatico, realizzato con figurazioni puntate e note ribattute degli archi. Il primo brano per soli, coro e orchestra è un Largo in si bemolle maggiore (Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno) sottolineato da un sentimento di dolce rassegnazione, ma non esente da qualche turbamento psicologico, come si rileva nell’andamento cromatico dell’episodio centrale, prima di ritornare al tema inizale, al quale fa seguito una seconda frase musicale dalla linea più cantabile. Subentra quindi un brano monotematico in do minore (Grave e cantabile) sulle parole: «In verità tì dico: oggi sarai con me in Paradiso»: il tema intensamente lirico viene annunciato dal coro e dall’orchestra, passando da uno slato d’animo di tristezza ad un altro di serenità, come indica la transizione dall’accordo di sol maggiore, inteso come dominante di do minore, a quello di mi bemolle. Lo stesso procedimento viene utilizzato anche verso la fine del pezzo, in cui il tema sarà ripreso nella luminosa tonalità di do maggiore Il quarto brano è in mi maggiore e in tempo grave (Donna, ecco tuo figlio, e tu: ecco tua madre) ed è caratterizzato da una melodia instabile e ricca di modulazioni inaspettate e dal ritmo vagamente sincopato. Il successivo Largo in fa minore (Dio mio, perché m’hai abbandonato?) si richiama all’atmosfera lirica dello Stabat Mater di Pergolesi, che Haydn conosceva bene. Dal principio alla fine permane lo stesso clima espressivo di intonazione tragica e dolente. Segue un Largo e Cantabile strumentale esclusivamente affidato a strumenti a fiato (flauto, oboi, clarinetti, corni, tromboni, fagotti e controfagotto), come è stato già detto in precedenza: è un tema malinconico che invita a riflettere sulla tragedia del Golgota. Il quinto brano (Ho sete) è un Adagio in la maggiore, avviato sui pizzicati degli archi che sorreggono una melodia dei violini e valori lunghi, prima di giungere ad un clima espressivo di angoscia, temperato alla fine da un sentimento di rassegnazione.
Il sesto brano in tempo lento in sol minore (Tutto è finito) si apre con un vigoroso unisono del coro e dell’orchestra, cui segue un tema cantabile in si bemolle maggiore dei violini, accompagnato sommessamente dal resto degli archi. Quindi il clarinetto, il fagotto e il flauto riprendono con dolcezza espressiva la figurazione iniziale dei violini: il discorso si conclude in un clima di serenità e nella tonalità di sol maggiore. Il settimo brano è un Largo in mi bemolle maggiore (Padre, rimetto la mia volontà nelle tue mani) di lineare purezza melodica, contrassegnata da variazioni e procedimenti imitativi. Non mancano penetranti effetti timbrici di evocazione poetica, come quando i due corni accompagnano l’entrata del tenore e del contralto: la melodia sta quasi ad indicare la fiducia dell’uomo nella potenza divina. La composizione termina con un brano in do minore denominato «Il terremoto»: ancora un attacco robusto dell’orchestra, seguito da un intervento incisivo e marcato del coro. Il paesaggio strumentale si ravviva ritmicamente con terzine e strappi degli archi, che stanno a sottolineare visivamente fulmini e movimenti tellurici: paura e smarrimento investono l’ascoltatore e l’invitano a riflettere sul dramma dell’avventura umana.
Anche da questa pagina religiosa di Haydn si sprigiona in sintesi un sentimento tonificante e rasserenante della vita, come riconobbe Goethe scrivendo in «Kunst und Alterthum» (Arie e antichità) che «la pratica e l’audizione delle sue opere [di Haydn] mi hanno sempre comunicato una sensazione di pienezza. Poiché questo artista è nostro, figlio delle nostre contrade, che crea con naturalezza la musica».
L’organico delle Sette ultime parole del nostro Redentore sulla croce comprende due flauti, due oboi, due fagotti, due corni, due trombe, due tamburi o timpani e archi.
Riccardo Muti