Bach Johann Sebastian
Oratorio di Natale
Ho visto questa versione dell’Oratorio di Natale e mi ha completamente catturato. Sono un grande fan di Boychoir e devo dire che tutti i piccoli cantori di questa edizione sono superbi. I solisti, delle vere e proprie colonne portanti, sono professionali e perfetti, mentre Nikolaus Harnoncourt ha il pieno controllo dell’orchestra. Anche se non sono un amante delle incisioni filologiche, tuttavia devo riconoscere la bellezza e la purezza del suono degli strumenti originali, compreso ad esempio l’oboe da caccia (una specie di corno inglese con metallo fine), le trombe e i flauti. Video e audio ottimi. Altamente raccomandato.
Weihnachts Oratorium (Oratorio di Natale), BWV 248
In vista delle imminenti festività natalizie, nell’autunno del 1734 Johann Sebastian Bach – che in qualità di Kantor di S. Tommaso a Lipsia doveva per contratto occuparsi di tutto l’apparato musicale liturgico delle due chiese principali della città – decise di cogliere l’occasione per tentare nuove vie espressive, sollecitato ancora una volta dal suo instancabile spirito sperimentatore. Da qualche anno riteneva ormai conclusa l’esperienza delle Cantate sacre, intrapresa con tenace determinazione fin dall’inizio del suo servizio a Lipsia (aprile 1723) e concretatasi in circa 300 lavori, composti in sei anni di quasi ininterrotta produzione per tutte le domeniche e le festività.
Nacque cosi il progetto di un grande Oratorio, la forma musicale che in ambito sacro costituiva allora l’esatto corrispondente del melodramma: in esso infatti – pur mancando l’elemento strettamente visivo-rappresentativo, proibito in chiesa – si alternavano introduzioni strumentali, Cori, Recitativi accompagnati, numeri solistici e pezzi d’assieme, tra loro collegati dal Recitativo del narratore, come in una vera e propria «rappresentazione musicale di una storia sacra» (Johann Mattheson). Bach aveva già affrontato questa forma nelle tre grandi Passioni (una delle quali perduta), composte tra il 1724 e il 1731, ma per l’Oratorium Tempore Nativitatis Christi BWV 248 (Weihnachts-Oratorium) egli concepì la più ambiziosa, imponente e complessa architettura musicale di tutta la sua produzione: con questa avrebbe voluto forse inaugurare una nuova stagione creativa, ma rimase invece una sorta di miracoloso unicum nel suo catalogo.
L’Oratorio di Natale si compone di sei Partes (Bach chiama Pars ogni singola Cantata del Weihnachts-Oratorium). Di fatto si tratta di sei Cantate destinate alle sei solennità del Tempo di Natale di quell’anno: il Natale, Santo Stefano (26 dicembre), San Giovanni Evangelista (27 dicembre), Capodanno (o festa della circoncisione di Gesù, primo gennaio 1735), domenica dopo il Capodanno (2 gennaio) ed Epifania (6 gennaio). Questo grandioso ciclo natalizio fu pensato appositamente per un’esecuzione «a puntate» nell’arco di tredici giorni. Così ogni Cantata, pur essendo in sé compiuta e autonoma, è anche parte organica di un unico, ampio disegno: ed è proprio in questo aspetto che principalmente si rivela e si apprezza la grandezza del genio bachiano. Il primo livello di omogeneità che contraddistingue le sei Partes è quello testuale: l’autore (probabilmente Picander, ma l’intervento di Bach – specialmente nella scelta e nella disposizione dei brani – fu senz’altro decisivo) prese dai Vangeli di Luca e di Matteo la narrazione dei quattro episodi relativi al Natale (la nascita, la visita dei pastori, la circoncisione e la venuta dei Magi) e ne ricavò sei scene cronologicamente conseguenti, presentate dall’Evangelista. Esse costituiscono il nucleo «tematico» di ogni Pars, integrato e approfondito da originali testi madrigalistici per i brillanti Cori introduttivi, dai Corali della tradizione luterana, anch’essi affidati al coro ed espressione della pietas collettiva, e da altri brani poetici originali, destinati invece ad Arie solistiche, Duetti e Terzetti, che danno voce al fedele raccolto in preghiera.
Esiste poi un livello di coesione più strettamente musicale: non solo è simile l’articolazione interna di ogni Pars (a eccezione della Pars II, tutte iniziano con un Coro in metro ternario; tutte si concludono con un Corale; in ognuna ci sono due pezzi solistici – Arie, Duetti o Terzetti – e almeno due Corali), ma soprattutto, grazie alla distribuzione dei piani tonali (re-sol-re-fa-la-re), alla scelta degli organici strumentali e all’uso di procedimenti ciclici (ad esempio, l’impiego ripetuto della stessa melodia di Corale nei numeri 5 e 64; 7 e 28; 9,17 e 23), le sei Partes si dispongono come in un polittico, intessendo tra loro molteplici relazioni e scambiandosi continui rimandi.
Occorre infine accennare alla vexata quaestio della tecnica parodistica, il cui largo impiego nell’Oratorio di Natale è stato per più di un secolo motivo di imbarazzo estetico per gli esegeti bachiani. In poche parole: sia stato per mancanza del tempo necessario alla composizione «tutta nuova» di un lavoro di tali dimensioni, oppure per recuperare brani scritti per occasioni particolari e altrimenti destinati a non essere mai più eseguiti (ma un motivo non esclude l’altro), Bach riutilizzò diversa musica composta in precedenza. Sicuramente, 17 numeri – dei 64 di cui consta l’Oratorio – provengono infatti dalle due Cantate profane BWV 213 e 214 scritte l’anno prima rispettivamente per i compleanni del principe e della principessa elettori di Sassonia, ma è anche assai probabile che altri numeri contengano materiale musicale di composizioni bachiane perdute: pare certo, però, che tutti i passi dell’Evangelista, i Recitativi accompagnati, i Corali, la Sinfonia e l’Aria siano composizioni originali, scritte cioè appositamente per l’Oratorio. Va notato, comunque, che Bach non si limitò a trascrivere i pezzi non originali, ma ne modificò l’impianto tonale, i registri vocali, l’organico strumentale: insomma, pur non avendoli «creati» sotto la spinta di un’ispirazione legata a quel preciso evento (il Natale), il Kantor non agì certo in modo acritico e superficiale. Ma per tutto l’Ottocento, e fino ai primi anni del nostro secolo, nell’epoca in cui l’originalità era considerata l’attributo distintivo e imprescindibile dell’opera d’arte, il fatto che Bach avesse ripreso della musica profana e l’avesse adattata a un soggetto sacro fu ritenuto un peccato non veniale e, a dispetto della sua grande popolarità, l’Oratorio di Natale fu considerato a lungo, ingiustamente, come opera di secondo piano, poco «ispirata». Oggi, invece, il punto di vista si è rovesciato: è stato appurato che ai tempi di Bach non esisteva una differenza sostanziale tra stile musicale sacro e stile profano, e che l’operazione di Bach era anzi finalizzata all’ottenimento di un livello musicale il più alto possibile. L’Oratorio di Natale conferma di essere, pertanto, un’opera di vertice, un capolavoro assoluto.
La Pars I possiede, in aggiunta ad archi e basso continuo, comuni a tutte le sei Cantate, l’organico strumentale più ricco e brillante di tutto l’Oratorio (2 flauti, 2 oboi, 3 trombe e timpani, esattamente come le Partes III e VI, tutte nel tono d’impianto di re maggiore: sono queste tre, infatti, le Cantate che fungono da pilastri dell’imponente architettura oratoriale). Il tema in essa affrontato è quello dell’attesa della venuta di Cristo – raffigurato con la metafora poetica dello Sposo, particolarmente cara alla tradizione pietista luterana – e della sua nascita in povertà fra gli uomini. Il grandioso Coro introduttivo, annunciato solennemente dai timpani, riutilizza musica proveniente dal primo numero della Cantata «Tönet, ihr Pauken! Erschallet, Trompeten» [«Risuonate, timpani! Squillate, trombe»] BWV 214, che rende mirabilmente l’atmosfera di Festmusik richiesta dal testo e dall’importanza della solennità natalizia. Dopo il racconto dell’Evangelista (tenore), entra in scena il contralto, la voce che soprattutto nella prima metà dell’Oratorio assume un ruolo di grande rilievo espressivo e con la quale Bach, pur senza dichiararlo esplicitamente, intese far cantare la madre di Gesù, altrimenti muta nella narrazione evangelica: il suo Recitativo accompagnato da due oboi d’amore, e l’Aria (tratta dalla Cantata «Hercules auf dem Scheidewege» [«Ercole al bivio»] BWV213, ma straordinariamente adatta alla Vergine!) possiedono una grazia e un’in¬tensità davvero particolari; l’invito di Maria a prepararsi alla venuta di Gesù-Sposo provoca infine l’accorata domanda espressa dal popolo dei fedeli nel Corale («Come accoglierti degnamente?»), basato sulla celebre melodia di Hassler già impiegata da Bach nella Passione secondo Matteo. La seconda parte della Cantata si apre con la voce dell’Evangelista che annuncia, senza alcuna enfasi, la nascita di Gesù: subito il soprano, accompagnato dagli oboi, risponde con un Corale dì commento che viene periodicamente interrotto da un Recitativo del basso col quale quest’ultimo introduce la sua successiva, brillante Aria, anch’essa proveniente dalla Cantata BWV214.
Conclude la cantata un nuovo Corale illuminato dagli interventi delle trombe e dei timpani.
Sono gli umili pastori – coloro che per primi ricevettero l’annuncio della nascita del Salvatore e che per primi ne furono testimoni – i protagonisti della Pars II.
Nikolaus Harnoncourt
La nuova ambientazione è immediatamente suggerita dalla Sinfonia, che reca il sottotitolo di Hirtenmusik [musica pastorale]: non ci sono più né trombe né timpani, ma solo due flauti che, alternandosi poco dopo con due coppie di oboi d’amore e di oboi da caccia, costituiscono l’ideale contesto timbrico per una tipica melodia pastorale, elaborata senza eccessive complicazioni contrappuntistiche. Dopo la consueta narrazione evangelica (con l’intervento diretto dell’Angelo), intramezzata dal Corale di incoraggiamento agli impauriti pastori, un Recitativo del basso introduce l’Aria, proveniente dalla Cantata BWV 214, che il tenore, in un significativo crescendo di intensità espressiva, intona insieme al flauto (il tipico strumento pastorale) per spronare ì pastori ad andare a fare visita al Bambino. Un Recitativo dell’Evangelista annuncia infine il Corale che, come nella Cantata precedente, conelude la prima parte: esso è basato sulla tradizionale melodìa natalizia Vom Himmel koch, da komm ich her, utilizzata già nel precedente Corale e che tornerà in conclusione dì questa Pars II. Dopo un nuovo, vibrante Recitativo accompagnato dal basso, entra in scena Maria con la celeberrima, dolcissima «ninna-nanna», il commovente fulcro, espressivo delle prime tre Cantate del”Oratorio, ripreso dalla Cantata BWV 213; in conclusione, due Recitativi semplici introducono rispettivamente il grandioso Coro della schiera celeste e il Corale che, come detto sopra, ripresenta il motivo del precedente aggiungendovi frammenti isolati della melodìa pastorale della Sinfonìa.
La liturgia prescrive, per il 27 dicembre, i mirabili primi versetti del Vangelo di Giovanni. Ma per la Cantata da eseguirsi in quel giorno – la Pars III dell’Oratorio – Bach, per evidenti ragioni di omogeneità, utilizzò invece la seconda parte della narrazione di Luca inerente l’annuncio ai pastori, che diventa occasione per una meditazione sul mistero della nascita di Gesù, apportatrice di salvezza e di consolazione per tutti gli uomini. Questo carattere di «meditazione» è evidente fin dal Recitativo, che segue la festosa apertura della Cantata affidata prima a un grande Coro quindi – dopo il Recitativo dell’Evangelista – a un incalzante Coro «della turba» in stile mottettistico; esso riceve però una significativa conferma sia con l’intenso Corale – la famosa melodia tradizionale Gelobet seist du, Jesu Christ, su parole di Martin Lutero, già utilizzata nella Pars I – sia soprattutto con il Duetto successivo, proveniente dalla Cantata BWV 213, che conclude la prima parte: in esso basso e soprano, teneramente contrappuntati da due oboi d’amore, intonano una delle pagine più toccanti dell’Oratorio, avente per tema proprio la consolazione originata dalla pietà e dalla misericordia di Dio. Nella seconda parte, annunciata dal racconto dell’Evangelista («Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore»), tocca ancora alla calda voce contrarile della Vergine intonare prima l’accorata preghiera contenuta nella commovente Aria – l’unico pezzo solististico composto appositamente per l’Oratorio – quindi ribadirne il concetto con un breve Recitativo di introduzione al semplice Corale che conclude la preghiera. Infine, dopo l’ultimo Recitativo evangelico narrante il festoso ritorno a casa dei pastori, e dopo il commento affidato a un altro semplice Corale, per concludere trionfalmente il triduo natalizio rappresentato musicalmente dalle prime tre Partes dell’Oratorio, Bach ripropone il grandioso Coro d’apertura.
La Cantata della Pars IV è quella che più si distacca dalle altre: per le dimensioni ridotte, per la tonalità d’impianto (fa maggiore), per una particolare ricerca timbrica nella scelta dell’organico orchestrale (una coppia di corni da caccia, un oboe solista che concerta in eco con due soprani, due violini solisti che animano un fugato col tenore). Dovendo celebrare la festa della circoncisione di Gesù – il rito con il quale, secondo la tradizione ebraica, veniva dato il nome al neonato – la Cantata è ovviamente incentrata sul tema del «nome di Gesù»: dopo il consueto e imponente Coro d’apertura proveniente dalla Cantata BWV 213, di generico invito al ringraziamento, seguito dal racconto dell’Evangelista, è il basso che per primo invoca più volte il nome di Gesù con un Recitativo all’interno del quale Bach ha inserito una strofa di Corale affidata al soprano. Il tema del «nome di Gesù» che vince la paura della morte, affrontato dal basso nell’ultima parte del precedente Recitativo, viene quindi sviluppato nella deliziosa Aria, anch’essa composta originariamente per la Cantata BWV 213, dove il soprano intesse un suggestivo dialogo in eco con l’oboe solista e con un altro soprano nascosto; ancora il basso, affiancato dagli
interventi del soprano, conclude la meditazione con un nuovo Recitativo con Corale, speculare al precedente ma più articolato e complesso. La Cantata termina con due numeri che non si occupano più specificamente del tema: un’ardente Aria in re minore in stile fugato per tenore e due violini solisti e il luminoso Corale finale, caratterizzato dal timbro festoso dei due corni da caccia.
Come per la precedente Pars III, anche nel caso della Cantata della Pars V Bach si è discostato dal testo evangelico previsto dalla liturgia per la domenica dopo Capodanno (Matteo 2, 13-23), narrante l’episodio della fuga in Egitto, per concentrarsi invece sull’imminente festività dell’Epifania anticipandone i primi sei versetti, che offrono così alla meditazione il tema di Cristo-Luce (simboleggiato dalla stella apparsa ai Magi) e della profezia della sua venuta. Il carattere della Cantata ripresenta i tratti più intimi e raccolti che avevano già contraddistinto la Pars II, anche e soprattutto per creare un necessario stacco prima della trionfale conclusione dell’Oratorio (l’organico orchestrale è infatti limitato a una sola coppia di oboi d’amore in aggiunta ad archi e continuo). Il Coro introduttivo si presenta con un tono di freschezza gioiosa, pur velata dalla sezione centrale in modo minore che anticipa il clima corrusco del successivo Coro e Recitativo, dove le voci impazienti dei Magi si alternano a quella orante e benedicente del contralto; il composto Corale e la successiva, supplicante Aria del basso concludono per il momento la meditazione sulla «Luce di Gesù» che guida l’umanità nel suo cammino.
Dopo il racconto dell’Evangelista seguito da un Recitativo accompagnato del contralto incentrato sul turbamento del re Erode, il tema della profezia messianica viene introdotto da un suggestivo Andante che interrompe l’asciutta linea del Recitativo semplice: esso viene meditato prima da un vibrante Terzetto di soprano, tenore e contralto, quindi da un nuovo Recitativo accompagnato del contralto che funge da collegamento – musicale ma soprattutto testuale/concettuale – con il Corale conclusivo \v], dedicato nuovamente al tema della Luce.
Lo squillo della tromba annuncia il grandioso Coro introduttivo della Pars VI (Bach aveva riservato nell’Oratorio un ruolo di particolare rilievo alla tromba perché sapeva di potersi avvalere del talento di Gottfried Reiche, il quale però morì inaspettatamente due mesi prima di Natale): in essa, con l’Epifania del Signore, il sommo Kantor, attingendo probabilmente alla musica di una Cantata perduta (BWV 248a), intese celebrare la vittoria di Cristo sui suoi nemici, e lo fece dispiegando tutti i più dotti e geniali artifici della sua arte prodigiosa. Lo dimostra immediatamente la pagina d’apertura, in stile fugato, con la sua imponente introduzione a piena orchestra (3 trombe, 2 oboi, timpani, archi e continuo), e lo ribadisce la straordinaria varietà dei generi musicali che Bach fa convivere in questo possente affresco. Oltre alla sopra menzionata fuga spiccano: la danza, al cui spirito è debitrice la deliziosa Aria con la quale il soprano, dopo un pungente Recitativo accompagnato dedicato alla vana perfidia di Erode, inneggia alla potenza di Dio, infinitamente superiore a quella dei suoi nemici; il concerto, ben rappresentato dall’Aria, preparata da un intenso Recitativo accompagnato, nella quale il tenore «concerta» con una coppia di oboi d’amore sfidando con baldanza i «fieri nemici» a provare a fargli paura, ora che la nascita del Salvatore lo ha reso forte; l’elaborazione su Corale, evidente nell’imponente Corale che, dopo l’ultimo Recitativo semplice (significativamente a quattro voci, quasi a volerne sottolineare il carattere riassuntivo e conclusivo), suggella l’intero Oratorio. In quest’ultimo Bach ripropone la celeberrima melodia di Hassler, Herzlich tut mich verlangen, già impiegata – ma in modo minore – nel Corale n. 5 della Pars I, che così assume ora, nel radioso contesto finale, un nuovo significato ed emerge suggestivamente a ribadire la miracolosa unitarietà di quest’opera davvero unica nel suo genere.