Bach Johann Sebastian

Johannes Passion

Ai suoi tempi, Karl Richter era considerato uno “specialista” di Bach. Oggi concediamo questo titolo eventualmente ai vari direttori di esibizioni d’epoca con strumenti originali e a buon diritto. Se preferite, come il sottoscritto, un approccio più “tradizionale” alla musica sacra di Bach, che comprenda un ampio coro, strumenti moderni e cantanti stile “operistico”, non potete chiedere di meglio dell’esecuzione di Richter del 1964 della Passione secondo Giovanni. Esistono ben poche registrazioni coinvolgenti come questa. Si evince dalla direzione di Richter una profonda comprensione della modalità con cui le convinzioni teologiche di Bach ispirassero la sua concezione musico- drammatica della Passione. Attraversa questo avvenimento sacro alla perfezione, in particolare nella grande scena del processo che costituisce il pannello centrale della seconda parte. Non conosco nessun altro conduttore che sappia sottolineare così intensamente le emozioni di questo spartito e in particolare in alcune sezioni: la folla “Wirhabenkeinen König”, il corale “In meinen Herzens Gründen” o il coro dei centurioni romani che tirano a sorte per la veste di Gesù (per citarne solo tre dei molti esempi). Il momento più toccante dell’esecuzione comunque si trova al termine del brano, con la rappresentazione quasi apocalittica, che si intensifica gradualmente di “Ach, Herr, lass’ deinlieb’ Engelein”. Una volta sentito, non si scorda più.

La nobile concezione che Richter ha di quest’Oratorio sarebbe stata vana se non avesse avuto dei musicisti di primo livello con i quali lavorare. Ma li ha avuti: il Coro Bach di Monaco, come sempre, si è fatto molto onore. Per essere un gruppo così ampio, l’articolazione ritmica e la dizione sono fenomenali, così come la loro capacità di realizzare le contrastanti “correnti” dei diversi corali che si alternano in tutta la partitura. L’ensemble strumentale risponde con straordinaria precisione e slancio alle repentine variazioni di tempo e Richter è molto attento ad evidenziare i dettagli strutturali. Gli obbligati sono resi con fraseggio espressivo e virtuosismo notevole. Tra i solisti vocali, Ernst Haefliger si rivela un narratore teatrale affascinante e Herman Prey un Cristo calorosamente umano (anche se a volte stentoreo). Se la Evelyn Lear e la Hertha Töpper sono tutt’altro che cantanti da Bach, interpretano i testi delle arie con convinzione appassionata, il che è più importante in fin dei conti dell’accuratezza stilistica. Nelle arie basse, Keith Engen canta con espressività, anche se un po’ rigidamente.

Questo doppio cofanetto è stato rimasterizzato con efficacia, trasmettendo così un’impressione ancora più vivida dell’originale LP . L’acustica, seppure spaziosa, è calda e abbellisce in modo particolare le voci dei vari cantanti. Un acquisto obbligatorio per “i tradizionalisti” e per chiunque sia curioso dell’eredità di questo stupefacente interprete di Bach. Registrazione eseguita nel 1964 e rimasterizzazione effettuata nel 1984. Audio ottimo. Imperdibile!!

La passione secondo Giovanni e le sue premesse storiche

Le Passioni di Johann Sebastian Bach, da noi ammirate come le vette più alte della musica sacra protestante, non furono pubblicate quando era ancora in vita il compositore. Il necrologio commissionato da Lorenz Christoph Mizler subito dopo la morte di Bach al figlio Carl Emanuel ed all’allievo Johann Friedrich Agricola, e poi pubblicata nella Neu eroffnete musikalische Bibliothek oder grundliche Schriften und Buchern (“Nuova biblioteca musicale ovvero
Bollettino completo con una critica imparziale di scritti e libri di musica”), menziona tra le composizioni del lascito musicale di Bach “cinque Passioni, tra le quali una a doppio coro”. Solo due, quella secondo Giovanni (Johannes- Passion) e l’altra secondo Matteo (Matthaus-Passion, a doppio coro), sono giunte fino a noi. Di una terza Passione, secondo Marco, è rimasto il testo, mentre la musica è perduta; cinque numeri musicali possono tuttavia essere ricostruiti in base all’utilizzazione che Bach ne fece in due Cantate e dell’Oratorio di Natale. Fu anche attribuita a Bach una Passione secondo Luca, poiché una sua parte è giunta a noi in un autografo bachiano, ma si tratta in realtà della copia di un lavoro d’un compositore anonimo.

Giotto – il bacio di Giuda

Nella sua autobiografia bachiana del 1802 Johann Nikolaus Forkel riferisce che dopo la morte di Bach i suoi due figli maggiori Wilhelm Friedemann e Carl Philipp Emanuel si spartirono gran parte dei suoi manoscritti, e che al primo dei due ne toccò un numero maggiore “poiché potevano servirgli di più in considerazione della posizione che ricopriva allora a Halle”. Nel corso della sua vita Wilhelm Friedemann vendette tuttavia i manoscritti in suo possesso, furono così dispersi ed andarono anche perduti in una quantità difficilmente precisabile. Dei manoscritti ereditati da Carl Phillip Emanuel si ha invece una migliore cognizione. Tra le composizioni del suo lascito sono menzionati i cicli di Cantate sacre composti dal padre Johann Sebastian per due annate liturgiche e quindi le Passioni secondo Giovanni e Matteo.
Questo patrimonio è giunto fino a noi grazie alle premure del bibliotecario musicale Georg Polchau. Questi comprò infatti ad Amburgo gran parte del lascito di Carl Phillip Emanuel, comprendente tra l’altro i manoscritti di Johann Sebastian. In seguito Polchau divenne bibliotecario della Singakademie di Berlino, diretta da Carl Friedrich Zelter, la quale acquisì notevole importanza culturale anche con esecuzioni di opere vocali bachiane. In tale contesto va ricordata in particolare l’esecuzione della Matthaus-Passion nel 1829, a cento anni dalla sua composizione, sotto la direzione di Felix Mendelessohn Bartholdy, allievo di Zelter; a questo evento straordinario seguì la rinascita bachiana, accompagnata dall’edizione completa delle sue opere.
Un conforto critico della partitura della Johannes Passion già in possesso di Carl Phillip Emanuel con le numerose sue parti strumentali e vocali a noi pervenute separatamente prova che quest’ultime furono approntate in occasione di esecuzioni differenti, per le quali lo stesso Bach apportò cambiamenti alla sua composizione. Le fonti a noi pervenute ci hanno tramandato quattro versioni della Johannes Passion; ciò implica che Bach la eseguì almeno quattro volte.
La Passione fu composta probabilmente nelle sei settimane tra il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo del 1724, forse riutilizzando brani già scritti in precedenza. La sua prima esecuzione si ebbe il 7 aprile 1724 (il Venerdì Santo) nella Nikolaikirche di Lipsia; ipotesi che la Passione fosse stata eseguita per la prima volta nel 1723 – ipotesi avanzata da alcuni critici nel passato – non è sostenuta da alcuna prova. Nel 1725 la Passione fu eseguita in una seconda versione, mentre una sua terza esecuzione si ebbe tra il 1728 e il 1732, ed un’altra ancora negli ultimi anni di vita di Bach – tra il 1746 e il 1749. La trattazione delle diverse esecuzioni è particolarmente indicativa poiché le modifiche ogni volta apportate da Bach consentono di farsi un’idea del suo processo creativo e testimoniano inoltre la sua obiettività critica nei confronti delle proprie opere.
Ancora qui la critica più recente ha potuto correggere supposizioni erronee
accettate e tramandate per generazioni. In seguito ad un esame di manoscritti e carta effettuato con tecniche più moderne, Alfred Durr e Georg von Dadelsen hanno potuto definire senza incertezze i procedimenti ogni volta adottati da Bach nella sua opera di revisione. Nella seconda versione Bach compì numerose modifiche: sostituì al coro introduttivo “Herr, unser Herrscher” l’elaborazione del corale “O Mensch, bewein dein sunde grob” e al corale finale “Ach Herr, lab dein lieb Engelein” il “Christe, du lamm Gottes”; numerose arie furono aggiunte o sostituite.
Giotto – La Crocifissione

Queste modifiche furono tuttavia revocate nell’esecuzione successiva. Il corale “O Mensch, bewein dein Sunde grob” fu poi inserito nella Matthaus-Passion a conclusione della prima parte.
Una Sinfonia (ora perduta) interpolata nella terza versione fu poi eliminata nella quarta, che ripropose la Passione nella sua forma originaria.
Nella partitura a noi pervenuta è offerta la versione ultima (e al tempo stesso originale) dell’opera. La circostanza che Bach dopo tanti anni decidesse di adottare di nuovo la sua prima versione, rimane per noi “una prova autorevole che ogni singolo numero sta necessariamente al suo posto “(Georg von Dadelsen). E ciò va tanto più sottolineato, in quanto nel passato non sono mancate critiche a questa composizione, accusata di carente omogeneità, maldestro trattamento del testo ed altre presunte debolezze: Philipp Spitta parlava di “testi saldati in tutta fretta l’uno all’altro”, Albert Schweitzer considerava il racconto della passione dell’evangelista Giovanni “musicalmente più povero” di quello di Matteo, perché privo di “semplicità e naturalezza”.
Un esame delle linee di sviluppo storico alle quali si riallaccia la Johannes- Passion di Bach chiarirà certe correlazioni e darà un peso più relativo alle voci critiche. La realizzazione musicale della passione e morte di Gesù Cristo ha una tradizione che risale fino al primo Medioevo. Ancor prima che fonti scritte (del 9o secolo) lo testimoniassero, la liturgia romana prescriveva nel corso di quattro giorni della Settimana Santa la lettura dei testi sulla passione dei quattro evangelisti o la loro recitazione in un canto piano su un determinato modo ecclesiastico. Nel Trecento era invalsa l’usanza di affidare le differenti parti di un testo a tre religiosi che se ne dividevano i ruoli: uno (l’evangelista o historicus) presentava il testo narrativo, un altro le parole di Cristo ed il terzo quelle degli altri personaggi (i cosiddetti soliloquentes, come Pietro, Pilato, Giuda, ecc.).
Il testo narrativo era cantato nel registro di tenore, le parole di Cristo e degli altri personaggi rispettivamente in quello di basso e contralto. Le parole dei vari gruppi di persone, come i discepoli o il popolo (turba), erano intonate da tutti e tre insieme all’unisono. Nei secoli successivi le parole della turba furono spesso cantate dapprima a tre voci, quindi l’intero testo evangelico (comprese le parole dei soliloquentes) fu composto integralmente in stile polifonico analogamente alla messa.
Nel corso del Cinquecento si affermò una combinazione di passione corale stile monodico ed una passione-mottetto in stile polifonico, dove per le parole dell’evangelista, o anche di tutti i soliloquentes, era adottata l’esecuzione corale monodica mentre soltanto la sezione introduttiva, quella conclusiva e i passi della turba erano realizzati polifonicamente. Questo tipo di passione, detta anche responsoriale, fu introdotta nella musica liturgica protestante da Johann Walter intorno al 1530; le sue passioni su testo tedesco erano ancora assai diffuse nel secolo seguente. Ma accanto a questo tipo di passione, nei paesi di confessione protestante, fu coltivata anche la passione-mottetto, tutta in stile polifonico, della quale la Passione secondo Giovanni di Leonhard Lechner
(1593) offre un esempio assai significativo.
Le potenzialità musicali della forma di passione introdotta da Johann Walter erano d’altronde limitate dal fatto che in diverse località l’uso degli strumenti – anche se si trattava del semplice accompagnamento delle parole dei soliloquentes – fu a lungo proibito nel periodo della passione. All’inizio nel Seicento la nuova tecnica compositiva sviluppatasi in Italia – il canto monodico con accompagnamento del basso continuo – si diffuse anche nell’ambito della musica sacra.
Karl Richter

Parallelamente alla sua fortunata evoluzione nelle prime opere teatrali, il nuovo canto monodico sostenuto dagli strumenti – con i suoi recitativi drammatici e le sue arie improntate a varie situazioni affettive – non mancò di dimostrare la sua efficacia anche nella musica sacra e nell’Oratorio. Così in Italia la passione conobbe un declino come genere liturgico, mentre la vicenda della passione e morte di Gesù, narrata ora da testi che parafrasavano liberamente la parola evangelica, s’impose come passione-oratorio nell’ambito della musica non liturgica, destinata all’edificazione spirituale. In Germania invece Heinrich Schutz, in osservanza alle prescrizioni liturgiche, si attenne al divieto dell’uso degli strumenti; le sue passioni sono del tipo responsoriale sul modello di Walter. Schutz volle però fondere la forma tradizionale con i nuovi principi compositivi della monodia e dette alle parti da recitare una configurazione musicale pervasa d’una viva sensibilità personale.
A poco a poco diversi compositori cominciarono cautamente a dare una configurazione più moderna alla vecchia passione responsoriale, con l’impiego del basso continuo quale sostegno sonoro e con l’introduzione di arie spirituali con accompagnamento strumentale, tipico di questo genere di composizioni. Per adempiere alle tre funzioni drammaturgiche richieste dal testo – narrazione, discorso, riflessione meditativa – si poteva ancora disporre di un nuovo modulo musicale. La riflessione lirica o didattica era stata fino ad allora riservata al coro introduttivo e conclusivo, quasi inteso come un’idealizzata comunità di fedeli. Nell’antica passione corale l’effettiva partecipazione dei fedeli era abituale in quanto nella funzione liturgica la passione prendeva il posto della lettera evangelica, e prima e dopo di essa i fedeli intonavano un cantico. Analogamente alla sua funzione nell’opera o nell’Oratorio, nell’aria si poteva ora interpretare in profondità, illuminare e commentare metaforicamente lo stato d’animo suscitato dagli sviluppi della vicenda drammatica.
Le Passioni che, a differenza delle Passioni-Oratorio, adottavano alla lettera il testo evangelico pur impiegando anche tecniche compositive caratteristiche dell’Oratorio sono state definite “Passioni Oratoriani”. Un esempio di questo genere è offerto dalla Passione secondo Matteo nel 1663 di Johann Sebastiani, maestro di cappella del principe elettore del Brandeburgo. Per “suscitare più devozione” Sebastiani include nella sua Passione un certo numero di corali affidati ad una voce sola con accompagnamento di archi, e cioè concepiti come un’aria. Queste interpolazioni di carattere contemplativo prepararono il tipo della passione bachiana.
La pratica di integrare i testi evangelici con strofe di canti sacri o di libera invenzione determinò una giustapposizione di elementi testuali eterogenei, che da un punto di vista strettamente estetico non poteva definirsi ideale. Così diversi librettisti cercarono di scrivere per intero in un linguaggio omogeneo sia il racconto evangelico che i commenti lirici. Ne fornirono il modello i testi delle Cantate Sacre scritti tra il 1700 e il 1716 da Erdmann Neumeister. Prima di divenire pastore principale della Jacobikirche di Amburgo, Neumeister era stato predicatore alla corte di Weissenfels. Stimolato dal teatro d’opera di quella corte, aveva quindi redatto, modellandoli sul tipo formale di recitativo e aria, cinque cicli di testi di Cantate Sacre per tutte le domeniche e festività dell’anno liturgico. Tale pratica fu però aspramente condannata come sacrilega da molti ecclesiastici ed anche osteggiata con estremo accanimento al fine di salvaguardare la liturgia da ogni influsso d’inviso genere operistico, un genere che avrebbe tratto “le sue origini da un paganesimo non cristiano ed idolatra”.
La stessa aspra opposizione si manifestò anche contro il nuovo genere di Passione, ma non ebbe effetto durevole, soprattutto nel caso della Passione- Oratorio che di per sé già si collocava al di fuori del contesto liturgico. La più celebre versione poetica della passione e morte di Cristo fu scritta da Barthold Heinrich Brockes, consigliere municipale di Amburgo.
Il suo “libretto”, apparso nel 1712 con il titolo Der fur die Sunde der Welt Gemarterte und Sterbende Jesus, aus den IV Evangelisten in gebundener Rede vorgestellt (“Gesù martirizzato e morente per i peccati del mondo, in versi poetici ispirati ai quattro Evangelisti”) fu messo in musica nel 1712 da Reinhard Keiser, nel 1716 da Handel e Telemann, nel 1718 da Mattheson ed in seguito da diversi altri compositori. Anche nella Johannes- Passion di Bach sono utilizzati parecchi passi della versione di Brokers e di altri testi contemporanei, in parte ripresi letteralmente, in parte come spunti per libere rielaborazioni. Poiché nelle chiese di Lipsia la musica della passione era ancora parte integrante della liturgia dei Vespri del Venerdì Santo, essa non poteva essere composta su versi di fattura moderna ma doveva riprendere integralmente e senza modifiche il testo evangelico.
Tra i passi tratti dal Nuovo Testamento furono però intercalati, con funzione di commento esplicativo, delle parti cosiddette madrigalistiche – arie su testi di libera invenzione – e dei corali sulla Passione in stile omofono e di grande intensità espressiva, che – quasi a simbolo della comunità dei fedeli – sottolineavano le modalità del culto. Non vi furono testimonianze documentarie sull’autore (o compilatore) del testo della Johannes-Passion. Si potrebbe anche avanzare l’ipotesi – ma è una semplice speculazione – che fosse lo stesso Bach a redigerlo, con o senza l’assistenza di un esperto librettista. Il testo si basa sui capitoli 18 e 19 del Vangelo di Giovanni, con l’interpolazione in due punti di versi del Vangelo di Matteo. Nelle recitativo N. 18 la narrazione di Giovanni (18,27) è integrata dalla descrizione schiettamente umana di Matteo (26,75) “E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù, e uscito all’aperto pianse amaramente”; così la figura di Pietro, delineata con tratti assai plastici, diviene emblematica dell’essere umano che vuole seguire Gesù, ma nella sua debolezza cade in preda alla disperazione.
Dopo che nel Recitativo N. 59 è narrata la morte di Gesù secondo il testo di Giovanni (19,30), il Recitativo N. 61 riporta i versi di Matteo (27,51-52) “Ed ecco il velo del tempio si squarciò……”, che offrono lo spunto per un’illustrazione musicale di tipo descrittivo di grande efficacia. Nella terza versione della Passione Bach eliminò questa interpolazione, forse perché incompatibile con un più rigoroso assunto liturgico, e la sostituì con una Sinfonia, ma finì per reintegrarla nell’ultima versione. Evidentemente, per Bach era assai importante offrire all’ascoltatore, dopo la narrazione dell’agonia e morte del Salvatore, un simbolo intelligibile della vittoria sull’altro mondo e,
nella risurrezione delle anime sante, anche della riconciliazione e promessa di salvezza.
Bach Munchener Orchestra e Choir

La poesia madrigalistica utilizzata in aggiunta ai testi dei cantici s’ispira in parte, come già accennato, alla Passione di Brokers, che Bach conosceva probabilmente nella realizzazione musicale compiuto da Handel. Rielaborazioni del testo di Brokers sono anche le Arie e Ariosi NN. 11, 31, 32, 48, 60 e 62. Un altro modello fu offerto la testo della Passione che Christian Heinrich Postel aveva redatto in base al Vangelo di Giovanni e dalla quale fu tratto senza modifiche il testo del Corale N. 40 della Johannes-Passion di Bach. Questo corale, “Durch dein Gefangnis, Gottes Sohn, ist uns die Freiheit kommen” (“Attraverso la tua cattività, o Figlio di Dio, ci è giunta la libertà”), costituisce il fulcro dell’opera e le sue parole offrono una sintesi del messaggio di promessa salvifica che il Vangelo giovanneo rivolge ai cristiani.
Di carattere peculiare della Johannes-Passion diviene evidente ad un confronto con la più tarda Matthaus-Passion, che per il suo doppio coro e maggior numero di brani corali e di arie crea un effetto più monumentale. Nella Johannes-Passion i grandi brani corali stanno solo all’inizio ed alla fine, e costituiscono la cornice entro la quale occupa più ampio spazio il testo evangelico, in piena conformità alla tradizione compositiva della passione liturgica. Ma a questa differenza esteriore se ne aggiunge un’altra, interna, di portata decisiva, nella quale si riflette la diversità dei due Vangeli. In Matteo la

figura di Gesù Cristo è delineata con tratti schiettamente umani. “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice!”, prega nell’orto di Getsemani; “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, sono le sue ultime parole sulla croce. Nel Vangelo di Giovanni la passione e morte di Cristo sono interpretate come una sublimazione. In Giovanni 12, 31-33 è detto: “…… Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”. Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire. E sulla croce Gesù Cristo riusciva a trionfare su tutte le sue sofferenze esclamando: “Tutto è compiuto!”. Nella Matthaus-Passion dominano le sezioni nelle quali noi – come tutti i destinatari di questo messaggio musicale – possiamo immergerci nell’immagine umana del Redentore sofferente e divenire partecipi.
Il corale che ne costituisce il fulcro recita: “O capo sanguinante e piagato”, e il coro iniziale: “Venite, figlie, unitevi al mio compianto!”. La Johannes-Passion comincia con l’invocazione, che è anche una professione di fede, “Herr, unser herrscher” (“Signore, nostro sovrano”); è qui rilevata fin dall’inizio la distanza tra il Figlio di Dio e gli esseri umani, quelli che non credono come quelli che credono ma sono deboli. In questa polarità sta il presupposto del carattere decisamente drammatico della Johannes-Passion. La prima parte contrappone l’essere umano, impersonato da Pietro, al figlio di Dio: Pietro pone mano alla spada mentre Gesù si sottomette al volere del Padre e si consegna nelle mani dei suoi nemici perché la turba armata lasci andare i suoi discepoli. Nella seconda parte sono contrapposti il mondo di Dio e l’irreligiosità, la fede e l’incredulità, la verità e la menzogna. Bach smaschera lo zelo dei sommi sacerdoti (Coro N. 50) assegnando loro la stessa melodia intonata dai soldati che dileggiavano Gesù (Coro N. 34). I due brani sono in si bemolle maggiore, tonalità in forte contrasto con il radioso mi maggiore del Corale N. 40, collocato a metà del lavoro. Attorno ad esso sono posti concentricamente, correlati dalla stessa figura melodica o d’accompagnamento, i brani che esprimono l’irreligiosità: il N. 38 corrisponde al N 42, il N 36 al N 44, la coppia dei NN. 29 e 34 a quella dei NN. 46 e 50.
L’epilogo (N. 67) si raccorda infine al prologo (N. 1) per formare una più grande unità: Gesù Cristo, nostro Signore, che nella sua passione ha rivelato la sua vera grandezza, non deve essere oggetto del nostro compianto; piuttosto dobbiamo aprirci a Lui ed implorare il suo soccorso.
(Traduzione: Gabriele Cervone)