Bela Bartok
Concerto per orchestra
L’empatia che possiede Sir Georg Solti per questo compositore è inequivocabile. Il suo Bartók è stupefacente: preciso, rapido ed energico e, in questo caso, eseguito dalla Chicago Symphony Orchestra ai suoi tempi d’oro. Questa registrazione del Concerto è stata una delle prime a comparire in audio digitale (1981) e la dinamicità di questo splendido direttore nei vari movimenti della partitura è mozzafiato. Un’esibizione davvero grande che mostra come le energie dell’orchestra siano spremute fino all’osso. La Suite di danze è ugualmente vivida. Solti affronta i cambi ritmici repentini a meraviglia e l’ensemble non manca certo di adrenalina. Se ben ricordo, quando è uscito era stato particolarmente elogiato per la varietà e la vivacità dei colori orchestrali. Esistono molte versioni del Concerto, ma con questa edizione andate sul sicuro. Registrazione eseguita nel 1981. Audio stupefacente come di consuetudine in casa DECCA. Imperdibile!!
Concerto per orchestra
Bartók nel 1943 durante i difficili anni del suo esilio americano, il Concerto per orchestra, termine con cui si indica il ruolo virtuosistico e concertante svolto dalle diverse sezioni strumentali, fu accolto da un successo di pubblico tale da garantirgli per anni centinaia di repliche in tutto il mondo, ma al tempo stesso fece storcere il naso a molti dei critici più intransigenti, i quali accusarono l’autore di aver abbandonato la propria fedeltà «giacobina» nei confronti della dissonanza per mostrarsi accondiscendente verso i facili gusti del pubblico americano.
Se è vero che in quest’opera Bartók tende a smussare i tratti più aspramente anticonformisti del proprio scrivere (basti il confronto con la Sonata per due pianoforti e percussioni), si può altresì constatare come egli non rinunci a molti degli elementi più caratteristici del suo modo di comporre. Ricorrono quindi: l’asimmetria ritmica delle melodie, le reiterazioni ostinate, gli accelerando, i fugati, i motivi ispirati alla tradizione popolare ungherese; mentre caratteristica propria di quest’opera è l’uso di intervalli di quarta combinato con gradi congiunti nella formazione della maggior parte dei temi. Tutto ciò rientra a sua volta in un rigoroso impianto architettonico che, oltre all’uso delle tradizionali forme sinfoniche e di una breve introduzione monodica all’inizio di ogni movimento, prevede una disposizione simmetrica a piramide dei cinque movimenti. Attorno al tempo lento centrale Bartók colloca infatti i due movimenti più «leggeri» aventi indicazione Allegretto (II e IV), mentre all’esterno troviamo i due tempi (I e V) più ampi e complessi, scritti in forma sonata con tempo veloce. A fronte di tale combinazione speculare dei tempi e delle forme, il contenuto espressivo dell’opera viene invece svolto in maniera lineare. Il Concerto, a detta dello stesso autore, «rappresenta una lenta evoluzione dal tono severo del primo movimento, all’affermazione di fede nella vita del quinto». Un percorso simile a quello della Sonata per due pianoforti e percussioni, avente come passaggi intermedi la leziosità del neoclassico Gioco delle coppie, l’impressionistica, e a tratti drammatica, atmosfera dell’Elegia, e la multiforme varietà dell’Intermezzo interrotto che, con il suo ironico parodiare, apre la strada all’ottimismo carico di vitalità del Finale.
Andante non troppo (Introduzione) – Allegro vivace. L’Andante non troppo che fa da prologo al primo tempo si apre con un cupo profilo melodico dei bassi seguito da leggeri fremiti di archi e flauti, nel quale troviamo il germe tematico di tutta l’opera: l’intervallo melodico di quarta. Dopo la terza e più ampia enunciazione di questo spunto iniziale, i flauti, e successivamente le trombe, delineano il motivo tematico dell’Andante. Con un forte improvviso il tema si trasforma quindi in un grido lancinante dei violini, mentre una breve coda conduce all’Allegro vivace con un ostinato accelerando.
Béla Bartók
Energico e risoluto, il primo tema dell’Allegro vivace si muove asimmetricamente con agile disinvoltura, per poi trascolorare in un fraseggio meno spigoloso e più cantabile. Una breve frase dei tromboni fa quindi da collegamento con il secondo gruppo tematico: un sinuoso e ondulatorio motivo che l’oboe disegna su una base fissa di quinte ribattute.
Un improvviso stacco dinamico dà il via allo Sviluppo che si apre con una ridondante riproposizione del primo tema. In netto contrasto con questa prima parte Bartók inserisce un’oasi centrale nella quale il clarinetto riporta a un’atmosfera più pacata e rarefatta. Si noti come Bartók non crei mai uno scontro dialettico tra primo e secondo tema (quest’ultimo è assente nello Sviluppo), ma preferisca la suggestiva alternanza tra la pulsione ritmica e la staticità proprie dei due temi stessi. Ritorna quindi con forza il primo tema sul quale si intreccia subito un fugato degli ottoni formato dal motivo di collegamento, che, appena punteggiato da brevi interventi dell’orchestra, culmina in un potente unisono. La successiva Ripresa ripropone inaspettatamente secondo tema e primo tema in ordine invertito, mentre uno stacco degli ottoni basato sulla melodia di collegamento conclude il movimento.
Il gioco delle coppie (Allegretto scherzando). Il secondo movimento è un divertito gioco orchestrale nel quale, dopo una breve introduzione del tamburo, coppie di fiati, tra loro uguali, si muovono parallelamente a distanza intervallare fissa, sviluppando una scanzonata e saltellante melodia in continuo divenire. Troviamo in ordine: i fagotti che si muovono a distanza di sesta, gli oboi per terze, i clarinetti per settime, i flauti per quinte e le trombe per seconde, mentre un solenne corale degli ottoni di reminiscenze mahleriane viene posto come perno centrale del movimento. La prima parte viene quindi ripresa con diverse varianti che prevedono l’aggiunta di ulteriori strumenti alle coppie originarie, il tutto seguito da una breve coda formata da movimenti percussivi a note ribattute.
Elegia (Andante non troppo). Dopo la cupa e misteriosa introduzione monodica di contrabbassi e timpani, si forma un tenue tappeto d’archi, increspato dagli ondeggianti glissati dell’arpa con eco di flauti e clarinetti, su cui l’oboe disegna una melodia cromatica, cristallizzata in tessitura acuta. Vi è quindi un lento fluire intrecciato di fiati e archi su cui spunta il sottile canto dell’ottavino. Quest’aura fissa e irreale viene rotta dall’improvviso ritorno del tema dell’Andante iniziale, che lascia spazio a un nuovo delicato tappeto sonoro a ondulazioni cromatiche sul quale si sovrappone il flebile suono dell’ottavino.
Un nuovo spunto melodico delle viole viene ripreso dai legni inframmezzati da elastici stacchi accordali dell’orchestra, mentre il ritorno del fluire intrecciato viene interrotto dal tema che, dopo aver toccato il suo punto culminante, si
dissolve rapidamente ponendo fine all’ultimo momento intensamente drammatico del concerto. La ripresa variata della sezione iniziale è infine seguita dal tema iniziale dei contrabbassi ripresentato dai violini e da una delicata ondulazione dell’ottavino sospeso in tessitura acuta.
Intermezzo interrotto (Allegretto). Forza espressiva, grazia, passione, umorismo si alternano nel quarto tempo in un carosello di contrastanti emozioni non privo di sottile ironia. Fin dall’inizio il vigoroso unisono introduttivo degli archi appare in contrasto con il primo tema che, con il suo grazioso incedere, richiama la melodia del Gioco delle coppie. Appassionato e struggente è invece il secondo tema introdotto dalla viola e ripreso dai violini, e seguito da una momentanea ripresa del primo tema. L’accompagnamento degli archi passa quindi da 5/8 a 8/8 dando spazio a una nuova melodia del clarinetto che corre veloce verso uno stacco orchestrale di carattere farsesco; due grotteschi glissati di trombone introducono quindi una sorta di giostra orchestrale nella quale viene elaborato il tema del clarinetto con ulteriori spunti clowneschi. La ripresa del secondo tema crea un ulteriore mutamento d’atmosfera, per poi lasciare spazio a una frammentata successione di elementi del primo tema e a una cadenza del flauto seguita da una breve coda conclusiva.
Finale. Dal perentorio unisono introduttivo dei corni prende il via il primo gruppo tematico con un fitto brulicare degli archi, in graduale crescendo, che libera la sua energia in un breve ma incisivo spunto tematico. Il moto degli archi si articola quindi attraverso diverse sezioni orchestrali culminando in un ostinato ossessivo che lascia spazio a un breve fugato sul motivo iniziale dei corni. I due pacati episodi successivi portano al secondo gruppo tematico nel quale un’incalzante reiterazione di una cellula ritmico-melodica che ricorda una danza popolaresca, sostiene il brillante e irresistibile motivo della tromba.
Introdotto da un breve sussurro di archi e arpe, lo Sviluppo presenta un vibrante fugato che prende vita dal malizioso ammiccare del secondo tema, seguito da ulteriori elaborazioni del tema stesso.
Nella Ripresa il primo tema appare sottoposto a sostanziali variazioni, mentre un graduale dispiegarsi quasi impercettibile di terzine degli archi sostiene il tema introduttivo dei corni dilatato dal fagotto, e frammentari ma incessanti interventi dei fiati. Il trascinante inno alla vita che viene sotteso in quest’ultimo movimento tocca la sua espressione trionfale con l’esplosione di una potente fanfara degli ottoni, i cui accenti blues in stile gershwiniano appaiono un evidente omaggio dell’autore al nuovo mondo che da tre anni lo ospitava.
Sir Georg Solti
Il secondo tema viene qui dilatato e stravolto nei suoi valori ritmici, mentre una breve e travolgente galoppata orchestrale che culmina su un penetrante unisono, e una coda, nella quale gli ottoni declamano per l’ultima volta un piccolo frammento del secondo tema, costituiscono gli ultimi imperiosi gesti con cui si chiude il concerto.
Dance Suite
Nel 1923 cadeva il cinquantesimo anniversario della fondazione di Budapest, nata dalla fusione delle tre città di Buda, Obuda e Pest. Il governo ungherese commissionò per la circostanza ai tre più noti compositori nazionali dei lavori che vennero eseguiti il 19 novembre. Il programma, diretto da Ernö Dohnányi, comprendeva la Suite di danze di Bartók, il Psalmus hungaricus di Kodály, la Ouverture festiva di Dohnanyi, la Marcia di Rakoczy di Liszt e la Marcia di Rakoczy di Berlioz. Svogliatamente diretta da Dohnányi, a detta di Antal Dorati che sedeva in orchestra, la composizione di Bartók non ottenne alcun successo. Nel 1924 la partitura fu pubblicata ed altre esecuzioni vennero promosse a Londra, in Germania e a Cincinnati. Il successo vero arrivò però al festival della Società Internazionale di Musica Contemporanea che si svolse a Praga nel
maggio del 1925: la Suite di danze venne quindi eseguita in una cinquantina di centri europei… compresa Budapest, dove fu diretta il 19 novembre 1925 da Václav Talich alla guida della Filarmonica di Praga.
Geog Solti e la Chigago Symphony Orchestra
L’editore, in giugno, aveva richiesto al compositore una trascrizione per pianoforte solo, di media difficoltà; Bartók la preparò durante l’estate e la pubblicò a fine anno. Ma la trascrizione non era di media difficoltà, e non servì a far conoscere meglio la Suite di danze attraverso il pianoforte, tanto che la prima esecuzione pubblica non ebbe luogo che nel febbraio del 1945, alla Carnegie Hall di New York, per opera di György Sándor. A quel concerto assistette Bartók, che sarebbe scomparso nel settembre dello stesso anno.
Bartók spiegò in una conferenza le intenzioni da cui era nata la Suite di danze: «Essa è formata da sei brevi pezzi in forma di danza, di cui uno fa da ritornello e quindi ha funzione di Leitmotiv. Tutto il materiale tematico della composizione è ad imitazione della musica contadina; questo infatti era lo scopo della Suite: realizzare una specie di musica popolare ideale in modo che ogni parte rappresentasse caratteri musicali ben definiti. Mi sono servito di melodie di diversa provenienza: ungherese, valacca, slovacca, persino araba, talvolta mescolandole. Così ad esempio la melodia del primo tema del primo pezzo ricorda la musica popolare araba più antica, mentre il ritmo si ricollega a quella dell’Europa orientale. Il tema del ritornello è talmente fedele allo schema
di certe melodie popolari ungheresi, che potrebbe ingannare anche un esperto studioso. Il secondo pezzo è di carattere ungherese, mentre il terzo alterna elementi ungheresi e valacchi». La composizione persegue quindi l’accostamento di linguaggi appartenenti ad etnie diverse, ma senza citazioni, perché i temi sono tutti di Bartók. Quest’idea spiacque ai nazionalisti ungheresi e, all’opposto, non trovò d’accordo nemmeno la critica d’avanguardia, tanto che Theodor Wiesegrund Adorno, recensendo l’esecuzione di Praga, liquidò la Suite di danze come «occasionale». Le esecuzioni pubbliche della composizione, dopo la prima fiammata, divennero quindi rare, e rare sono anche oggi.