Bedrich Smetana
Ma Vlast
Lo stile di Rafael Kubelik è probabilmente quello che si adegua meglio alla musica di Dvorak e Smentana, Questo ciclo ne è una prova eloquente. Tutti probabilmente conoscono il secondo movimento “Vltva (Die Moldau)”, ma anche il resto del lavoro merita di essere attentamente ascoltato. La Boston Symphony orchestra è tra le mie preferite e trovare un’orchestra che suoni con stile così europeo non è così facile. Registrazione eseguita nel 1971. Nonostante la datazione l’audio è molto buono. Imperdibile!
Smetana: La mia patria
Gran parte dell’autentica comprensione degli eventi musicali della seconda metà dell’Ottocento passa attraverso la figura di Franz Liszt. A lui si deve l’adozione del termine “poema sinfonico” e l’affermazione del genere, in un’Europa ancora dominata dal colossale fantasma della Nona Sinfonia beethoveniana. Se ai musicisti occidentali la musica a programma consentiva l’emancipazione, “dai limiti prescritti nella musica sinfonica della simmetria architettonica e dai
condizionamenti teoretici” – come ebbe a scrivere Liszt – per quelli dell’Est fu il punto di partenza per dare un’appropriata veste formale a un’espressività di matrice autenticamente popolare e nazionale, in alternativa alle grandi forme strumentali romantiche praticate in Occidente.
A Liszt e ai suoi Préludes s’ispirò Smetana, l’autentico caposcuola della corrente nazionale cèca che, dopo i compromessi di Dvorák, avrebbe trovato in Janácek il proprio vertice artistico. Dopo aver mirabilmente indicato nuove possibilità nel capolavoro teatrale, Prodaná nevesta (La sposa venduta, 1866), Smetana fornì al principale genere della musica a programma l’esempio paradigmatico, scrivendo il primo vero e proprio ciclo di poemi sinfonici.
Le intenzioni dell’autore sono chiare sin dal titolo Má vlast (La mia patria), che è un’esplicita dedica alla propria regione, la Boemia. Nel novembre del 1874 Smetana compose le prime due parti, cui seguirono la terza e la quarta nell’anno successivo, mentre le due conclusive videro la luce nel 1878 e nel 1879. Le ragioni della popolarità di cui gode Má vlast vanno ricercate soprattutto nell’autenticità con cui il compositore si accostò musicalmente alla propria terra, rievocandone le tracce del leggendario passato. L’equilibrata compenetrazione tra l’elemento fantastico e quello naturale è particolarmente riuscita nelle prime due parti del lavoro.
In Vysehrad, poema d’apertura, “l’arpa dell’antico bardo Lumir echeggia nelle sale della rocca di Vysehrad, superba dimora dei principi e re di Boemia”. A queste parole del programma rispondono in orchestra le due arpe marcando il tema principale, una semplice cadenza riesposta in progressione su vari gradi. La costruzione del brano è sostanzialmente monotematica, e la sua varietà affidata alle sfumature orchestrali. Dopo i tocchi delle arpe, il tema, in tempo di Largo maestoso, viene affidato a fagotti e corni, riecheggiato dagli strumentini, variato in stile marziale da corni e timpani, e finalmente passa agli archi. “Sul Vysehrad risuona infine solo un’eco delle canzoni dimenticate di Lumir” – conclude il programma – ed è ancora l’arpa che le rievoca, prima del rullo pianissimo del timpano. Questo gesto sonoro funge da dissolvenza che introduce il celeberrimo secondo brano, dedicato al Vltava, ossia alla Moldava, il fiume che è metonimia della Boemia. I flauti in gioco antifonale, a cui si aggiungono i clarinetti, ne descrivono le due fonti “che si tuffano gaie sulle rocce, scintillando alla luce del sole “, fino a che il continuo movimento di semicrome si trasmette a tutta l’orchestra, divenendo il mobile tessuto sonoro del tema principale intonato dagli oboi in mi minore, una malinconica tarantella in 6/8. Il tono diviene agitato nel primo episodio, “Caccia nella foresta”, percorso dai richiami dei corni e dagli squilli di tromba che sovrastano gli arabeschi dei violini, per fissarsi nel quadretto delle “Nozze contadine”, una lieve contraddanza in sol maggiore. Ancora i flauti tornano a mimare il fluire dell’acqua, stavolta al chiaro di luna, scenario di una delicata “Danza di linfe” in la bemolle maggiore condotta dal timbro diafano dei violini in tessiture acutissime.
Bedrich Smetana
Dopo una ripresa della melodia iniziale, in guisa di rondò, il fiume continua il suo percorso fino alle “Rapide di San Giovanni”, descrizione trattata come una sezione di sviluppo del tema principale, la cui trasformazione rende quasi naturalisticamente l’incresparsi minaccioso delle acque. La tensione si scioglie nel quadro finale con l’ultima ripresa del primo tema, che rappresenta il corso del fiume mentre si distende maestoso verso Praga. Alle porte della città e accolto dal “vecchio e venerabile Vysehrad”, il cui motivo viene riesposto nella coda in mi maggiore, a valori larghi.
La terza parte di Má vlast è dedicata a un personaggio leggendario della mitologia cèca, l’amazzone Sárka. Ancora il tema del Vysehrad, variato ma riconoscibile, viene accennato nel concitato inizio, poi un rallentando conduce a una melodia appassionata dei violini. Essa mima l’amore simulato dalla amazzone per l’eroe Ctirad, attratto per vendetta con i suoi compagni in una trappola mortale; alla fine del brano, “le fanciulle, radunate dal richiamo del corno di Sárka, si precipitano all’assalto, trucidando gli uomini che dormono”. Dai prati e dai boschi di Boemia, quarto poema, è la descrizione idilliaca della campagna cèca e della vita del suo popolo che trova la vera gioia nella danza e nel canto. Il brano è condotto su un agile tema cantato per terze da oboi e fagotti, anch’esso derivante da quello del Vysehrad, riesposto nell’ultima parte, mentre un’esposizione di fuga a cinque voci, in cui la mano del compositore rivela un certo accademismo, funge da sezione contrastante.
Più distanti dai primi quattro, primitivo nucleo dell’ispirazione di Smetana, risultano i due poemi conclusivi dedicati all’antica dinastia hussita, raffigurata musicalmente in entrambi dal vecchio corale “Voi che siete i guerrieri di Dio”. L’inserimento della tradizionale melodia causa una percepibile frammentarietà e l’intento di collegare “L’epoca della potenza e della grandezza della Boemia” in Tábor, roccaforte degli hussiti, al Blanìk, il monte in cui riposano gli eroi guerrieri, raggiunge un effetto retorico, estraneo alle parti precedenti del ciclo. Ciononostante, Má Vlast si regge su un’ispirazione complessivamente non intellettualistica, aprendo la strada ad altri musicisti che avrebbero poi ritratto paesaggi e rievocato miti dei propri paesi tramite il poema sinfonico. Ma solo Smetana riuscì autenticamente ad essere il romantico cantore della propria terra e del proprio popolo, interpretandone il passato leggendario come la premessa di un promettente avvenire.
(Traduzione: Michele Girardi)
Má Vlast (La mia patria)
S’intitola complessivamente Má Vlast (La mia patria) un ciclo di sei poemi sinfonici composto da Smetana fra il 1874 e il 1879 ed eseguito integralmente per la prima volta a Praga il 5 novembre 1882, due anni prima della morte dell’autore, che era da tempo ormai completamente sordo. L’esito trionfale sanciva la volontà di celebrare con un’epopea sinfonica le tradizioni del proprio Paese, scrivendo una musica che si fondasse sull’idioma nazionale boemo senza perdere di vista la più aggiornata produzione sinfonica europea del secondo Ottocento. Influenzata da Liszt e da Berlioz per quanto riguarda la forma e il contenuto programmatico del Poema Sinfonico (ossia di una composizione per grande orchestra in un solo movimento ininterrotto ma variamente articolato al suo interno, di strumentazione florida e di ampia ricchezza tematica), la musica di Smetana fa continuo ricorso non solo a motivi popolari ma anche a figure, immagini, luoghi e ricordi leggendari e storici, da essi traendo spunto per una rappresentazione fastosa di simboli che costituivano l’essenza stessa del patrimonio nazionale della sua terra d’origine. Non bisogna dimenticare che a quel tempo la Boemia era ancora sotto il giogo straniero e la causa del riscatto nazionale era un’aspirazione che trovava particolare risonanza negli artisti. Di questa aspirazione Smetana, irredentista convinto, si fece cantore e vate, in una visione ottimistica e a tratti addirittura trionfale dell’affrancamento del suo popolo in nome della grandezza delle sue tradizioni: in un certo senso prefigurando una musica celebrativa a futura memoria. Má Vlast è, da questo punto di vista, ancora oggi un testo capitale per il riconoscimento di un’identità nazionale, linguistica e culturale. Per quanto ognuna delle sei pagine abbia un’autonomia e un riferimento a sé stante (e dunque possa essere eseguita anche da sola), è soltanto dal ciclo completo – sorta di inno in sei quadri idealmente complementari in lode di un’immaginaria geografia e storia nazionale – che si ricava compiutamente la vastità e l’unità di fondo della concezione di Smetana.
Vysehrad
Vyšehrad, che dà il titolo al primo brano, è il nome della mitica rupe che si erge sulla Moldava, all’ingresso del fiume a Praga: in un castello arroccato sulla rupe ebbero la loro prima residenza i principi boemi. Ed è la corte della principessa Libussa nel castello dei sovrani di Boemia che viene evocata dalla musica, per illustrare l’ascesa e la caduta di Vyšehrad. Al suono dell’arpa il bardo Lumir vede ridestarsi l’antico castello, ode suoni e canti, freme allo scalpitare impaziente della cavalleria. Ma quest’immagine di un passato epico svanisce presto di fronte ad altre visioni: le battaglie, gli incendi, le devastazioni, le macerie fumanti. Ora la dolce arpa di Lumir risuona in un’eco affranta, prima che egli si allontani muto tra le rovine. Musicalmente il pezzo (ultimato il 18
novembre 1874) è strutturato in una forma classicamente tripartita: esposizione (il tema principale di Lumir cadenzato da due arpe, variato dall’orchestra e irrobustito da motivi di fanfara); elaborazione (nuove varianti del tema fondamentale, con contrappunti imitati e richiami guerreschi, vigorose perorazioni e brevi episodi di distensione: clarinetti a due); ripresa (introdotta dal suono delle arpe come all’inizio, ma in un’atmosfera più cupa, poi mesta e sconsolata: archi, legni e corni).
Vltava
Vltava (La Moldava, 8 dicembre 1874) descrive con immagini di immediata freschezza le sorgenti e il corso del fiume nazionale per eccellenza: non esistesse Il bel Danubio blu di Johann Strauss figlio, questa descrizione avrebbe la palma della più famosa rappresentazione fluviale di tutta la storia della musica. Prima che il celeberrimo tema ad arco della Moldava (violini primi) si espanda in tutta la sua forza trascinante, ecco la prima e la seconda sorgente del fiume (due flauti muovono lusingando una carezzevole figura ondeggiante, cui si aggiungono dopo i clarinetti); poi, guidati da quel ritornello (formalmente si tratta di un Rondò, segnato dalla sempre più solenne riaffermazione del tema principale), assistiamo a tutta una serie di visioni che si dispongono lungo il corso del fiume: una caccia nel bosco (corni e trombe), una festa popolare che accompagna a ritmo di danza un matrimonio di contadini, la poetica ridda delle ninfe delle acque al chiaro di luna (archi e legni drappeggiati in un clima arcano e arabescato dalle armonie dell’arpa), il precipizio drammatico delle rapide di San Giovanni. Dopo quest’episodio vorticoso lentamente le acque si acquietano per scorrere nuovamente solenni (ripresa del tema principale): la Moldava entra fluente nella città di Praga, saluta la mitica rocca di Vyšehrad (e i fiati intonano il tema del Poema Sinfonico precedente) e scompare alla nostra vista in tutta la sua raggiunta, gloriosa maestà.
Sárka
Sárka (20 febbraio 1875) racconta la saga della regina delle Amazzoni assetata di vendetta contro tutta la razza degli uomini ingannatori. Costei si lascia legare dalle sue compagne a un albero per sedurre con falsi lamenti il bel cavaliere Ctirad e risvegliare la sua pietà. Il suo complotto riesce e quando Ctirad, giunto con il suo seguito a passo di marcia, la libera e subito se ne innamora, ella richiama con il suo corno le compagne nascoste nei dintorni e scatena la loro furia vendicatrice. Organizzato in una serie di episodi lirici (clarinetto e violoncello soli, ariosa melodia dei violini primi nella scena della seduzione) collegati fra loro da incisivi squarci drammatici, il brano rutilante e infiammato riassume in sé i quattro tempi di una Sinfonia: Allegro con fuoco ma non agitato, Più moderato assai – Moderato ma con calore – Moderato – Molto vivo.
Dai prati e dai boschi di Boemia
Dai prati e dai boschi di Boemia (18 ottobre 1875) è un variopinto quadro di paesaggio che illustra le bellezze della terra boema, la poesia dei suoi boschi e dei suoi campi ubertosi, nei quali risuona il canto della natura e prospera l’alacre attività del popolo contadino. “In quest’opera ognuno può immaginarsi ciò che più gli piace”, scrisse Smetana, “il poeta ha la strada libera, gli basti seguire la composizione nei particolari”.
Rafael Kubelik
In effetti, anche se non mancano spunti chiaramente descrittivi, naturalistici (gli ottoni per i panorami boschivi, gli strumentini per il lieto cinguettare degli uccelli, le danze dei contadini introdotte da un ampio fugato degli archi e sfocianti in una polka sfrenata a tutta orchestra), ciò che dà rilievo alla partitura è il tono di fondo di un’esaltazione gioiosa della natura.
Tábor e Blaník
Tábor e Blaník, composti in coppia tra la fine del 1878 e l’inizio del 1879, celebrano l’epopea hussita, simbolo dell’era radiosa del passato nazionale, quando i riformatori, convinti della verità della loro fede religiosa, resistettero alla potenza della chiesa di Roma. Il primo, che prende il titolo dal nome della città dal 1400 sede di Jan Hus e dei suoi valorosi guerrieri, è tutto impostato su un solo motto, il corale hussita Kdoz jste Bozi bojovníci (Voi che siete combattenti di Dio), annunciato fin dall’inizio dai corni e riproposto
insistentemente a piena orchestra con sempre più marcata carica patriottica. Il secondo, intitolato alla collina sacra dove gli eroi hussiti attendono di accorrere in aiuto della patria in pericolo, è una conclusione trionfale che alterna toni eroici a serene parentesi pastorali (oboe solo e corno in eco) e a marce grandiosamente scandite, per culminare nell’apoteosi finale del popolo risorto, della sua felicità e della sua gloria futura: e qui significativamente al tema del corale hussita, intonato dagli ottoni, si aggiunge il motivo iniziale di Vyšehrad, a simboleggiare nel valore della fede la forte continuità del ciclo.