Ludwig Van Beethoven
Sinfonia n 6 Pastorale – Schubert Sinfonia n 5
Karl Bohm: un’ispirata fedeltà
“Tutto appariva semplice, le note al loro posto, nessun trucco eclatante, niente di sorprendente, i tempi mai avvertiti. L’interpretazione era di quelle che i tedeschi, con sottile ironia, definiscono werktreu (fedele all’originale). Eppure il miracolo era la”. Così scrisse Ingmar Bergman nella sua autobiografia a proposito del Fidelio di Beethoven diretto da Karl Bohm (“il laborioso fiasco di un’opera-mostro trasformato improvvisamente in un’esperienza rigenerante………”). La lanterna magica forse non è la più attendibile fra le autobiografie – come ebbe modo di dire un attore, “Autobiografia? Vuoi dire il romanzo che Bergman ha scritto sulla sua vita”: pure, io trovo che il giudizio espresso dal grande regista svedese su Bohm sia abbastanza a segno, soprattutto quando descrive quella nettezza e quel preciso senso dell’articolazione che abbiamo sempre immancabilmente ricevuto all’ascolto delle opere beethoveniane dirette da Bohm alla testa delle grandi orchestre di Vienna, di Berlino e di Dresda. Nato a Graz in Austria nel 1894 Bohm era il decano dei direttori europei attivi nella parte centrale del nostro secolo. Aveva acquisito un’enorme esperienza nei teatri d’opera, ove, ai suoi tempi, si distinse quale direttore di suprema efficacia nella resa dei lavori di Mozart, Strauss e Wagner, e quale interprete sagace, accorto e convincente dei capolavori sinfonici classici viennesi. Anche nel suo caso, come in quelli della maggior parte dei musicisti, l’ascolto dal vivo rendeva maggior giustizia al suo operato: per averne un’idea si ascoltino ad esempio le registrazioni in presa diretta del Tristano e Isotta di Wagner al Festival di Bayreuth nel 1966 o il Così fan tutte eseguito a Salisburgo nel 1974 in occasione del suo 80o genetliaco.
Anche le sue registrazioni in studio, però, erano talvolta elettrizzati, il che è abbondantemente dimostrato proprio dalle due interpretazioni qui presentate. L’incisione della “Pastorale” del 1971 è forse tra le più belle mai ascoltate. Lo so, può sembrare una dichiarazione esagerata, ma non conosco esecuzione migliore. Bohm al suo meglio ci restituisce un Beethoven fatto di terra e di fuoco. Il direttore austriaco possedeva un orecchio sensibilissimo ed un acuto senso del vivo pulsare della musica, due qualità essenziali ad una direzione della “Pastorale” che sia all’altezza dell’opera.
Karl Bohm
Ma nella direzione di Bohm v’è qualcosa di più. Beethoven amava molto la natura: una volta disse di “amare un albero più di un uomo”. Il maestro abbozzò la Sesta nel corso di innumerevoli camminate nelle campagne attorno a Vienna, passeggiate che spesso lo trasportavano in uno stato d’animo di fervore quasi religioso. Alcuni anni dopo la composizione della “Pastorale”, nel 1815, Charles Neate, un pianista ed appassionato di musica inglese, fece visita a Beethoven e rimase con lui nel ritiro estivo del compositore a Baden. I due camminarono tutto il tempo. “La natura era per lui un autentico nutrimento”, ricorda Neate. “Sembrava dimorarvi in permanenza”.
La Sesta non è certo musica descrittiva secondo quel senso letterale e pittoresco della natura derivato dal manierismo che trae origine da Le quattro stagioni di Vivaldi. In testa al primo movimento figurano nella partitura le parole “Risveglio di piacevoli sensazioni all’arrivo in campagna (corsivo dell’autore)”. Si tratta infatti di una Sinfonia relativa ad un preciso stato d’animo, ed è anche un’opera straordinariamente “aperta”, ingenua, quasi primitiva: sono precisamente queste le cose che Bohm comprendeva così bene. Quanti altri direttori, ad esempio, sono capaci di udire, o addirittura di capire profondamente, di godere appieno, il sottile trapasso di colori che ha luogo nel primo movimento verso la fine della ripresa, quando Beethoven trasforma brevemente nei secondi violini una serie di crome legate in pizzicati, rendendole così simili a quei rovi selvatici che ti afferrano e ti strappano il soprabito nel mezzo d’una passeggiata in campagna? Bohm era un uomo capace di cogliere queste cose.
La sua interpretazione della Quinta Sinfonia di Schubert è ugualmente ispirata a causa proprio delle medesime ragioni. È una esecuzione d’impareggiabile grazia e di insuperabile buon umore, dal trasognante precipitarsi in basso, a morire, dei legni nella frase d’apertura, alla “risatina” di replica dei primi violini, fino al ritmo del tema principale dell'”Allegro” che sgorga così meravigliosamente. Di fatto, dopo aver ascoltato queste due esecuzioni, avremmo forse il diritto di unirci a Beethoven, a Schubert, e a Bohm, nel citare le famose parole dell’anonimo poeta latino: “Et in Arcadia ego”, “io pure sono stato in Arcadia”. Registrazioni eseguite dal 1971 al 1980 e rimasterizzazione effettuata nel 1995.