Vincenzo Bellini
I Puritani
Premetto che Anna è la mia cantante preferita d’ultima generazione. Resta difficile immaginare una collezione di video d’opera senza questa produzione MET dell’opera di Bellini, cantata in maniera eccezionale. Non è perfetta da tutti i punti di vista, ma le sue eccellenze, soprattutto Anna Netrebko con la sua voce elettrizzante nella interpretazione di Elvira, distolgono l’attenzione da altri aspetti meno convincenti di questa memorabile serata all’opera. La Netrebko si dimostra fragile sin dall’inizio, le espressioni e i movimenti delle sue mani suggeriscono immediatamente la sua vulnerabilità. In ogni atto c’è una sua scena di follia: nel primo quando si accorge che il fidanzato è sparito con un’altra donna, nel terzo, l’atto finale, quando il fidanzato viene scortato dai soldati per essere giustiziato.
Tuttavia, è nel secondo atto che trionfa la follia. La Netrebko è coinvolgente, mentre corre su e giù per la scalinata, una creatura persa e debole. Più tardi nel passaggio a soprano di coloratura, mostra una vocalità teatrale impavida mentre è sdraiata e la sua testa pende verso la buca dell’orchestra. Il tenore è Eric Cutler, suo fidanzato. Bellini conferisce ad Arturo una delle arie di sortita più onerose dell’opera, A te o cara, che Cutler canta con sicurezza. Il suo canto è ovunque intenso, definito e non agitato. Anche lo zio di Elvira, il basso John Relyea, un’eccellente voce, fa un ottimo lavoro soprattutto nella grande aria del terzo atto. Franco Vassallo, nelle vesti di Riccardo, rivale di Arturo, non si distingue particolarmente, il suo ruolo di baritono manca di colore e sfuma nel far vivere il personaggio.
Il direttore Patrick Summers guida l’eccezionale MET Orchestra in un’esibizione caratteristica, che permette di far maturare le linee melodiche lunghe Belliniane ed espandere l’eccitazione creata dalle scene più drammatiche. La produzione trentennale di Sandro Sequi con la scenografia di Ming Cho Lee, dimostra i suoi anni, ma le luci e la direzione video (ad opera di Gary Halvorson) riescono a renderla migliore. La direzione della sceneggiatura di Sharon Thomas è tradizionale. La vera differenza sta nella Netrebko che recita nello stesso modo in cui canta, divorata dal personaggio, intensa e consapevole di ogni sottile movimento e di ogni reazione onorando egregiamente la partitura di Bellini.
DVD super consigliato.
I Puritani
Lasciata l’Italia e stabilitosi a Parigi, in quella che allora era l’autentica capitale europea della musica, nel 1833 Bellini conduceva trattative parallele con il Théâtre Italien e con l’Opéra; nel febbraio del 1834 sottoscrisse con il primo dei due teatri un contratto che lo impegnava alla composizione di un’opera nuova. Per quanto riguarda il libretto, Bellini non poteva più contare sulla collaborazione di Romani, con il quale – dopo le incomprensioni veneziane e il mancato successo della Beatrice di Tenda– aveva rotto i rapporti; si rivolse perciò a un fuoruscito italiano, il conte Carlo Pepoli, un patriota rifugiatosi nella capitale francese. Questi aveva già scritto alcuni testi per composizioni vocali, ma era totalmente privo di esperienza teatrale (la qual cosa in seguito fu fonte, per Bellini, di ritardi e di non pochi problemi).
Fra i soggetti sottopostigli da Pepoli, Bellini ne scelse uno tratto dalla storia inglese, ambientato al tempo delle lotte tra i puritani, seguaci di Cromwell, e i partigiani degli Stuart. Si trattava del dramma storico etes rondes et Cavaliers di Ancelot e Saintine, da poco rappresentato a Parigi in un teatro dei boulevards e ispirato a sua volta al romanzoOld Mortality di Walter Scott (tradotto in italiano con il titolo I puritani di Scozia). Nel mondo dell’opera, come in quello del dramma romantico francese, la storia inglese – messa in voga dai romanzi di Scott – costituiva in quegli anni una fonte privilegiata, grazie soprattutto alla sua ricchezza di intrighi ed episodi foschi.
Il dramma di Ancelot e Saintine presentava proprio queste caratteristiche; la vicenda era intricatissima e macchinosa, tanto che il libretto dovette sfrondarla impietosamente, ma offriva una grande quantità di situazioni ‘teatrali’, diverse l’una dall’altra (vi era il tema eroico-patriottico, quello amoroso, quello della follia), che avrebbero fornito stimoli in abbondanza per l’effusione canora dei personaggi in scena: Bellini, perciò, ne fu subito entusiasta.
In aprile, deciso il soggetto e scritturata la compagnia di canto, Bellini si stabilì a Puteaux (allora un tranquillo sobborgo parigino immerso nel verde), ospite in una villa di amici, e si accinse alla composizione. Il sistema teatrale francese, che ammetteva tempi lunghi, gli garantiva una certa tranquillità: il compositore non era assillato dalla fretta che dominava perennemente il mercato d’opera italiano, e poteva dedicarsi con calma al suo lavoro. Ma la gestazione si annunciò lunga e laboriosa per altri motivi: in primo luogo l’inesperienza di Pepoli, che forniva al compositore poesia verbosa e inconcludente, inadatta alle esigenze del teatro musicale; Bellini fu dunque costretto a richiedere di continuo modifiche e rifacimenti, oltre che a sorvegliare di persona, sin nei dettagli, il lavoro del poeta; la mancanza di Romani si faceva sentire. Il libretto che uscì da questo lavoro congiunto non riesce a mascherare difetti evidenti nella coerenza e nell’impianto drammatico ed è afflitto da molti versi decisamente mediocri.
Il 24 gennaio 1835, alla presenza di tutta l’alta società e di tutto il mondo artistico parigino, la nuova opera andò in scena al Théâtre Italien col titolo I puritani e i cavalieri(in seguito, il titolo fu semplicemente I puritani). L’esito fu trionfale. La compagnia di canto vantava quattro artisti di prim’ordine: Giulia Grisi (Elvira), Giovanni Battista Rubini (Arturo), Antonio Tamburini (Riccardo), Luigi Lablache (Giorgio), che da allora divennero celebri col nome di ‘quartetto dei puritani’. Subito dopo le rappresentazioni parigine, gli stessi artisti si esibirono anche a Londra, al King’s Theatre, il 21 maggio 1835; l’opera ebbe poi una rapida diffusione e un successo incontrastato in tutti i teatri europei.
Atto primo.
Sul terrapieno di una fortezza dei puritani, presso Plymouth. Al sorgere dell’alba, i soldati si raccolgono in preghiera sotto la guida di Sir Bruno Robertson. Dame e cavalieri che abitano la fortezza annunciano i festeggiamenti per le nozze di Elvira, figlia del governatore Lord Gualtiero Valton, con Arturo Talbot, seguace degli Stuart. Riccardo se ne sta, afflitto, in disparte: ama la fanciulla e sperava di sposarla, sebbene il suo amore non sia ricambiato (“Ah, per sempre io ti perdei”).
Nelle stanze di Elvira, Giorgio, fratello di Valton, incontra la nipote, che teme di essere costretta a sposare Riccardo per volontà paterna (“Sai com’arde in petto mio”); ma Giorgio la rassicura, dicendole di aver convinto il padre a non frapporre ostacoli alle sue nozze con l’amato Arturo. Quando l’arrivo di quest’ultimo è annunciato dal suono di corni in lontananza, Elvira s’abbandona alla gioia. Arturo fa il suo ingresso, salutato dal tripudio generale, nella sala d’armi. Saluta esultante Elvira (“A te, o cara, amor talora”) e riceve da Valton un salvacondotto per sé e per la sposa. Il governatore non potrà assistere alle nozze, dovendo scortare a Londra una prigioniera, creduta spia degli Stuart, che sarà processata davanti al parlamento anglicano. La prigioniera è condotta nella sala; non appena resta sola con Arturo gli rivela di essere la regina Enrichetta di Francia, vedova di Carlo I.
Sapendo che se fosse riconosciuta sarebbe immediatamente giustiziata, Arturo decide di salvarla e promette che l’aiuterà a fuggire: ma è interrotto dall’arrivo di Elvira, in veste nuziale, che dà sfogo alla sua esultanza per le nozze imminenti (“Son vergin vezzosa”). Depone il velo sul capo di Enrichetta, per ammirarne l’effetto, ed esce di scena. Arturo decide di sfruttare il velo per dissimulare l’identità della regina e condurla così fuori della fortezza. Ma entra Riccardo, deciso a battersi col rivale. Accortosi che Arturo ha con sé la prigioniera realista, e, intuite le sue intenzioni, permette ai due d’allontanarsi, promettendo di non dare l’allarme finché saranno in salvo. Come viene a sapere della fuga di Arturo, Elvira cade in preda alla disperazione e inizia a vaneggiare.
Atto secondo.
Dame e cavalieri compiangono la sorte di Elvira: Giorgio narra come la fanciulla vaghi, priva di senno, invocando l’amato (“Cinta di fiori e col bel crin disciolto”). Riccardo annuncia che Arturo è stato condannato a morte dal parlamento. Giunge Elvira; in una scena di follia (“Qui la voce sua soave”) immagina di udire la voce di Arturo e ne lamenta la lontananza. Commosso, Giorgio prega Riccardo d’intercedere in favore di Arturo (“Il rival salvar tu dei“), poiché la morte dell’amato ucciderebbe di dolore la fanciulla; Riccardo dapprima si oppone, ma poi finisce per cedere. I due convengono però che Arturo morrà se all’alba si troverà fra gli assalitori della fortezza (“Suoni la tromba, e intrepido”).
Atto terzo.
Nella loggia di un giardino presso la casa di Elvira, compare Arturo, sfuggito ai suoi nemici mentre infuria un uragano. Sente Elvira cantare una canzone che egli stesso le aveva insegnato un tempo (“A una fonte, afflitto e solo”): risponde alla fanciulla, ma è interrotto da un drappello d’armigeri. Si nasconde, poi prosegue nel canto; compare Elvira, che lo riconosce e si getta nelle sue braccia (“Nel mirarti un solo istante”). Ascoltato il racconto delle sue peripezie, la fanciulla sembra riacquistare la ragione. Ma un rullo di tamburo, che annuncia l’arrivo dei nemici di Arturo, compromette nuovamente il suo fragile equilibrio. Irrompono Riccardo, Giorgio e i soldati puritani, che riconoscono Arturo e gli comunicano la condanna a morte. A queste parole Elvira, per l’emozione, recupera definitivamente la ragione e dichiara di voler condividere la sorte dell’amato. Mentre i soldati reclamano l’esecuzione della sentenza è annunciato un araldo, che reca un messaggio di Cromwell: gli Stuart sono stati sconfitti e per i loro seguaci è proclamata una generale amnistia. Fra l’esultanza generale, Arturo si ricongiunge all’amata.
Con i Puritani, l’arte di Bellini si apre a vie nuove. Attento alle esperienze romantiche d’oltralpe, il compositore usa l’orchestra in funzione espressiva, impiega effetti timbrico- strumentali ricchi e accurati, sperimenta armonie ricercate: si appropria, in altri termini, di quegli aspetti del linguaggio musicale nei quali i compositori francesi eccellevano (così facendo, risponde anche alle aspettative del pubblico parigino).
Bellini fa un uso sistematico dei richiami tematici, proprio come soleva fare l’opera francese del tempo; ricorre pure a espedienti tipici del grand-opéra, come gli spettacolari quadri storici collettivi o l’impiego di suoni fuori scena, intesi a creare suggestivi effetti spaziali. Magistrali, in questo senso, la complessa introduzione, con i richiami del campo militare, il coro guerriero, la preghiera mattutina, l’esultanza degli astanti (vi sono già concentrati tutti i temi dell’opera, da quello amoroso a quello guerriero), o una scena tipicamente romantica come quella dell’uragano.
Ma tutto ciò non compromette le peculiari qualità belliniane, in primo luogo la cura esemplare della melodia.I puritani fanno il più ampio sfoggio di idee melodiche felici, di momenti improntati a un lirismo espansivo, tipicamente italiano. Numerose sono le melodie memorabili: ad esempio
l’effusione di “A te, o cara, amor talora”, con cui si presenta Arturo (formalmente il brano appartiene a un genere ibrido, che sta fra l’aria e il pezzo d’insieme); o la melodia dalle ampie arcate “Credeasi, misera” nel concertato della terza parte, espressiva e di grande respiro; o ancora il cantabile di Elvira che vaga, mesta e folle, per le stanze del castello (“Qui la voce sua soave”), con la frammentazione della linea vocale tipica di una mente sconvolta, prima di sfociare nella virtuosistica cabaletta (“Vien, diletto, è in ciel la luna”) che produce, con le sue acrobatiche fioriture, un effetto quasi spettrale.
Pur poco coerenti dal punto di vista drammatico, e meno unitari rispetto a Norma o alla Sonnambula,I puritani presentano una grande abbondanza di idee e di momenti musicalmente suggestivi. Fra i pezzi di maggior effetto vanno citati almeno la polacca “Son vergin vezzosa”, vivace e dalla brillante coloratura, intonata da Elvira mentre si trova in uno stato di eccitazione estatica, e la cabaletta del duetto di Riccardo e Giorgio, “Suoni la tromba, e intrepido”, un brano marziale e trascinante – che il pubblico italiano considerò espressione dei propri ideali risorgimentali – e a cui arrise un’immediata popolarità.
Dei Puritani esiste una versione alternativa. Nel 1834 Bellini si era impegnato con l’impresa del Teatro di San Carlo di Napoli a scrivere tre nuove opere, la prima delle quali avrebbe dovuto giungere nella città partenopea alla fine di quell’anno. Occupato però a fondo dal lavoro ai Puritani, e in ritardo sui tempi previsti, Bellini decise che a Napoli avrebbe inviato la medesima partitura riadattata, anziché una nuova.
A partire dall’ottobre 1834 il compositore lavorò contemporaneamente alla versione parigina dei Puritanie all’adattamento per Napoli. Quest’ultima versione contiene alcuni brani nuovi: un terzetto nella prima parte, un cantabile nel duetto della terza parte, una stretta finale (alcuni di essi facevano parte anche della versione parigina, ma furono eliminati dopo la ‘prima’ per porre rimedio alla lunghezza eccessiva dell’opera); venne inoltre eliminata la cabaletta “Suoni la tromba, e intrepido”, che la censura napoletana non avrebbe permesso.
Ma i mutamenti più rilevanti si resero necessari per adattare l’opera alla compagnia di canto napoletana. La parte di Elvira, destinata a Maria Malibran, fu posta in maggior rilievo e dovette essere abbassata per poter essere intonata dal grande mezzosoprano; quella di Riccardo fu riscritta per tenore, anziché per baritono; nel secondo finale Elvira e Arturo si scambiarono le parti.
Bellini inviò la partitura con la nuova versione mentre a Parigi erano ancora in corso le prove, ma il manoscritto non giunse in tempo a Napoli: a Marsiglia fu fermato dalla quarantena, impostagli perché nella Francia meridionale era scoppiata un’epidemia di colera.
L’impresa di Napoli, in difficoltà finanziarie e in cerca di pretesti, approfittò del ritardo per annullare il contratto con Bellini: la versione napoletana dei Puritani, perciò, non fu mai rappresentata. In tempi recenti è stata riproposta al pubblico presso il Barbican Center di Londra (1985) e nei teatri di Bari (1986) e di Boston (1993).