Cajkovskij Ilic Petr

Composizioni varie

Quattro notissime partiture eseguite eccellentemente dall’intramontabile Leonard Bernstein. Lo spartito che maggiormente mi ha colpito per l’intensa drammaticità è l’Ouverture fantasia op. 67 “Hamlet” Ottima anche La prestazione della Israel Philharmonic Orchestra. Audio in DDD Ottimo. CD da acquistare a occhi chiusi. Registrazione effettuata nel 1985

Cajkovskij: Amleto . Marcia Slava . Capriccio Italiano . Ouverture “1812”

La presente incisione comprende oltre a tre delle più celebri composizioni orchestrali di Cajkovskij, la Marcia slava (1876), l’Ouverture “1812” e il Capriccio italiano (entrambe del 1880), anche la più impegnativa Ouverture- Fantasia sull’Amleto di Shakespeare (1888). Quest’Ouverture delinea il ritratto del principe danese secondo il modo di intendere del 19o secolo: egli viene rappresentato come un’anima tormentata dalle proprie ossessioni che si spezza sotto il violento dolore provocatole dal mondo. Ad eccezione del Capriccio queste opere sono state scritte tutte su commissione. La Marcia slava op. 31 (che il compositore soleva chiamare “marcia serbo-russa”), in quanto vi sono impiegati canti popolari serbi originali e l’inno russo degli Zar fu scritta da Cajkovskij su richiesta della Società Musicale Russa per un concerto a beneficio della Croce Rossa. Alla sua prima esecuzione moscovita, il 5 novembre 1876, la Marcia (in semplice forma tripartita A B A’ con Coda e Stretta) ebbe un tale successo che dovette essere immediatamente ripetuta. E come Cajkovskij stesso scrisse tre giorni dopo alla sorella, essa “scatenò una tempesta di entusiasmo patriottico”. Tale entusiasmo avrebbe suscitato anche l’Ouverture solenne “Anno 1812” op. 49. Per l’estate 1881 era programmata a Mosca la “Mostra panrussa dell’arte e dell’industria”.
Capo della sezione musica venne nominato Nikolaj Rubinstein, pianista e direttore d’orchestra, direttore del Conservatorio di Mosca e della sezione moscovita della Società Musicale Russa. Per Rubinstein l’essenziale era – come egli stesso comunicò a Cajkovskij il 18/30 settembre 1880 – sottolineare l’orientamento artistico della mostra, cioè che non ci si dovesse “limitare a musica militare o a un’orchestrina da ballo, ma ogni tanto eseguire anche opere patriottiche… Dal momento che per alcune feste in occasione del 25o anniversario dell’incoronazione dello Zar Alessandro II), la consacrazione della Cattedrale del Redentore (che fu costruita a Mosca in memoria della vittoria russa su Napoleone dell’anno 1812), l’apertura della mostra e altri festeggiamenti, occorre della musica”, Rubinstein prega Cajkovskij di scrivere per una delle suddette occasioni un’opera di sua scelta. Egli opta per un’ouverture solenne per l’inaugurazione della mostra. “Sarà molto forte e rumorosa”, annuncia il compositore il 10/22 ottobre 1880 alla sua patrona e confidente Nadiezda von Meck.
La mostra e l’esecuzione dell’Ouverture dovettero essere rimandate. Il 1/13 marzo 1881 Alessandro II cade vittima di un attentato dinamitardo e l’11/23 marzo muore a Parigi Nikolaj Rubinstein. Così l’Ouverture può essere eseguita per la prima volta solo l’8/20 agosto 1882 nel sesto concerto sinfonico della “Mostra panrussa dell’arte e dell’industria”. Il brano diventa rapidamente popolare e, a partire dal 1887, viene diretto diverse volte dal compositore stesso persino all’estero, come avviene il 27 gennaio/l’8 febbraio 1888 in un concerto della Società Filarmonica di Berlino. Un canto liturgico (“Salva, o Signore, il Tuo popolo”) e delle fanfare militari, uno stridente tema di battaglia e la “Marsigliese”, un canto popolare russo di carattere lirico e danzante nonché l’inno russo degli Zar costituiscono i temi e i motivi immediatamente comprensibili di questa magistrale opera che è concepita sul modello della forma-sonata con introduzione e coda.
A partire da Glinka, il “padre della musica russa”, i compositori russi non si rivolgono più solo alla propria musica popolare, ma hanno un “debole” per il folklore di altri popoli, per esempio dei popoli asiatici (“il principe Igor” di Borodin) o dell’Europa meridionale (le affascinanti “Ouvertures spagnole” di Glinka, il “Capriccio spagnolo” di Rimski-Korsakov e la “Serenata spagnola” di Glazunov). A questo gruppo appartiene anche il Capriccio italiano op. 45 di Cajkovskij, composto nel gennaio 1880 a Roma. Il compositore lo chiamò “Fantasia italiana su temi popolari a cui, secondo me, si può predire un buon futuro. Avrà una grande risonanza grazie agli incantevoli temi che sono riuscito a mettere insieme in parte da raccolte, in parte ascoltandoli di persona per strada” (Lettera del 23 gennaio/4 febbraio 1880 a Nadiezda von Meck).

Thomas Kohlhase (Traduzione: Giovanni Borio)

1812 “Ouverture selennelle” in mi bemolle maggiore op. 49

Questa pagina, tra le più popolari e largamente eseguite per la sua altisonante efficacia descrittiva, fu commissionata a Cajkovskij dall’Esposizione Pan-Russa delle Arti e dei Mestieri di Mosca nel 1880 ed eseguita in quella sede il 20 agosto 1882. L’Ouverture vuole essere una fantasiosa e fantasmagorica rievocazione della campagna napoleonica in Russia, realizzata con un’orchestrazione quanto mai brillante e ricca di effetti anche realistici. Si apre con un tema corale di viole, violoncelli e contrabbassi su un inno liturgico ortodosso dalla caratteristica struttura armonica modale. Nella presente edizione e per la prima volta nei concerti dell’Accademia il coro canta per 30 battute sulle parole «Dio proteggi il tuo popolo»; probabilmente in origine Cajkovskij aveva pensato di inserire a questo punto il coro che successivamente è stato tolto nelle normali esecuzioni concertistiche. Agli archi si alternano i fiati nella esposizione dell’inno, per lasciare poi spazio ad una pensosa melodia dell’oboe solo (piangendo e molto espressivo, annota il compositore in calce alla partitura). La melodia viene ripresa dai fiati in un largo crescendo di tutta l’orchestra e, dopo un breve episodio con tamburo militare e squilli di corni, si giunge alla descrizione della battaglia: un disegno basato su un salto ascendente di ottava e su una veloce scala discendente passa da uno strumento all’altro dell’orchestra in una specie di fugato di crescente concitazione, mentre corni, trombe e tromboni espongono il tema della Marsigliese. La tensione giunta al culmine si spegne progressivamente in un passaggio di violoncelli e contrabbassi; con gli archi all’unisono, rinforzati dai fiati, si ode un tema popolare russo già usato da Rimskij – Korsakov nella sua Ouverture su temi russi. Si riaccende la battaglia sul tema russo e della Marsigliese, vero e proprio leitmotiv; a questo punto si innesta la sezione conclusiva del brano con l’orchestra scatenata in fortissimo e rafforzata da colpi di cannone e rintocchi di campane, mentre dalla solenne perorazione conclusiva emergono le note dell’inno ortodosso iniziale e dell’Inno zarista, quasi a simboleggiare la vittoria del popolo russo sulle armate napoleoniche, in un esaltante e travolgente en plein air strumentale.

Napoleone Bonaparte

Testo

Spasi Gospodi liudi Tvoia
I blagoslovi dostoianie Tvoie.
Pobedy boriushchimsia za veru Pravuiu i za sviatuiu Rus ́, Nasoprotivnyia daruia.
I Tvoie sokhraniaia
Krestom Tvoim zhitelstvo.
Krestom Tvoim zhitelstvo.
Krestom Tvoim, krestom Tvoim, krestom.
U vorot, vorot, vorot, batiushkinykh, Ai, dunai, moi dunai, ai, veselyi dunai, U vorot, vorot, vorot, novykh matushkinykh,
Ai, dunai, moi dunai, ai, veselyi dunai. Spasi Gospodi liudi Tvoia
I blagoslovi dostoianie Tvoie.
Pobedy boriushchimsia za veru Pravuiu i za sviatuiu Rus ́,
I blagoslovi dostoianie Tvoie. Bozhetsariakhrani,silny,derzhavny, Tsarstvui na slavu,
Tsarstvui na strakh vragam.

 

Salva il tuo popolo, o Dio,
E ti preghiamo, benedici la tua eredità. Dona vittoria a coloro che combattono Per salvare la nostra giusta fede
E la nostra amata terra sacra di Russia, E il guardiano della tua grazia
sia per sempre la tua croce, o Signore della luce.
Alle porte, alle porte, alle porte,
alle porte dell’amata Casa del padre, Ahi, Dunai, mio Dunai, ahi, noi cantiamo Dunai.
Alle porte, alle porte, alle porte,
alle porte dell’amata Casa della madre, Ahi, Dunai, mio Dunai, ahi, noi cantiamo Dunai.
Salva il tuo popolo, o Dio,
E ti preghiamo, benedici la tua eredità. Dona vittoria a coloro che combattono Per salvare la nostra giusta fede
E la nostra amata terra sacra di Russia. Etipreghiamo,benedicilatuaeredità. Dio salvi il nostro benevolo Zar, valoroso e giusto, lui che regna nella gloria, che
regna contro i suoi nemici.

Marcia slava op. 31

La popolare Marcia slava o marcia serbo-russa in si bemolle minore fu composta sull’onda emotiva seguita a un massacro compiuto dai Turchi nei Balcani. Per reazione, nel giugno del 1876 Serbia e Montenegro dichiararono guerra all’Impero Ottomano. Cajkovskij, poco incline a occuparsi di politica, fu scosso direttamente da un episodio capitatogli in “casa di una signora di mia conoscenza (…). Suo figlio, un giovane bello e intelligente, informò in mia presenza la madre che era in procinto di partire volontario per la Serbia. Essa svenne. Poi ripresasi, rimase senza parola”. Confessava al fratello Lev: “Sono rimasto terribilmente scosso da questa scena”.
Così, quando gli fu chiesto un brano per un concerto della Società Musicale Russa a beneficio della Croce Rossa, il compositore era pronto per scrivere la
Marcia slava (17-25 settembre 1876), battezzata il 5 novembre a Mosca da Nikolaj RubinStein fra tempeste d’entusiasmo patriottico.
Il primo episodio (Moderato) presenta due temi contrastanti: un motivo di marcia funebre la cui melodia proviene da una canzone serba (Il sole chiaro non brillerà più) con un deciso profumo orientale cui replica un tema di ampio respiro lirico. L’episodio si sviluppa e si conclude con un’ascesa irresistibile della marcia del primo tema, punteggiata da richiami e fanfare marziali nello sfondo.
La parte centrale esprime “la gioia della vittoria che comincia a manifestarsi con una danza popolare (altro tema serbo), intonata con freschezza da clarinetti e fagotti” (Andre Lischké). Squilli di guerra introducono l’inno russo (Dio salvi lo Zar) che si intreccia al motivo precedente in uno sviluppo che culmina in una sorta di battaglia musicale. In epoca sovietica l’inno zarista veniva sostituito con il coro finale dell’opera di Glinka, Una vita per lo Zar, opera che allora si doveva chiamare Ivan Susanin.
L’episodio finale (Più mosso, allegro) presenta un nuovo tema di danza dal profilo “gioiosamente bellicoso” (Lischké) prima che risuoni l’inno imperiale in una coda che dà sfogo a tutto il panslavismo dei tempi. Aveva ragione il compositore quando avvertì il collega Sergej Taneev (1856 – 1915) di “non giudicare la marcia dal suo arrangiamento per pianoforte solo. Con l’orchestra ha dimostrato di essere molto efficace”. Merito di un’orchestrazione brillante, ricca di colore, incisiva.

Hamlet op. 67

Al rientro da una tournée concertistica in diverse città dell’Europa occidentale, da Berlino a Lipsia, da Amburgo a Praga, da Parigi a Londra, dove era stato acclamato e festeggiato, Cajkovskij si stabili per un periodo di riposo nella casa di campagna a Frolovskoje, presso Klin. Qui egli attese alla composizione della Quinta sinfonia e della Ouverture-fantasia Amieto: quest’ultima fu completata tra il 27 settembre e il 19 ottobre 1888. Dedicato a Grieg, l’Amleto fu diretto per la prima volta dallo stessa compositore a Pietroburgo il 24 novembre successivo, una settimana prima che venisse presentata la Quinta sinfonia. La critica si mostrò piuttosto fredda verso l’Ouverture-fantasia e, tra gli altri, Balakirev pronunciò un giudizio tagliente sulla nuova composizione, dicendo che nella scena d’amore gli sembrava che «Amleto offrisse i suoi omaggi ad Ofelia come se stesse offrendole del ghiaccio». Non era la prima volta che il compositore attingeva alla drammaturgia shakesperiana per la musica: l’aveva fatto con l’Ouverture-fantasia Romeo e Giulietta (prima versione nel 1869 e seconda versione nel 1880 e con la Fantasia La tempesta (1873), anche se questa volta non aveva fornito alcuna indicazione di programma, come era solito specificare nei suoi lavori.

William Shakespeare

Secondo alcuni musicologi, l’Amleto può essere definito un movimento in forma di sonata, diviso in undici tempi musicali, alcuni dei quali si ripetono, quasi a stabilire un carattere di unitarietà fra diversi episodi che hanno al centro la figura del principe di Danimarca, il più discusso e variamente interpretato di tutta la letteratura mondiale. Lo sfondo funereo della vicenda è indicato all’inizio dal canto dei violoncelli, grave e ansioso, su cui si innestano poi i violini in uno slancio ascensionale, ai quali risponde un tema del clarinetto e del corno inglese. La tensione ritmica si fa più rapida, passando dall’Andante non troppo, con gli ottoni che ripetono il primo tema, al Moderato. Si profila un Allegro vivace di tutta l’orchestra su scale ascendenti e figure ritmiche ben scandite. L’oboe accompagnato dal corno inglese, clarinetti e fagotto descrive il personaggio affettuosamente tenero di Ofelia (Andante), che sfocia nel tema d’amore, largamente cantabile e affidato in prevalenza agli archi. Si ode una marcia a piena orchestra, dopo di che emerge il suono dell’oboe solista, sostenuto in ottava dal corno inglese. Si riascolta la frase d’amore, con altri episodi strumentali apparsi precedentemente, in tempo Allegro ma non troppo e Allegro vivace. Si riode anche la marcia che esplode in un fortissimo, prima che si riaffacci il tema iniziale nella tonalità di fa minore e nella stessa atmosfera funebre, resa più triste e lugubre dall’insistente ritmo dei timpani.

Capriccio italiano in la maggiore op. 45

La fine del suo matrimonio con Antonina Ivanovna Miljakova e il profondo rapporto che nacque con la ricca vedova Nadezda von Meck, segnarono in maniera decisiva la vita artistica di Pètr Il’ic Cajkovskij. La rendita annua che la von Meck garantì al compositore gli permise di abbandonare la cattedra al Conservatorio, di dedicarsi a tempo pieno alla composizione nell’ultimo quindicennio della sua vita, di viaggiare molto anche all’estero, mietendo ovunque grandi successi.
Il 1880, che il compositore trascorse tra Mosca, Pietroburgo, Parigi e Roma, e per il resto ospite in residenze di campagna, si rivelò un anno particolarmente prolifico: nacquero infatti pagine orchestrali destinate a diventare assai popolari, come la Serenata per archi op. 48, l’Ouverture 1812 e il Secondo Concerto per pianoforte e orchestra.
Il 16 gennaio di quell’anno Cajkovskij cominciò anche a comporre – a Roma dove risiedeva in quel periodo – la partitura del Capriccio italiano op. 45, che poi completò a San Pietroburgo il 27 maggio, con dedica al compositore Karl Jul’evic’ Davydov. L’idea di trarre ispirazione da musiche popolari italiane gli era venuta dopo avere assistito ai festeggiamenti per il carnevale proprio tra le vie di Roma. Ne parlò in alcune lettere alla von Meck: «Stiamo assistendo all’acme del carnevale […]. Naturalmente il carattere di questa festa è
determinato dal clima e dalle antiche usanze […]. Se si osserva bene il pubblico che si accalca in modo così selvaggio sul Corso, ci si convince che l’allegria di questa folla, per quanto possa assumere aspetti davvero singolari, in fondo è sincera e naturale. Non ha bisogno né di grappa né di vino, si inebria con l’aria del posto, con questa carezzevole calura».
Inizialmente Cajkovskij aveva pensato di scrivere qualcosa di simile ai lavori di Glinka ispirati alla Spagna, cioè alle due Ouvertures intitolate Capriccio brillante sulla Jota Aragonese e Ricordo di una notte estiva a Madrid (in una lettera a Taneev del gennaio del 1880 scriveva infatti che doveva essere una «Suite italiana su melodie popolari, sul modello delle fantasie spagnole di Glinka»). Non a caso la libera giustapposizione di motivi diversi, la successione di episodi collegati da parentele timbriche e ritmiche più che tematiche, sembra ricalcare la libera successione dei temi popolari che caratterizza Glinka.
Cajkovskij abbozzò l’intera composizione in meno di una settimana, utilizzando alcuni canti che aveva ascoltato personalmente per le strade di Roma, altri presi da alcune antologie, e mirando non tanto all’elaborazione tematica quanto alla ricerca dell’effetto, alla massima brillantezza della scrittura orchestrale, come scrisse alla von Meck in una lettera del 12 maggio 1880: «Non so che valore musicale possa avere quest’opera, ma sono già da ora convinto che avrà una bella sonorità, che l’orchestra sarà brillante e piena di effetto». La progressione degli strati di colore, di movimento e di tempo, la sapiente orchestrazione, che sfrutta gli ottoni al completo e un nutrito set di percussioni, permettono a Cajkovskij di ottenere una partitura luminosa e vitale, piena di atmosfera, di verve, come un vorticoso girotondo. Ma senza grandi pretese. Alla sua prima esecuzione (che ebbe luogo a Mosca il 18 dicembre 1880, sotto la direzione di Nikolaj Rubinstein) il Capriccio italiano fu infatti criticato per una certa superficialità, e come esempio negativo di occidentalizzazione e di cosmopolitismo, in un periodo in cui la Russia stava riscoprendo con orgoglio il valore artistico delle proprie radici musicali.
Il lavoro si apre con un richiamo delle due trombe (Andante un poco rubato), un segnale militare usato dai soldati della cavalleria italiana che Cajkovskij – secondo la testimonianza di suo fratello Modest – aveva udito provenire da una caserma vicina alla sua abitazione romana. Dopo le fanfare degli ottoni si leva negli archi, all’unisono, una melodia dal carattere mesto, che ha l’incedere di una marcia funebre punteggiata dagli accordi ribattuti dei fiati. Lo stesso tema è poi ripreso dai legni in forma imitativa, e accelerato, su un tappeto di tremoli degli archi.

Petr Ilic Cajkovskij

Le due parti seguenti (Pochissimo più mosso e Allegro moderato) si basano su canzoni popolari, molto orecchiabili e piene di humour. la prima è un temine semplice e pimpante (in 6/8), “molto dolce, espressivo”, affidato ai due oboi che si muovono per terze parallele sul pizzicato di violoncelli e contrabbassi (questo motivo viene ripetuto da vari strumenti, variato, accompagnato da una girandola di disegni e controvoci, fino a espandersi su tutta l’orchestra, in un vero e proprio sfoggio di virtuosismo timbrico); la seconda è uno stornello romanesco (in 4/4), pieno di slancio, accompagnato dagli accordi ribattuti degli archi (come una cavalcata), esposto prima da violini e flauto, poi ribadito dalla cornetta a pistoni, con una frase intermedia, leggera e danzante, punteggiata dal tamburello. Raggiunto il suo culmine, questa esplosione di gioia sonora lascia poi spazio alla ripresa dell’Andante, col suo triste melodizzare.
Ma poi la festa riprende: un’incalzante concatenazione di terzine dà avvio a una trascinante tarantella di archi e legni (Presto) – e non poteva mancare in una pagina dedicata all’Italia! Poi una ripresa della prima canzone popolare (ma in una diversa tonalità e con i valori dilatati su un tempo di 3/4) cantata a squarciagola da tutta l’orchestra (“fff largamentissimo”, Allegro moderato). E alla fine ancora gli echi della tarantella che innescano l’ultimo grande
crescendo, culminante in un Prestissimo impetuoso, pirotecnico, un vero tripudio di colori orchestrali.

Questi due manoscritti sono talmente noti che non meritano alcun commento. Mi limito solo a esporre lo stravagante accoppiamento di questi due brani: Il primo estremamente drammatico, l’altro delicato, melodico e accattivante. Karajan con il suo solito carisma conduce brillantemente i Berliner Philharmonker. Audio in DDD eccezionale. Registrazione eseguita nel 1983. Altamente raccomandato.

“Romeo e Giulietta” – Suite dallo “Schiaccianoci”

La presente registrazione offre all’ascolto la prima grande composizione per orchestra di Cajkovskij e quella tra le sue opere tarde che probabilmente gode della maggiore popolarità: rispettivamente la Fantasia-Ouverture Romeo e Giulietta di Shakespeare e la Suite dal balletto Lo Schiaccianoci op. 71a (1892). L’Ouverture fu composta nell’ottobre e novembre 1869 secondo un piano di Milly Balakirev, cui fu anche dedicata la composizione. Questa fu poi rielaborata due volte da Cajkovskij, prima di assumere quella fisionomia con cui è oggi generalmente conosciuta. Romeo e Giulietta, che fin dal principio ha riscosso molto successo e grande favore presso il pubblico, traduce la tragedia shakespeariana nello schema musicale classico della forma-sonata. I suoi due temi principali simboleggiano la lotta delle due famiglie veronesi Montecchi e Capuleti, divise da una mortale inimicizia (secondo tema). L’introduzione si basa su una melodia incisiva con carattere di corale, la quale ha un ruolo centrale anche nello sviluppo (Questa melodia si lascia subito collegare con la figura di Padre Lorenzo, il personaggio che nel dramma riveste una funzione essenziale con il suo tentativo di aiuto dagli esiti fatali). La coda invece non riprende il corale iniziale, come sarebbe stato naturale da un punto di vista meramente formale, ma fa risuonare in tutta la sua ampiezza il tema degli amanti su un cupo ostinato dei timpani, in un lamentoso tono di marcia funebre. La Suite dallo Schiaccianoci è l’unica Suite autentica tra le tre tratte dai Balletti di Cajkovskij Lago dei cigni, Bella addormentata e Schiaccianoci. Il libretto per lo Schiaccianoci (ad opera di Marius Petipa) segue la traduzione francese Casse-noisette che Alexandre Dumas Père fece del racconto di E. T. A. Hoffman. La Suite fu eseguita ancor prima che il Balletto fosse terminato, e cioè il 7 marzo 1892 a Pietroburgo sotto la direzione del compositore. Nella sua successione di otto movimenti la Suite dallo Schiaccianoci ci conduce in quel pittoresco mondo di fiaba che Cajkovskij, con le sue capacità di caratterizzazione drammatica e grottesca, con il suo spiccato talento nella composizione di balletti e con la sua ricca e raffinata gamma timbrica, sembrava particolarmente destinato a realizzare in termini musicali. Con la trama del Balletto e le sue scene più propriamente drammatiche i brani della Suite non hanno alcuna relazione; in essa sono infatti raggruppati alcuni pezzi – di sicuro e grande effetto – del Divertissement del Balletto.
All’inizio della Suite c’è l’Ouverture miniature, un brano di fragrante eleganza, scritto in forma d’una sonatina mancante dello sviluppo. A questa Ouverture di così fine fattura e così magistralmente tratteggiata seguono come Danses caractéristiques una Marcia (atto primo, n. 5) di elettrizzante freschezza e miniata con la medesima ricercatezza, e quindi altre cinque Danze, tratte tutte – come anche il conclusivo Valzer dei fiori – dall’atto secondo (ed ultimo) del Balletto originario. Questo atto si svolge nel Palazzo incantato del Castello- marmellata, dove la Fata-confetto risiede circondata dalla sua corte. Nella danza della Fata-confetto, della preziosità d’una filigrana, Cajkovskij combina in modo delizioso il timbro chiaro ed argenteo della celesta con quello grottesco e cupo del clarinetto basso, mentre gli archi fanno risuonare come in un ostinato i loro pizzicati. I quattro brani successivi sono tratti dal Divertissement (n. 12 del Balletto). Dopo l’impetuosa danza russa Trépak, la lieve malinconia della Danse arabe, denominata nel Balletto anche Le cafè, evoca il mondo fiabesco dell’Oriente soprattutto attraverso gli esotici arabeschi dei legni, dispiegati

sull’animato pedale (sol) degli archi. È caratterizzata da un ostinato e costruita su un pedale anche la Danse chinoise, Le thé; lo staccato dei legni nei registri estremi, il pizzicato degli archi, il suono cristallino del Glockenspiel, la nenia monotona dei clarinetti e le fioriture dei flauti danno al brano un’impronta bizzarra, che suggerisce la motilità sgambettante delle marionette. Alla aggraziata Danza degli zufoli (la parola mirlitons indica strumenti a fiato per bambini e al tempo stesso un certo tipo di biscotto) segue lo splendido Valzer dei fiori (ballerine e ballerini in costumi floreali) con le sue ondeggianti ghirlande melodiche.

Thomas Kohlhase
(Traduzione: Gabriele Cervone)

Romeo e Giulietta Ouverture-fantasia in si minore

L’ouverture-fantasia Romeo e Giulietta, a ragione considerata come il primo capolavoro di Caikovskij, nacque dalla frequentazione dell’autore con Milij Balakirev, negli anni Sessanta dell’Ottocento figura carismatica della musica russa. In effetti a Balakirev sono dovute tanto l’idea di una composizione ispirata alla tragedia di Shakespeare quanto le direttive secondo le quali il progetto fu realizzato. E Balakirev fu la sola persona che con le sue critiche riuscì a persuadere Caikovskij a rielaborare più volte una composizione: dopo aver composto l’ouverture-fantasia nel 1869, l’autore vi rimise mano l’anno seguente modificandone l’introduzione, parte dello Sviluppo e la conclusione, e ancora nel 1880 riscrivendone l’epilogo. La terza e ultima versione è quella, oggi comunemente eseguita, di un pezzo che risente, sotto vari aspetti, di Liszt e di Glinka, oltreché dello stesso Balakirev, e nel quale Caikovskij concilia con efficacia le esigenze della forma sinfonica (lo schema di sonata) con i presupposti di caratterizzazione e rappresentazione drammatica della musica, accentuando i contrasti tra i diversi soggetti tematici.
Louverture-fantasia si apre con un’introduzione, Andante non tanto quasi Moderato. Il gruppo tematico introduttivo, che da fa diesis minore scende cromaticamente a fa minore, è aperto da uno scuro corale, dalle inflessioni modali, di clarinetti e fagotti, prosegue anche con l’apporto degli archi e si conclude con l’ingresso dell’arpa sugli accordi tenuti di legni, corni e archi gravi. La tinta antica e per così dire gotica del tema ha la funzione d evocare l’atmosfera e l’ambientaziore del dramma. Nel corale dei fiati, che ricrea la sonorità dell’organo, si può cogliere secondo le indicazioni d Balakirev la raffigurazione di Frate Lorenzo.

Miky Balakirev

Ma poiché questi è il personaggio che unisce in matrimonio i due amanti, li aiuta ideando il piano della pozione che darà la morte apparente a Giulietta e infine rivelerà tutta la tragiche vicenda al principe di Verona, il corale può essere considerato anche come tema del destino. Il gruppo tematico introduttivo viene ripetuto, in fa minore con una nuova strumentazione; il corale ora è suonato dai legni, fagotti esclusi, accompagnati dal pizzicato degli archi. La transizione modulante all’Esposizione (Poco a poco stringendo accelerando,
Allegro, Molto meno mosso, poi ancora stringendo) è percorsa da tremoli ai timpani e poi anche agli archi, con un ritorno del corale ai legni e delle frasi degli archi.
L’Esposizione ha inizio con l’indicazione di Allegro giusto. Il primo gruppo tematico, in si minore e a piena orchestra, rappresenta l’odio tra Capuleti e Montecchi: ritmo pulsante, drammatica e brutale frammentazione del discorso, contrapposizioni imitative tra gruppi di strumenti. A una breve elaborazione contrappuntistica condotta sulla testa del primo tema segue un grande crescendo con veloci scale degli archi punteggiate dagli accordi dei fiati, nonché dai colpi di timpani e piatti. Ritorna quindi il primo gruppo tematico, in fortissimo e a pieno organico, e nella successiva transizione al secondo gruppo tematico la sonorità cala improvvisamente al piano e poi al pianissimo. Il secondo gruppo tematico, in re bemolle maggiore, rappresenta l’amore tragico e appassionato di Giulietta e Romeo. Il gruppo tematico è costituito da un’idea principale e da un’idea complementare. L’idea principale, di folgorante fascino melodico, è cantata dalle viole con sordina (dolce) all’unisono con il corno inglese; i corni suonano accordi sincopati, gli archi gravi un pizzicato d’accompagnamento e l’arpa ne conclude l’esposizione. L’idea complementare ha andamento vago e cullante; è condotta dagli archi e si contraddistingue per la scansione ritmica palpitante e per le armonie alterate. Nella susseguente amplificazione ed estensione i motivi delle due idee sono combinati insieme: flauti e oboi intonano (dolce ma sensibile) l’idea principale ampliandone il respiro per mezzo di progressioni ascendenti, mentre il motivo palpitante, caratteristico dell’idea complementare, risuona ai corni. Nell’epilogo dell’Esposizione l’arpa riprende il motivo dell’idea complementare sul dialogo di archi e legni.
La prima arcata dello Sviluppo, che muove da si minore e poi da fa diesis minore, ripresenta inizialmente la testa del primo tema per sovrapporre quindi, in elaborazione contrappuntistica, elementi del primo gruppo tematico (agli archi) e il tema del corale introduttivo (ai corni); inoltre gli ottoni si alternano ai legni nel proporre un inciso derivato dall’idea complementare del secondo gruppo. La seconda arcata, che muove da sol minore, riproduce inizialmente la combinazione contrappuntistica della prima, per poi proseguire in grande crescendo con l’iterazione di elementi del primo gruppo tematico. Terza arcata: il grande crescendo culmina in una sezione modulante a piena orchestra e in fortissimo con piatti e grancassa, in cui la violenta pulsazione ritmica del primo tema si combina con il tema introduttivo; la riconduzione alla Ripresa riutilizza la transizione.
La Ripresa si apre col primo gruppo tematico, in si minore, a pieno organico e in fortissimo; la transizione al secondo gruppo è ridotta al minimo e si risolve in un rapido diminuendo. L’idea complementare del secondo gruppo tematico, in

re maggiore, ora è condotta dai legni su mormorio degli archi. Un grande crescendo reintroduce l’idea principale del secondo gruppo tematico, in re maggiore e in forte: gli archi cantano a piena voce, i legni accompagnano con terzine di accordi, i corni suonano il motivo caratterizzante dell’idea complementare. Con il passaggio della melodia ai violoncelli (amoroso) ha inizio una sezione elaborativa nella quale motivi del tema circolano tra le parti; alla fine, il ritorno del tema stesso viene brutalmente interrotto più volte dal ritmo pulsante del primo tema. Ed è appunto il primo tema che s’impone nuovamente sulla scena; odio e rivalità tra le rispettive famiglie spezzano l’amore di Giulietta e Romeo. Ai motivi del primo terna è contrapposto il tema introduttivo in una stretta accompagnata da un grande crescendo, che culmina in un’autentica esplosione data da un colpo in fortissimo, con conseguente rullo, del timpani.
Moderato assai: la coda in si maggiore rappresenta la sublimazione dell’amore nella morte. Sul ritmo di marcia funebre scandito dai timpani, cui si associa il pedale della tuba e dei contrabbassi pizzicati, galleggiano espressive frasi cantabili che alludono al tema d’amore. Quindi risuona un corale di legni e corni, dal quale riaffiora il motivo palpitante dell’idea complementare del secondo tema. L’ingresso dell’arpa segna il trapasso all’ultima, struggente reminiscenza del tema d’amore cantata dagli archi nel registro acuto. L’ultima parole tocca tuttavia all’odio implacabile tra Capuleti e Montecchi, con il ritmo pulsante e le strappate, in fortissimo, a pieno organico.

Lo schiaccianoci suite per orchestra op. 75a

Alla prima rappresentazione il 3 (15) gennaio 1890 La bella addormentata raccolse un giudizio freddo della critica, non più che un distaccato “très charmant” da parte dell’Imperatore e consensi perplessi da parte del pubblico. In seguito si verificò però una sorprendente inversione di tendenza: tutte le recita furono sempre più affollate, raggiungendo nel novembre 1892 soltanto al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo il numero di cinquanta repliche. Tale progressiva affermazione indusse Ivan Vsevoloz’skij, dinamico direttore dei Teatri Imperiali, ad aggiungere al repertorio del Mariinskij un altro grande ballo, giovandosi naturalmente dell’affiatata coppia Cajkovskij-Petipa. Il soggetto l’aveva già sottomano, un racconto di E.T.A. Hoffmann nella riduzione francese di Alexandre Dumas sr.: «Casse-Noisette et le Roi des souris». Sulle prime Cajkovskij non sembrò favorevole, non tanto per il carattere d’una ballet- féerie quanto per l’incongruenza della vicenda che riteneva troppo carente di quella coerenza drammaturgica che aveva informato le precedenti sue prove nell’ambito coreutico.

E. T. A. Hoffmann

Petipa fu però molto abile nel tracciare l’idea coreografica in quanto deliberatamente conservò il doppio piano della realtà naturalistica e della finzione fantastica, ben ricordandosi come tale clima psicologico riuscisse congeniale al compositore.
A troncare gli indugi e le perplessità di Cajkovskij giunse un vero e proprio contratto del Teatro Mariinskij per l’approntamento d’un dittico, il balletto da rappresentarsi in un’unica serata assieme ad un’opera, lolanta. E Cajkovskij si mise risolutamente al lavoro a Frolovskoe a fine febbraio 1891, cominciando per il balletto con l’abbozzo del Valzer dei fiocchi di neve. Una tournée concertistica negli Stati Uniti nel marzo successivo interruppe soltanto
parzialmente la stesura. Di passaggio a Parigi, il musicista scoprì alcuni strumenti-giocattolo, fra cui i “tamburi conigli”, oltre a rimanere affascinato dal timbro argentino della celesta, e decise di inserirli nella nuova partitura. Nel primo abbozzo, Lo schiaccianoci tu ultimato il 25 (7 luglio) 1891 ma, prima di dar corso all’orchestrazione dell’intero balletto, l’autore decise di estrapolarne alcuni numeri per la Suite sinfonica che diresse il 7 (19) marzo 1892 a San Pietroburgo con esito trionfale.
Pubblicata da Jurgenson nel 1892 con il numero d’opus 71/a, la Suite, che impiega il medesimo organico del balletto, comprende l’Ouverture miniature, introduttiva dello Schiaccianoci, la Marche (tratta dalla seconda scena del prim’atto), cinque Danse charactérìstiques (espunte con diverso ordine dal Divertissement, n. 12 del II atto), infine la Valse des fleurs (che nel balletto corrisponde alla scena n. 13 del second’atto, primo quadro).
Nell’estrema sua attività creativa, l’evoluzione del linguaggio cajkovskijano tende al virtuosismo nella sagacia della scrittura strumentale per definire la tavolozza timbrica di un’opera nell’unità, nella contemporaneità molto pronunciata con il disegno. L’idea musicale perde quel peculiare suono di origine pianistica, che era il retaggio della cultura della metà del secolo, per avventurarsi verso la precisione quasi scientifica, un po’ come in effetti più o meno è accaduto nell’età dell’Impressionismo. In musica l’Impressionismo si caratterizzerà di lì a poco secondo un gusto tipicamente francese ma il senso moderno dell’origine figurativa, tutta scientifica nell’analisi dello spettro luminoso, porta a un’ottica nuova anche mondi artistici apparentemente lontani. Nello stesso modo oggi appaiono a noi evidenti i riferimenti strutturali che proiettano il linguaggio cajkovskijano nell’epoca moderna ove l’idea viene filtrata da un gusto nuovo, segnato specialmente da una visione originale nel rapporto tra costruzione, disegno e colore.
Specialmente nello Schiaccianoci questa nuova frontiera del lessico cajkovskijano crea momenti di assoluta singolarità. Fin dalle prime battute il linguaggio si precisa nel suo splendore nell’Ouverture-miniature (Allegro giusto in 2/4) che è un celeberrimo brano sinfonico curiosamente mancante di violoncelli e contrabbassi nell’organico strumentale ove soltanto due corni si uniscono ai legni. L’effetto di chiarezza che traspare all’ascolto si rivela pertinente alle concezioni musicali secondo una spiccata dimensione sonora. Alla meccanicità raffinata della prima idea si contrappone il secondo tema, tutto cantabile, dei violini contrappuntati dalle sincopi dei pizzicati. Il pezzo si conclude con un rapido crescendo in maniera spavalda, quasi a richiamare il senso di un’allegra ouverture classica.
In seconda posizione nella Suite vi è la Marche (Tempo di marcia viva) ove l’impegno strumentale sembra preannunciare soluzioni sonore singolari “alla

Prokof’ev”. Il timbro iniziale delle trombe, dei corni e dei clarinetti è di incredibile originalità, quasi davvero venissero impiegati degli strumenti lillipuziani; e a tale suono risponde un discendente andamento scherzoso e saltellante dei violini, contrappuntati dai pizzicati ascendenti dei bassi. La seconda idea è basata sulla rapidità delle semicrome che trascorrono dai legni agli archi: è stupefacente la brevità di questo secondo tema che lascia subito il passo al ritorno insistente della prima idea in una sonorità più accesa sino al finale accordo in fortissimo. Al centro vi è il regolare Trio su un veloce disegno ribattuto che flauti e clarinetti da una parte e archi dall’altra si scambiano ripetutamente. Tutto risulta scritto con puntigliosa esattezza e raffinata ricerca di tratto coloristico.
Nel Divertissement (n. 12), ove la collaborazione di Cajkovskij con Petipa raggiunse la sincronia più assoluta, si susseguono sei numeri di danza, cinque dei quali sono diventati famosissimi come Danses caractéristiques, della Suite sinfonica diretta dall’autore sei mesi prima della presentazione dello Scbiaccianoci integrale. A differenza di quel che si verifica nel balletto, apre questa sezione della Suite la Danse de la Fée-Dragée (Danza della fata dei confetti): un pizzicato degli archi precede il suono cristallino e sottile della celesta a cui si contrappone il timbro cupo e misterioso del clarinetto basso (Andante non troppo in 2/4).
Segue per contrasto la Danse russe Trépak (Molto vivace) dal ritmo travolgente, in cui gli accesi colori d’un popolaresco inciso melodico, basato sull’archetipo della Kamarinskaja di Glinka sono in netta evidenza sino al Prestissimo finale. Nel tempo di Allegretto in 3/8 si ascolta poi la Danse Arabe che è centrata sulle mezze tinte e gli archi in sordina su un’idea musicale proposta dai legni e dai violini accompagnati da un leggero fremito ritmico del tamburino: qui Cajkovskij impiega ingegnosamente una ninna-nanna d’origine georgiana che nella versione ballettistica diventa molto più lenta.

Marius Ivanovich Petipa

Nella successiva Danse Chinoise (Danza cinese) in tempo Allegro moderato si ascolta il graffiante assolo dei flauti e dell’ottavino sullo staccato dei fagotti, con la risposta degli archi in pizzicato e di tutta l’orchestra, compresa la voce penetrante del glockenspiel, sino alla conclusione tronca su un rapido crescendo. Quindi la Danse des mirlitons propone l’ascolto evocativo di strumenti popolari infantili prossimi a rozzi flauti traversi, dal suono nasale: naturalmente il mirliton non viene impiegato in orchestra e una sonorità somigliante viene ricreata dalla melodia scherzosa e caricaturale dei tre flauti nel loro lungo assolo (Andantino in 2/4); la seconda idea, su un accompagnamento degli ottoni e delle percussioni in un andamento popolare da fisarmonica, è prima affidata a due trombe sul piano, raddoppiate poi da violini
e viole nell’incedere continuo di semicrome staccate. Questo moto viene ripreso dai tre flauti per ritornare alla prima idea: in questa pagina si coglie appieno il leggero tocco della genialità cajkovskijana nella scrittura strumentale.
Corona la Suite sinfonica la Valse des fleurs (Valzer dei fiori), famosissima pagina da concerto (Tempo di Valse in 3/4) che unisce magistralmente l’atmosfera soffusa e preziosa della miniatura con il clima sgargiante degli accesi colori di una grande orchestra: è il clamoroso saggio di bravura del sinfonista arrivato al dominio assoluto del suo strumento, cioè dell’orchestra intera. Tutto è di prima mano, legato nelle sonorità all’idea tematica generatrice. Così, l’impasto fra oboi, clarinetti, fagotti e corni dell’inizio preannuncia il tema che, dopo la cadenza dell’arpa, passa poi nel dolce cantabile dei quattro corni a cui corrisponde l’intervento del clarinetto in un movimento curioso e serpentino. Per esser seguito, sempre nella tonalità di re maggiore, dalla seconda idea nel forte degli archi con la risposta nervosa degli strumentini e, più avanti, dopo il ritorno reiterato di queste due sezioni, da una terza idea in sol maggiore di una malia sconvolgente, affidata al flauto e all’oboe in ottava. E ancora: in si minore vi è il virile tema dei violoncelli e viole che porta alla ripresa dell’idea precedente, questa volta ai violini col raddoppio del flauto. Si ritorna così alla frase iniziale dei corni in mezzoforte, e su questa idea il “Valzer dei fiori” si conclude, aumentando la velocità dell’incedere orchestrale sino ai tre “forte” della Coda finale.