Cajkovskij Ilic Petr

La bella addormentata

Antal Dorati e la Concertgebouw Orchestra, secondo il mio modesto parere, presentano semplicemente una delle migliori registrazioni de La Bella Addormentata. con una resa unica da parte dell’orchestra, un flusso drammatico e un’eloquenza teatrale difficilmente riscontrabili in altre incisioni. La Concertgebouw Orchestra di Amsterdam è sicuramente una tra le migliore al mondo e l’ideale per questo tipo di repertorio. Inoltre qui è magnificamente registrata con l’acustica calda del Concertgebouw durante gli ultimi anni dell’era analogica. La chiarezza strumentale dei dettagli e la trasparenza dell’audio sono perfetti, mentre gli assoli (Jean Decroos e The Olof) si sposano perfettamente con l’ensemble. Questa registrazione è stata in origine realizzata in tre dischi ed è un peccato che la Philips abbia deciso di tagliare l’intero Entr’acte (n. 18) per farli entrare in due CD. Comunque sia, la versione di Dorati rimane la prima scelta per chiunque desideri esplorare il grande repertorio musicale Cajkovskijano. Registrazione eseguita nel 1981 e rimasterizzazione effettuata nel 1995. Audio ottimo. Altamente raccomandato, per non dire imperdibile.

Un indubbio capolavoro

Il 25 maggio 1838 Ivan Vsevolozkij, direttore dei teatri imperiali di San Pietroburgo, scrisse a Cajkovskij suggerendogli di comporre la musica per un balletto ispirato alla favola di Charles Perrault La belle au bois dormant. Malgrado il compositore avesse raggiunto scarso successo con il suo unico precedente balletto, Il lago dei cigni, scritto 11 anni prima, egli rimase colpito dalla proposta e chiese a Vsevolozkij di preparare il canovaccio.
La fiaba di Perrault, tratta dalla raccolta Contes de ma mère l’oje ou Histoires du temps passé e pubblicata a Parigi nel gennaio 1697, si divide in due sezioni narrative: la prima si conclude col risveglio della principessa e il suo matrimonio col principe; la seconda descrive come la principessa e i suoi due figli evitano di essere mangiati dalla malvagia suocera di lei. Vsevolozkij scartò saggiamente quell’ultimo episodio, come fece Eugène Scribe quando preparò il canovaccio in quattro atti per La belle bois dormant di Hérold, rappresentata in prima all’Opéra di Parigi nell’aprile del 1829. Fra le altre innovazioni apportate da Vsevolozkij alla trama di Perrault figurano il bacio con cui il principe risveglia Aurora e la permanenza in vita del re e della regina oltre i cent’anni di sonno della loro figlia.
Il canovaccio è dunque quasi identico a quello di Dornroschen dei fratelli Grimm, a parte il personaggio della Fata dei Lillà, che Vsevolozkij trasse da Peau d’ane di Perrault e trasformò con grande intuizione in uno dei personaggi principali.
Il canovaccio arrivò nelle mani di Cajkovskij il 3 settembre 1888, ed egli scrisse immediatamente a Vsevolozkij: “Devo subito dirvi che ne sono rimasto deliziato, affascinato sopra ogni dire. È perfetto per me e non potrei chiedere niente di meglio che musicarlo”. Il passo successivo spettò al coreografo Marius Petipa, che dovette stendere una versione dettagliata della trama sulla quale Cajkovskij potesse basarsi per la musica. Tale versione fu ultimata verso la fine di novembre, dopo scambi di opinioni con Vsevolozkij e il compositore. Si conviene unanimamente che essa sia la prova suprema del grande talento di Petipa. Sebbene avesse 70 anni e alle spalle una lunga carriera coronata dal successo e da molti onori, evidentemente egli considerò La bella addormentata un progetto eccezionale e su di esso profuse con cura e generosità tutta la sua esperienza. “La creazione e l’allestimento di un grande balletto presentano enormi difficoltà”, scrisse in seguito nelle sue memorie. “Nel tracciare il canovaccio si debbono avere in mente tutti i singoli ruoli; dopo aver completato la storia e le parti pantomimiche del balletto, bisogna inventare le danze appropriate, i passi e le variazioni, e renderli conformi alla musica.

Charles Perrault

Questo è piacevole quando si trova nel direttore un consigliere informato e dotato come Vsevolozkij, o quando si collabora con un compositore geniale come Cajkovskij”. Cajkovskij iniziò a lavorare alla partitura nel dicembre 1888 ed ultimò la prima stesura sei mesi dopo. Gran parte della Bella addormentata fu composta nella sua casa di Frolovskoye, nei pressi di Klin; solo gli schizzi preliminari richiesero 40 giorni di lavoro. Egli intraprese l’orchestrazione all’inizio del giugno 1889 e la completò all’inizio di settembre. Che fosse soddisfatto dei suoi sforzi appare evidente da una lettera del 6 agosto a Madame von Meck: “Ho l’impressione che la musica per questo balletto sarà una delle mie opere migliori. Il soggetto è poetico, così adatto ad essere musicato che mi sono sentito trasportato mentre lo componevo e l’ho scritto con la sensibilità e l’entusiasmo che aggiungono sempre qualcosa di speciale ad un pezzo”.
La bella addormentata non è soltanto una delle “opere migliori” di Cajkovskij, ma un indubbio capolavoro dal punto di vista sia musicale che teatrale; in esso il compositore “crea un mondo di bellezza senza tempo”, scrisse Constant Lambert, che “può essere paragonato al mondo creato da Mozart in un’opera come Il flauto magico”. Parte del merito va a Vsevolozkij e Petipa, che elaborarono un canovaccio così ricco di potenzialità; ma la maestria di Cajkovskij oscura i loro meriti: la brillante caratterizzazione, la forza drammatica, il sottile uso dei motivi, la struttura delle tonalità, la multiformità ritmica e orchestrale, tutte prove di una straordinaria abilità artistica. C’è poi il senso dell’umorismo tanto ammirato da Stravinskij nelle danze dei personaggi fiabeschi dell’ultimo atto. E, soprattutto, ci sono le melodie che si snodano dall’inizio alla fine come catene d’oro.
Quando il balletto fu presentato per la prima volta al teatro Marijnskij di San Pietroburgo il 15 gennaio 1890, l’effetto fu sensazionale. Il giovane Aleksandr Benois, che assistette alla seconda serata, ricordò anni dopo di aver “lasciato il teatro in uno stato piuttosto confusionale. Mi sembrava di non poter credere alla mia felicità; come se nel subconscio fossi già completamente posseduto da qualcosa di interamente nuovo, ma che la mia anima stava aspettando da lunghissimo tempo”.
Nonostante il felice esordio, solo dopo molti anni La bella addormentata conquistò la popolarità al di fuori della Russia. Eseguito alla Scala di Milano l’11 marzo 1896, il balletto suscitò scarso interesse. Analoga accoglienza ebbe la versione abbreviata presentata all’Hippodrome di New York il 31 agosto 1916, mentre la prima esecuzione integrale americana ebbe luogo soltanto l’11 febbraio 1937 alla Academy of Music di Philadelphia.
La diffusione di questo balletto in Europa fu dovuta in gran parte all’allestimento andato in scena all’Alhambra di Leicester Square il 2 novembre 1921, quando Diaghilev presentò La bella addormentata al pubblico britannico. Questo stesso teatro era stato visitato da Cajkovskij 28 anni prima, durante la sua ultima serata trascorsa a Londra.

Gerald Norris
(Traduzione: Stefania Brizzolara)

La bella addormentata op. 66 Balletto in un prologo e tre atti
Musica: Petr Ilic Cajkovskij (1840-1893)
Libretto: Marius Petipa e Ivan Aleksandrovich Vsevolozskij da “La belle au bois domant” di Charles Perrault
1. Introduction – Allegro vivo
Pologo
1. Marche – Moderato
2. Scène dansante – Moderato con moto. Tempo di Valse
3. Pas de six – Adagio. Andante
a. Var. I. Candide – Allegro moderato
b. Var. II. Coulante. Fleur de Farine – Allegro
c. Var. III. Miettes qui tombent – Allegro moderato
d. Var. IV. Canari qui chante – Moderato
e. Var. V. Violante – Allegro molto vivace
f. Var. VI. La Fée des Lilas – Tempo di Valse
g. Coda – Allegro giusto
4. Finale – Andante. Allegro vivo
Atto I
5. Scène – Allegro vivo
6. Valse – Allegro. Tempo di Valse
7. Scène – Andante
8. Pas d’action:
a. Rose Adagio – Andante. Adagio maestoso
b. Danse des demoiselles d’honneur et des pages – Allegro moderato
c. Variation d’Aurore – Allegro moderato
d. Coda – Allegro giusto
9. Finale – Allegro giusto
Atto II Scena 1
10. Entr’acte et Scène – Allegro con spirito 11. Colin-maillard – Allegro vivo
12. Scène – Moderato

a. Danse des duchesses – Moderato con moto. Tempo di Menuetto
b. Danse des baronesses – Allegro moderato. Tempo di Gavotte
c. Danse des comtesses – Allegro non troppo
d. Danse des marquises – Allegro non troppo
13. Farandole:
a. Scène – Poco più vivo
b. Danse – Allegro non troppo. Tempo di Mazurka
14. Scène – Allegro con spirito 15. Pas d’action:
a. Scene d’Aurore et de Désiré – Andante cantabile
b. Variation d’Aurore – Allegro con moto
c. Coda – Presto
16. Scène – Allegro agitato
17. 17 Panorama – Andantino
Scena 2
18. Entr’acte – Andante sostenuto
19. Entr’acte symphonique: Le sommeil – Andante misterioso
a. Scène – Allegro vivace 20. No. 20 Finale – Allegro agitato
Atto III
21. Marche – Allegro non troppo
22. Polacca – Allegro moderato e brillante 23. Pas de quatre – Allegro non tanto
a. Var. I. La Fée-Or – Allegro. Tempo di Valse
b. Var. II. La Fée-Argent – Allegro giusto
c. Var. III. La Fée-Saphir – Vivacissimo
d. Var. IV. La Fée-Diamant – Vivace
e. Coda – L’istesso tempo
24. Pas de caractère: Le chat botté et la chatte blanche – Allegro moderato 25. Pas de quatre – Adagio
a. Var. I. Cendrillon et le Prince Fortuné – Allegro. Tempo di Valse
b. Var. II. L’oiseau Bleu et la Princesse Florine – Andantino
c. Coda – Presto
26. Pas de caractère:
a. Chaperon rouge et le Loup – Allegro moderato
b. Cendrillon et le Prince Fortuné – Allegro agitato
27. Pas berrichon: Le petit poucet, ses frères et l’Ogre – Allegro vivo
28. Pas de deux:
a. Aurore et le Prince Désiré – Allegretto a.a. Entrée – Allegro moderato
a.b. Adagio – Andante non troppo
b. Var. I. Prince Désiré – Vivace
c. Var. II. Aurora – Andantino
d. Coda – Allegro vivace
29. Sarabande – Andante
30. No. 30 (a) Finale – Allegro brillante. Tempo di Mazurka (b) Apothéose – Andante molto maestoso
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 cornette, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, triangolo, tamburello, tamburo, piatti, grancassa, tam-tam, glockenspiel, arpa, pianoforte, archi
Composizione: ottobre 1888 – San Pietroburgo, 1 settembre 1889
Prima rappresentazione: S. Pietroburgo, Teatro Mariinskij, 16 gennaio 1890 Edizione: Jurgenson, Mosca, 1889
Dedica: Ivan Aleksandrovich Vsevolozskij
Al teatro in qualsiasi aspetto creativo – dall’opera lirica alla musica di scena, al balletto – Cajkovskij si sentì irresistibilmente legato in ogni momento della sua esistenza, con una pronunciata attrazione dalla prima giovinezza alla piena maturità. Varie cronache più o meno particolareggiate dell’epoca, reiterati rimandi autobiografici, numerose testimonianze epistolari – accanito grafomane, Cajkovskij ha lasciato oltre cinquemila lettere, e forse altrettante sono andate perdute o disperse, per non parlare della gran quantità di fogli d’album, diari, abbozzi ecc. conservati nella casa-museo di Klin – attestano ancor ora quali emozioni, e, di conseguenza, quali stimoli compositivi il teatro suggerisse e facesse deflagrare nella sensibilità artistica del musicista russo. Alla passione cajkovskijana per tutti gli aspetti del “far musica per il teatro” è riconducibile naturalmente la innovativa linea di tendenza da lui impressa al balletto, come genere artistico primario nel contesto della produzione, del gusto e dello spettacolo dell’800. Nel retroterra culturale di Cajkovskij vi fu, sin dalla primissima giovinezza, l’amore per la favolistica francese. A questa passione vennero ad aggiungersi poi una spiccata propensione per il linguaggio del teatro francese della metà del diciannovesimo secolo e per il balletto, ove regnava incontrastato il tratto aristocratico dell’eleganza, quel le joli che tanto ebbe ad ammirare da una parte nelle opere di Massenet, Gounod e nella Carmen di Bizet, e, dall’altra parte, nel più recente orientamento del balletto romantico francese, quale si era espresso in Giselle, rappresentata in Russia già l’anno successivo alla première parigina del 1841 e che, agli occhi di Cajkovskij dodicenne, costituì uno shock e fu un amore a prima vista.

Marius Petipa

Proprio in Giselle il musicista russo si sentì attratto dall’unione del dramma lirico e dell’elemento fantastico, e non appena gli si presentò l’opportunità, volle giocare le sue carte nel modo che gli pareva più opportuno.
Nel repertorio del balletto in voga in Russia a metà dell’800, accanto agli exploit d’un alto grado di virtuosismo tecnico, c’era una pronunciata banalità di lessico musicale. Compositori ufficiali di balletto erano allora Pugni, Minkus, Gerber ecc., la cui attenzione era esclusivamente rivolta alle esigenze dei maestri di danza che non volevano assolutamente che gli eventuali pregi della partitura potessero costituire una concorrenza alle coreografie spettacolari da loro delineate per la scena. Di tale convenzionalità si trova un preciso riscontro nelle aspre critiche che l’opinione pubblica d’allora mosse alla presentazione del Lago dei cigni nel 1877, ancorché allestito in maniera assai sbrigativa, con tagli assurdi ed una preparazione inadeguata, pur se durata undici mesi. I critici ufficiali bocciarono la partitura cajkovskijana giudicandola “troppo sinfonica”, “noiosa e monotona”, “poco interessante anche per i musicisti”.
In realtà il far sfoggio dello straordinario suo talento d’orchestratore, nonché di tutte le sue qualità d’ispirazione e d’inventiva in questo ambito artistico, diede a Cajkovskij sempre la più grande soddisfazione. E in questo modo il musicista russo riuscì a innalzare il balletto di soggetto fiabesco “occidentale” al più alto livello dell’espressione coreutica “russa”, conferendo altresì a queste pagine un’intensità passionale e una tavolozza di colori e di ritmi che hanno siglato un genere creativo e hanno aperto la strada al balletto moderno. Al punto che i veri valori della scrittura strumentale del Lago dei cigni, della Bella addormentata e dello Schiaccianoci risultano percepibili, oltre un secolo dopo, in tutta l’autentica loro bellezza, anche al mero ascolto in sede concertistica, prescindendo quindi dalla scena per la quale furono creati e in cui videro la luce.
Una delle prime decisioni di Ivan Vsevolozskij, dopo la nomina a direttore dei Teatri Imperiali di San Pietroburgo nel 1881, fu quella di abolire la carica del “compositore di corte” per il settore del balletto. E di rivolgersi a musicisti veri e propri, secondo una lista in testa alla quale c’era il nome di Cajkovskij, al quale nel maggio 1888 fu indirizzato un messaggio con il seguente inciso: “Ho messo insieme un libretto per La bella addormentata sulla fiaba di Perrault. Voglio una mis-en-scène nello stile di Luigi XIV: se l’idea le piace, perché non scrive la musica?”. Vsevolozskij era stato diplomatico in carriera, aveva tutte le qualità per convincere la sensibilità d’un artista, ma s’era anche presto fatto la fama di organizzatore di prim’ordine: oltre a riorganizzare l’intero settore del balletto, s’era dato da fare per scritturare all’estero i migliori coreografi e ballerini, stimolava la didattica, promuoveva il lavoro “in équipe” tra compositore, coreografo, librettista e scenografo, e aveva invitato dalla Francia Marius Petipa, il più grande talento della danza.
C’erano, quindi, tutte le premesse perché Cajkovskij entrasse subito nello spirito migliore per lanciarsi in questa nuova avventura creativa. Si dichiarò entusiasta

sin dal primo giorno, non vedendo l’ora di gettarsi dietro alle spalle le amarezze della sfortunata impresa del Lago dei cigni. Secondo i suggerimenti di Vsevolozskij, Cajkovskij con la massima alacrità si mise d’accordo con Petipa nello stendere una minuziosa e dettagliata sceneggiatura, con gli episodi d’azione vergati in inchiostro nero e le proposte musicali in inchiostro rosso. Il dialogo con Petipa fu ininterrotto, la composizione febbrile e veloce: entro il 26 maggio (7 giugno) 1889 fu ultimata la prima stesura, d’estate a Frolovskoe si svolse l’orchestrazione che ebbe fine il 19 agosto (1° settembre) dello stesso anno, con un autentico prodigio di fecondità creativa. La prima rappresentazione della Bella addormentata andò in scena il 3 (15) gennaio 1890 al Mariinskij di San Pietroburgo con i seguenti interpreti: Carlotta Brianza (Aurora), Pavel Gerdt (D¬siderio), Enrico Cecchetti (Fata Carabosse – l’Uccello azzurro), Maria Petipa (La Fata dei lillà) nella coreografia di Petipa, con scene di Heinrich Levot, Ivan Andre’ev, Mikh’ail Bocarov, Konstantin Ivanov e Matvej Siskov; costumi di Ivan Vsevolozskij; sul podio Riccardo Drigo. Le reazioni del pubblico e della critica furono, dopo la première, perplesse. L’imperatore, che aveva assistito alla prova generale, non lesinò un suo très charmant e invitò Cajkovskij nel suo palco per complimentarlo. Per lo spettacolo, molto fastoso, non mancarono le lodi ma le prime valutazioni sulla musica furono senz’altro fredde: si parlò “d’una partitura sinfonicamente malinconica”. Le repliche, sempre più affollate, furono però la cartina di tornasole dell’interesse crescente del pubblico, al punto che nella successiva stagione si potè festeggiare al Mariinskij la cinquantesima replica.
Dei tre balletti, Cajkovskij provvide ad enucleare una Suite per l’esecuzione concertistica solamente a proposito di Schiaccianoci, che, anzi, vide la luce prima dello spettacolo stesso. Le Suites degli altri due balletti furono promosse dall’editore Jurgenson, forse con il tacito consenso dell’autore.
Il Prologo si apre con una Introduzione in cui vengono esposti due temi antitetici, quello della Fata Carabosse e quello della Fata dei lillà, che si contrappongono tra l’Allegro vivo in 4/4 sulle sonorità violente degli ottoni e il dolcissimo Andantino in 6/8 per legarsi, senza soluzione di continuità, alla Marcia (n. 1) di segno cavalleresco (Moderato), delicato e, al tempo stesso, pomposo in forma di Rondò, con una seconda idea che passa dal tono principale di la maggiore a quello di do diesis minore, per poi, dopo il ritorno al primo tema, trascorrere a una terza idea in fa diesis minore.

Petr Ilic Cajkovskij

Sulla scena arrivano gli ospiti del palazzo del re Florestano per il battesimo della Principessa Aurora e sono accompagnati ai loro posti da Calabutte, il gran cerimoniere. All’ingresso del re e della regina si torna, tra fanfare di corni, alla tonalità principale. Arrivano le fate con paggi e ancelle a offrire i loro doni.
Segue una Scène dansante (n. 2) in tempo Moderato con moto in 3/4: il tema in fa maggiore, su un gentile movimento di valzer, presenta nella sua armonizzazione, con l’alterazione discendente del settimo e sesto grado, un carattere ricercato quasi sofisticato. Questo simbolismo d’un sogno infantile nel coinvolgimento d’una danza “fatata” vuol rapirci sin dal primo istante e trascinarci nel percorso della vicenda scenica, dove i paggi, con la loro danza, imprimono un incedere sempre più marcato. Dopo il Pas de six (n. 3) e le sue sei Variazioni, il Prologo approda al Finale (n. 4) che è la scena madre, in quanto irrompe Carabosse con il suo seguito di sorci e di nani, in preda all’ira per non essere stata invitata alla festa. In un clima di improvvisa tensione drammatica, nell’Allegro vivo la musica sottolinea il maleficio della perfida Carabosse che getta nella costernazione la corte principesca. Vane sono le suppliche del re, della regina e di Calabutte: Aurora dovrà morire pungendosi con un ago. Dopo la danza beffarda di Carabosse e del suo seguito (Allegro risoluto) le forze del Male si allontanano e riappare il Bene nelle vesti della Fata dei lillà a concludere l’episodio con l’espandersi del suo tema che induce una nota di speranza.
La misura di come il linguaggio sinfonico cajkovskijano sia connaturato con i ritmi, le strutture, le movenze del balletto, è confermata dall’avvio del prim’atto. Sono trascorsi parecchi anni e al palazzo si preparano i festeggiamenti per celebrare la maggiore età di Aurora. La Scène (n. 5) si apre con l’Allegro vivo in 4/4 dell’orchestra che impone i suoi accenti vigorosi e marcati. Nel dar evidenza a situazioni teatrali via via contrastanti, che devono risultar chiare al pubblico del balletto, l’incedere orchestrale nel suo insieme ha un’unità, una consequenzialità che potrebbero essere trasferite di peso, se non in una Sinfonia, in una Suite. Il tema iniziale è, insieme, festoso e trascinante nella rapidità di una frenetica danza russa ma contiene un’aggressività che è sintomatica del malefizio di Carabosse. Questa celerità serve a concentrare l’azione che trascorre dalla danza dei contadini alla scoperta, nel giardino del palazzo, delle donne che lavorano ai ferri, nonostante il divieto del re Florestano. L’entrata dei sovrani, la condanna delle colpevoli, la supplica, il perdono sono sorretti dal procedere narrativo dell’orchestra e finalmente il gesto magnanimo, che si esplicita nella frase del fagotto, porta a conclusione la scena. L’atmosfera drammatica si scioglie nella Valse (n. 6) che è il celebre Valzer dei fiori che segnò uno dei vertici della coreografia di Petipa. Lo stile della maturità cajkovskijana, così sicuro nei complessi accordi alterati di settima e nona, legati all’effusione melodica nel chiaroscuro d’una scrittura strumentale disegnata con tratto infallibile, lascia il posto, in questa pagina, ad una peculiarità della celebre danza che può sembrare prossima a certi moduli viennesi della migliore tradizione straussiana.

Dal secondo atto, dopo che il malefizio di Carabosse ha condannato Aurora e la Fata dei lillà ne ha preservato la sopravvivenza, immergendo il tutto in un magico incantesimo, si ascoltano la Coda (n. 15), l’Entracte (n. 18) e la Scène (n. 19) che costituiscono praticamente la conclusione dell’atto. Dopo la Variazione d’Aurora, sottilmente equilibrata tra la nobiltà di tratto della musica e la funzionalità dei ritmi della danza, la Coda (Presto) passa da atteggiamenti mendelssohniani a sonorità accesamente russe in corrispondenza dell’implorazione di Desiderio all’intervento della Fata dei lillà. A scena chiusa, l’Entracte (n. 18) condensa il momento del raggiungimento della felicità. Come in un episodio magico, il compositore impegna tutto il suo prestigio in un “pezzo da concerto” per violino solo e orchestra – dedicato a Leopold Auer, che avrebbe dovuto eseguirlo, ma poi questa eventualità non si verificò – che è intimamente strutturato con la forma del balletto romantico. La danza, che nell’atto terzo giocherà a tutto campo, lascia qui lo spazio alla componente sinfonica. E infatti nella Scène (n. 19) all’Andante misterioso l’azione rimane ancora sospesa e la musica descrive la situazione della bella addormentata con il misterioso suo incanto. Ritornano vari temi, come l’idea cromatica dell’Allegro giusto del n. 9, in cui Aurora si era punta con il fuso, e che viene qui esposta in modo allargato dai legni sul tremolo dei violini in sonorità diffuse. Poi è la volta del tema di Carabosse a riapparire velocemente, quasi a far intendere il rapido trascorrere del tempo. Una tromba con sordina, con sonorità angelica, fa ascoltare l’idea della Fata dei lillà. E tutto questo materiale motivico, oltre a una nuova frase del corno inglese e poi dell’oboe, si mantiene miracolosamente sospeso sul paesaggio di nuvole che avvolge la scena fino all’arrivo del Principe che, ammaliato dalla bellezza della principessa, la bacia rompendo l’incantesimo (Finale n. 20). Aurora e tutta la corte si risvegliano festosi. La Suite si conclude con i delicati arpeggi dell’arpa che ci riportano al particolare momento dell’incantesimo (Pas d’action n. 8). L’ingenuità della fiaba viene miracolosamente rispettata dal candore creativo di Cajkovskij; ma quanta cultura, quanta sensibilità e quanta raffinatezza in questi impasti strumentali! La musica conserva il suo charme e ogni palpito sonoro sembra dileguare in dissolvenza.