Cajkovskij Ilic Petr

Lo Schiaccianoci

Questa registrazione restituisce la vera bellezza a tutti i numeri più familiari in questo balletto e dà nuova vita a quelli meno noti (sebbene altrettanto belli). Le danze tradizionali “Trépak” e “Valse des Fleurs” brillano con tutto il luccichio che meritano. La sonorità della Boston Symphony sotto la direzione di Seiji Ozawa viene sfruttata al massimo delle sue potenzialità. Audio ottimo. Registrazione effettuata nel 1990. Altamente raccomandato.

Cajkovskij e il balletto

Piotr Ilic Cajkovskij è autore di tre grandi, famosi balletti. Il primo, Il lago dei cigni, in quattro atti op. 20, risale al periodo centrale della sua vita: composto fra il 1875 e il 1876, fu rappresentato per la prima volta nel 1877 a Mosca al Bolshoi. Gli altri due appartengono invece alla fase più tarda della produzione di Cajkovskij e sono legati alla figura di un coreografo, Marius Petipa (1818 – 1910), che ebbe un ruolo di rilievo nel rinnovamento del balletto ottocentesco.

La bella addormentata (da Perrault, su sceneggiatura di Petipa in collaborazione con Ivan Vsevoloshski, sovrintendente dei Teatri imperiali di San Pietroburgo), in un prologo e tre atti op. 66, fu ultimato nel 1889 e rappresentato per la prima volta nell’allora capitale, al Mariinski, nel 1890; Lo schiaccianoci, in due atti op 71, nacque sull’onda di quel successo, con gli stessi artefici: fu infatti Vsevoloshski a proporre il soggetto, Petipa a sceneggiarlo e Cajkovskij a musicarlo tra il 1891 e il 1892, con prima rappresentazione sempre a San Pietroburgo nel dicembre 1892.
Con Cajkovskij il balletto si rinnova per diventare da mero spettacolo di intrattenimento per l’aristocrazia creazione armonizzata di danza e musica, nella quale anche l’elemento decorativo è integrato in un piano compositivo organico. Il tratto innovativo sta nel fatto che, pur in una distribuzione dei singoli numeri che tiene conto delle convenzioni, tutta la musica del balletto segue un’unica linea di sviluppo: in altri termini è concepita nel segno di un’unità sinfonica che mira a garantire non solo la totalità formale, ma anche uno sviluppo musicale trasparente. In particolare nello Schiaccianoci Cajkovskij si preoccupò di inventare con la scrittura orchestrale sonorità speciali che aderissero alle situazioni e caratterizzassero i personaggi della vicenda: al fine di ricreare, con la scelta dei timbri, dei motivi e delle figure, le atmosfere e le suggestioni di una visione fiabesca le cui radici affondavano nei ricordi, nelle immagini dell’infanzia e nella bellezza originaria della fantasia e del canto popolare.
Lo schiaccianoci si basa su un adattamento di Alexandre Dumas padre del racconto Lo schiaccianoci e il re dei topi scritto da E.T.A. Hoffman nel 1816 (il titolo francese, con cui più tardi circolò, è Cassenoisette et le Roi des souris). Sulle prime Cajkovskij, che pure era reduce dal grande successo della Bella addormentata, si mostrò riluttante ad accettare, per la fragilità della vicenda. A convincerlo fu la proposta di rappresentare il balletto in un’unica serata assieme alla sua nuova opera Jolanta: ciò spiega la sua durata relativamente contenuta, che nella versione integrale non supera l’ora e mezza. La riduzione di Dumas, semplificando, aveva tolto gran parte di quella componente grottesca, un po’ inquietante e ossessiva, che si trovava nel racconto di Hoffman. Il merito di Petipa fu di realizzare uno scenario (la coreografia fu poi lasciata al suo assistente Lev Ivanov) che conservava il doppio piano della realtà e della finzione, alleggerendo non poco il peso dell’ambiguità surreale e togliendo alla storia ogni carattere di incubo. Mai Cajkovskij avrebbe accettato di contaminare il mondo immacolato, ideale dell’infanzia con spettri e spiriti maligni. È per questo motivo che tutto è visto con occhi trasognati, ma mantenendo sempre un solido contatto con la realtà, e in proporzione per così dire miniaturizzate.
Dopo la prima rappresentazione il balletto non raggiunse subito una vera e propria affermazione. La sua diffusione fu ritardata, fors’anche ostacolata dalla Suite sinfonica op. 71a che era stata approntata dall’autore stesso scegliendo i pezzi più brillanti ed eseguita ancor prima che il balletto andasse in scena; tanto che per avere la prima europea di questo si dovette attendere il 1934, e ancora un bel po’ prima che esso entrasse nel repertorio come una delle più raffinate creazioni di Cajkovskij.

Marius Petipa

Forse anche troppo raffinata per un balletto: di una strumentazione così ricercata e preziosa (basti pensare alla presenza nell’organico del glockenspiel e della celesta, strumenti d’atmosfera più che d’azione) da richiedere, per essere apprezzata, esecuzioni di estrema cura e sensibilità. Collocandosi nel mondo fantastico dei sogni (per quanto a occhi aperti) il carattere della musica è in molti momenti affidato al colore più che al disegno, all’evocazione più che alla descrizione. Se ne ha un esempio già nella “Ouverture”, dove la trasparenza è ottenuta con una strumentazione leggera, significativamente mancante di violoncelli e contrabbassi; ma nello stesso tempo la forma è quella della ouverture classica, con due temi in netto contrasto.
Il primo quadro del primo atto si svolge nella casa del Presidente Silberhaus, la vigilia di Natale. Fervono i preparativi per l’addobbo dell’albero. Prima i due bambini, Clara e Fritz, poi i loro amici fanno la loro entrata scortati da festosi ritmi di marcia. Attorno all’albero di Natale si depongono i doni. Clara è attratta specialmente da uno schiaccianoci in forma di soldato, recatole dal suo padrino, il dottor Drosselmeyer (figura, in Hoffman, alquanto sinistra); ma nel bel mezzo della festa il giocattolo si rompe, cosa che la musica sottolinea con una improvvisa accelerazione del tempo e un fragore distorto quando la sua meccanica si spezza. Questo è uno dei tanti effetti miracolosi elargiti a piene mani dalla partitura. La delusione della bambina è subito interrotta dall’intervento dei genitori, che annunciano la “Danza del nonno”. Tutto sembra dimenticato, ma non è così: di notte Clara torna nel salotto per rivedere lo schiaccianoci, ora avvolto da una luce misteriosa. Come per magia, tutti gli oggetti crescono smisuratamente e prendono vita. Si inizia con una battaglia dei soldatini e dei topi; poi lo schiaccianoci si trasforma in un bellissimo principe, che porta con sé la bimba in un meraviglioso viaggio il quale le rivelerà il mistero della festa e dei regali (quadro secondo). L’atto si chiude con il “Valzer dei fiocchi di neve”, dove l’incantesimo della notte di Natale sembra quasi far nascere il turbamento di un presagio d’amore.
Il secondo atto compie il passaggio dall’ambientazione “realistica” del racconto a quella del sogno e della fantasia. Esso è strumentato in tre blocchi: il viaggio e l’arrivo di Clara e del principe-schiaccianoci nel magico castello di Confiturenburg, regno dolcissimo della fata Confetto; la mirabolante serie di visioni che vengono offerte alla bambina in un “divertissement” di sei danze ognuna delle quali illustra un luogo e un paesaggio incantato; il progressivo ritorno alla realtà, con lo svanire del sogno e il ritrovarsi di Clara nella casa paterna, ai piedi dell’albero di Natale che ha acceso la sua fantasia.
Per quanto Petipa fissasse minuziosamente i singoli numeri del balletto con l’evidente intenzione di dare alle sue stelle spazio e occasione di brillare, Cajkovskij riuscì a caratterizzare ogni danza in senso propriamente musicale, con melodie, ritmi, scale, armonie e timbri diversi: ne è esempio il “Divertissement”, che si apre con “La cioccolata” (danza spagnola), “Il caffè” (danza araba) e “Il tè” (danza cinese), prosegue con una danza russa (“Trépak”) e si trasfigura nel caricaturale della “Danza dei zufogli” e nel popolaresco di “Mamma Gigogne e i pulcinella”. Che tuttavia questa impostazione un po’ di maniera al compositore andasse stretta lo conferma la spettacolosa gemma del “Valzer dei fiori”, dove la musica si anima a poco a poco in una irresistibile celebrazione sinfonica dello spirito della danza. È questo il punto culminante della partitura: ciò che segue, ossia il “Pas de deux” della fata Confetto e del Principe Coqueluche e l’apoteosi finale, sono soltanto una sfilata generale di virtuosistico effetto.
Che la musica dei balletti di Cajkovskij abbia una sua autonomia lo dimostra il fatto che da essi furono ricavate Suites per orchestra destinate alle sale da concerto. Quella della Bella addormentata, pubblicata nel 1899 come op. 66a, non fu messa insieme dall’autore bensì da Aleksandr I. Siloti e comprende cinque brani. Il primo (“Introduzione. La fatta dei lillà”) riprende l'”Ouverture” del balletto collegandola con il tema della cattiva strega. Carabosse e della fata che libererà la principessa Aurora dal sortilegio. L'”Adagio” si riferisce al momento della danza della principessa con i quattro pretendenti. Il brano centrale corrisponde alla festa nuziale, con la grottesca corte del Gatto con gli stivali alla Gatta bianca. Il quarto, “Panorama”, accompagna il viaggio del principe verso il castello della bella addormentata. L’ultimo, “Valzer”, rielabora la danza dei fiori del primo atto in una solenne esaltazione dell’amore.

(Traduzione: Sergio Sablich)

Lo schiaccianoci, balletto in due atti e tre quadri, op. 71

La data di nascita del balletto è il 5 di-cembre 1892, il luogo San Pietroburgo, Teatro Marinskij. Petipa, autore del libretto, si ispirò al racconto Schiaccianoci e il re dei topi di Hoffmann, ma non all’originale, bensì alla versione di Alexandre Dumas padre. Come nella precedente Coppelia (1870, Parigi), di Hoffmann non resta molto, al di là dei fatti raccontati. Più rispettosi del testo ispiratore furono invece, nel 1880/81, Offenbach e i suoi librettisti Barbier e Carré firmando quell’opera straordinaria che è I racconti di Hoffmann.

Il balletto e l’impero

Si sa che Schiaccianoci, insieme con gli altri due «titoli» basati sulla musica di Cajkovskij, La bella addormentata e Il lago dei cigni, è uno dei punti d’arrivo del balletto romantico, che pochi anni dopo entrò in una crisi profonda. Possiamo porci una domanda: perché questo passaggio storico avvenne in Russia, ovvero nell’ultimo grande impero assoluto? Il balletto romantico, nato dalle culture francese e italiana verso la metà dell’Ottocento, aveva trovato a Parigi e a Milano i suoi centri più vivi e produttivi; ma fu in Francia, più che in Italia, che si sviluppò quella tecnica «aerea», fatta di tutù e punte, che ancora oggi regge la danza classica. L’Italia era divisa, impoverita, e anche Milano, seconda città dell’impero teresiano, aveva perduto importanza nel periodo della Restaurazione. I moti, le guerre d’indipendenza, le insicurezze politiche indussero molti artisti a emigrare, prima a Parigi poi nell’impero zarista. Ma anche Parigi non visse epoche tranquille, fra rivolte, colpi di Stato, passaggi anche violenti di potere: fu tuttavia solo l’epilogo della guerra franco-prussiana, nel 1871, a far scattare la più grande crisi del tempo. Chiusa l’Opera, perdute le scuole, ecco allora una successiva emigrazione, stavolta tutta verso Oriente.

Lev Ivanov

A Pietroburgo c’erano mille possibilità, lo Zar non era avaro con le arti, la corte offriva un esempio di stabilità. Così i migliori coreografi parigini e le più amate ballerine italiane (la Brianza, la Dell’Era, la Legnani) trovarono ospitalità al Marinskij e nelle altre scene russe, compreso il Bols’oj di Mosca.
Marius Petipa, marsigliese, divenne nella seconda metà dell’Ottocento il re del balletto in Russia, dove non esisteva praticamente nulla di originale. Grazie a lui si formarono le prime scuole e nacque l’amore per la danza che poi produsse i maggiori interpreti del Novecento. Ma il creatore di Don Chisciotte e della Bayadère, nel momento della sua maggiore maturità artistica, capì che stava arrivando una crisi, che il balletto aveva bisogno di idee nuove e soprattutto di
buona musica. I bravi mestieranti, come Minkus, Drigo, Pugni, non avrebbero più garantito, di fronte alle nuove generazioni ormai stregate dalle grandezze della musica sinfonica, alcuna chance di sopravvivenza alle produzioni da loro firmate.
Si doveva dunque trovare un musicista che amasse il balletto e fosse famoso in patria e fuori. Impresa non facile, perché ai maggiori compositori del tempo il ballo interessava pochissimo o era giudicato una forma minore del teatro in musica. In Francia erano stati coinvolti nel balletto autori come Adam (Giselle) e Delibes (Coppelia), ma non c’era stato un seguito.

La sfida di Cajkovskij

In Russia invece viveva Cajkovskij, che nel 1875 aveva sfidato con scarso successo il mondo del balletto presentando a Mosca Il lago dei cigni. Fu un fallimento per due motivi, la modesta qualità dell’allestimento e l’eccessiva difficoltà rilevata nella musica. In anticipo sui tempi, dunque, era il raffinato compositore di opere come Evgenij Onegin e di sinfonie vibranti di sentimento; tuttavia, quasi tutte le musiche di Cajkovskij contengono balli o invitano alla danza, ciò che certo non era sfuggito a un attento osservatore come Petipa.
Così Cajkovskij entrò, su invito del maestro dei coreografi, in un mondo che gli era di certo congeniale ma che lo aveva, in quella precedente occasione, respinto; non solo, egli fu il salvatore del balletto classico e l’ispiratore involontario e fatale della riforma portata avanti da Fokin, Djagilev, Stravinskij e Alexandre Benois nel primo decennio del Novecento. Dopo La bella addormentata, Schiaccianoci e Il lago dei cigni (rilanciato nel 1895) non si potè più pensare a un balletto senza buona musica.
La bella addormentata è il primo grande titolo di questo periodo splendido e fatiscente insieme: è la lussuosa messa in scena della favola di Charles Perrault alla quale venne dato un décor fantastico, tale da restare nella memoria dell’esule George Balanchine, che ancora allievo della scuola aveva partecipato, nel 1905, ad alcune recite del Mariinskij. La musica aderiva a questi ideali di bellezza, di perfezione tecnica ed espressiva, di splendori sonori, di fantasie coloratissime. Dovette fare sensazione questa immensa ricchezza di idee che furono gettate sul grande sogno della principessa Aurora, del suo bel principe, di una corte che viene stregata da una fata maligna e che viene ridestata da un atto d’amore.

Petr Ilic Cajkovskij

Storia emblematica, con il senno di poi, ma allora vissuta solo come una fiaba. Bisognava continuare, e così fu. L’amministratore dei teatri imperiali, Vsevolojskij, aveva commissionato già nel 1890 a Petipa un nuovo spettacolo, e questo fu Schiaccianoci: il rapporto di lavoro fra il patron del balletto e il
musicista, e poi con il coreografo Ivanov, non pare sia stato del tutto idilliaco: Petipa era estremamente preciso nelle indicazioni tecniche, Cajkovskij avrebbe voluto agire più liberamente con i suoi temi, le sue melodie, i suoi colori. Comunque sia, il prodotto diede ragione sia all’uno che all’altro; la suite del balletto, eseguita in concerto nella primavera dello stesso 1892, piacque moltissimo e fu certo trainante nei confronti dello spettacolo. E nella realtà di oggi, ancora, suites dello Schiaccianoci vengono eseguite in moltissime occasioni.

Un balletto borghese

La bella addormentata era il tipico balletto aristocratico prototipo del figlio del barocco francese; Schiaccianoci fu, in primo luogo, un balletto borghese. Non è da sottovalutare questa «qualità», perché sarà proprio questo tipo di racconto ad aprire spazi alle prime avanguardie moderate: se è vero che nell’anima di Clara- Maria c’è un sogno romantico, con il consueto bel Principe nel regno dei piaceri infantili, è altrettanto vero che Clara non ha nessuna chance di diventare una regina o una principessa. Resterà, finito il sogno, una brava ragazza della ricca borghesia tedesca.
Siamo dunque in casa Stahlbaum (cognome forte: acciaio+albero) alla vigilia di Natale: nella ricca casa di questo signore si dà una festa per i figli Cliara e Fritz, ci sono tanti ragazzi e i loro genitori. A movimentare questa occasione felice c’è un singolare personaggio, Drosselmayer: mago, scienziato, burattinaio, inventore, ipnotizzatore, egli appartiene a quella categoria hoffmaniana di straordinari gentiluomini-ciarlatani, un po’ Cagliostro un po’ Casanova, che mettono zolfo in tanti racconti, parente stretto del dottor Coppelius, di Spalanzani, di tutta la genìa di ingannatori e illusionisti che vissero sulla credulità della gente profittando delle prime astuzie scientifiche, Drosselmayer appare come un bonario deus-ex-machina, che aiuta e punisce, diverte con i suoi automi e gestisce, in modo misterioso, i sogni di Clara.
Gli automi, gli automates, le bambole meccaniche, sono alla moda, nel tempo di Ernesto Teodoro Amedeo Hoffmann, anch’egli a suo modo dotato di infinite virtù magiche; fanno parte del sogno di dar vita all’inanimato, così come voleva Coppelius.
Nei Racconti, Olympia è l’automa-cantante che seduce Nataniele-Hoffmann e gli fa perdere la testa. Questa Olimpia va in pezzi, nella lite furibonda che scoppia fra Coppelius e Spalanzani. L’automa è il supergiocattolo del tempo, ma è anche l’emblema del grande fallimento della scienza. Drosselmayer anima i suoi giocattoli automatici, e non va oltre: ma riesce a creare il sogno, ovvero un racconto fatato che finisce nel nulla, nel risveglio. Anche se il libretto non lo dice, Drosselmayer, con la sua parrucca di fili di vetro e la benda nera sull’occhio, entra nell’inconscio di Clara, ne rimuove le paure, ne agita i desideri, rincorre il suo crescere.
Egli addita alla ragazza la via da seguire, e lei saprà al risveglio che il suo Principe sarà reale e borghese.

Il sogno di Clara

Quel principe, nel sogno, è la trasformazione dello Schiaccianoci, giocattolo e arnese in forma di soldatino, oggetto in voga nel secolo XIX; tenuto con affetto da Clara, questo Schiaccianoci non sarebbe nulla se non fosse il pretesto per il percorso del desiderio. Quando Clara si addormenta, la stanza diventa immensa, i giocattoli si animano, Drosselmayer ha fatto il prodigio; ma ecco le paure, perché dal sottosuolo emerge un esercito di topi, con un terribile re, e questo esercito sconfigge Schiaccianoci e i suoi soldatini. Clara resta sola contro l’orda topesca, ma Drosselmayer la salva donandole una candela accesa. E Schiaccianoci? Eccolo diventare un bellissimo giovane che sconfigge il re dei topi e porta Clara nel mondo dei balocchi, degli alberi di Natale, dei dolci e dei confetti.
In un clamoroso e grande divertissement si celebrano le nozze dei due giovani: ma è solo un sogno, Clara si sveglia, ha in braccio il giocattolo, è felice, ricorda, è diventata più grande.

Il XX secolo

Nel secolo XX, che è appena passato ma così dobbiamo chiamarlo, le innumerevoli riprese di Schiaccianoci sono state segnate da approfondimenti e da interpretazioni che hanno portato questo spettacolo, talvolta, ben fuori dalla sua tradizionale dislocazione natalizia, precipitandolo nel mondo degli adulti. È bastato individuare nel sogno di Clara una sorta di iniziazione all’amore, il «passo» che trasforma la bambina in una donna. Secondo la versione di Rudolf Nureyev, nata a Stoccolma nel 1968, Clara, accompagnata da Drosselmayer che altri non sarà che l’amato principe, esce dal tunnel delle paure (i topi, la famiglia incombente e ossessiva) per ritrovarsi liberata e pronta a sbocciare. Sottratta ai piaceri dell’infanzia, ella non avrà più davanti a sé marzapane e confetti, ma oggetti del tempo nuovo.

Seiji Ozawa

Nella bellissima e recente (1999) edizione di Schiaccianoci Circus di Jean- Christophe Maillot a Monte Carlo, lo Schiaccianoci è un mostriciattolo da cartoon, e il «paese dei balocchi» un circo dove si fanno prodigi di magia, prestidigitazione, acrobazia. Cranko, Neumeier, Petit hanno variato più o meno
a fondo le situazioni del balletto, ma è stato nel 1998 Maurice Béjart, a Torino, a rileggere la trama in chiave di memoria e con la nostalgia della madre perduta.
Rispetto ai balletti del tempo – un caso a parte sono i balli grandi di Luigi Manzotti a Milano, vedi Excelsior, Amor o Pietro Micca – Schiaccianoci è certo di categoria infinitamente superiore, perché più di tutti esprime la verità del sentimento senza bisogno di metafore o di finzioni. La bella addormentata era un gioco cortigiano con una morale precisa; il Lago dei cigni, portato al trionfo poco dopo la morte del compositore, partiva dal neoromantico per entrare, senza volerlo, nel gioco dei rapporti fra madre e figlio così bene espressi da Mats Ek e dal Cullberg Ballet. Senza averne precisa coscienza Petipa, Ivanov e Cajkovskij inserirono nel mondo della danza i primi dubbi, le prime tensioni amorose fino a quel punto tenute nascoste. Dopo, tutto nel balletto moderno risultò più facile, o addirittura troppo facile. Petipa avrebbe voluto continuare l’esperienza «grande danza+grande musica», ma la morte improvvisa di Cajkovskij lo privò della sua unica carta vincente. Tentò di proseguire con Aleksandr Glazunov, ma i risultati furono nettamente inferiori. E così finì una delle più affascinanti avventure culturali dell’Ottocento.
Partitura «super», fin troppo bella per un balletto, questa di Schiaccianoci: e tanti sono i temi che restano nella memoria, in questa grande festa del teatro e della musica. Amorosamente Cajkovskij descrive, con qualche notazione all’antica nella festa in casa Stahlbaum, ma è soprattutto nei grandi balli (valzer dei fiori, valzer dei fiocchi di neve) che il racconto assume connotazioni di alto respiro; le apparizioni degli automi di Drosselmayer sanno di mistero, e altrettanto oscuri sono i segnali mandati nel finale della festa; dove tuttavia la fantasia del compositore si accende di luci è nei pezzi di colore, nel coro, nel divertissement dove abilmente vengono recepiti temi popolari, come nella danza araba ispirata a una ninna-nanna georgiana, o come nella danza russa che ha una forte aria di truculenza campagnola. È curioso notare l’uso della celesta (una «prima per la Russia») utilizzata per la Fata Confetto: Cajkovskij l’aveva scoperta a Parigi e se ne era procurata una, prima di Rimskij e Glazunov…

Il risveglio

Singolarmente, il balletto non finisce in apoteosi, ma nel silenzioso risveglio di Clara: la nostra eroina, secondo Hoffmann, avrebbe poco più di sette anni, ma nella finzione teatrale gliene attribuiamo qualcuno di più. Lo scrittore scrisse il racconto pensando ai figli di un suo caro amico, Julius Eduard Hitzig: Fritz divenne architetto e visse 70 anni, Marie, nata nel 1809, morì a 13 anni. Hoffmann conclude il racconto in una fantasmagoria di affetti: giunge il vittorioso ex Schiaccianoci, che è poi il nipote di Drosselmayer, e c’è l’intermezzo della Voce dura, dell’incantesimo della principessa Pirlipat e del suo salvatore Schiaccianoci (alcune versioni del balletto, come quella di

Amedeo Amodio per l’Aterballetto e questa ultima di Maillot al Circo reale di Monte Carlo, inseriscono Pirlipat nello spettacolo). Sembra che Hoffmann suggerisca un valzer degli addii, ma Cajkovskij finge di non accorgersene, di escludere da sé la morte che si avvicina e che presto lo ghermirà, insieme con i suoi più cari amici. Intanto, ha esorcizzato il re dei topi, le sue sette teste e le sette coroncine di strano metallo aureo.
Compose subito dopo la Patetica: un altro mondo, un altro viaggio lontano dall’armadio di una bimba dove il re dei topi ha rosicchiato tutte le cose care dell’infanzia.