Cajkovskij Ilic Petr
Sinfonie 4 – 5 – 6
Si abbandoni per una volta l’ascolto e la venerazione di Karajan. Qui la grande musica romantica russa fa capolino dalla bacchetta di Mravinsky, decisamente uno dei più profondi conoscitori della musica di Tchaikovsky, e decisamente più “affidabile” dei colleghi della scuola tedesca. Qui a vibrare sulle corde degli archi è tutta la drammatica passionalità dell’indirizzo interpretativo russo, in un’interpretazione spiccatamente pura e “umana”, dove risalta l’abbandono completo della bacchetta e dell’orchestra all’intimismo passionale del “più russo tra i musicisti russi”, come fu definito da Stravinski. Dopo l’ascolto ci si rende conto di quanto Mravinsky, esecutore di quasi tutte le prime delle opere di un altro gigante nordico, Shostakovich, abbia compreso a fondo l’animo di Tchaikovsky. Cd doverosi da collocare nella vostra preziosa collezione e consigliati a tutti coloro che amano interpretazioni “russe” della musica russa. Registrazioni eseguite dal 1962 al 1966 e rimasterizzazione effettuata nel 1993. Audio più che buono. CD di difficile reperibilità. Altamente raccomandato.
Una fatale scenografia interiore Le ultime sinfonie di Cajkovskij
Nell’ambito della produzione sinfonica della seconda metà dell’Ottocento, Cajkovskij occupa una posizione di rilievo. Le prime quattro sinfonie, prodotto di una poetica estremamente attenta agli stessi valori della nascente Scuola nazionale russa, affascinano, nonostante qualche incoerenza formale, soprattutto per l’atteggiamento sincero del compositore.
La Quarta Sinfonia op. 36 è legata alla Quinta di Beethoven per il romantico tramite del mito del destino. Le intenzioni dell’autore sono chiarite da un programma letterario sotteso all’opera, inviato alla sua protettrice e dedicataria del lavoro, Nadezda von Mech. La fanfara iniziale dei corni e fagotti raffigura “quella forza naturale che impedisce al nostro desiderio di felicità di raggiungere il suo scopo”, mentre il cromatismo del primo tema rappresenterebbe “lo sconforto e la depressione che ne derivano”, così come la sognante melodia del clarinetto “un’impossibile fuga dal reale”. L’Andantino in modo di canzone in si bemolle minore, si apre con una melodia disegnata dall’oboe sul pizzicato degli archi, che è “il sentimento di malinconia che ci prende alla sera, quando ci sediamo soli… ed è triste ma anche dolce sprofondarsi nel passato”.
Il successivo, originalissimo Scherzo in fa maggiore, basato su un vertiginoso pizzicato ostinato degli archi, allontana ogni cupezza, e trova sfogo nella marcia militare intonata dai fiati nel trio, sovrapposta brillantemente nella coda al motivo dello Scherzo. Su questa linea prosegue il conclusivo Allegro con fuoco in fa maggiore: “Se non trovi motivo di gioia in te stesso guarda agli altri. Vai tra la gente”, scrisse Cajkovskij. E i temi di questo movimento sono di carattere gaio e spensierato, anche se la frequente ricomparsa della fanfara iniziale ricorda come sia in realtà impossibile sfuggire realmente alla propria sorte. L’aderenza al programma, cui i tratti formali paiono subordinati, rimanda alla vera specialità di Cajkovskij, il teatro musicale. Tuttavia questa sinfonia, composta proprio negli anni 1877-1878 insieme all’Eugenio Onegin e come quest’ultima condizionata dall’esaurimento nervoso dovuto al velleitario matrimonio del musicista, è opera vitale e interessante.
Nella Quinta Sinfonia Cajkovskij volle ritornare a un trattamento più compiutamente classico. Da ciò ne venne una rinnovata attenzione per la forma- sonata, coniugata ad atteggiamenti romantici la cui matrice è direttamente rintracciabile in Berlioz. Questi tratti emergono con estrema chiarezza dall’esame della monumentale partitura, iniziata nel maggio 1888 e portata a termine il 26 agosto. Fu lo stesso Cajkovskij a concertare e dirigere la prima il 17 novembre dello stesso anno a San Pietroburgo, riportandone un successo considerevole di cui non è difficile individuare la causa nella grande enfasi comunicativa del lavoro. Per questa composizione egli non lasciò un programma letterario, ma solo qualche scarna indicazione nel suo diario: Introduzione. Completa rassegnazione di fronte al Destino o, il che è lo stesso, di fronte all’imperscrutabile predestinazione della Provvidenza. Allegro (I). Mormorii, dubbi, lamenti, e di nuovo rimproveri e vergogna (II). Devo buttarmi nelle braccia della fede?
Cajkovskij mise in risalto il motto iniziale dei clarinetti, come l’idée fixe nella Symphonie Fantastique di Berlioz, una melodia in mi minore a guisa di fanfara che riapparirà ciclicamente in tutti e quattro i movimenti quale idea del destino, conferendo all’intera composizione una forte coesione. Egli utilizzò in modo più radicale le cellule costitutive del motto nell’Allegro con anima, tempo che vive del contrasto drammatico fra la sezione cantabile in si minore e l’implacabile andamento di quella principale scandita dal ritmo di marcia. Il movimento più riuscito è l’Andante cantabile con alcuna licenza – Moderato con anima, dove l’abbandono lirico del musicista si fa molto appassionato. Estremamente sobrio e il terzo tempo, un Valzer privo della grazia abituale, dove ricompare il tema del destino nella sfumata conclusione (clarinetto e fagotto). Il punto della sinfonia che produce le impressioni più alterne è il Finale: concepito per ribaltare trionfalmente la prospettiva pessimistica di cui era imbevuta la trama precedente, non riesce a convincere del tutto. Cajkovskij realizza una struttura prevedibile fino alla trionfale coda impostata sul motto iniziale perorato da enfatici squilli di tromba all’unisono, nell’intento di mostrare la vittoria su un destino oppressore. Molti esegeti hanno tentato di dimostrare l’originalità di questa idea, che nasconderebbe in realtà un sottile gioco teso a proclamare il carattere illusorio di ogni liberazione. Ma più semplicemente il compositore non riuscì a rendere plausibile la conquista della serenità, obiettivo che si era fermamente posto.
Tornato in Russia nel febbraio 1893 dopo un tour europeo, Cajkovskij aveva iniziato una nuova Sinfonia, che terminò nell’agosto. Neppure immaginava che sarebbe stata l’ultimo suo lavoro, specialmente dopo il grande successo ottenuto a San Pietroburgo il 28 ottobre dello stesso anno. Il fratello Modest la soprannominò “Patetica”, ma numerose tracce svelano che nella coscienza dell’autore l’opera era sentita come un vero e proprio inno alla morte, cui dà viva rappresentazione, come nella Dama di Picche, l’uso ossessivo della scala discendente come struttura portante di tutto l’insieme. Un’aura teatrale si respira sin dal primo tempo, tra i più contrastati di Cajkovskij e zeppo di cambi agogici, illuminato da quel secondo tempo che rivela più d’una affinità con l'”Air de la Fleur” dall’idolatrata Carmen. Una pausa apparentemente ottimistica viene dal successivo Allegro con grazia in re maggiore nell’insolito metro di 5/4, brano dalle movenze danzanti. Ma di nuovo la sezione centrale ripristina l’atmosfera angosciosa che domina la sinfonia. Il terzo tempo, Allegro molto vivace in sol maggiore, è una forma bipartita (esposizione e ripresa) dominata da due motivi intrecciati: il primo col carattere dello scherzo, mentre il secondo è una vitalissima e travolgente marcia, improntata a un ostentato ottimismo in cui s’intravvede anche un oscuro aspetto di minaccia. Chiude l’architettura un emozionante Andante lamentoso nella tonalità d’impianto. Terminare con un tempo lento non era prassi comune, prima di Mahler (Terza ma specialmente Nona Sinfonia). L’intento va al di là dell’intenso patetico lirismo dell’inizio dei soli archi che espongono quella scala discendente protagonista del lavoro, ed è quello di siglare l’opera nel segno del pessimismo, che l’aveva permeata.
Negli stessi giorni in cui la Sesta veniva provata Cajkovskij fu chiamato a rispondere davanti a un giurì d’onore di una relazione con un giovane aristocratico. Se accertata, l’accusa di omosessualità comportava la condanna al confino in Siberia e la perdita dei diritti civili. L’udienza era fissata il 31 ottobre, ma a poche ore di distanza dall’emissione del mandato di comparazione, il compositore ingerì l’arsenico, entrando in agonia per accreditare la versione ufficiale della morte per colera, epidemia allora diffusa in San Pietroburgo, e coprire la causa infamante del suicidio. Cajkovskij morì il 6 novembre: la sua fine, al culmine di una carriera costellata di successi, suscitò particolare emozione dopo la seconda replica dell’ultimo capolavoro il 18 novembre: il movimento conclusivo, presaga intuizione, secondo il programma che il compositore aveva rivelato al nipote portava come indicazione la parola “morte”.
(Michele Girardi)
1993, Philips Classics Productions
Sinfonia n. 4 in fa minore op. 36
Tra il dicembre 1876 e gennaio 1878 Petr Ilic Cajkovskij compone la sua Quarta sinfonia in fa minore, op. 36. Questo periodo denso di avvenimenti che hanno esiti contrastanti sul suo labile sistema nervoso lo inducono alla stesura di una composizione in cui dare libero sfogo ai suoi sentimenti.
Verso la fine del 1876 ottiene tramite il direttore Nikolaj Rubinstein, la commissione per la composizione di alcune pagine per violino e pianoforte destinate a Nadejda von Meck.
Questa è la vedova di un ingegnere arricchitosi con le costruzioni ferroviarie, che le aveva lasciato un’immensa fortuna. Saggia amministratrice delle proprie sostanze e grande appassionata di musica diviene una mecenate della vita musicale russa sostenendo tra gli altri il direttore Rubinstein ed avendo ospite per un paio d’anni il giovane Debussy in qualità di lettore di musiche al pianoforte.
Il rapporto tra la Meck e Cajkovskij ha inizio con una lettera da parte della ricca vedova datata 30 Dicembre 1876 e dura immutato fino al 1890 quando si interrompe bruscamente senza che i due, per tacito accordo, si siano mai conosciuti di persona.
L’evento traumatico per Petr Ilic Cajkovskij è invece il suo matrimonio con la sua allieva Antonina Ivanovna Milukova celebrato il 18 luglio 1877. Il compositore è ossessionato dai risvolti sociali della sua omosessualità (ricordiamo che era omosessuale anche il fratello Modest) e cerca una sistemazione che possa in qualche modo coprire questa sua tendenza. La soluzione gli sembra venire dalla dichiarazione d’affetto contenuta in una lettera della sua allieva. Il matrimonio si rivela per Cajkovskij, una tragedia fin dal primo giorno. Dopo tre settimane fugge da Mosca e dopo aver riparato nella tenuta della sorella Sasa, ottiene un insperato aiuto economico dalla baronessa von Meck che gli permette di intraprendere un lungo viaggio in Europa.
L’aiuto per il viaggio si trasforma poi in un appannaggio annuo di 6.000 rubli che unitamente al sostegno costante della von Meck consentono a Cajkovskij di dedicarsi a tempo pieno alla composizione mentre nella sua fuga di città in città, conclude l’opera Evgenij Onegin e la Sinfonia n. 4 in fa minore che aveva iniziato prima dello sciagurato matrimonio.
Tutta la corrispondenza di quel periodo tra Cajkovskij e la von Meck è densa di riferimenti alla sinfonia che viene spesso citata come “la nostra sinfonia”.
La Quarta sinfonia in fa minore viene presentata a Mosca il 10 febbraio 1878 sotto la direzione di Nikolaj Rubinstein con un tiepido riscontro da parte del pubblico. La baronessa von Meck che ha assistito all’esecuzione, chiede a Cajkovskij una spiegazione sui contenuti della composizione e questi in una lettera del 17 febbraio gli fornisce un’interpretazione programmatica che costituisce un documento utile anche se non decisivo, per la comprensione della Sinfonia.
Egli premette: «Mi chiedete se la musica ha un programma definito. In generale, se mi rivolgono questa domanda riguardo a una composizione sinfonica, rispondo di no. E in verità non è una domanda cui sia facile rispondere. Come è mai possibile esprimere quelle sensazioni che proviamo allorché scriviamo un’opera strumentale che non ha in sé alcun soggetto
definito? E’ un processo puramente lirico, una confessione musicale dell’anima, ove pullulano tante cose e che secondo la propria essenza si riversa in suoni, appunto come il poeta lirico si effonde in versi». Poi, però, aggiunge: «La nostra Sinfonia ha un programma abbastanza definito perché si possa esprimere a parole; a voi sola desidero – e posso – dire il significato dell’opera nell’insieme e nelle singole parti. Voi capirete che tenterò di farlo soltanto per sommi capi. L’introduzione è il germe dell’intera Sinfonia, l’idea principale dalla quale dipende tutto il resto. Il tema di apertura è il Fatum, la forza inesorabile che impedisce alle nostre speranze di felicità di avverarsi; che sta in agguato, gelosamente, per impedire che il nostro benessere e la nostra pace possano diventare piene e senza nubi: una forza che, come la spada di Damocle, pende perpetuamente sul nostro capo e di continuo ci avvelena l’anima. Questa forza è ineluttabile e invincibile. Con il Moderato con anima la disperazione e la tristezza diventano più forti, più cocenti. Non sarebbe più saggio distogliersi dalla realtà e immergersi nel sogno? Oh, gioia! Alfine appare un dolce e tenero sogno. Una fulgida, soave immagine umana aleggia dinanzi a me, mi chiama. Come bello e remoto, ora, appare il primo ineluttabile tema dell’Allegro! A poco a poco il sogno avvolge l’anima. Obliata è la tristezza, la disperazione. Ecco la felicità! Ma no, era .solo un sogno e il Fato ci ridesta. Così la vita è un costante alternarsi di aspra realtà, di sogni evanescenti, di fuggevoli visioni di felicità. Non vi è alcun porto. Si naviga su quel mare finché esso vi sommerge e vi fa affondare nella sua profondità. Questo, approssimativamente, è il programma del primo tempo.
Il secondo tempo esprime un’altra fase di sofferenza. E’ la malinconia che ci invade a sera, allorché siamo soli, stanchi del lavoro, e cerchiamo di leggere, ma il libro ci sfugge di mano. I ricordi si affollano in noi. Come sono dolci quelle memorie di giovinezza, ma come è triste che tante cose siano state e siano trascorse per sempre! Si rimpiange il passato, eppure non si vorrebbe ricominciare daccapo la vita, ci si sente troppo stanchi. E’ più piacevole riposare e rivolgere lo sguardo all’indietro, ricordando tante cose. C’erano momenti felici, quando il giovane sangue scorreva caldo e la vita esaudiva ogni nostro desiderio. C’erano anche momenti difficili, perdite irreparabili, ma sono ormai lontani. E’ triste e pur dolce tuffarsi così nel passato. Il terzo tempo non esprime sensazioni definite, è piuttosto una successione di capricciosi arabeschi, quelle immagini inafferrabili che passano nella fantasia quando si è bevuto del vino e si avvertono i primi segni dell’ebbrezza. L’anima non è ne gaia ne triste. Non si pensa a nulla: l’immaginazione ha libero corso e comincia, non si sa perché, a tracciare strani disegni. D’improvviso si presenta allo spirito la visione di contadini un po’ brilli, una breve canzone di strada risuona. Lontano, passa un corteo militare.
Le immagini sono assolutamente sconnesse, come quelle che fluttuano nella mente allorché ci si addormenta. Non hanno nulla a che fare con la realtà, sono strane, selvagge, confuse. Il quarto tempo: se veramente non trovi motivo di gioia in te stesso, guardi gli altri. Va’ in mezzo al popolo, vedi come esso sa abbandonarsi alla gioia. Una festa rustica è descritta. Non appena però hai dimenticato te stesso in questa visione della gioia altrui, ecco che il Fato inesorabile riappare a ricordarti di te stesso. Ma gli altri sono indifferenti verso di te; non volgono neppure il capo, non ti guardano neppure, non si accorgono che tu sei solo e triste. Ah, come si divertono! E come sono fortunati di essere governati da sentimenti così semplici e immediati! Dà la colpa a te stesso e non dire che tutto il mondo è triste; esistono gioie semplici e pur forti. Allegrati nella felicità altrui e la vita sarà sopportabile. Questo, cara amica, è tutto ciò che posso dirvi della Sinfonia. Certo, quello che ho detto non è ne chiaro ne compiuto. Ciò deriva dalla intrinseca natura della musica strumentale, che non si presta all’analisi particolareggiata. Dove le parole cessano, là comincia la music; come diceva Heine». Un post scriptum chiude la lettera: «Proprio ora, mettendo in busta la lettera, l’ho riletta e ho inorridito dinanzi al programma confuso e inesatto che vi mando. E’ la prima volta nella mia vita che ho tentato di trasportare idee e immagini musicali in parole, e non ci sono certo riuscito. Tutto l’inverno passato ho sofferto di una terribile ipocondria: la Sinfonia è un’eco veritiera di quello che provavo. Ma non è più di un’eco. Come riuscire a tradurre ciò in parole chiare e definite? Già ho dimenticato molte cose di quel periodo, ho solamente un ricordo dell’orrore e dell’intensità di ciò che provavo».
La Quarta sinfonia in fa minore, op. 36 si apre, Andante sostenuto, con un’Introduzione affidata ad una fanfara di fiati in cui si presenta immediatamente, il tema del Fato esposto tragicamente (quasi uno squillo di trombe del giudizio). Il tema esposto inizialmente da corni e fagotti si estende a tutti i fiati fino a spegnersi sull’indugiare di clarinetti e fagotti. Compare il primo tema, Moderato con anima (il ritmo passa da 3/4 a 9/8 in movimento di Valse). Ha un carattere incerto e inquieto che riflette lo scoramento derivante dalla tirannia del Fato con un’articolazione ritmica piena di sincopi e contrattempi e una linea melodica discendente, intrisa di sapido cromatismo. Un inciso dei legni dilata l’ultima frase del tema con un’efficace progressione in crescendo. La frase del tema passa poi agli archi sostenuti dagli ottoni rinforzati dai timpani, quindi si chiude questa parte con una discesa melodica che sposta il tema nel registro più grave. Ora la frase è trattata come in uno Sviluppo anticipato finché con una progressione, ritorna in fortissimo ai violini che la ripetono tre volte.
Petr Ilic Cajkovskij
Il discorso si arricchisce col contrappunto dei fiati che poi riprendono il tema, drammaticamente dilatato in progressione, per poi passarlo nuovamente ai violini facendolo girare disperatamente a vuoto su se stesso. L’atmosfera si fa più serena e la prima cellula del tema scorre tra clarinetti e fagotti finché dopo
questo passaggio ponte, appare il secondo gruppo tematico. Il clarinetto in piano, espone una melodia piena di fascino, Moderato assai quasi Andante, intensamente malinconica (simbolo del sogno in cui sfuggire dalla realtà), contrappuntata dagli archi e con l’eco di flauti e fagotti. Nei violoncelli entra un controcanto di grande bellezza, che si espande senza interrompere il tema. I gruppi strumentali si scambiano con leggerezza questi due temi finché ai violini completati dai legni, si presenta una nuova idea di un terzo tema che in una continua progressione circola tra i vari gruppi di strumenti (i sogni sembrano avverarsi). Il successivo Moderato con anima, è la Codetta. Una breve elaborazione del terzo tema che, con un crescendo di grande effetto, termina su un poderoso ostinato carico di tensione, e sfocia nella terribile ripresa del tema del Fato che dà inizio allo Sviluppo.
Ora il terzo tema, stenta ad espandersi creando un’aspettativa che si appaga solo con la sua elaborazione. Nei violini entra un tema che, pur partendo come controcanto, assume ben presto le redini del discorso. Questa frase cantabile è simile ma non uguale al secondo tema ed è trattata con una progressione travolgente e appassionata che accentua ad arte la tensione. Quando la progressione in un continuo crescendo, raggiunge il suo acme torna con grandissimo effetto, l’ineluttabile tema del Fato. Questo è il punto di massima densità contrappuntistica dello Sviluppo, dove il conflitto tematico si fa più intenso. Il tema del Fato è ribadito con ostinazione, in modo drammatico, sull’addensarsi tempestoso dell’orchestra gonfia di linee ascendenti e discendenti, fino al ritorno in fortissimo del primo tema dilatato ritmicamente su un tesissimo controcanto dei tromboni: è la Ripresa. Rispetto alla sua Esposizione iniziale, qui il primo tema è molto più compresso e senza Sviluppo alcuno. La Ripresa del secondo tema, del successivo terzo tema e della Codetta rispecchiano invece fedelmente la loro esposizione. L’ostinato degli archi gravi prepara con l’inevitabile ritorno del tema del Fato, l’inizio della Coda.
Al calare della tensione appare nei legni una nuova serena frase cantabile che funge da controcanto al ritmo ostinato degli archi che si scambiano cellule del terzo tema. Nel successivo Molto più mosso, che viene ripetuto due volte, il terzo tema è combinato col tema del Fato in un crescendo parossistico. Il crescendo prosegue portando ad un’ultima citazione del primo tema (in fortissimo nei violini) ed alla chiusura del primo movimento in tempo Più mosso. Allegro vivo.
Il secondo movimento (Andantino in modo di canzona) si apre con un tema dal carattere vagamente melanconico che ci introduce in un’atmosfera espressiva tipicamente slava: nel «sentimento di malinconia che ci prende alla sera». La melodia esposta dall’oboe sul pizzicato degli archi, passa ai violoncelli sul controcanto dei legni, e poi agli archi con una breve frase che viene ripetuta in
progressione, arricchendosi sempre più. Dopo la ripetizione del primo tema ora esposto dal fagotto, nasce un nuovo tema dal carattere un po’ più vivace, Più mosso, affidato ai legni. Dilatato in modo grandioso dai violini esso si spegne discendendo a poco a poco. Un breve passaggio cromatico dei violoncelli ci riporta al tono iniziale. I violini riespongono il primo tema e poi lo passano ai legni e agli archi che amplificano la sua frase conclusiva. Il fagotto che espone nuovamente il primo tema ci avvia verso la conclusione del movimento in un clima di dolce mestizia.
Il tema del Fato nelle prime sei battute della sinfonia
Lo Scherzo: Allegro. Pizzicato ostinato, costituisce il terzo movimento della Sinfonia. Ha la forma classica dello Scherzo con Trio con l’aggiunta di una sostanziosa Coda, ed è tutto basato sull’originale scelta timbrica di affidare le vivaci idee melodiche (o meglio ritmiche) al pizzicato degli archi. Cajkovskij ha scritto nella già citata lettera alla Meck: «una successione di capricciosi arabeschi, quelle immagini inafferrabili che passano nella fantasia». Il movimento inizia con un guizzante disegno, pieno di sincopi e contrattempi eseguito in pizzicato dagli archi. Sono due frasi veloci che si ripetono a due a due passando con rapidità dagli archi acuti ai gravi in un costante impulso ritmico. La linea melodica passa poi agli archi gravi per tornare con un crescendo, alle parti acute con la ripresa della seconda frase. Torna quindi la frase di apertura che ci porta direttamente al Trio. In tempo Meno mosso, (da notare l’assenza degli archi per tutta la durata del Trio) l’oboe attacca con una lunga nota fissa prima di iniziare il tema, che è una sorta di melodia di sapore clownesco, prima dilatata in progressione tra gli altri legni e poi riproposta da flauti e ottavino. In Tempo I, timpani e ottoni, su aguzze note staccate, propongono un nuovo tema sul quale si intromette, scanzonato, il clarinetto riaffermando la melodia del primo tema del Trio seguito dagli altri legni finché riappaiono gli archi. Essi ripropongono sempre in pizzicato, tutta la prima parte dello scherzo. Tornano i legni per imitare in progressione gli incisi degli archi, poi per inserire frammenti del Trio ripetuti ostinatamente fino a ricostruirne il tema iniziale. Gli ottoni ripropongo il loro tema del Trio portandoci alla conclusione dello Scherzo.
Siamo al Finale: Allegro con fuoco. Cajkovskij ci trasporta in un’atmosfera di gioiosa festa popolare: «se non trovi motivo di gioia in te stesso, guarda agli altri. Vai tra la gente…». La forma di questo movimento è un rondò al cui interno un tema è variato e sviluppato. Un paio di note lunghe, seguite da un turbinio di rapide scalette discendenti suonate a piena orchestra, aprono in modo scintillante il Finale: è la parte A del rondò. Su un lungo pedale dei corni, i legni intonano su note ribattute e interrotti dalle scalette degli archi, il tema B (quello che verrà variato e sviluppato). Il compositore usa qui un noto canto popolare russo: “Una betulla stava in un campo”. La cellula conclusiva del tema è ripetuta in progressione e dilatata, fino alla ricomparsa del tema A (variato però nella sua parte conclusiva). Entra una nuova festosa idea melodica (il tema C del rondò) che, dopo la ripetizione, sull’onda dell’espansione dell’ultima cellula della frase viene proseguita da una serie di scale discendenti affidate ai tromboni che sfociano in una frase in fortissimo dei violini. Sembra portare chissà dove le nostre aspettative, mentre invece ha un carattere conclusivo. Torna il tema B con l’inizio del suo primo Sviluppo in cui è trattato come una sorta di tema con variazioni. Viene esposto dai legni prima su un semplice pizzicato degli archi, poi su rapide scalette degli stessi. Passa poi ai corni sul turbinio degli archi che aumenta quando passa a tromboni e tuba. Un frammento di questo tema affidato ai legni ha ora un accattivante sviluppo contrappuntistico. Seguono una serie di vorticose scale discendenti, trattate in progressione tra archi e legni, che preparano la Ripresa del tema A. Ritornano il tema C e la sua frase di completamento. Ricompare, sereno, il tema B e dopo la sua quarta ripetizione inizia un suo secondo Sviluppo. La cellula iniziale è trattata in imitazione e in progressione, poi subisce una prima diminuzione ritmica e, continuando la progressione, con imitazioni tra parti gravi e acute, viene ulteriormente diminuita. Tromboni e tuba da una parte, trombe e corni dall’altra, in due gruppi di eguale forza sonora si contrappongono con un gesto sonoro di grande effetto drammatico. Si giunge a una tensione parossistica che esplode col ritorno, terribile e tragico, del tema del Fato. Sul suo lento spegnersi, modulando, si prepara l’inizio della Coda. Crescendo a poco a poco ritorna il tema C, quello della canzone. Sembra con questo che l’autore voglia dire: «Vai tra la gente … esiste una gioia semplice ma profonda … La vita merita ancora di essere vissuta» e riportarci nella festosa atmosfera con cui si era aperto il movimento. La melodia si forma a poco a poco, correndo tra le varie sezioni dell’orchestra fino a sfociare in una serie di scale discendenti che, trattate, al solito, con una vivace progressione, portano al gioioso ritorno del tema A. Torna il tema C completo della sua seconda parte Si giunge così alla ripetizione in progressione dell’inciso iniziale del tema B ed alla parte finale della Sinfonia che si chiude con una veloce e travolgente conclusione, un po’ chiassosa ma senz’altro efficace.
Sinfonia n. 5 in mi minore op. 64
Il 10 giugno 1888, dalla casa di campagna premurosamente affittata per lui dal fratello Anatol, Pètr Il’ic Cajkovskij scriveva alla sua generosa mecenate Nadezda von Meck: “Voglio mettermi a lavorare alacremente; sento in me un impulso fortissimo di dimostrare non solo agli altri ma a me stesso che la mia capacità di comporre non è esaurita […]. Non so se le ho già scritto che lavoro a una Sinfonia. Dapprincipio procedevo a stento, ma ora sembra che l’illuminazione sia scesa sul mio spirito”. Si riferisce alla Sinfonia n. 5 in mi minore op. 64, composta rapidamente tra il maggio e l’agosto del 1888, dopo un periodo di depressione e di stasi creativa. Diretta dall’autore stesso il 5 novembre a San Pietroburgo, ottenne un certo successo di pubblico ma fu duramente criticata dalla stampa, con la conseguenza che Cajkovskij cadde ancora una volta in preda all’umor nero e allo sconforto.
La lettera del 2 dicembre alla von Meck ha quindi un tono completamente diverso dalla precedente: “Dopo aver diretto la mia nuova Sinfonia, due volte a Pietroburgo e una volta a Praga, mi sono persuaso che è mal riuscita. C’è in questa musica qualcosa di sgradevole, una certa diversità di colori, una certa insincerità, un certo artificio. Pur senza rendersene conto, il pubblico lo ha percepito. Ho chiaramente avvertito che i consensi e gli applausi andavano in realtà alle mie composizioni precedenti e che questa Sinfonia non riusciva a piacere: una constatazione che mi procura un cocente dolore e una profonda insoddisfazione di me stesso […]. Ieri ho sfogliato la Quarta, la nostra Sinfonia, che differenza! Com’essa si colloca su un piano più elevato! È una cosa molto, molto triste!”.
Oggi noi sappiamo che la Quinta Sinfonia è di gran lunga superiore alla Quarta e che, su un piano strettamente musicale è migliore anche della Sesta, la popolarissima “Patetica”. D’altronde Cajkovskij stesso si sarebbe ricreduto, grazie ai successi ottenuti dalla Quinta nei concerti da lui diretti durante la tournée europea del 1889-1890, allorché anche Brahms la elogiò, esprimendo qualche riserva solo sul finale.
Perpetuando il principio della Quarta Sinfonia, scritta ben undici anni prima, la Quinta è posta anch’essa sotto il segno del fatum. Cajkovskij non espresse in un programma dettagliato le idee che l’avevano guidato nella composizione, tuttavia appuntò alcuni pensieri in proposito: “Introduzione: sottomissione totale davanti al destino o, ciò che è lo stesso, davanti alla predestinazione ineluttabile della provvidenza. Allegro. I: Mormorii, dubbi, accuse a XXX. Il: Non è meglio allora gettarsi a corpo morto nella fede? Il programma è eccellente, ammesso che riesca a realizzarlo”. Un altro appunto relativo al secondo movimento accenna al contrasto tra un tema indicato come “consolazione” e “raggio di luce” e un tema affidato agli strumenti gravi, che risponderebbe: “No, nessuna speranza”.
La Quinta Sinfonia riprende dalla Quarta anche il principio ciclico dell’idea ricorrente, o motto, facendone un uso ancora più ampio, perché uno stesso tema, collegato al destino, ritorna qui in tutti e quattro i movimenti: lo si ascolta già nell’introduzione, Andante, affidato ai clarinetti e agli archi gravi, cupo e pesante, con un andamento che ha qualcosa sia della Marcia che del Corale. L’Allegro con anima si apre con un nuovo tema, che mantiene l’atmosfera di sotterranea inquietudine, nonostante il ritmo relativamente vivace. Interventi rudi degli ottoni fanno esplodere la tensione, che rapidamente si smorza e lascia emergere un secondo tema, in tonalità maggiore, semplice e pastorale, che porta un raggio di luce dopo le ombre precedenti. Appare in seguito un ritmo di valzer, lirico e vaporoso. Lo sviluppo si basa non sull’elaborazione tematica ma sulla sovrapposizione e l’accostamento dei temi per associazione o per contrasto. Nella coda viene ripreso il motivo iniziale dell’Allegro, ma la conclusione è ancora sotto il segno del tema del fato, che ora risuona nelle trombe.
Lo splendido Andante cantabile, con alcuna licenza è uno dei vertici del sinfonismo cajkovskiano. Sullo sfondo degli archi gravi il primo corno canta in modo “dolce con molta espressione” una lunga melodia nobile e patetica. L’oboe s’inserisce delicatamente e dialoga con il corno, proponendo una nuova melodia, ripresa anche dagli archi e poi dall’intera orchestra: è un momento maestoso e sereno, che corrisponde forse al “raggio di luce” menzionato da Cajkovskij. Una nuova melodia del clarinetto, graziosa e malinconica, ornata da un trillo, è improvvisamente interrotta dall’irruzione del tema ricorrente, affidato alle trombe. Il movimento si conclude tuttavia in una ritrovata serenità, turbata ma non annientata dalla minaccia del fato, che risuona con la cupezza e la violenza dei tromboni.
L’Allegro moderato è un valzer elegante e lieve, appena increspato da un’ombra d’inquietudine dovuta ai rapidi e insistenti passaggi in “staccato” dei legni e degli archi. Anche qui, a qualche battuta dalla fine, ritorna il tema del fato, senza violenza ma egualmente impressionante per il suo tono funereo.
È sempre questo tema ad aprire il quarto movimento, ma ora appare totalmente trasfigurato, simile a un maestoso Corale in tonalità maggiore. L’Allegro vivace è ricchissimo d’idee e raggiunge una prorompente e teatrale intensità espressiva, ma pecca di un certo squilibrio formale, riconosciuto da Cajkovskij stesso. Non è esente nemmeno da ampollosità e trionfalismo, in particolare nella conclusione, quando il tema del destino s’afferma come un Corale grandioso e imponente e anche il tema principale dell’Allegro con anima ritorna trasformato in un canto di vittoria. “Cosa è accaduto – si chiedono i commentatori – perché sia cambiata in modo così totale la tendenza alla rassegnazione? […] Si avverte per la prima volta una nota di falsità e di sovraeccitazione al fondo della musica; quantunque tutto ciò venga portato a buon fine con bravura, il trionfo conclusivo non si libera dalla sua vacuità”.
Sinfonia n. 6 in si minore op. 74 “Patetica”
Petr Ilic Cajkovskij riassume nella sua opera le aspirazioni ed i conflitti degli intellettuali russi nel periodo che va dall’abolizione della servitù della gleba (Febbraio 1861) alla vigilia del nuovo secolo. Figlio di un alto dirigente dell’industria mineraria viene avviato agli studi di giurisprudenza che lo portano ad un impiego presso il Ministero della Giustizia. Nel 1862 lascia l’impiego statale per approfondire i suoi interessi musicali iscrivendosi al Conservatorio di San Pietroburgo. Completata la sua formazione, ricopre la cattedra di armonia al Conservatorio di Mosca ed avvia la sua attività che lo porta gradualmente al successo internazionale sia come compositore che come direttore d’orchestra.
Tutta la sua vita si snoda sul profondo contrasto tra il successo delle sue composizioni ed il pessimismo interiore dovuto al terrore per il pubblico, ai sensi di colpa per le tendenze omosessuali, alla delusione del matrimonio naufragato dopo poche settimane con Antonina Ivanovna Miliukova che lo porta sull’orlo del suicidio ed all’improvvisa rottura da parte della sua confidente e mecenate Nadezda von Meck nel 1890. Rientrato dalla fortunata trasferta americana che lo ha colmato di onori, nel 1982 presenta al pubblico Iolanta e Lo Schiaccianoci mentre inizia la composizione della sua ultima sinfonia. I fili del passato si riannodano, l’ambiguità tra successo e pessimismo interiore si fa sempre più accesa mentre la sua vita si avvia al termine.
Su questi contrasti nasce la Sinfonia in si minore n. 6 op. 76 “Patetica”, la sua ultima straordinaria partitura ed anche la più pessimistica.
Vladimir L’vovic Davydov
Il brano scritto tra il Febbraio e il Marzo 1893 ed orchestrato durante l’estate è dedicato al nipote Vladimir L’vovic Davydov.
Il 16 Ottobre 1893 a San Pietroburgo dirige la sua sinfonia con un successo più che altro di stima che lo amareggia profondamente poiché considera il brano, oltre che il migliore anche la più sincera di tutte le sue opere.
A quanto sembra, il titolo “Patetica”, (forse per sottolineare l’elemento della compassione e l’esibizione del dolore) fu suggerito al compositore dal fratello Modest all’indomani della prima esecuzione.
Come è noto, nove giorni dopo Caikovskij muore per un attacco di colera. Fu sin troppo facile cogliere in quel mistero da decifrare che intendeva essere l’ultima sinfonia una sorta di estrema e impietosa confessione autobiografica e il senso di un tragico commiato. Pur nel rispetto delle coordinate stilistiche che avevano sempre disciplinato la sua invenzione, il culto della forma, l’equilibrio delle proporzioni, la maestria, della scrittura e dell’orchestrazione, Caikovskij aveva composto una sinfonia che rivela al di là di ogni dubbio il percorso, sino alla morte, di un’anima tormentata.
La concezione della “Patetica” sconvolge anzitutto la retorica della sinfonia ottocentesca, spostando alla parte finale il movimento lento, tradizionalmente collocato al centro, e comprendendo all’interno due movimenti mossi, uno soltanto dei quali, l’Allegro con grazia, riconducibile a una convenzionale tipologia sinfonica, quella dello Scherzo. L’ambito delle dinamiche che si estende dal fortissimo (ffff) al pianissimo (pppppp), e le indicazioni di tempo che nel primo e nell’ultimo movimento cambiano di continuo sottolineando il teatrale avvicendamento dei quadri, riflettono una nevrosi patologica; le strutture motiviche e tematiche enunciate nell’introduzione del primo movimento che costituiscono la sostanza musicale sulla quale si fonda l’intera sinfonia hanno un preciso connotato semantico, dolente e funereo; così come funebri sono le citazioni, di natura sia melodica che ritmica, tratte dalla liturgia ortodossa dei defunti.
Il primo movimento è in forma sonata ma si caratterizza per la struttura a episodi giustapposti. Nell’introduzione (Adagio) in un’atmosfera sonora di cupa disperazione, dal timbro molto scuro, perlopiù mantenuto tra il pianissimo e il piano, compaiono gli elementi tematici posti alla base dell’intera sinfonia: la cellula generativa di quattro note da cui nasce la melodia del fagotto, la successione ascendente di cinque note che costituisce l’ossatura della stessa melodia, il cromatismo discendente simultaneamente disegnato dai contrabbassi. Dopo che il fagotto ha ripetuto la sua frase, le viole gli rispondono con un motivo discendente, anch’esso riconducibile alla radice tematica dell’intera sinfonia. L’Allegro non troppo costituisce l’esposizione; il primo
gruppo tematico, è avviato da viole e violoncelli divisi e si fonda su due elementi: la cellula generativa di quattro note e un motivo con note ribattute. Il costrutto tematico viene subito riproposto in progressione. Da un motivo ritmico e leggero degli archi (saltando) derivato dalla cellula generativa, trae origine una transizione-elaborazione contrappuntistica in tempo via più animato che si estende anche ai legni e ai corni, finché la testa del tema risuona perentoria agli ottoni. Dopo questo primo momento culminante, l’andamento musicale va placandosi e alla fine il mormorio dei violoncelli viene raccolto da una frase espressiva e interrogativa delle viole (Adagio). Con l’indicazione di Andante compare il secondo gruppo tematico. Sulle armonie tenute dei fiati, i violini ed i violoncelli (teneramente, molto cantabile, con espansione), suonano una frase di profilo melodico prevalentemente discendente, e di appassionata, memorabile intensità elegiaca, con alternanza di incalzando e ritenuto. Il secondo gruppo tematico, Moderato mosso, prosegue con un motivo ascendente affidato al dialogo imitativo dei legni su un accompagnamento degli archi derivato dal motivo ritmico e leggero della transizione. Dopo un momento di sospensione ritorna il periodo principale, Andante, ora cantato da violini e viole nel registro acuto e amplificato a piena orchestra. Il Moderato assai segna l’epilogo dell’esposizione.
Il periodo principale del secondo gruppo tematico si flette e si smorza poco a poco sino alla dissolvenza mentre in un contesto dinamico che va dal piano a un pianissimo estremo e utopico ai confini del silenzio, riaffiora col clarinetto (in tempo Adagio mosso e poi ritardando molto, dolce possibile) la reminiscenza lontana del secondo tema su un morbido tappeto di archi e timpani. Lo Sviluppo ha inizio in tempo Allegro vivo. Rispetto a quanto precede, lo stacco non potrebbe essere più brutale: con un’esplosione in fortissimo su un accordo di tutta l’orchestra il discorso musicale assume accenti barbarici e violenti nei
quali si inizia a riconoscere la testa del primo tema. Dalla testa del primo tema trae spunto un fugato, fortissimo e feroce, che vede protagonisti archi e legni, finché non si staglia, stentoreo sulle concitate figurazioni degli archi, fortissimo e marcatissimo, un motivo discendente degli ottoni. Sul mormorio degli archi gravi, una tromba e i tromboni citano, cantabile, un inciso della liturgia ortodossa dei defunti «Cum Sanctis»: il tocco lugubre prepara l’introduzione alla Ripresa, contraddistinta da un’arcata in diminuendo e quindi dal riaffacciarsi, via via più pressante e in crescendo, degli elementi del primo gruppo tematico. La ripresa del primo gruppo tematico a piena orchestra ed in fortissimo, è di fatto ambiguamente incorporata all’interno dello Sviluppo: da un lato il senso di ricapitolazione è palese, dall’altro la ripresa si inserisce in un dettato sinfonico assai fluido che ne attenua lo stacco rispetto a quanto la precede e la segue immediatamente. Segue una nuova sezione elaborativa basata sugli elementi del primo tema che assolve al contempo la funzione di transizione alla ripresa del secondo gruppo tematico. Si apre con un’arcata in grande crescendo, di ampio e dilatato respiro sinfonico, che ben presto raggiunge un rullante pedale degli archi gravi, dei fagotti e dei timpani ed è percorsa dall’intervento possente degli ottoni che disegnano motivi ascendenti e discendenti. La sezione si conclude a valori larghi, con un’imponente e lacerante perorazione a piena orchestra, in fortissimo in cui gli archi tracciano desolate parabole melodiche discendenti e i tromboni ripetono con insistenza un lugubre motivo in ritmo puntato. Poi la sonorità decresce rapidamente sino al pianissimo e si spegne in una lunga pausa. Ora la ricapitolazione assume un corso regolare, con la ripresa del secondo gruppo tematico e a piena orchestra (Andante come prima), e quindi con l’epilogo, in Tempo I, corrispondente a quello dell’Esposizione; in tempo più lento (Meno) riaffiora la reminiscenza del secondo tema da parte del clarinetto (con tenerezza), ora sostenuto anche da un remoto rullo di timpani. Nella coda Andante mosso, una marcia funebre si definisce in una gestualità strumentale inequivocabile: sulle ostinate scale discendenti in pizzicato degli archi il mesto corale cantabile degli ottoni e poi dei legni segna il progressivo spegnersi, quasi fisiologico, della musica lasciando alla fine risuonare, in pianissimo e morendo, l’accordo dei tromboni punteggiato dai colpi dei timpani.
Il secondo movimento, Allegro con grazia, ha la forma ternaria tipica dello Scherzo e si contraddistingue per il contrasto tra la parte principale e quella mediana. Nella prima parte domina l’elegante, malinconico tema di valzer in cinque tempi, enunciato dai violoncelli nel registro tenorile e quindi ripreso dai legni (l’intera sezione viene subito ripetuta). Il tema affidato agli archi e poi ai legni che lo proseguono sul pizzicato degli archi, torna successivamente agli archi stessi che ne estendono il respiro. La parte centrale, su un funereo pedale degli archi gravi e dei timpani, è costituita da un Trio tripartito. La melodia cantabile, condotta dagli archi con dolcezza e flebile, ha andamento disperatamente discendente; delle tre sezioni la prima e la seconda sono ripetute, la terza è la ripresa della prima. Nell’organica prosecuzione del Trio che avvia la riconduzione alla ripresa s’inseriscono motivi del tema di valzer ai legni e quindi anche agli archi. Seguono la ripetizione della prima parte e infine la coda. In un’atmosfera rarefatta e sospesa riaffiorano motivi della melodia del Trio (ai legni, ai violoncelli, al corno), e infine anche la testa del tema di valzer (ai violini I).
Il terzo movimento, Allegro molto vivace, è un rondò-sonata. L’Esposizione si apre con la prima idea tematica un leggerissimo e scintillante moto perpetuo di terzine staccate condotto da archi e fiati, dal quale emergono ben presto (agli oboi, ai tromboni e a trombe e corni) accenni al tema di marcia che costituisce la seconda idea tematica del movimento; la sovrapposizione delle due idee che percorre il movimento quasi da cima a fondo ha un che di straniato e inquietante. Si profila quindi un motivo discendente, marcato, che circola tra le famiglie dell’orchestra prima che i motivi di marcia diventino più insistenti agli ottoni, ai legni e ai timpani. Ed ecco la seconda idea: è un tema di marcia, delineato piano e leggermente dai clarinetti sul moto perpetuo che continua agli archi. Quando il tema viene ripreso dagli archi ha inizio un grande crescendo, dal quale nasce poi la breve sezione intermedia della seconda idea, con robuste strappate degli archi che si alternano a svolazzi dei legni sul pizzicato di viole e violoncelli, in cui il moto perpetuo delle terzine staccate è momentaneamente sospeso. Al termine dell’Esposizione ritorna il tema di marcia, suonato dai clarinetti e poi dagli archi. Una concisa riconduzione porta alla Ripresa variata della prima idea tematica. La sezione col motivo discendente, marcato, è ampliata rispetto a quanto abbiamo sentito nell’Esposizione e condotta in grandioso crescendo: su un rullo di timpani i motivi di marcia si gonfiano in una possente fanfara che culmina in una scarica di rapide scale ondeggianti, sempre fortissimo, distribuite tra gli archi e i legni. Nella ripresa della seconda idea il tema di marcia è suonato a piena orchestra. Anche la breve sezione intermedia della seconda idea, con gli ottoni in evidenza, viene espansa rispetto all’Esposizione: una sequenza melodica ascendente condotta dai violini I incrementa la tensione sino a un’ulteriore poderosa fanfara. L’epilogo del movimento comprende il trionfale ritorno del tema di marcia a piena orchestra, ora scandito anche da piatti e grancassa, e la coda, con apoteosi dei motivi di marcia, sempre fortissimo, in vertiginoso e parossistico crescendo.
Il Finale Adagio lamentoso – Andante ha la forma di un movimento di sonata senza Sviluppo, dove l’assenza di qualsiasi sviluppo possibile per i temi è emblematica di una condizione spirituale senza più prospettive. La contrapposizione con l’impeto trionfale del movimento precedente è crudele, persino imbarazzante. Apre l’Esposizione il primo tema (Adagio lamentoso), di straordinaria intensità emotiva. Il tono funebre è inequivocabile nel profilo discendente della melodia (inizialmente mascherata dagli incroci delle parti). Questo primo tema è ispirato alla liturgia ortodossa dei defunti («Requiem aeternam») e ha andamento molto flessibile e palpitante (in successione ravvicinata: largamente, affrettando, rallentando, Andante, Adagio poco meno che prima). Il tema condotto dagli archi, viene ripetuto e concluso in diminuendo dal fagotto. In tempo Andante risuona il secondo tema. Su un delicato accompagnamento dei corni, il tema di inconsolabile mestizia è cantato pianissimo con lentezza e devozione dagli archi.
Igor Markevich
Anche il secondo tema pare ispirato alla liturgia ortodossa dei defunti («Lux perpetua») e ha andamento molto flessibile (secondo la successione ripetuta poco animando, ritenuto, Tempo I). Il tema, che passa ben presto all’ottava superiore e al registro acuto dei violini, viene condotto in grande crescendo e si espande attraverso aggettanti frasi ascendenti, coinvolgendo poco a poco tutta l’orchestra, a cominciare dai tromboni, sino al fortissimo. Il crescendo è accompagnato nell’ultimo tratto da un’accelerazione, il tempo si fa Più mosso e quindi Vivace quando imperiose scale discendenti percorrono la tessitura orchestrale, culminando in una strappata. Dopo una pausa generale, l’epilogo
dell’esposizione che conduce alla ripresa (Andante) ripropone l’inciso iniziale del secondo tema, sottolineandone l’affinità con il primo.
Lungo la scala discendente dei violini la sonorità decresce gradualmente dal fortissimo al piano. Con l’indicazione di Adagio non tanto inizia la ripresa variata. Ritorna il primo tema poi esteso e amplificato a piena orchestra e condotto in grande crescendo sino a raggiungere, in tempo Moderato assai, il fortissimo sul quale risuona l’inciso iniziale del tema (incalzando poi ritenuto). Segue, di nuovo Andante, la perorazione della frase iniziale del primo tema, ancora in fortissimo; poi, sul fatale colpo di tam-tam, tromboni e tuba intonano una sorta di lugubre corale dalle allusioni metafisiche, connotato dal cromatismo discendente, che va spegnendosi nella sonorità dal piano al pianissimo e nell’andamento poco rallentando, sino al quasi adagio. L’ultima sezione del movimento (Andante giusto) assolve alla duplice funzione di ripresa del secondo tema e di coda. Sulle note dei contrabbassi e sullo sfondo degli accordi tenuti dei legni, gli archi disegnano la linea discendente del secondo tema, ormai privo di qualsiasi slancio o sussulto ascendente. Alle frasi dei violini, rispondono viole e violoncelli finché il tema sprofonda definitivamente sino al registro più grave dei violoncelli divisi, inabissandosi, con una sonorità che raggiunge un pianissimo e si dissolve nel silenzio, in profondità misteriose e senza scampo nelle quali viene poco a poco meno la pulsazione stessa della musica.