Donizetti Gaetano
Requiem
Registrazione eseguita nel 1980 e rimasterizzazione effettuata nel 1990. Audio molto mediocre. Per una composizione così bella, anche se poco conosciuta, in casa DECCA mi aspettavo molto di più, peccato!!
Donizetti
Requiem
Il 23 settembre 1835 Vincenzo Bellini, il più acclamato compositore italiano della sua generazione, moriva nei pressi di Parigi all’età di trentatré anni. Gaetano Donizetti, suo principale rivale (il più anziano Rossini aveva ormai accantonato la composizione operistica), ricevette la notizia il mese seguente a Napoli, ove egli aveva appena presentato per la prima volta (per l’esattezza tre giorni dopo il decesso di Bellini) la Lucia di Lammermoor.
Dall’animo sempre generoso, Donizetti rimase notevolmente addolorato dalla scomparsa del giovane collega, nonostante questi lo avesse regolarmente spregiato (fatto di cui Donizetti forse non si era neanche accorto) – ricordiamo, ad esempio che pochi mesi prima Bellini aveva tranquillamente espresso soddisfazione al fatto che delle loro due opere appena presentate al Théatre des Italians di Parigi, il Marino Faliero donizettiano era stato accolto con meno entusiasmo dei suoi Puritani.
All’epoca il progetto più urgente per Donizetti era la portata a termine della sua opera nuova, Belisario, destinata per Venezia; ma Giovanni Ricordi (editore suo però anche di Bellini) lo spinse a comporre immediatamente un brano in memoria del collega defunto: il breve Lamento in morte di V. Bellini (“Io ho molto a fare, ma un attestato d’amicizia al mio Bellini va avanti tutto”).
Come indica una lettera di Donizetti allo stesso Ricordi, a questa composizione seguì una commissione per un progetto più impegnativo, una Messa da Requiem, a Napoli: “Io stesso mi esibii di battere al Conservatorio la Messa (Peter Winter) per le esequie dello sventurato Bellini; ora mi si pregava di fare una Messa opposta, eppure vi acconsetii”.
Purtroppo le cose andarono diversamente: “Già io stesso mi era qui esibito perché alla Filarmonica si facesse cosa che attestasse il comune dolore…… La partenza di un istigatore lasciò la cosa sospesa!…… Dovea ora battere una Messa al Conservatorio, e di già l’avea cominciata, ma la esecuzione avendo luogo in dicembre mi impediva di dirigerla, e me ne doleva!…… Tutto ciò che io preparava era annullato dal destino……”.
La Messa rimase incompiuta, e probabilmente non venne neanche eseguita prima della morte di Donizetti.
Venne finalmente pubblicata e presentata nel 1870, nella basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo, nel cui coro Donizetti aveva cantato da bambino. Fu nuovamente eseguita cinque anni dopo, in occasione della traslazione della salma di Donizetti e del suo maestro, Simon Mayr, nonché per il centenario della nascita (1897) e della morte (1948); e in seguito alla seconda pubblicazione, verso la metà degli anni 1970, l’opera venne elevata al rango delle sue più importanti composizioni al di fuori del repertorio lirico.
È opportuno ricordare qui che il catalogo di opere religiose a firma di Donizetti è più copioso di quanto non venga generalmente riconosciuto – da studente egli dovette impadronirsi dell’arte della composizione liturgica, e molti suoi lavori del genere risalgono a questo periodo. Ma la sua carriera lo condusse per altri sentieri, e infatti per qualche tempo prima del Requiem in questione egli aveva concentrato le proprie forze compositive sul genere profano.
Dopo l’episodio del Requiem, però, egli diede sempre più spazio alla composizione religiosa, realizzando tre ulteriori revisioni della Messa da Requiem (compresa una per commemorare un altro collega, Nicolò Zingarelli, nel 1837).
Nel 1842 Donizetti fu accolto a Vienna con particolare cordialità
dall’imperatore d’Austria, il quale gli parlò con entusiasmo del coro della Cappella Imperiale, e il bergamasco decise di scrivere qualcosa per loro.
Mandò all’imperatore un’Ave Maria, calcolando forse che non era un’idea malvagia far capire a un imperatore che fra gli autori del genere teatrale esisteva anche un buon cristiano il quale, per giunta, riusciva a destreggiarsi in un altro campo – cioè nel genere sacro.
Il Requiem, in effetti, dimostra che lo stile particolare voluto da una composizione liturgica di grandi proporzioni, diverso sia nello spirito che nella tecnica da quello del teatro, faceva parte dell’arsenale donizettiano.
Arena di Verona
Detto questo, una sua lettera all’anziano maestro Mayr in cui parla di una delle sue revisioni del Requiem comprova l’atteggiamento di Donizetti, immancabilmente “teatrale”, di fronte alla composizione sacra: “Azzardai fare in Napoli una Messa da morto (ché l’anima mia era adatta per cosa tale). La si eseguì ed in tale occasione feci a mio capriccio, cioè, feci trasportare l’altare quasi in mezzo alla chiesa, ed il mezzo rotondo che rimane dietro l’altar maggiore lo feci coprir di strato nero sovra il quale non vedeasi che un’immensa croce d’oro dall’arco sino a terra. In tal guisa l’orchestra rimaneva dietro, ed il pubblico sentiva e non vedeva. La chiesa tutta in nero, la luce procurata da ceri soltanto, rendeva la funzione tristissima, ed era tolta così la distrazione nel pubblico di vedere chi suona e chi canta, ché per me nelle cose da morto amo assai questa religiosa tristezza”.
Mancano nel Requiem di Donizetti il Sanctus, il Benedictus e l’Agnus Dei (presumibilmente mai scritti), mentre l’In Memoria aeterna, da lui incluso, non viene sempre proposto nelle pagine delle dette versioni rivedute. L’orchestrazione originale dell’Introduzione purtroppo è andata perduta, quindi tale movimento non viene eseguito nella nostra interpretazione.
Il carattere solenne e monumentale della sequenza corale di apertura, le reca sin dalle prime battute gravità e dignità, e non mancano le pennellate di colore drammatico, tipicamente donizettiane, specialmente nell’angoscioso Kyrie e nel grafico e tempestoso Dies irae. Segue una serie di episodi che appartiene in prevalenza ai solisti, fra cui spicca l’intimo Ingemisco (tenore), con un caratteristico motivo “piangente” reso da violino e violoncello solisti.
Nel Preces meae, i solisti vengono accompagnati dagli ottoni.
Il Confutatis ripropone la temperie e il materiale del Dies irae, posti in netto contrasto alle suppliche umane delle parole “Voca me” e dell’assolo (basso) Oro supplex.
Ritroviamo nelle battute conclusive Donizetti il “pittore”, che impiega per pannello dapprima la voce umana, nelle incostanti armonie di “Quando coeli movendi sunt et terra”, poi gli archi in tremolo nel passaggio di “Tremens factus sum ego”.
Georg Hall
(Traduzione DECCA 1992)