Dvorak Antonin

Sinfonie – Poemi sinfonici – Ouvertures – Requiem

Fra i due “apostoli” storici della musica di Dvorak, István Kertész e Rafael Kubelik, che ne hanno inciso il ciclo sinfonico rispettivamente con la London Symphony e con i Berliner, la scelta è praticamente impossibile: entrambe le integrali sono perfettamente riuscite e, da punti di vista differenti e complementari, rispecchiano al meglio lo spirito del compositore. Si può semmai cercare di comprendere in cosa risieda la differenza: a parte il dato esteriore dei ritornelli nei brani in forma sonata, che Kertész di solito osserva e Kubelik no, si può dire in estrema sintesi che quest’ultimo applichi soprattutto la poetica dei contrasti e il primo quella delle sfumature; che nel boemo troviamo accentuate contrapposizioni di tempi e di atmosfere e nell’ungherese prevalga piuttosto il senso del respiro e dell’organicità, dell’interagire dei temi e del loro graduale evolversi come veri e propri esseri viventi.

Il senso di evoluzione può del resto essere visto proprio come il dato-artistico ed etico più essenziale della parabola dvorakiana nel suo complesso, dalle “Campane di Zlonice” al “Nuovo mondo”: certo tutti gli artisti si evolvono, ma qui siamo di fronte all’avventura veramente esemplare di un compositore che non era nato “baciato dagli dèi” e al quale, sinfonia dopo sinfonia, a forza di impegno e di autocritica, vediamo conquistare gradualmente gli obiettivi della brillantezza di scrittura e della concisione formale.

Le prime sinfonie, leggermente prolisse e di colore prevalentemente scuro, fanno pensare a una sorta di fratello “naïf” di Bruckner; poi l’asse si sposta gradualmente verso la zona d’influenza brahmsiana, ferma restando la costante dell’interesse verso il patrimonio folkloristico: interesse che anzi si evolverà a sua volta, non solo integrandosi in modo sempre più armonico nella sostanza e nelle strutture stesse delle composizioni (emblematico in tal senso un capolavoro come l’Ottava, tanto rapsodico quanto solido e coerente), ma anche estendendosi dall’area mitteleuropea a quella americana.

István Kertész

Rispetto a quello notissimo della collana London, il nuovo box della Collector’s Edition presenta il vantaggio della maggior completezza, in quanto all’integrale delle nove sinfonie si aggiungono il grandioso Requiem (una delle composizioni più monumentali del repertorio sacro tardo-ottocentesco, peraltro essa pure saldamente radicata nel folklore slavo) e la quasi-integrale delle composizioni sinfoniche brevi.

Abbiamo in particolare: le tre ouvertures del “ciclo della vita” (Nel regno della Natura, Carnevale, Otello), espressione dell’ultimo filone sinfonico del compositore; l’ouverture Hussitká, basata su quel “corale di Hus” che è stato anche fra i principali spunti germinali de La mia Patria di Smetana; l’ouverture La mia terra; tre poemi sinfonici dalle ballate fiabesche di Karl Jaromir Erben (L’arcolaio d’oro, La strega di mezzodì, Lo spirito delle acque); la serenata per fiati in re minore; l’ampio e screziato Scherzo capriccioso e soprattutto, le Variazioni sinfoniche op. 78, sul motivo della canzone “Non sono che un povero violinista”: un tema modulante che l’autore aveva affrontato per scommessa con gli amici perché pareva quanto di meno idoneo ad essere variato, e da cui invece venne fuori un autentico capolavoro, dove rigore elaborativo, freschezza popolaresca e brillantezza timbrica si coniugano al meglio, fra echi delle danze slave e delle sinfonie (per esempio, in una delle prime variazioni incontriamo il tema del finale della sesta sinfonia, che peraltro proviene dall’Humoreske di Schumann).
Proprio per la generosità del palinsesto, finiscono per farsi notare le poche ma dolorose assenze: la Suite cèca, i Valzer di Praga, l’ulteriore poema “erbeniano” La colomba selvatica, e soprattutto quell’impagabile capolavoro di freschezza che è la Serenata per archi in mi maggiore. Si tratta, in ogni caso, di lacune agevolmente colmabili, malgrado le quali (e malgrado il permanere della fastidiosa “spezzatura” di alcune sinfonie fra due CD) l’album è e rimane un riferimento assoluto e imprescindibile nella discografia dvorakiana. Imperdibile!!