Elgar Edward

Composizioni varie

Ho conosciuto le sinfonie di Elgar molto presto e le adoro, ma solo molto più tardi ho ascoltato “In the South”. Col passare del tempo, dopo aver ascoltato altre incisioni, continuo a pensare che la versione di Giuseppe Sinopoli con la Philharmonia Orchestra sia la più convincente ed emozionante. Non capisco perché queste partiture veramente belle non vengano suonate più spesso. Registrazioni eseguite dal 1988 al 1990. L’audio in DDD è ottimo!

Sinfonia n. 1 in la bemolle maggiore, op. 55

La comparsa della bicicletta avvenne intorno agli anni ’60 dell’Ottocento e generò un clamore molto superiore rispetto a quello che accompagnò l’apparizione dell’automobile. Poter andare a sostenute velocità senza l’ausilio del traino animale e la relativa piccolezza del mezzo che favoriva un contatto quasi diretto con il terreno, davano un senso di indipendenza e modernità ampiamente registrato dai giornali dell’epoca. Molti articoli sottolineavano anche la pericolosità di questo oggetto: una caduta poteva avere postumi molto pericolosi o addirittura mortali. La bicicletta era dunque un mezzo per uomini liberi, moderni e coraggiosi. Edward Elgar (1857-1934) ne fu grande appassionato fin dalla più tenera età: già a cinque anni la usava per perlustrare i dintorni del suo villaggio natale, Broadheath, nella contea inglese del Worcestershire.
In queste sue passeggiate egli portava spesso con sé qualche spartito. Ne poteva trovare molti nel negozio che il padre, accordatore di pianotorte e commerciante di musica, possedeva nella via principale di Worcester. La propensione per la musica e la possibilità di avere a disposizione strumenti e partiture, fece di Elgar un musicista completo, fondamentalmente autodidatta. Il suo amore per la natura (ebbe a dire che «c’è musica nell’aria, musica attorno a noi, il mondo ne è pieno e puoi semplicemente prendere quella che ti serve») ricorda quello di Beethoven o di Brahms e ci conferma l’essenza romantica delle sue emozioni, essenza a cui potè rimanere tedele anche a Novecento inoltrato, vista l’estraneità del mondo culturale inglese a certa avanguardia continentale.
Trasferitosi a Londra nel 1889 dopo il matrimonio con Caroline Alice Roberts, Elgar cominciò a comporre con serietà ma il successo non arrivò subito. Dopo aver scritto lavori per alcuni grandi festival corali che si svolgevano nelle Midlands, solo nel 1899, a quarantadue anni, ottenne un grande successo con Enigma Variations, lavoro per orchestra eseguito per la prima volta a Londra sotto la direzione di Hans Richter, direttore allora celebre. Fra il 1902 e il 1914 la fama di Elgar andò sempre crescendo. Si recò ben quattro volte negli Stati Uniti e guadagnò somme considerevoli grazie all’esecuzione delle proprie musiche. In particolare, la Sinfonia n. 1, composta nel 1908, ebbe ben cento rappresentazioni nel solo primo anno di vita.
Elgar aveva progettato per molti anni la composizione di una Sinfonia. Al 1898 risale la volontà di realizzare un’opera, da connettere idealmente alla Sinfonia “Eroica” di Beethoven, che celebrasse il Generale Charles George Gordon, eroe del colonialismo inglese. Molti anni, però, passarono senza che venisse dato seguito a questo intento. Il compositore sentì con sicurezza di poter affrontare l’arduo compito di scrivere una Sinfonia solo nel 1908. Il primo movimento fu completato a Roma (Elgar vi si era recato nell’inverno del 1908), gli altri furono terminati in Inghilterra.
L’idea di celebrare Gordon era stata abbandonata già nel 1905. Lo studio della Sinfonia n. 3 di Brahms rafforzò Elgar nella convinzione che i valori di questo genere compositivo risiedessero nella purezza delle forme e nell’astrattezza delle soluzioni musicali, in una sorta di assoluto sonoro privo di connessioni con un programma o con altre motivazioni descrittive. L’apertura del primo movimento, Andante (Elgar vi prescrive “nobilmente e semplice”) possiede una solennità astratta, incorporea, che probabilmente conferma l’intenzione del compositore di voler conquistare una dimensione insolita per la grandiosità sinfonica, dimensione in cui sembrano fondersi andamento marcante e lirica contemplazione. Tale apertura risente innegabilmente dell’esperienza di Elgar nella composizione per coro; è reperibile, infatti, anche un’atmosfera sacrale nell’andamento di questo Andante introduttivo (il tema, in fondo, ricorda un corale). Il brano prosegue con un Allegro nel quale l’influenza di Brahms, seppur resa in modo assai personale, è presente. La ricorda soprattutto l’elaborazione tematica, talvolta vivacissima e serrata, in Elgar modernamente interpretata anche da cambi di misura, il tutto all’interno della forma-sonata di ascendenza classica (esposizione con due temi principali, sviluppo e ricapitolazione). Il movimento origina una miscela sonora avvincente, con momenti di vera delizia timbrica, come nella quieta chiusa.
Il brano seguente, Allegro molto, non fu da Elgar titolato “Scherzo”, forse perché rimane in parte estraneo ai canoni dello Scherzo classico; tuttavia, gli assomiglia molto. Il suo andamento dinamico e a tratti sinistro, esalta le grandi capacità d’orchestratore di Elgar, la sua attitudine al moto appassionato e alle combinazioni ritmiche travolgenti. Una sorta di “Trio”, dal carattere diafano e pacatamente bucolico, si inserisce nel centro del brano. La ripresa della parte iniziale si combina poi col materiale di quella centrale, elemento che va a configurarsi come una novità rispetto alle caratteristiche dello Scherzo classico.
L’Andante e Allegro iniziali, insieme a questo Allegro molto, sono buoni esempi della grande fantasia di Elgar nella costruzione dei temi; per caratterizzarli all’interno di uno scoppiettante virtuosismo orchestrale, egli utilizza un tocco di asimmetria, talvolta applicato alla coda del tema talaltra giocato su un piano più ampio di esso.
L’Allegro molto sfocia senza pausa nel grande Adagio realizzando una connessione tra queste due parti della Sinfonia: creare tale continuità era un elemento di modernità espressiva per l’epoca e significava vincere i confini dei diversi movimenti per raggiungere una coerenza della partitura a livello superiore rispetto a quella del singolo brano. In ogni modo, questo Adagio contrasta con i movimenti precedenti per l’andamento tranquillo e la distesa cantabilltà. L’Idea principale è pensosa, meditativa, sostenuta da un’orchestra ricchissima di sfumature.
Un incedere meditativo caratterizza anche l’inizio del Finale, nel quale ricompare il tema d’apertura della Sinfonia. L’indicazione di tempo si muta poi in Allegro, il ritmo e il tema del quale richiamano sempre le fattezze del primo movimento.

Giuseppe Sinopoli

In fondo, il Finale rappresenta un’enorme variazione del primo brano e in esso vengono esaltate caratteristiche già presenti in quello, soprattutto l’assenza di una definita direzionalità tematica, un elemento intorno al quale ruotava l’interesse della modernità musicale anche nell’Europa continentale.
Non potendosi sempre trovare nel tema l’intera sintesi espressiva del movimento, Elgar carpisce l’attenzione dell’ascoltatore immergendolo in un flusso serrato, quasi travolgendolo di suono. In ogni modo, i temi, anche se privi di netti confini, sono riconoscibili. Questo permette al compositore di applicare alla Sinfonia n. 1 un principio ciclico che gioca sul ritorno variato delle idee tematiche e nel contempo, legando strettamente movimento iniziale e finale, di costruire una partitura “ad arco” nella quale la musica non è più la rappresentazione di un percorso lineare, narrativo, ma lo specchio di una struttura a cerchi concentrici nella quale il tempo drammatico è come sospeso; un strategia tipica di molta musica scritta nella prima metà del Novecento.
Elgar ha una personalità sintetica e sensibile: nella sua musica l’afflato romantico all’infinito si combina con la forma ciclica e con quella ad arco, nonché con il gusto di certi andamenti in stile antico che in ambiente italiano e francese si configuravano nei primi anni del Novecento come ritorni a un passato puro, antisentimentale. Inoltre, la stupenda variazione ritmica finale nella quale ritorna il tema principale, ci testimonia quanto Elgar, oltre al già detto, fosse anche un fine comunicatore, attento a fuggire soluzioni orchestrali troppo ermetiche.

Sinfonia n. 2 in mi bemolle maggiore, op. 63

Si sa che per quasi tutto l’arco dell’era vittoriana la Gran Bretagna e l’Irlanda, musicalmente parlando, vivono all’ombra della produzione straniera, soprattutto tedesca e italiana. Soltanto verso il 1880 si delinea un movimento per la rinascita della musica inglese, che fa capo alle antiche Università di Oxford e Cambridge, centri culturali di altissimo prestigio, e all’attività coraggiosa di due compositori, Charles Hubert Parry (1848-1918) e Charles Villiers Stanford (1852-1924), influenzati in parte l’uno e l’altro dai capolavori wagneriani e brahmsiani. È stato il musicologo inglese Edward J. Dent ad indicare come data della rinascita della musica britannica l’esecuzione nel 1880 del Prometheus Unbound (Prometeo liberato) di Parry su testo omonimo del poeta Shelley, in cui si avverte un richiamo alle musiche del periodo elisabettiano. Certamente il rinnovato interesse per il passato patrimonio musicale, soprattutto di Purcell, e lo studio della canzone popolare inglese, irlandese, scozzese e gallese furono le premesse per la ricerca e la definizione di un linguaggio nazionale da parte di vari musicisti insulari. Ma questa operazione avvenne per gradi e faticosamente e vide emergere in prima linea fra i tanti compositori, a cavallo fra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, Edward Elgar e Frederick Delius (1862-1934), le due figure di maggiore risonanza internazionale e predecessori di nomi ben più famosi e di epoca successiva, come Michael Tippett, Ralph Vaughan Williams e il grande Benjamin Britten.

Edward Elgar

Elgar è considerato un pioniere di questo movimento di rinascita della musica inglese, anche se il suo stile è abbastanza eclettico e attinge al linguaggio sinfonico tardoromantico di derivazione tedesca, di cui accetta la struttura formale e la minuziosa elaborazione tematica. Insofferente di studi regolari, Elgar si distinse per la sua attività di organista nella chiesa di St. George a Worcester e come compositore emerse lentamente, guadagnando esperienza e notorietà con i lavori corali scritti per il Three Choirs Festival, nei quali si avverte la presenza di certe caratteristiche armoniche e vocali derivanti dalla musica sacra anglicana. La sua produzione comprende diversi titoli nel campo dell’oratorio e della musica sinfonica, cameristica e per la scena, ma di lui si ricordano, almeno da noi, le Variazioni su un tema originale (Enigma) op. 36, che gli diedero nel 1899 notevole fama, l’Introduzione e Allegro per archi con quartetto solista op. 47, di elegante fattura, e l’oratorio The Dream of Gerontius (Il sogno di Geronzio) op. 38, eseguito per la prima volta in Italia il 25 settembre 1958 alla Sagra Musicale Umbra sotto la direzione d’orchestra di John Barbirolli. Egli scrisse due sinfonie: la prima op. 55 nel 1908 e la seconda op. 63 nel 1910, la cui prima esecuzione ebbe luogo il 23 maggio 1911 al Queen’s Hall di Londra. Quest’ultima Sinfonia in mi bemolle maggiore sulla partitura reca la dedica alla memoria del re Edoardo VII, rispecchiando quel senso di nobile e cordiale romanticismo, caratteristico della Edwardian Age.
La Sinfonia n. 2 è di ampie proporzioni e prevede un organico orchestrale formato da 2 flauti, ottavino, 2 oboi, corno inglese, tre clarinetti e clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, tuba, 3 timpani, tamburo piccolo, grancassa, piatti, 2 arpe e archi. Lo stesso Elgar, per spiegare quale sia nelle linee generali il clima psicologico da cui è nato questo componimento, ha segnato come motto nella prima pagina della sinfonia questi versi di Shelley: “Rarely, rarely, comest thou, Spirit of Delight!” (Giungi inaspettatamente, spirito della gioia!) e un clima festoso e di estroversa sensibilità si avverte nell’Allegro vivace del primo tempo, di robusta tensione orchestrale nel rapporto tra archi e fiati. Non mancano momenti di delicato abbandono espressi con morbidi fraseggi strumentali, quasi a ricordare una felicità scomparsa. Ma si riaffaccia il tema fondamentale vagamente straussiano e il discorso riprende il suo ritmo ansioso e spezzato, in una mutazione di tempi allargati e accelerati. Il Larghetto del secondo movimento ha un tono elegiaco e abbastanza appassionato con quel tema degli archi a largo respiro, sorretto e potenziato dall’intervento dei fiati. Elgar in una lettera del 13 aprile 1911 al suo amico Alfred H. Littleton, in cui parla di questa sinfonia, sostiene che il Larghetto non va inteso come una marcia funebre, ma come una triste riflessione sulla fine di un personaggio dai nobili sentimenti umani. Di ottimo effetto espressivo l’impasto tra gli archi in pianissimo e i legni a chiusura del secondo tempo, forse il migliore dell’intera sinfonia. Il terzo tempo è un Rondò dalle spigliate ed effervescenti sonorità, tanto che lo stesso Elgar, nella già citata lettera, dice di aver voluto rievocare in questo movimento il gioioso ritmo della folla a piazza San Marco a Venezia, da lui visitata nel giugno 1909. Ad un certo punto l’orchestra canta a pieni polmoni e la melodia degli archi si intreccia fittamente con il chiacchierio degli altri strumenti. Il tempo conclusivo (Moderato e maestoso) ha un andamento brahmsiano e si snoda con solenne e possente quadratura contrappuntistica, in una esaltante e travolgente fanfara di suoni, secondo la più schietta osservanza delle regole del sinfonismo germanico, rinforzate dall’originale esperienza wagneriana.

In the South (Alassio), op. 50

L’Inghilterra riprende ora il suo posto antico, dopo un intervallo di due secoli, come nazione musicalmente produttiva. Sir Edward Elgar, il cui genio […] ha raggiunto una tecnica rifinita con lo studio e col trarre buone occasioni dalla pratica, […] crea musica che è tanto tipicamente inglese quanto è tipica una casa di campagna con scuderia nello Shropshire. Non pongo qui la questione se sia buona musica […]. Per me il punto è che, se si ami o no, essa è l’espressione caratteristica di un certo tipo di educazione inglese, ed eccellente educazione quanto a questo. Prima che arrivasse Elgar, in Inghilterra non esisteva nulla del genere sul piano sinfonico. Bisognava andare indietro fino a Purcell».
L’alto elogio, arguto come al solito, è di G. B. Shaw convinto ammiratore di Elgar. In che senso la Englishness è un dato così esplicito nella musica di Elgar? Se una nazione ha caratteri propri e distintivi come li ha (o li ha avuti) l’inglese, diciamo l’alto stile sociale, la cura delle forme accanto al senso pratico, l’attenzione schietta ma ben controllata per le altre culture, l’umorismo, – se è così, nessun musicista inglese tra l’Otto e il Novecento esprime la Englishness come Elgar. È questo un riconoscimento che, diventato un luogo comune, non gli ha giovato. Ma Elgar ne era orgoglioso, a buon diritto: perché, per fare ora noi qualche esempio su aspetti che ci sono utili, lui venerava il sinfonismo tedesco, ne conosceva e praticava i procedimenti costruttivi, teneva alta la tradizione della musica corale e da oratorio e, infine, molto amava l’arte italiana e i soggiorni, anche prolungati, in Italia. Tutto da autentico gentiluomo inglese colto, sicuro del proprio patrimonio intellettuale e discreto. Perfino in qualche segnale minimo. Ho detto che la sua è musica “inglese”, sì, ma che appartiene all’area del tardo romanticismo tedesco: tuttavia la particolarità di stile si riconosce anche da un dato minimo, da un’indicazione di espressione diventata famosa, nobilmente, che Elgar distribuisce nelle sue partiture, non per sollecitare l’enfasi ma, al contrario, per chiedere cura e ritegno. Ancora oggi la musica di Elgar è chiamata, con affettuoso rispetto, “the nobilmente music”.

Giuseppe Sinopoli

Di ciò sono prova i suoi lavori celebri, l’oratorio The Dream of Gerontius, le Variations on an Original Theme for Orchestra (le cosiddette Enigma Variations), capolavoro di sapienza costruttiva, di ritrattistica musicale, di severità e di umorismo, le irresistibili cinque marce intitolate Pomp and Circumstance (da sempre familiari a tutti, come una specie di sua “‘tessera inglese di riconoscimento”), e infine il poema sinfonico In the South, composto in Italia, ad Alassio, nell’inverno 1903-04, che è un festoso omaggio all’Italia, più coerente e maturo di Aus Italien di Richard Strauss (musicista, sì, di statura incomparabilmente maggiore, come ben sapeva anche Elgar, suo ammiratore ed amico). Un festoso omaggio all’Italia, al calore della vita e della luce nel sud, al chiasso, e anche al grande passato storico dell’Italia. Paesaggio e storia sono, infatti, il contenuto ideale del poema, come si capisce dalle due citazioni da Tennyson («…un paese che fu il più forte nella sua antica potenza, ed è il più adorabile… ») e da Byron («… Gli uomini di Roma! Tu sei il giardino del mondo …»), scritte da Elgar in capo alla partitura.
In the South si inizia con uno scattante slancio “straussiano” di tutta l’orchestra (mi bemolle maggiore), con uno dei temi entusiasti che corrono nella prima parte del poema. Questa agitata emozione si espande poi in un secondo motivo, nobilmente, di robusto pathos (oboi, arpa, archi). Quindi, nella profusione dell’invenzione tematica, nella variabilità dei colori sonori, ora smaglianti ora densi, e, detto in termini musicali, nella prontezza delle modulazioni anche a
toni distanti (da do minore, a fa maggiore) percepiamo lo stupore dello sguardo («… le palme, gli aranci in fiore, gli olivi, il granturco, le vigne …» nei versi di Tennyson), l’intensità delle esperienze psicologiche, il fervore dei pensieri, l’abbandono tranquillo, il raccoglimento.
E nel raccoglimento sorge il ricordo della grandezza imperiale di Roma. Elgar apparteneva all’alta cultura inglese per la quale la bellezza del paesaggio italiano era tutt’uno con l’idea dell’antichità classica. Sull’unione ideale di presente e di passato è costruita la maestosa celebrazione degli edifici e delle rovine antiche. Non è musica da Feste romane, sebbene neanche qui sia assente una traccia di buona retorica descrittiva.
La vigorosa elaborazione formale dell’episodio “classico” si dissolve nella quiete serena del presente. Una romantica melodia notturna, affidata alla viola (omaggio all’Harold en Italie di Berlioz), ripresa dai corni e poi ancora dalla viola, accompagna la meditazione fino al momento in cui la vitalità diurna, la luce del paesaggio, i suoni tornano a dominare. Lo sviluppo di tutti i temi della prima parte, Molto Allegro, conclude il poema.