Holst Gustav
The Planets
Questi “Pianeti” di Holst diretti da Karajan sono entrati a buon diritto fra i pilastri della immensa discografia del grande direttore austriaco, oltre che degli “Originals” della Decca: i Wiener Philharmoniker, qui particolarmente brillanti, colgono intelligentemente non solo lo spirito descrittivo della composizione, ma rendono anche giustizia allo stile di Holst, così ricco di motivi tradizionali inglesi che talora ricordano i momenti più felici di Elgar e Vaughan Williams. Su tutti, spiccano senza dubbio Marte (con gli incessanti e bellicosi pizzicati), la leggerezza eterea di Mercurio, la grandezza di Giove ed il misticismo di Nettuno (che vede il Coro dell’Opera di Vienna in una prestazione superba). Quest’incisione degli anni Sessanta è preferibile a quella che vide Karajan sul podio dei Berliner negli anni Ottanta (Deutsche Grammophon) per almeno due motivi: innanzitutto per i tempi serrati e il piglio frizzante del giovane Karajan (nell’incisione DG i tempi sono più lenti e meditativi, e talvolta tradiscono le partiture, come in molte incisioni dell’ultimo Karajan); in secondo luogo perché, abbinato ai “Pianeti”, troviamo un magnifico “Don Juan” di Richard Strauss, espressivo, dall’attacco spontaneo e naturale, probabilmente nella migliore interpretazione del direttore salisburghese per me superiore alla versione con i Berliner Philharmoniker. Registrazione eseguita nel 1962. Audio eccezionale. Imperdibile!!
Herbert von Karajan
Marte, il portatore di guerra – Venere, la portatrice di pace – Mercurio il messaggero alato – Giove, il portatore di gaiezza – Saturno, – Il portatore di vecchiaia – Urano, – Il mago – Nettuno – Il mistico
I Pianeti di Gustav Holst sono sopravvissuti alle critiche eccessive e al feedback del pubblico, spesso inseriti nella categoria “musica per Hollywood”. Questa composizione di un autore quasi dimenticato è splendida e Herbert von Karajan con la Berliner Philharmoniker Orchestra e il Coro da camera R.I.A.S. svela molte delle ragioni per cui questo lavoro è ancora attuale. Visto che ancora una volta abbiamo astronauti che navigano nello spazio la descrizione dei pianeti di Holst in termini musicali assume un significato speciale. Forse quest’immediatezza unisce le immagini che riceviamo dai satelliti e rende i vari pianeti più reali. Karajan ha creato immagini personali di ogni pianeta e per tale motivo questa registrazione è ancora più splendida, alzando il livello dell’interpretazione e dell’impatto emotivo rendendo giustizia a questa bellissima partitura. L’orchestra risponde con uguale vigore ed eloquenza eterea in base al movimento. Anche se esistono molte registrazioni eccellenti di questa suite, per un novellino questa registrazione può essere un punto di partenza. Per un collezionista più esperto questa incisione è d’obbligo per l’emozionante
esibizione dell’orchestra e per l’interpretazione carismatica di Karajan. Registrazione in DDD eseguita nel 1981Altamente raccomandato.
I pianeti di Anthony Burton
I Pianeti occupano nella produzione di Holst un posto simile a quello che occupa La Sagra della primavera nella produzione di Stravinski. Entrambi i lavori sono basati su un’idea extramusicale semplice ed elementare. Entrambi hanno raggiunto una popolarità così vasta – I Pianeti quasi dall’inizio, La Sagra più gradualmente – da eclissare molte altre opere non meno meritevoli dei loro rispettivi compositori.
Entrambi (benché abbozzati in una versione pratica per due pianisti) sono orchestrati per una grande orchestra, adoperata non solo per la potenza delle sue forze combinate, ma anche come tavolozza di timbri apparentemente illimitata. Ciascuno dei due lavori segna il punto estremo al quale il suo compositore portò il suo particolare tipo di linguaggio musicale tardoromantico prima di ricominciare da capo su una via più austera.
E ognuno di essi, pur contenendo alcuni sguardi all’indietro dal punto di vista stilistico, contiene anche i semi dello sviluppo futuro del relativo compositore. Holst cominciò a lavorare a I Pianeti, di fatto, nella primavera del 1914, un anno soltanto dopo la prima esecuzione, avvenuta a Parigi, della Sagra della primavera; completò l’orchestrazione nel 1917.
È improbabile che a quell’epoca conoscesse la Sagra, ma conosceva altri lavori di Stravinski; ed era anche stato colpito, come ci racconta sua figlia Imogen nel suo studio della musica del padre, dai Cinque pezzi per orchestra di Schoenberg, eseguiti per la prima volta a Londra nel 1912, sotto la direzione di Henry Wood.
Queste influenze d’avanguardia erano state assorbite in un idioma che aveva le sue radici in Wagner, ma che poi era stato profondamente influenzato dal canto piano, dalla polifonia del Cinquecento e soprattutto dalla scoperta rivelatrice, avvenuta nei primi anni del secolo, delle ricchezze della canzone popolare inglese.
Un’altra importante influenza sulla musica di Holst fu il suo interesse per la musica orientale, ed esso lo condusse, anche per istigazione di un suo amico, lo scrittore Clifford Bax, allo studio dell’antica arte dell’astrologia.
Non c’è dubbio che egli la prese seriamente, e Bax scrisse che “divenne un abile lettore di oroscopi”. Ma una frase che compare, scritta nel 1914, citata da Imogen Holst, è significativa: “Come regola – scrive Holst – studio soltanto le cose che mi suggeriscono musica”.
Il significato principale dell’astrologia, per Holst, era che l’idea astrologica delle diverse qualità conferite dai diversi pianeti gli suggeriva – in un momento in cui trovava difficile la composizione su larga scala – lo schema per una estesa suite
orchestrale.
La Suite ha una forma tale da fornire il massimo contrasto fra movimenti adiacenti e una progressione globale soddisfacente, seppure non convenzionale. Marte e Venere sono una coppia complementare nell’astrologia, come nella mitologia classica: stranamente la versione terrificante della guerra di Holst, con i suoi ritmi inesorabili in 5/4 e 5/2, e la sua visione consolante della pace, furono composte rispettivamente prima e dopo l’inizio della prima guerra mondiale.
Mercurio e Jupiter (Giove) sono una coppia di scherzi il cui contrasto reciproco è altrettanto ben riuscito.
Herbert von Karajan
Mercurio, l’ultimo movimento scritto, sovrappone diverse tonalità e metri e fa uso di un colore orchestrale caleidoscopico per suggerire una velocità di pensiero pari all’argento vivo; Jupiter, il movimento più convenzionale e quello più chiaramente inglese, è deliberatamente pesante e schietto.
Saturno, il pezzo preferito di Holst fra tutti e sette, presenta le identificabili reazioni umane di fronte all’avanzare inesorabile della vecchiaia. Urano è più simile al ritratto di un personaggio individuale, un vecchio mago eccentrico e maldestro, che alla fine però porta a termine un incantesimo riuscito.
Questo momento di magia prepara la strada per Nettuno, che, con la sua battuta fluttuante in 5/4 e il suo coro nascosto di voci femminili, trascende i personaggi individuali e le emozioni umane, per terminare I Pianeti in una mistica contemplazione del tempo e dello spazio infiniti.
Anthony Burton (Traduzione: Silvia Gaddini)