Liszt Franz
Annees de Pèlerinage
Siamo di fronte all’interpretazione più convincente dell’integrale degli Anni di pellegrinaggio di Liszt. Anche se l’incisione è datata 1977, è secondo me bellissima! Il pianista russo, che poi divenne cittadino italiano, Lazar Berman è bravissimo in queste composizioni riuscendo ad “addomesticare” anche le non facili composizioni della terza parte di questa raccolta che rappresenta certamente uno dei capisaldi tra le varie composizioni per pianoforte di Franz Liszt. Peccato che Sviatoslav Richter non abbia mai registrato per intero queste composizioni poiché ricordo una sua interpretazione magistrale di Vallée d’Obermann, pezzo contenuto nel primo anno dedicato alla Svizzera. Il virtuosismo e la tecnica accurata di Berman “illuminano” questi spartiti per pianoforte restituendoci il loro originario vigore. Conosco parzialmente l’interpretazione più recente, ma comunque non completa, di Alfred Brendel ma secondo il mio modesto pare questa pubblicazione non teme raffronti ed è altamente consigliata per chi ami la musica romantica per pianoforte. Registrazione eseguita nel 1977 e rimasterizzazione effettuata nel 2002.
Primo anno – La svizzera
La prima delle raccolte pianistiche edite da Liszt sotto il nome di Années de Pèlerinage venne pubblicata nel 1855; ma per risalire all’origine dei brani di questa raccolta occorre tornare indietro di un ventennio nella tumultuosa biografia del compositore. È nel maggio del 1835 che Liszt, ventiquattrenne e già acclamato come sommo pianista della sua epoca, dopo aver dimorato per dodici anni a Parigi, abbandona la capitale francese alla volta della Svizzera, insieme alla contessa Marie d’Agoult, la donna che, fuggendo dal marito, accettava pubblicamente lo scandalo della relazione con l’artista; Blandine, la prima dei tre figli della coppia, sarebbe nata sette mesi più tardi, in dicembre. Franz e Marie vissero in quiete idilliaca prevalentemente a Ginevra fino al dicembre 1837, quando fecero ritorno a Parigi per sfidare (e sconfiggere) l’astro nascente di Sigismund Thalberg. Nella primavera seguente la coppia decise di trasferirsi in Italia, dove sarebbe rimasta fino al dicembre 1839; vagando da Bellagio a Como (dove nel dicembre 1837 nacque la secondogenita Cosima), a Venezia, Genova, Lugano, Modena, Firenze, Roma (dove nacque invece, nel maggio 1839, il terzogenito Daniel), Lucca, San Rossore, e ancora Firenze. La ripresa, da parte del pianista, di una intensissima vita concertistica attraverso l’Europa avrebbe poi minato le basi della relazione, destinata a sciogliersi nel 1844.
I lunghi soggiorni in Svizzera e in Italia dovevano sollecitare liszt a tradurre in musica le impressioni di viaggio. Ecco dunque che nel 1842 il compositore diede alle stampe una raccolta intitolata Album d’un vayageur, e formata di diciannove pezzi pianistici quasi tutti connessi con il soggiorno svizzero. Il soggiorno italiano, invece, non ebbe come esito, in un primo momento, una raccolta omogenea, ma una pluralità di brani a sé stanti, alcuni dei quali pubblicati negli anni seguenti. Come tutte le principali composizioni pianistiche degli anni giovanili, anche le pagine svizzere e italiane dovevano poi essere sottoposte a una attenta cernita e revisione nel corso degli anni trascorsi da Liszt a Weimar (1848-61) alla guida del locale teatro; è il periodo della piena maturità del compositore, che mette da parte l’impegno di pianista militante e si dedica alla composizione orchestrale (nascono dodici poemi sinfonici e due Sinfonie a programma, dedicate a Faust e a Dante) e all’incarico, diremmo oggi, di direzione artistica, che viene messo al servizio di tutte le componenti più avanguardistiche della musica europea, Berlioz e Wagner in prima linea.
Secondo anno – L’Italia
Marie D’Agould
Lo stile pianistico lisztiano è presente nella sua ampiezza e ricchezza timbrica e ritmica nella poderosa (più di 50 minuti di musica) raccolta delle Années de pèlerinage dedicata all’Italia e composta durante i viaggi compiuti nel nostro paese dall’autore tra il 1838 e il 1839.
Il primo brano “Sposalizio” vuole essere una libera rievocazione delle impressioni provate alla vista della celebre tela di Raffaello sulle nozze tra Maria e Giuseppe che si trova nel museo di Brera a Milano. Liszt costruisce una tessitura sonora quanto mai dolce e di intonazione religiosa, nel solenne cadenzare degli accordi tesi verso una trasfigurazione quasi mistica, come un antico canto chiesastico. Il pezzo successivo “Il Pensieroso” è ispirato alla statua scolpita da Michelangelo per la tomba di Lorenzo e Giuliano dei Medici a Firenze, nella chiesa di San Lorenzo. È un tema di marcia funebre che si ripete in forma ossessiva, tenendo presente la quartina scritta dallo stesso Michelangelo, che dice: “Caro m’è il sonno, e più l’essere di sasso / Mentre che’l danno e la vergogna dura. / Non veder, non sentir m’è gran ventura; / Però non mi destar, deh! parla basso!”. La “Canzonetta del Salvator Rosa” è una marcia scherzosa, su una trascrizione pianistica di una melodia attribuita al pittore barocco Salvator Rosa, ma probabilmente di Giovanni Battista Bononcini (1670-1747).
I versi della canzoncina dicono: “Vado ben spesso cangiando loco / Ma non si mai cangiar desio / Sempre l’istesso sarà il mio foco / E sarò sempre l’istesso anch’io”. Seguono tre Lieder o romanze senza parole, che si richiamano a tre sonetti di Francesco Petrarca, scritti “In vita di madonna Laura”. In origine queste pagine erano state composte per la voce di tenore, ma poi Liszt le trascrisse per solo pianoforte. Molto delicata è la linea espressiva del “Sonetto 47” in re bemolle maggiore, con l’utilizzazione di quinte diminuite di penetrante effetto emotivo, tale da ricordare la musica del Venusberg del Tannhäuser, composto qualche anno più tardi da Wagner. Per comprendere meglio il sentimento intimo dell’invenzione lisztiana vale la pena di rileggere il sonetto di Petrarca: “Benedetto sia ‘l giorno e ‘l mese e l’anno / E la stagione e ‘l tempo e l’ora e ‘l punto / E ‘l bel paese e ‘l loco ov’io fui giunto / Da duo begli occhi, che legato m’hanno: / E benedetto il primo dolce affanno / Ch’i ebbi ad essere con Amor congiunto, / E l’arco e le saette ond’io fui punto / E le piaghe ch’infin al cor mi vanno. / Benedette le voci tante ch’io, / Chiamando il nome di mia Donna, ho sparte, / E i sospiri e le lagrime e ‘l desio; / E benedette sien tutte le carte / Ov’io fama le acquisto, e ‘l pensier mio, / Ch’è sol di lei, sì ch’altra non v’ha parte”.
Il “Sonetto 104” in mi maggiore si apre con un recitativo patetico, ma poi acquista una intensità e uno slancio cantabile, fra tonalità diverse e con precise indicazioni di esecuzione (Vibrato-Con esaltazione-Languido-Dolce dolente) in cui c’è tutta l’anima pianistica lisztiana. Ecco i versi del sonetto: “Pace non trovo, e non ho da far guerra; / E temo e spero, ed ardo, e son un ghiaccio; / E volo sopra ‘l cielo, e giaccio in terra; / E nulla stringo, e tutto ‘l mondo abbraccio. / Tal m’ha in prigion che non m’apre né serra, / Né per suo mi ritien né scioglie il laccio; / E non m’ancide Amor e non mi sferra, / Né mi vuol vivo né mi trae d’impaccio. / Veggo senz’occhi; e non ho lingua, e grido: / E bramo di perir, e cheggio aita; / Ed ho in odio me stesso, ed amo altrui: / Pascomi di dolor; piangendo rido; / Egualmente mi spiace morte e vita. / In questo stato son, Donna, per vui”.
Lazar Berman
Il “Sonetto 123” in do maggiore è un poema d’amore realizzato con straordinaria finezza nelle varie combinazioni sonore del pianoforte; è un Lied in forma tripartita, in cui i diversi episodi sono collegati fra di loro dalla stessa melodia di canto. La poesia petrarchesca dice: “I’ vidi in terra angelici costumi / E celesti bellezze al mondo sole; / Tal che di rimembrar mi giova e dole; / Che quant’io miro par sogni, ombre e fumi. / E vidi lagrimar que’duo bei lumi, / C’han fatto mille volte invidia al Sole; / Ed udii sospirando dir parole / Che farian gir i monti e stare i fiumi. / Amor, senno, valor, pietate e doglia / Facean piangendo un più dolce concento / D’ogni altro che nel mondo udir si soglia; / Ed era ‘l cielo all’armonia si ‘intento, / Che non si vedea’n ramo mover foglia; / Tanta dolcezza avea pien l’aere e ‘l vento”.
L’ultimo brano della raccolta, “Après une lecture du Dante”, prende il motivo ispiratore dalla Divina Commedia, un testo molto amato da Liszt, per una raffigurazione sonora di tre momenti tipici del poema: l’inferno, l’angosciosa supplica dei dannati e l’episodio di Paolo e Francesca. L’intero movimento, che si articola in più tempi, ha l’ampiezza e il respiro di una vera e propria Sonata e sul piano formale ha molti punti di contatto con la ben più celebre Sonata in si minore del 1852-’53. Il tritono, un tempo definito dagli articoli teorici del contrappunto, il “diabolus in musica”, caratterizza il tema principale su ottave discendenti, quasi ad indicare il significato dei versi danteschi dell’inizio del terzo canto dell’Inferno (“Per me si va nella città dolente, / Per me si va nell’eterno dolore, / Per me si va tra la perduta gente. / Giustizia mosse il mio alto fattore: Fecemi la divina potestate, / La somma sapienza e ‘l primo amore. / Dinanzi a me non fuor cose create / Se non etterne, e io etterna duro. / Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”. Una frase cromaticamente vivace e dai colori accesi evoca la supplica dei dannati e la terribile pena che ognuno di essi reca nel corpo e nella mente. L’atmosfera si schiarisce e diventa liricamente appassionata nella scena d’amore tra Paolo e Francesca, concepita come una variazione dei temi già ascoltati. Ritornano i temi dell’inferno e dell’amore di Francesca, quest’ultimo in forma sincopata, e alla fine, dopo un’esplosione sonora in cui sono ricapitolati i vari motivi, tutto s’acqueta su accordi gravi e solenni: la porta dell’inferno si chiude definitivamente alle spalle delle “genti dolorose c’hanno perduto il ben dell’intelletto”, come recita Dante, mentre sta per entrare nel girone degli ignavi e dei vigliacchi.
Supplemento al secondo anno – Venezia e Napoli
Un esempio del pianismo sottilmente raffinato di Liszt si trova nel brano intitolato Venezia e Napoli, che, in quanto supplemento delle Années de pélerinage (Secondo anno), può essere considerato un omaggio all’Italia. Il pezzo porta la data del 1859 (una prima versione del 1840 non è stata mai pubblicata) e si articola in tre movimenti: Gondoliera in fa diesis minore, che è una elegante variazione di un tema popolare veneziano; Canzone in mi bemolle minore, intrisa di un nostalgico canto; Tarantella in sol minore, dispiegantesi come un Allegretto costruito su una vivace e brillante tessitura ritmica.
Terzo anno
I tre volumi delle Années de pèlerinage (Anni di pellegrinaggio) sono una testimonianza tra le più complete della ricchezza e della varietà della tavolozza musicale di Franz Liszt ma proprio per questo motivo non costituiscono un ciclo omogeneo, almeno sotto l’aspetto musicale. La loro unitarietà discende – come si vedrà – da altri motivi. Le origini del primo libro (Suisse) e del secondo (Italie) risalgono rispettivamente al 1835 e al 1837, il periodo dei viaggi giovanili con Marie d’Agoult, sebbene la loro pubblicazione sia avvenuta molto più tardi, nel 1855 e 1858, dopo varie rielaborazioni prolungatesi per un ventennio. Ogni pezzo ha un preciso riferimento al paese indicato nel titolo, si tratti di impressioni della natura e del paesaggio svizzeri o di suggestioni dell’arte italiana. Queste due prime Années sono chiaramente l’opera di un giovane artista traboccante di sentimento e fervore romantici.
Franz Liszt
Il terzo volume fu composto decenni dopo, per la maggior parte nell’arco di un breve periodo, il 1877, con l’aggiunta di due brani (il n. 5 e il n. 6) risalenti a pochi anni prima. Ormai Marie d’Agoult era un ricordo lontano, anche la tormentata vicenda con la principessa Carolyne zu Sayn-Wittgenstein era chiusa da tempo, Liszt nel 1865 aveva preso gli ordini minori ed era un uomo vecchio e solitario. Il brillante musicista conteso dai salotti e dalle sale da concerto dell’intera Europa aveva lasciato il posto all’abate che vestiva la tonaca e conduceva una vita ritirata, dando rari concerti e dedicandosi soprattutto all’insegnamento, lontano dalla mondanità di Parigi, che per anni era stata il centro da cui si diramava la sua frenetica attività. Anche la sua musica aveva subito una trasformazione, era diventata visionaria, immateriale, ascetica: la voce di un uomo in preda al pessimismo, quasi disperato, ma che nonostante tutto continua a sperare nella luce. Però il passare degli anni non aveva spento il suo desiderio di percorrere nuove vie con la sua musica, ma, invece di rivolgersi come nella giovinezza a una tecnica esecutiva trascendentale per spalancare al pianoforte inimmaginabili panorami sonori, nell’ultimo periodo della sua vita esplorava nuovi mondi musicali attraverso alchemiche ricerche nel campo dell’armonia, in anticipo di anni sulla sua epoca.
Un’altra differenza con le due precedenti Années è che la terza non è dedicata specificamente ad una nazione (così almeno nella prima edizione, mentre molte edizioni successive le hanno attribuito il titolo Italie, come alla seconda). Fanno esplicito riferimento all’Italia soltanto i tre pezzi dedicati alla Villa d’Este, che però vanno anch’essi oltre le finalità puramente descrittive. Liszt continuava i suoi pellegrinaggi, ma in una dimensione diversa, totalmente spirituale, senza muoversi da Roma o più esattamente dal suo eremo vicino Roma, l’appartamento che il Cardinale Hohenlohe gli aveva messo a disposizione nella Villa d’Este a Tivoli, dove gran parte di questa raccolta fu scritta. La terza Année de pèlerinage è una meditazione sul senso più interiore e profondo della vita e una testimonianza della costante ricerca della spiritualità e dei significati ultimi da parte di Liszt. Di ciò è indicativa anche la disposizione dei sette pezzi, che non rispecchia l’ordine cronologico di composizione e fu scelta da Liszt per dare alla raccolta il significato di un percorso spirituale, che si apre e si chiude rivolgendo il pensiero alla divinità con la semplice preghiera dell’Angelus e con Sursum corda, il breve dialogo tra celebrante e fedeli che introduce la celebrazione eucaristica con l’invito ad elevare il cuore a Dio, staccandosi dalle cose terrene, uno dei momenti di maggiore misticismo della liturgia cattolica. Al centro stanno quattro meditazioni sulla morte – tre trenodie e una marcia funebre – e un pezzo che apparentemente è una virtuosistica resa sonora dei giochi d’acqua di Villa d’Este ma che in realtà contiene una simbologia religiosa, l’acqua come sorgente di vita eterna.