Liszt Franz

Poemi Sinfonici

CD n°1 — Mephisto-Walzer – Les Préludes – Fantasie uber ungariche Volksmelodien – Ungarische Rhapsodie
CD n°2 – Mazeppa – Ungarische Rhapsodie Nr.2 – Tasso. Lamento e Trionfo – Ungarische Rhapsodie Nr.4

Questi poemi sinfonici sono stati interpretati raramente con tale magnificenza, sensualità ed entusiasmo. Inoltre, la qualità audio è stupefacente. È uno dei migliori suoni da studio che la DGR abbia realizzato per Karajan alla fine degli anni sessanta. Karajan sembra completamente coinvolto nella musica. L’intensità e la gioia assoluta della Berliner Philharmonic orchestra rischia di far rimanere senza fiato.

Mazeppa è forse l’esibizione più notevole: gli ottoni sono minacciosi e audaci, mentre Tasso riesce a realizzare una delle esibizioni meglio riuscite di sempre, con una coda di un climax stupefacente. Tra le diverse registrazioni che ho ascoltato Les Preludes mi risulta il più convincente e emozionante. Karajan è sempre al primo posto con davvero pochi rivali. Fra le tre Rapsodie Ungheresi, la famosa Seconda Rapsodia trasuda sensualità. È così soave e suonata con una tale sfarzosità che sono rimasto davvero sorpreso. Il Mephisto valzer eccelle per la sua accattivante melodiosità. La Fantasia su melodie popolari ungheresi per pianoforte e orchestra con il pianista Shura Cherkassky è un grande pezzo, molto ben eseguito e la profonda sintonia tra il pianista e il conduttore lo rende un gioiellino in questa collezione. Se siete degli appassionati di Liszt, è d’obbligo per la vostra collezione. Se vi piace Karajan, questa è un’altra conferma del perché egli sia stato probabilmente uno dei migliori conduttori del XX secolo. Registrazioni effettuate dal 1961 al 1976. Audio ottimo. Imperdibile!!

Kerbert von Karajan

CD 1 — Ce qu’on entend sur la montagne – Tasso, lamento e trionfo – Les Préludes

CD 2 – Orpheus – Prometheus – Mazeppa – Festklange

Liszt è uno dei compositori più amati dal pubblico. I poemi sinfonici fanno parte di quelle creazioni ultra-romantiche che sbocciano dalla penna dell’illustre compositore. Ognuno di questi spartiti è collegato a una storia o a uno stato d’animo, ma purtroppo con il livello di conoscenze dell’istruzione odierna pochi riconosceranno queste connessioni. Quante persone saprebbero dire chi è Prometeo o Goethe o ancora Schiller? Chi saprebbe dire quali opere sono legate a loro? Altamente raccomandato.

Stabilire le forme mediante il contenuto
I poemi sinfonici di Franz Liszt – (Prima parte) – Carlo Vitali

“Che si tratti di uno spirito inconsueto moventesi in modo multiforme, risulta da tutte le sue opere. Per degli studi continui e seri di composizione, sembra non abbia avuto né la tranquillità, né un maestro degno del suo ingegno e perciò, a maggior ragione, studiò come virtuoso, come accade a tutte le vivaci nature musicali che preferiscono il suono rapidamente eloquente all’arido lavoro sulla carta”

R. Schumann su F. Liszt (1839)

Se nella produzione strumentale di Liszt la critica tradizionale (muovendosi nel solco delle diffidenze già manifestate da Schumann e poi spinte alle estreme conseguenze teorico-pratiche di Brahms e da Hanslick) tendeva a privilegiare la derivazione “programmatica” da spunti extramusicali pittorici o letterari – magari per deplorare l’edonismo eclettico dell’autore e la sua apostasia rispetto alle grandi forme dell’eredità classica – nell’ultimo quarantennio il periodo ha oscillato tanto a fondo che un esegeta radicale come Carl Dahlhaus (1970) ha potuto sostenere paradossalmente che i poemi sinfonici del maestro ungherese si presentano tanto interessanti all’analisi linguistico-formale quanto ingrati, e anzi addirittura intollerabili, all’ascolto. Invano lo stesso Liszt, a mo’ di prudente autodifesa, aveva tentato di tracciare una rotta mediana della sua poetica in termini tali che, se opportunamente conosciuti e meditati, sarebbero dovuti valere a preservarlo almeno in gran parte da siffatte estremizzazioni contrapposte e, in ultima analisi, del pari ingenerose: “chiedo soltanto licenza di stabilire le forme mediante il contenuto, e se anche ciò mi fosse negato dalla critica più accreditata, proseguirei egualmente con fiducia lungo la mia modesta strada”.

Lettera a L. Kohler (9 luglio 1856)

Esattamente in quegli stessi anni, tra il 1848 e il 1861, maturarono nell’ospitale soggiorno presso la corte di Weimar, a quotidiano contatto con la sua eccellente orchestra, dodici dei tredici poemi sinfonici oggetto della presente registrazione, i quali rappresentano dunque un corpus abbastanza omogeneo per intenti e risultati stilistici – e sono inoltre unificati anche esteriormente dalla comune dedica alla principessa Caroline di Sayn-Wittgenstein, l’inquieta aristocratica russa che fu a lungo sua compagna ed ispiratrice. Pur nella diversità delle occasioni che li generarono, e anche tenendo conto delle molteplici rielaborazioni cui il compositore insoddisfatto li sottoporre nel corso degli anni, questi lavori hanno infatti in comune una costante strutturazione formale in un unico movimento, articolata però al suo interno secondo un disegno di massima comprendente i seguenti elementi: introduzione, esposizione bitematica, sviluppo interrotto da una sezione lenta, ripresa e coda. Tale impostazione (meno rigida di quanto non paia da un’enunciazione per forza di cose sintetica, ma comunque ben lungi dalla libera divagazione rapsodica) recupera a suo modo, condensandola all’estremo secondo il principio berlioziano della idée fixe ciclicamente ricorrente a quello della trasformazione tematica già realizzato da Schubert nella sua Wanderer-Fantasie op. 15 (1822), la fondamentale dialettica della forma-sonata canonizzata dal classicismo.

Bernard Haitink

Di veramente nuovo, non è in fondo poca cosa, c’è l’individuazione del materiale tematico e delle sue metamorfosi sulla base di una logica di volta in volta drammatica, narrativa o simbolistica, in modo tale da ricordare, o forse a tratti da anticipare, il procedimento wagneriano del Leitmotiv. In tale superdeterminazione ideologica sta forse d’altro canto la causa principale di una certa pesantezza e ripetitività del discorso lisztiano: ad esempio nei finali improntati ad un climax di trasfigurazione eroica e trionfalistica, in fondo non dissimile dall’invariabile lieto fine operistico passivamente perpetuato col fascino di una convenzione di gusto consolatorio cui nemmeno la generazione romantica sapeva sottrarsi fino in fondo

Ce qu’on entend sur la montagne

Da un testo di Victor Hugo, tipicamente pervaso di un senso panteistico della natura che si coniuga con una sorta di religione dell’umanità sofferente, Liszt trasse nel 1848-49 lo spunto per il primo dei suoi lavori di questo genere. Nel momento storico che vedeva l’erompere in tutta Europa delle rivoluzioni nazionali e democratiche, il compositore sembra rifiutare l’impegno politico diretto a favore di un impegno etico più astratto – lo stesso che esprimeva in una lettera di quel periodo diretta all’amico Carl Alexander: “Oggi l’arte non deve mischiarsi allo strepito rauco delle barricate; la sua religione è più sublime e più pura, la sua azione è insieme più benefica e durevole”. Ancora incerto sulla tecnica della strumentazione, il pianista Liszt fece orchestrare dapprima il suo lavoro al collaboratore Joachim Raff, e soltanto nel 1854 giunse infine alla terza e completamente autonoma versione, quella che oggi conosciamo. Lo stesso procedimento venne adottato per gran parte dei primi sette lavori che seguirono, fino alla Héroide funèbre inclusa.

Tasso. Lamento e trionfo

Composto per le celebrazioni del centenario di Goethe (1849) ed ispirato congiuntamente ai drammi dei quali lo stesso Goethe e Byron avevano trasfigurato con sensibilità romantica l’infelice destino del poeta italiano, il Lamento e trionfo di Liszt impiega esplicitamente per la prima volta il termine di “poema sinfonico”. Il tema principale della composizione deriva dalla triste melodia sulla quale per antica tradizione i gondolieri veneziani solevano cantare le ottave della Gerusalemme liberata. Incorniciato da un motivo lineare ricorrente, esso dà vita a numerosi episodi trasmutandosi incessantemente nei suoi parametri ritmici, dinamici e agogici e in ultimo si trasfigura in una marcia funebre dagli accenti toccanti; la seconda parte (o meglio dire “quadro”) si risolve nell’apoteosi e un po’ generica e magniloquente del Genio.

Les Préludes

La versione originale (1848) era stata concepita come introduzione strumentale a Les quatre élémens, una serie di brani corali su testo di Joseph Autran; in seguito Liszt la rielaborò adattandola al programma di una “Méditation” del cattolicissimo poeta Lamartine, che inizia con l’interrogativo metafisico: “Non è forse la nostra vita una serie di preludi a quel canto di cui la morte intona la prima nota solenne?”. Ricchissima di temi e di episodi contrastanti (tredici, come già nel Tasso, nove dei quali derivati dal tema di base), la partitura rispecchia questa metafora nella successione dei suoi quattro sub-movimenti corredati di sfumate indicazioni agogiche, quali: Andante, Allegro ma non troppo-allegro tempestoso, Allegretto pastorale, Allegro marziale animato.

Orpheus (1854) -Prometheus (1850-55)

Due grandi figure della mitologia classica prese a simbolo di un’ottimistica concezione del progresso umano: nel primo caso si esalta la forza civilizzatrice dell’arte, e della musica in particolare, col suo potere di infrenare le passioni primitive; nel secondo, a partire dal Prometeo liberato del post-illuminista Herder, la vittoria dell’audacia e della volontà sul dolore – non senza sperimentalistiche manipolazioni del materiale tematico che sembrano prefigurare per alcuni aspetti la tecnica seriale, e accademici ritorni al contrappunto fugato.

Franz Liszt

Entrambi i lavori hanno in comune la destinazione originaria a musiche di scena; nel caso dell’Orpheus si trattava addirittura di un ambizioso completamento, ovvero postludio, per l’Orfeo di Gluck, in occasione di una messa in scena curata a Weimar dallo stesso Liszt.

Mazeppa (1851)

Esotismo, culto dell’eroe e religione della libertà si fondono in questo nuovo incontro con la nobilmente retorica musa vittorhugiana.
La storia dell’atamano cosacco Mazeppa, miracolosamente scampato al martirio decretatogli dagli oppressori russi per divenire condottiero del suo popolo in una rivolta capace di far tremare il trono di Pietro il Grande, diviene il programma di quello che forse è il più coerentemente descrittivo e narrativo dei poemi sinfonici lisztini. Ancora una volta le sofferenze del protagonista, espresse nel ritmo di una cavalcata infernale riempita di lugubri visioni, si sublimano nel trionfo finale decretato da un’orchestra tra le più timbricamente opulente e roboanti del secolo.

Festklange (1853)

Nessun programma riconoscibile, se non quello contenuto in un titolo singolarmente sobrio e referenziale (“suoni di festa”). Si suppone che Liszt abbia concepito questo lavoro, d’altronde non particolarmente degno di nota, nel 1851, come una colonna sonora per le sue imminenti nozze riparatrici con la principessa Sayn-Wittgenstein, le quali furono cancellate all’ultimo momento causa la tenace opposizione delle massime gerarchie cattoliche. Altre varianti furono apportate nel 1856, subito dopo la pubblicazione a stampa.

CD 1 — Héroide Funèbre – Hungaria – Hamlet

CD 2 — Hunnenschlacht – Die Ideale – Von der Wiege bis zum Grabe – Mephisto Waltz No.1 Héroide funèbre (1850) -Hungaria (1854)

Franz Liszt ha inventato il genere del poema sinfonico e questo splendido CD è la seconda metà nella serie di registrazioni delle composizioni di Liszt con Bernard Haitink e la London Philharmonic Orchestra.
Queste esibizioni sono emozionanti, brillanti dal punto di vista tecnico, ma anche passionali, piene di entusiasmo. Bernard Haitink dirige la LPO con interpretazioni eccellenti, delle quali la mia preferita è la Battaglia degli Unni e il Valzer di Mefisto numero uno. La qualità audio Philips è meravigliosa. Da non perdere.

Stabilire le forme mediante il contenuto. I Poemi sinfonici di Franz Liszt – (Seconda parte) – Carlo Vitali
Héroide funèbre (1850) – Hungaria (1854)

Né per Héroide funèbre (detta altrimenti Heldenklage, ovvero “lamento degli eroi”) né per Hungaria ci è dato risalire ad un esplicito programma
extramusicale, ammesso che Listz ne avesse in mente uno. Con questi due lavori di ampie dimensioni egli si emancipa definitivamente dalla necessità di aiuti esterni per la strumentazione, fino al quel momento disimpegnata grazie ai fidati collaboratori Joachim Raff e Peter Cornelius, dimostrando la disinvolta padronanza raggiunta sul piano degli effetti timbrici; nello stesso tempo sembra segnare il passo sul piano dell’invenzione tematica. Così è per l’Héroide, in gran parte costruita su rielaborazioni di schizzi giovanili (in particolare la prima parte di una Sinfonia della rivoluzione rimasta incompiuta), e altrettanto avviene con Hungaria, il cui primo tema deriva dal motivo principale di un lavoro pianistico del 1840, l’Heroischer Marasch im ungarischen Stil, senza contare un’altra reminiscenza della Rapsodia ungherese n. 8, pure dello stesso periodo 1839-40, che era stato testimone dei suoi maggiori trionfi budapestini in qualità di pianista virtuoso.

Hamlet (1858)

Una quasi totale mancanza di retorica, sostituita da accenti mutevoli e sospesi fra l’ironia corrosiva e il lieve idillio amoroso, contraddistingue Hamlet, per la cui ideazione Listz poté ispirarsi a due celebri tele di Delacroix (Amleto e Orazio nel cimitero e Ofelia), oltreché al dittico del sempre a lui congeniale Berlioz (La mort l’Ophelie/Marche funébre pour dernière scène d’Hamlet; 1848). Sembra anche che l’eccellente interpretazione dell’autore Bogumil Davidson, impressionando molto il compositore, lo eccitasse a scrivere qualcosa come una suite di musiche di scena per il dramma shakespeariano – progetto che però non collima se non vagamente con la partitura a noi nota.

Hunnenschlacht (1857)

Dopo un silenzio quasi triennale Liszt ritorna al poema sinfonico riallacciandosi a quello stesso clima di esaltazione nazionalistica magiara che per lui, sempre diviso tra le sue due o tre identità culturali (ungherese, germanica e francese) sembrava rappresentare più un’opzione intermittente del gusto che non un dato imprescindibile e quasi biologico – come era invece per l’anima polacca di Chopin.
Significativa in tale contesto è la regressione semi-mitologica verso l’immagine delle orde di Attila, così come l’aveva illustrata con truculento quanto iperrealistico vitalismo il pittore di corte bavarese Wilhelm Kaulbach nella sua tela Hunnenschlacht (la battaglia degli Unni) oggi conservata al Museo Reale di Anversa.

London Philharmonic Orchestra

Ma una volta di più la barbarie degli Unni – musicalmente resa mediante scale esotiche, crudi impasti timbrici e dissonanze di adeguata violenza – si riscatta nel finale mediante la visione del luminoso destino riservato dalla provvidenza di una Storia quanto mai hegeliana alla nobile nazione ungherese, baluardo della Cristianità nei secoli, che essi avevano inconsapevolmente contribuito a fondare (tema del libro gregoriano Crux fidelis).

Die Ideale (1858)
Von der Wiege bis zum Grabe (1881-2)

Separati da oltre un ventennio di evoluzione stilistica e dall’occasione assai diversa della rispettiva ispirazione (il primo da una poesia di Schiller, l’altro da un quadro del pittore ungherese Michael Zichy), i due poemi sinfonici in questione rappresentano i momenti complementari e logicamente concatenati della più generale riflessione filosofica di Listz sul significato ultimo del destino umano, dai generosi entusiasmi della giovinezza fino al disincanto della vecchiaia. Particolarmente degno di nota in Wiege bis zum Grabe (dalla culla alla tomba) lo sperimentalismo armonico del settantenne compositore, che si spinge fino ad utilizzare nella terza parte una scala priva di baricentro tonale, simile ad una successione di tetracordi secondo l’antico sistema dei teorici greci.

Mephisto-Valzer l

Agli ultimi poemi sinfonici di Lizst si può riconnettere per analogia di atteggiamento creativo anche il cosiddetto Mephisto-Valzer n. 1. Se per il primo Faust goethiano aveva suggerito a Listz la omonima sinfonia (1854, prima versione) – dove sono ritratti come in tre medaglioni i personaggi del Dottore, di Gretchen e di Mefistofele – a quello più romanticamente esplicito ed arruffato di Nikolaus Lenau (1836) egli si ispirò per i Due episodi denominati Corteo notturno e Danza all’osteria del villaggio. Il programma di quest’ultimo, concepito inizialmente per l’orchestra, e subito trascritto anche per il pianoforte, trae spunto dal luogo del poema dove Mefistofele in abito di cacciatore afferra il violino dalle mani di un inesperto suonatore di campagna e fa ascoltare agli sposi, agli invitati e al pubblico un ballo di ben altra potenza trascinatrice, rabbrividente nello stridore sarcastico e davvero diabolico nelle sovrapposizioni di quinte col quale il lavoro esordisce. Ricchissima l’orchestrazione (arpa e ottoni, oltre ad archi e legni al completo), che si vale altresì di un mélange assai pittoresco di percussioni: campana, piatti e triangolo. Composto anch’esso a Weimar nel 1860, e ivi eseguito per la prima volta l’8 marzo 1861, il brano vi fu infine pubblicato nel 1866.