Liszt Franz
Sinfonia Dante
Giuseppe Sinopoli sul podio della Staatskappelle di Dresda ci offre un’esecuzione drammatica e coinvolgente di questo splendido spartito lisztiano. Un CD piacevole del tardo Romanticismo da annoverare nella vostra collezione. Registrazione spettacolare in DDD eseguita nel 1998. Altamente raccomandato.
Sinfonia Dante
Verso i trent’anni Liszt ebbe occasione di leggere, assieme alla contessa D’Agoult, la Divina Commedia. L’idea motivica iniziale della Sinfonia «Dante» si ritrova già in uno dei suoi primi Lieder per piano, Le vieux vagabond, nello stesso modo come la prima stesura dell’ultimo brano del secondo volume di Années de Pélérinage, cioè Après une lecture de Dante – Fantasia quasi Sonata, è di quel periodo, esattamente del 1837. L’idea di una Sinfonia su quel soggetto nacque però un decennio più tardi, al tempo dei poemi sinfonici e dell’intensificazione intellettualistica della musica a programma: dall’epistolario si apprende che nel 1847 Liszt suonò al pianoforte al cospetto della principessa Wittgenstein vari temi ispirati alla Divina Commedia e chiese la collaborazione del pittore Bonaventura Genelli per l’approntamento di una serie di diapositive per la «Lanterna magica» da proiettarsi durante l’esecuzione della musica. Il progetto fu poi lasciato cadere, mentre la composizione vera e propria ebbe inizio soltanto nell’estate del 1855 e conclusione l’8 luglio 1856: l’autore stesso ne diresse la prima esecuzione assoluta il 7 novembre 1857 al Königlisches Schauspielhaus di Dresda («un fiasco per insufficienza di prove» commentò Liszt, mentre un grande successo arrise alla prima replica a Praga l’anno successivo, dopo alcune varianti); nel 1859 la partitura fu pubblicata da Breitkopf & Härtel. Secondo il progetto originario, era stata prevista un’articolazione della Sinfonia in tre movimenti, in corrispondenza delle tre cantiche Inferno, Purgatorio e Paradiso, e per l’ultima parte era stato divisato l’impiego di grandi complessi corali: Liszt sottopose tale progetto a Wagner, ma ne fu da questi dissuaso, con la motivazione, contenuta nella lettera del 7 giugno 1855, che «nessun esser umano sarebbe stato in grado di rendere in musica le gioie del Paradiso, il cui splendore in qualsiasi espressione artistica poteva soltanto esser contemplato con gli occhi dell’anima». L’assenza di una pregnante conclusione alla Sinfonia «Dante» ne indebolì la struttura, specie rispetto alla consorella Faust-Symphonie, orientando, al confronto, la composizione maggiormente in senso descrittivo anziché psicologico-tematico, secondo i noti stilemi della poetica lisztiana, nell’integrazione di componenti meramente musicali e di componenti più culturali, destinate a sovrapporsi, a variare ed a condizionare le prime, nell’ambito di una realizzazione di suprema sapienza orchestrale. Al posto del «Paradiso», Liszt compose allora un Magnificat, intonato dalle voci femminili, delineando una conclusione serena e trasfigurata, poggiante su accordi di eterea leggerezza, lungamente tenuti. Come riferisce anche Wagner, un secondo finale fu scritto successivamente da Lizst, su consiglio della principessa Carolina di Sayn-Wittgenstein, marcatamente estroverso nella perorazione conclusiva, che termina l’opera in fortissimo, secondo un modulo stilistico di sicuro effetto ma nettamente retorico e convenzionale.
L’autografo della Sinfonia «Dante» contiene la dedica a Wagner «con commossa e partecipe ammirazione, e con fedele amicizia» ma sull’esemplare, inviato personalmente, erano state vergate le seguenti espressioni: «Come Virgilio per Dante, nello stesso modo tu mi hai insegnato la strada attraverso le misteriose contrade dei sublimi e soprasensibili mondi dei suoni: dal più profondo del cuore salga a te il grido “Tu sei lo mio maestro e il mio autore!” consacrandoti questo lavoro con immutabile appassionata devozione».
In occasione della prima esecuzione a Dresda e poi alla ripresa di Praga, gli ascoltatori vennero esplicitamente informati da diffuse presentazioni sulle teorie lisztiane della «musica a programma» nel clima della libera invenzione sinfonica. Se la Faust-Symphonie avrebbe dovuto essere un’opera che il compositore aveva intenzione di scrivere in collaborazione con Dumas e Gerard de Nerval, e che poi trovò uno sbocco più appropriato nell’aspetto e nello sviluppo sinfonico, risultando esemplare rispetto agli assunti concettuali originari, anche la Dante – Symphonie nel progetto di Liszt era destinata a raffigurare uno specimine altrettanto clamoroso, secondo la prospettiva di «un rinnovamento della musica attraverso la sua più intima compenetrazione con l’arte poetica», come l’autore stesso del resto a Weimar più volte ebbe a dichiarare, senza possibilità d’equivoco.
Giuseppe Sinopoli
Concettualmente, la «musica a programma» intese sostituire allo schema, ritenuto meramente formale, della sinfonia classica una differente articolazione dialettica, inserendo nell’intimo stesso della musica idee originariamente assimilate ben presto in suggestioni di carattere figurativo, e principalmente poetico o letterario, con la tendenza ad imporre al discorso sonoro un proprio peculiare ritmo narrativo, descrittivo o psicologico: il «programma», proposto già da Berlioz con specifiche didascalie, divenne nel poema sinfonico lisztiano, tra gli anni 1848-1858, marcata interiorizzazione di qualsiasi tessuto espositivo e ad un tempo stimolo a concedere all’autore la massima libertà d’inventiva. Della compenetrazione tra narrazione e psicologia, prototipo sintomatico fu «Faust, Symphonie in drei Charakterbildern» (1854) in cui il «programma» non limitò affatto l’espandersi più libero dei valori specifici della musica, evitando contemporaneamente la dispersione del contenuto sonoro nel descrittivismo estroverso. «Proporzione, ordine, euritmia ed armonia – precisò Liszt in quell’occasione – sono altrettanto indispensabili dell’invenzione, della fantasia, melodia, sentimento o passione… nel perseguire lo scopo di alludere soprattutto ai moventi psicologici che possano spingere il compositore a creare la sua opera, nonché di sviluppare l’influenza di impressioni determinate, da portare successivamente a completa conoscenza dell’ascoltatore». La omogeneità del lessico motivico racchiuse organicamente l’intero materiale sonoro, con singolare coerenza espressiva, evidenziando le due costanti del procedimento compositivo lisztiano cioè il Leitmotiv, che si ripresenta puntualmente ogni volta che ricorre quel dato momento psicologico con esso correlato, e la tecnica della libera variazione che instaura relazioni fittissime, spesso anche sottili ed allusive, nell’ambito di un’orchestrazione trattata con insuperabili maestria, specie nello smalto timbrico. Liszt, sfruttando abilmente tutte le risorse delle varie famiglie strumentali, riuscì a realizzare in termini musicali un’autentica forza plastica, anche adottando frequentemente insoliti espedienti, dall’impiego dei raddoppi e degli unissoni degli archi, all’uso di molti strumenti in registri inconsueti, ai numerosi glissandi, all’inversione di scrittura tra l’una e l’altra sezione dell’orchestra, all’audacissima sperimentazione coloristica, in grado effettivamente di anticipare i bagliori e le variegature ironiche delle «Tondichtungen» straussiane, alla doviziosa varietà della scrittura armonica in cui si possono percepire i germi wagneriani anticipatori della dissoluzione tonale.
Nella Sinfonia «Dante» tutta la tecnica della grande orchestra sinfonica è stata egualmente squadernata con straordinaria grandiosità, sin dalla sinfonia iniziale con il motivo dei tromboni, rapportabile all’iscrizione, sulle porte dell’Inferno dantesco, delle parole «Per me si va nella città dolente» ecc., all’intervento del coro sull’ultimo verso, adottando una cellula ritmica ricorrente con funzione tematica in tutta la prima parte. Un successivo motivo, digradante cromaticamente, segna l’incipit della prima sezione del movimento il cui assunto, in termini immaginifici, appare strettamente riferibile alla visione dell’«Inferno» dantesco: l’organizzazione musicale di questo movimento è esattamente simmetrica e tripartita, con le tre sezioni che ripropongono la struttura interna A-B-A della forma-sonata: tra le due valve esterne, in cui si esalta la forza propulsiva della grande orchestra romantica nella descrizione
della bufera infernale, la sezione centrale è centrata sull’episodio di Paolo e Francesca e il rispettivo Leitmotiv corrisponde alle parole «Nessun maggior dolore / che ricordarsi del tempo felice / nella miseria».
Franz Liszt
La seconda parte, «Purgatorio», s’apre con un’introduzione che intende rappresentare Dante nel risalire dall’Inferno alla luce delle stelle: l’episodio musicale sulla contemplazione dell’alba si libra in atmosfere traslucide e rarefatte e si compiace di rugiadose e trasognate espressioni musicali. La principale sezione del secondo movimento inerisce alla descrizione delle anime che sopportano le prove necessarie per poter poi ascendere al Paradiso: segue una sorta di Fuga grandiosa, su di un soggetto tematico per gradi discendenti, in corrispondenza alla sezione centrale dell’«Inferno»: la ripresa conduce ad un maestoso e solenne vertice sonoro. In assenza del «Paradiso», si ascolta uno dei due Finali scritti da Liszt, normalmente il Magnificat. Resta indubitabile però il fatto che, non realizzatosi l’equivalente musicale della terza cantica dantesca, alla quale sarebbe spettato il compito di risolvere le antinomie dialettiche simmetricamente contrapposte nell’«Inferno» e nel «Purgatorio», le stesse coordinate psicologiche immanenti all’assunto concettuale ispiratore vennero a risultare sfumate e a tratti non adeguatamente differenziate, semanticamente, rispetto all’intento d’origine, alla Divina Commedia: risolvendosi quindi in una policroma, ma fissa, plasticità descrittiva, in una sapientìssima, ma aproblematica dimensione illustrativa, pur se la serena e trasfigurata conclusione del Magnificat (o per converso l’irruente Finale della versione di
Praga) possa apparire, in sé considerata fatto musicale meritevole del più alto rispetto.
Ferruccio Busoni – Serabande & Cortège
Per sette anni Busoni lavorò all’opera Dott Faust, e morì prima di venirne a capo, tanto che l’ultima parte fu completata e strumentata dal suo discepolo Jarnach.
Ma già nel 1919 egli aveva portato a termine questi due studi, che gli piacquero molto e lo indussero a non trascurare la continuazione dell’opera. Non entreremo in merito al Dottor Faust, il cui progetto aveva occupato Busoni fin dal 1906 (è un lavoro di concezione grandiosa e in un certo senso profondamente autobiografico); e diremo solo che i due studi vennero utilizzati integralmente nella stesura finale dell’opera.
La Sarabanda è un lavoro greve, soffuso di un’infinita tristezza, dal colorito cupo che sembra tratteggiare il destino di Faust; il Cortège rappresenta musicalmente un corteo attraverso cinque danze di carattere spigliato e vivace: una sorta di polka, una pastorale, una caccia, un valzer e un minuetto.
Il ciclo delle sei Elegie per orchestra si chiude con “Sarabande et Cortège” due pagine fra le più note, alte e profetiche di Busoni e di tutto il primo Novecento. Nate nel 1918-19 come “studi per il Doktor Faust”, nel pieno del lavoro all’opera, “staccate da quella eppure da essa dipendenti”, ne divennero poi parte integrante, l’una come “Intermezzo sinfonico” fra il quadro di Parma e quello di Wittenberg (primo e secondo dell’azione principale), l’altra come introduzione alla scena della corte di Parma.
Con dedica al direttore d’orchestra zurighese Volkmar Andreae, Busoni aveva autorizzato la loro esecuzione in forma di concerto, e in un secondo tempo la pubblicazione delle due partiture insieme (esse apparvero nel 1922 col titolo di “Sarabande et Cortège” op. 51); solo più tardi, in seguito alle fredde accoglienze di pubblico e di critica alle esecuzioni avvenute a Berlino nel 1921 (direttore Busoni) e 1922 (direttore nientemeno che Furtwangler), si convinse che esse potevano esser comprese e apprezzate soltanto nel contesto dell’opera a cui erano destinate.
Soprattutto “Sarabande”, pagina che nel suo esoterismo è quasi un esempio moderno di “musica riservata”, richiede all’ascoltatore uno sforzo di concentrazione e di immedesimazione assoluto, di cui Busoni era perfettamente consapevole:
“Io la considero intanto la mia migliore ispirazione e la più accurata fattura…… Nell’ultimo mio modo di scrivere la mancanza di “sensualità” colpisce l’uditore in una forma che non gli è famigliare…… I miei suoni devono necessariamente sembrare astratti, “inafferrabili”, come Lei dice, ma non
“spasmodici”: anzi piuttosto riflessivi e riservati. È uno dei miei consci ideali di arrivare all'”illimitato” nell’espressione musicale, mantenendo una forma perfettamente concreta e costruttiva…… La mia opera Doktor Faust tenta di avvicinarsi maggiormente alla meta prescritta ed aspirata”.
Orchestra Staatskapelle di Dresda
In questo senso, “Sarabande” e in misura minore “Cortège” (una Suite di cinque danze nella forma di una pantomima che accompagna il corteo della festa all’aperto alla corte di Parma), non soltanto rappresentano l’ultima spiaggia dello stile orchestrale di Busoni, la più compiuta realizzazione del suo ideale di eventi sonori puri calati in forme chiuse di proporzioni classiche, ma sono anche per così dire il modello su scala ridotta dell’opera, parti integranti della partitura e insieme il suo nucleo formativo, condensato nell’elemento magico e soprannaturale da un lato, in quello della danza, della mascherata e della pantomima dall’altro.
(Sergio Sablich)