Mahler Gustav

Sinfonia n. 1 in re maggiore “Titano”

La Sinfonia n. 1 di Mahler annovera una discografia pressoché sterminata, ma fra le tante interpretazioni restano vere e proprie pietre miliari -a mio modo di vedere- quelle di Kubelik, Bernstein, Abbado e questa stupenda incisione di Georg Solti del 1964.
Il direttore magiaro è alla testa di una eccellente London Symphony Orchestra, lussureggiante nei suoni e nei colori (proprio come la natura descritta nel primo movimento della Sinfonia), che risponde perfettamente al “piglio” direttoriale caratteristico di Solti ed alla sua intelligente lettura, carica di tensione dalla prima, lunga e misteriosa nota fino all’ultima. Il sublime incipit, col prolungato pianissimo, le evocazioni pastorali, le fanfare in lontananza (le trombe sono celestialmente distanziate), i cinguettii di uccelli è suonato con straordinaria concentrazione e atmosfera. Il secondo movimento è, in questa lettura, l’equivalente mahleriano della “festa contadina” nella Pastorale di Beethoven, e dopo la parentesi dell’accennato valzer, la ripresa del tema è ancor più esuberante: qui Solti dona un rubato superbo, con chiaroscuri rifiniti fin nel minimo dettaglio. L’assolo di contrabbasso che apre il terzo movimento, seguito dall’eco dei “temi ebraici” (per dirla con Prokofiev) è senz’altro la prova di quanto personale sia la lettura del direttore ungherese, che chiude la Sinfonia con un finale incandescente.
Una interpretazione singolare, di indubbio primo piano fra quelle degli ultimi quarant’anni e imprescindibile per ogni amante del compositore boemo. Vivamente consigliata!

Sinfonia n. 1 in re maggiore “Titano”

Particolarmente importanti sono le vicende della genesi della Sinfonia, che attraversò numerosi e dissimili stadi prima di raggiungere la veste oggi comunemente diffusa. Fra la prima idea (1884) e la versione definitiva (1896) della partitura intercorrono dodici anni; ma la gestazione del brano occupò l’autore per una durata di quattro anni, e la massima parte della stesura materiale avvenne fra i mesi di gennaio e marzo del 1888. A tale data la partitura si poteva dire compiuta, e trovò infatti la prima esecuzione a Budapest, sotto la direzione dell’autore, il 20 novembre 1889, con esito contrastato, se non infelice; e non fu che il primo della lunga catena di insuccessi incontrati da questa partitura (come, d’altra parte, dalla maggior parte di quelle successive) nel corso dell’esistenza dell’autore.
Le modifiche imposte negli anni successivi furono rivolte a mutare non tanto il contenuto musicale della composizione, quanto lo stesso assunto di base. La Sinfonia in re maggiore, infatti, non nacque affatto come sinfonia, ma come poema sinfonico in due parti; come un brano, insomma, dotato di un preciso percorso narrativo. Oggetto della partitura era il rapporto fra natura e uomo, riflettuto dalla divisione in due parti; la prima parte, “Aus den Tagen der Jugend” (“Dai giorni della gioventù”), comprendeva tre movimenti, il primo e il terzo corrispondenti agli attuali primi due movimenti della Sinfonia; mentre in seconda posizione si trovava un movimento “Blumine” (Andante), poi espunto. La seconda parte, “Comedia humana”, si componeva di soli due movimenti, gli attuali terzo e quarto della Sinfonia. Puntuali indicazioni programmatiche illuminavano sul significato da attribuire ai singoli tempi: “Frühling und kein Ende” (“Primavera senza fine”), “Blumine” (“Piccolo fiore”), “Mit vollen Segeln” (“A vele spiegate”) i titoli apposti alla prima parte, quella dedicata alla natura; “Todtenmarsch in Callot Manier” (“Marcia funebre alla maniera di Callot”), “Dall’Inferno al Paradiso” i titoli della parte dedicata all’uomo.
I cambiamenti imposti alla partitura si mossero in direzione di una maggiore coerenza musicale (con l’omissione del movimento “Blumine”, che presentava una veste eccessivamente cameristica) e di un occultamento del contenuto programmatico. Già prima dell’esecuzione berlinese del 1896, infatti, Mahler eliminò tutte le didascalie, e convertì il titolo di poema sinfonico in quello di sinfonia; aggiunse invece il sottotitolo “Der Titan” (“Il Titano”), con riferimento all’omonimo libro di Jean Paul Richter (1763-1825), dalle atmosfere vicine allo Sturm und Drang, nella cui opera passionale ed ironica il compositore si riconosceva; ma l’intestazione “Der Titan” non voleva alludere al contenuto del romanzo di Richter, quanto a una figura umana eroica, protagonista ideale della Sinfonia. Nella redazione definitiva, tuttavia, anche il titolo “Der Titan” fu cancellato (quantunque esso si sia poi erroneamente imposto nella pratica concertistica).

Il significato di tali e tanti assestamenti è piuttosto limpido, ed è inoltre di guida nella ricerca delle problematiche che dettarono al compositore questa prima opera sinfonica. L’antitesi fra “musica pura”, veicolata attraverso l’equilibrio delle grandi forme ereditate dal classicismo, e “musica a programma”, per cui all’origine di una composizione musicale si doveva porre un percorso letterario o ideale, aveva animato tutto il dibattito musicale della seconda metà del secolo, trovando le proprie incarnazioni-simbolo nelle figure di Brahms, da una parte, e della scuola neo-tedesca di Liszt e Wagner dall’altra. L’ingresso di Mahler nel mondo sinfonico si muove in direzione della ricomposizione di questa antitesi, o meglio del suo superamento, attraverso la definizione di una partitura che costituisce qualcosa di radicalmente nuovo rispetto alla sinfonia del passato.

È sul piano puramente musicale che il conflitto trova una risoluzione; nella versione definitiva la Prima Sinfonia rimane saldamente ancorata alla forma sinfonica, secondo la tradizionale articolazione in quattro movimenti che comprende un primo tempo in forma sonata, uno Scherzo con Trio, un movimento lento e un complesso tempo conclusivo. Senonché è poi la logica compositiva a nutrirsi di elementi del tutto distanti dai principi “storici” del sinfonismo. Invece della tendenza alla coerenza, alla ferrea coesione di tutti i materiali, troviamo la sostanziale disomogeneità dei vari materiali, e il loro allineamento secondo salti logici. La diversa provenienza dei materiali tematici – compaiono autocitazioni liederistiche, canti popolari, citazioni colte (Liszt e Wagner); anche il materiale creato “ex novo” ha un riferimento “esterno”, come i “suoni della natura” del primo movimento – è di per sé espressione di una poliedricità di interessi che riflettono la composita formazione di Mahler. Ma i materiali non valgono poi come entità astrattamente musicali, si caricano di complesse allusioni e implicazioni, il cui dipanamento apre la strada al percorso “psicologico” che è alla base della partitura.
Già l’introduzione lenta del primo movimento si presenta come qualcosa di inedito: gli archi, per l’estensione di sette ottave, suonano con gli armonici un lungo la naturale tenuto: «Wie ein Naturlaut» scrive l’autore («Come un suono di natura»).

Jean Paul Richter

Abbiamo così un pedale, un flusso continuo, atemporale, su cui si stagliano idee eterogenee e provenienti da fonti diverse: lontane fanfare, canti di uccelli, cantilene dei corni. È una regione astratta e ideale, cui si contrappone la concretezza del canto popolare. Dall’intervallo di quarta del clarinetto –
intervallo basilare della Sinfonia – sorge naturalmente il motivo cantabile tratto dal secondo dei Lieder eines fahrenden Gesellen, che costituisce il primo tema della forma sonata. Il carattere cordiale, giocondo e popolare dei temi, il fitto e dinamico tessuto polifonico vitalizzano tutta l’esposizione; lo sviluppo prende l’avvio dal ritorno alla “sospesa” e idealizzata ambientazione espressiva dell’introduzione, rielabora poi, anche in complesso contrappunto, la melodia liederistica, non senza che la fanfara faccia la sua inattesa e folgorante apparizione, all’apice della tensione; la dialettica del movimento non è dunque razionalmente organizzata, ma anzi imprevedibile, dispersiva, legata a concetti lontani dalla realtà sensibile. Se il primo movimento si discosta profondamente dal tradizionale modello sinfonico, il secondo è un puntuale Scherzo che, con i rudi motivi popolari, la composta articolazione formale, il ritmo di valzer del Trio, si riallaccia a modelli consolidati. Ma il contrasto fra danza morava e valzer viennese – fra i quali si affacciano anche reminiscenze ciaikovskiane – non ha il sapore di arricchimento coloristico di un impianto tradizionale, quanto piuttosto di allargamento delle radici culturali di tale impianto.
Con il terzo movimento la Sinfonia entra nel modo sonoro che il poema sinfonico aveva previsto come “umano”. Si tratta di una marcia funebre dalla connotazione ironica e corrosiva; il motivo scelto è quello del canto infantile Frère Jacques, ma parodiato nel modo minore; timpani e contrabbasso solista danno l’avvio a un canone dalle straordinarie risorse timbriche; grottesco e tragico si sommano, partendo dall’immagine infantile del “Funerale del cacciatore”, seguito da tutti gli animali. Ma una citazione dal quarto dei Lieder eines fahrenden Gesellen («Auf der Strasse steht ein Lindenbaum»: le ultime battute del canto di commiato) evoca senza mediazioni l’esperienza del dolore. Alla sinistra dissolvenza con cui si conclude il terzo movimento, si contrappone il fragoroso incipit del quarto, con una introduzione che coagula sparsi e dissimili frammenti tematici. È la transizione che, nel poema sinfonico, portava “Dall’Inferno al Paradiso”, e non a caso si contrappongono nel movimento citazioni dalla Sinfonia “Dante” di Liszt e il tema del Gral del Parsifal di Wagner.
D’altra parte l’intera costruzione del Finale è improntata alla logica di contrapposizioni e diseguaglianze che sarà propria delle successive Sinfonie; vi fanno la loro comparsa anche citazioni dai movimenti precedenti, seguendo un percorso che è quello di progressiva e grandiosa affermazione, e che può essere riferita all’eroe protagonista del “viaggio” della Sinfonia. Più che seguire passo per passo tutto l’itinerario del movimento, converrà osservare che il trionfalismo della conclusione, animato da clangori degli ottoni e rulli di timpano, è in realtà incrinato, nella sua valenza positivistica, dal carattere dilazionatorio e quasi dispersivo degli episodi precedenti; fra i quali riappare un’ultima volta l’iniziale «Naturlaut», punto di partenza ma anche rifugio ideale e inattingibile della poetica mahleriana.

In molti considerano il Mahler di Solti come esuberante e indistinto, io ho selezionato alcune delle sue registrazioni sia con la LSO che con la CSO, con l’obiettivo di ribaltare quest’opinione.

Di volta in volta sento padronanza, sottigliezza e talvolta anche pudore laddove è accusato di pesantezza. Tra le due registrazioni, la prima con la London Symphony Orchestra (1964) e l’odierna con la Chicago Symphony Orchestra (1984) non c’è molta differenza interpretativa. Dove la CSO eccelle davvero rispetto alla LSO è nel finale, dove la prominenza degli ottoni e la lucentezza degli archi sono sorprendenti. Particolarmente bella è la ripetizione della parte centrale del corale, così sonora con i corni ardenti, timpani fragorosi prima del ritorno del suggestivo passaggio del “bosco fatato” che apre la sinfonia. Infine, il vero vantaggio di questa registrazione successiva è la stupenda ingegneria fonica; il suono digitale è ovviamente più pulito, più chiaro e più ricco. Entrambe le registrazioni valgono cinque stelle e entrambe hanno smentito l’idea che Georg Solti non fosse in qualche modo capace di generare la
necessaria ampiezza espressiva in Mahler. Registrazione eseguita nel 1984. Entrambe ultra raccomamandate.

Genesi della sinfonia n. 1 in re maggiore “Titano”

30 Marzo 1888 Malher termina a Budapest la composizione della sua prima sinfonia in due parti e cinque movimenti.
20 Novembre 1899 Mahler dirige nella Redoutensaal del Municipio di Budapest la prima versione della sinfonia con il sottotitolo “Poema sinfonico in due parti”.
16 Agosto 1893 Mahler termina a Vienna la stesura della seconda versione della sinfonia alla quale applica il titolo di “Titano” ed inserisce una didascalia programmatica all’inizio dei singoli movimenti.
27 Ottobre 1893 Mahler dirige nello Stadttheather di Amburgo la seconda versione della sinfonia.
6 Marzo 1896 Mahler dirige nella Neues Königliches Opernhaus di Berlino la terza versione della sinfonia con il titolo “Sinfonia in quattro tempi”.

In questa ultima versione il compositore ha cancellato il titolo e tutte le didascalie dei singoli movimenti ed eliminato l’Andante “Blumine” originariamente posto come secondo tempo.
Quando Mahler ne diresse la prima esecuzione il 20 novembre 1889, a Budapest, questa Sinfonia non aveva ancora raggiunto la forma definitiva. Mahler infatti si tormentò più a lungo del solito su questa partitura, sottoponendola a continue revisioni e passando attraverso lunghe esitazioni e ripensamenti: fra i primi abbozzi del 1884 e gli ultimi ritocchi del 1909 intercorsero venticinque anni, come dire l’intero arco creativo del compositore. Dal punto di vista strettamente musicale i cambiamenti più rilevanti furono la riduzione dei movimenti da cinque a quattro, a causa della soppressione di un Andante collocato originariamente in seconda posizione, e l’ampliamento dell’organico strumentale dalle normali dimensioni ottocentesche fino al gigantismo orchestrale tipicamente mahleriano: flauti, oboi e clarinetti passarono da tre a quattro, i corni da quattro a sette, le trombe da tre a cinque, i tromboni da tre a quattro e così via.

Ma più interessanti ancora sono le incertezze di Mahler sul titolo e sull’eventuale contenuto programmatico da attribuire a questo suo primo, grandioso impegno in campo sinfonico. Al pubblico di Budapest l’aveva presentato come “poema sinfonico in due parti”, senza però indicarne il titolo e il programma, che sarebbero in teoria indispensabili in tale genere musicale. Successivamente gli diede il titolo di Titano, ispiratogli da un romanzo di Jean

Paul, lo scrittore romantico che era stato fra i prediletti da Schumann: probabilmente Mahler aveva creduto di trovare i propri conflitti interiori rispecchiati nel personaggio di Roquairol che, non riuscendo ad afferrare la realtà, la reinventa e la assoggetta alla sua fantasia, sviluppando la sua lucida intelligenza e i suoi ardenti desideri in una sterile eccentricità, fino a cadere in una situazione di disagio spirituale e di malattia che lo conduce al suicidio. Inutilmente si cercherebbero però nel programma – steso da Mahler in varie redazioni più o meno elaborate ma sostanzialmente simili – dei precisi riferimenti all’argomento del romanzo.

In occasione dell’esecuzione ad Amburgo del 1893, Mahler definì dunque quest’opera “Titano”, un poema sinfonico in forma di sinfonia. Era diviso in due parti: la prima parte, Dai giorni di gioventù: fiori, frutti e spine, era formata dai primi tre movimenti e la seconda, Comoedia humana, dagli ultimi due. I cinque movimenti a loro volta erano così definiti:

1. Primavera senza fine (“L’introduzione rappresenta il risveglio della natura dal lungo sonno invernale”);

2. Blumine (traducibile come “Raccolta di fiori”: è il movimento che venne in seguito soppresso);

3. A vele spiegate;

4. In difficoltà! (“Una marcia funebre nello stile di Callot”, al cui proposito Mahler annotò: «Lo stimolo esterno della composizione di questo brano musicale è venuto all’autore da “II corteo funebre del cacciatore”, un’illustrazione satirica di un antico libro di favole, che è nota a tutti i bimbi austriaci. Gli animali della foresta accompagnano alla tomba il cacciatore morto: le lepri portano lo stendardo…»);

5. Dall’inferno al paradiso (in italiano nell’originale), che deve seguire immediatamente il movimento precedente, “come l’improvviso grido di un cuore ferito nel profondo”.

Nel 1894 titolo e programma vennero definitivamente abbandonati e dal 1896 scomparve anche la definizione di “poema sinfonico”, sostituita semplicemente da Sinfonia in re maggiore. Riguardo a questa decisione Mahler scrisse nel 1896: «Il titolo, Titano, e il programma hanno una ragione: a quel tempo i miei amici mi indussero a stendere una specie di programma per facilitare la comprensione della sinfonia. Titolo e programma furono quindi pensati in un secondo momento. Se ora li voglio evitare, non è soltanto per il fatto di considerarli insufficienti e alquanto anodini ma anche perché l’esperienza mi ha insegnato che il pubblico dai programmi e dai titoli è indotto in errore. Succede sempre così!».

Gustav Mahler

Pur messi così autorevolmente in guardia dal sopravvalutare presunti contenuti extra-musicali, bisogna però sottolineare come le oscillazioni di Mahler sul titolo e sul programma – nonché sulla forma stessa – di questa Sinfonia non possono assolutamente essere considerate prive di significato. La scelta a favore della musica a programma, che Mahler nella lettera citata attribuisce a pressioni esterne da parte di amici, doveva in realtà rispecchiare sue personali incertezze sulla strada da prendere con quest’opera di straordinarie dimensioni e di non meno straordinarie ambizioni, destinata non soltanto a chiudere il periodo giovanile e a segnare gli anni futuri della sua attività ma anche a regolare i conti con l’intera eredità musicale del passato: Mahler era qui chiamato a fare la sua scelta fra Brahms e la wagneriana musica dell’avvenire, fra la musica “pura” e il poema sinfonico di Liszt e del giovanissimo ma prepotentemente emergente Strauss, fra l’autonomia e l’indipendenza della musica e la tendenza all’unione delle varie arti, fra intimità liederistica e spettacolare espressività tardoromantica, fra la fusione wagneriana dei timbri orchestrali e ricerca di colori nettamente rilevanti.
Le oscillazioni di Mahler dimostrano che in realtà egli non scelse e che nella sua prima Sinfonia sono presenti le opposte tendenze della musica del suo tempo: il suo genio sta anche nell’aver saputo conciliare (o, meglio, nell’aver costretto a convivere) opposti inconciliabili.
Il primo movimento reca l’indicazione Langsam, Schleppend. Wie ein Naturlaut (Lento, strisciando. Come un suono della natura). La tenuta dagli archi su sette ottave, dal la profondissimo dei contrabbassi a quello incorporeo dei violini, evoca l’infinità della natura: su questo la i legni lasciano cadere sommessamente gruppi di due note (la-mi), che si condensano presto in un tema di elementare semplicità, mentre come di lontano risuona un motivo di fanfara militare. Questa fanfara e un trasparente ricordo del canto del cuculo rimandano a un mondo di infantile purezza, rivissuto attraverso la memoria e quindi trasfigurato al di là di ogni imitazione realistica: non a caso nella prima versione della Sinfonia la breve fanfara era naturalisticamente affidata agli ottoni, ma venne poi assegnata ai clarinetti. Romantiche frasi dei corni, intrecciandosi alla fanfara e ai richiami del cuculo, conducono al vero e proprio primo movimento, che si apre con un tema dei violoncelli ripreso a canone dai fagotti, tratto dal secondo dei Lieder eines fahrenden Gesellen: “Me ne andavo stamane per i campi…”. Per un po’ la sinfonia segue da vicino questo Lied campestre e amabilmente animato, avviandosi poi a toccare brevemente un apice d’intensità, che riporta all’atmosfera dell’introduzione, immobile e misteriosa, una “sospensione” in cui il tempo sembra fermarsi. “Sospensione” e “irruzione” sono – secondo Adorno – le due polarità del mondo espressivo di Mahler. E, in effetti, dopo la “sospensione” ecco l'”irruzione”, allorché nuovi sviluppi, percorsi da ritmi di marcia e lentamente ma inesorabilmente avviati a divenire sempre più ansiosi e tesi, vengono interrotti da due ravvicinati interventi di crescente violenza delle trombe, che riescono a spezzare quell’atmosfera cupa e a portare un cambiamento improvviso di luce, con il ritorno della tonalità di re maggiore, risplendente e trionfante: è l’apoteosi che, dopo un’ultima e rapida ripresa del tema del Lied, conclude il movimento.
Il secondo movimento, Kräftig bewegt, dock nicht zu schnell (Vigorosamente mosso, ma non troppo veloce), ha lo schema tripartito di uno Scherzo. Il ritmo di Ländler, i temi dal lontano ma inconfondibile carattere di Jodler e il tono da musica da taverna del Trio gli conferiscono un’impronta rustica, indissolubilmente legata in Mahler ai ricordi d’infanzia, insidiati però in questo caso da ombre inquietanti, in particolare da una specie di moto perpetuo degli ottoni, che percorre – ora più ora meno percepibile – l’intero movimento.

Feierlich und gemessen, (Solenne e misurato): viene indicato da Mahler il tema della canzoncina infantile Frère Jacques, trasformato in una marcia funebre parodistica e allo stesso tempo spettrale, che inizialmente, sulla scansione implacabile dei timpani, viene sussurrata in un registro innaturalmente acuto dal contrabbasso, cui progressivamente si aggiungono a canone fagotto, violoncelli, basso-tuba e poi via via l’intera orchestra, mentre l’oboe sembra commentare insolentemente. Il tono parodistico si accentua con l’entrata di un tema dal sapore “ungherese”, canticchiato dagli oboi con il controcanto di due trombe: i cimbali turchi contribuiscono all’effetto. La citazione dell’ultimo dei Lieder eines fahrenden Gesellen, “Die zwei blauen Augen” (I due occhi azzurri), introducono uno squarcio lirico, ma presto ritornano la spettrale marcia funebre e il beffardo tema tzigano, rafforzando ancor più l’iniziale effetto di annichilimento: questa canzoncina infantile che si trasforma in marcia funebre potrebbe essere elevata a simbolo dell’universo mahleriano.
Improvviso e fortissimo (Mahler lo definì “il grido di un cuore ferito”) irrompe il movimento finale, Stürmisch bewegt (Tempestosamente agitato), che si contrappone da solo ai tre movimenti precedenti, tanto per le sue dimensioni che per il suo carattere. Il colpo di piatti che lo apre venne paragonato dall’autore al lampo repentino che illumina un ciclo nuvoloso e tutto il movimento può essere inteso come la riconquista della tonalità di re maggiore a partire da fa minore. Dopo una sezione introduttiva tumultuosa e dissonante, l’energico primo tema è quasi una versione più battagliera di un cupo tema di marcia udito nel movimento iniziale: dopo una lunga lotta s’inabissa e scompare in una serie d’interventi d’intensità decrescente degli ottoni, mentre emerge un secondo tema struggente, dal respiro melodico straordinariamente ampio. Questi diversi temi si mescolano con altre reminiscenze tematiche del primo movimento, fino a un tremendo climax orchestrale, che riconduce infine il re maggiore. Mahler ha dichiarato: “L’accordo di re maggiore deve risuonare come se fosse caduto dal cielo, come se venisse da un altro mondo!”. Siamo poco oltre la metà del movimento finale: la parte restante, in cui i conflitti precedenti trovano la loro soluzione, risponde a ragioni sia architettoniche che psicologiche. Un nostalgico sguardo indietro, con ripetizioni più o meno testuali di elementi dei movimenti precedenti, serve quasi come momento di distensione prima dell’apoteosi finale, che combina contrappuntisticamente i vari temi, in mezzo a fragorosi ed esultanti interventi degli ottoni, in una conclusione volutamente “popolare” e aproblematica. Lo schema romantico del “trionfo dopo la lotta” celebra qui una delle sue ultime apparizioni.

Georg Solti