Mahler Gustav

Sinfonia n. 5 in do diesis minore

Molti anni fa ho acquistato questa registrazione su vinile. Era la prima incisione della Quinta Sinfonia di Mahler che ascoltavo. Mi sono subito innamorato di questa composizione e della registrazione. La versione su CD non ha per nulla cambiato la mia opinione anzi l’ha rafforzata perché col digitale l’audio risulta notevolmente migliore. Karajan e la Berliner Philharmoniker orchestra interpretano la sinfonia magnificamente. Ho anche la registrazione di Bernstein e mi piace allo stesso modo. Registrazione eseguita nel 1973 e rimasterizzazione effettuata nel 1996. Da non perdere.

Registrando il Mahler di Karajan – il produttore ricorda……

Questa registrazione fu la prima incisione di un’opera di Mahler mai effettuata da Herbert von Karajan. Prima di allora Karajan aveva rifiutato ogni proposta riguardante l’esecuzione in concerto o la registrazione di sinfonie mahleriane, nonostante ne avesse un’intima conoscenza, e ciò a causa del lungo lavoro di preparazione che avrebbero richiesto.
La prima esecuzione in concerto della Quinta con i Berliner Philharmoniker nel 1973 fu preceduta da due anni di prove, da una registrazione sperimentale e, molto più tardi, dalla presente incisione.
Il lavoro sulla Quinta si estese nell’arco di sette sedute nel corso delle quali venne registrata anche la leggendaria interpretazione dei “Quattro ultimi Lieder” di Richard Strauss con Gundula Janowitz.
Durante le sedute di incisione, che si protraevano per circa tre ore, Karajan preferiva lavorare per un’ora, un’ora e mezza sui singoli brani della Quinta, poi dedicava il tempo restante ad uno dei Lieder di Strauss.
Con Karajan a volte dovremmo comportarci con grande circospezione e diplomazia: il maestro era piuttosto riluttante a registrare nuovamente passaggi che il produttore giudicava insoddisfacenti.
D’altro canto, in quell’occasione eravamo tutti alquanto irritati dalle interruzioni causate dall’atterraggio e dal decollo degli aerei nel vicino aeroporto di Tempelhof, e inoltre la cabina di regia era purtroppo invisibile dalla navata della chiesa ove lavoravano i musicisti, cosicché potevamo contattarli solo per telefono.
Per solito Karajan non insisteva ad approvare personalmente il master di una registrazione: in questo caso, però, lo ricordo tutto intento ad ascoltare il nastro in uno studio vicino a Colonia, subito dopo aver diretto la prima incisione mondiale di “De temporum fine comoedia” di Carl Orff.
Anche il compositore ci aveva raggiunto ed era venuto appositamente per ascoltare i nastri della sua opera: quando entrò nello studio, fu accolto dalle note della Quinta di Mahler e dalle grandi esclamazioni di delizia di Karajan nell’udire quanto alta fosse la qualità della sua incisione. Orff non ne sembrò affatto divertito.

Hans Weber
(Traduzione: Massimo Acanfora Torrefranca)

Una scoperta tarda

All’ascolto del presente documento discografico molti non potranno forse comprendere perché Herbert von Karajan, geniale e autentico interprete bruckneriano, abbia esitato tanto a lungo prima di dedicarsi all’imponente cosmo sinfonico di Gustav Mahler, del quale si poteva considerare di fatto “connazionale”.
Né sono mancate le voci assai critiche, o persino malevoli, di quanti ritenevano che, diversamente da Bruckner, Karajan non potesse comprendere la persona e l’opera di Mahler.
E in effetti in Mahler, nato da genitori ebrei in un villaggio moravo della monarchia austro-ungarica, non è agevole rilevare una chiara identità nazionale. Lui stesso si riteneva “senza patria” in una triplice prospettiva: come boemo tra gli austriaci, come austriaco tra i tedeschi e come ebreo tra tutte le nazioni del mondo.
Tuttavia le radici e le qualità spirituali di Mahler, la concezione e la grandezza della sua gigantesca produzione si possono intendere solo considerando il suo milieu d’origine, la sua psicologia, con lo scetticismo, le depressioni e la profonda solitudine che ne segnarono il carattere: tutto ciò era radicato nel paesaggio ideale austriaco come lo era anche la sua aperta visione cosmopolita. Ma allora – ci si può chiedere chi avrebbe potuto essere più adatto di Herbert von Karajan, il mago sul podio d’una delle migliori orchestre del mondo, a interpretare e presentare il retaggio musicale di Mahler?
Per quale ragione Karajan, formatosi sullo stesso terreno culturale, avrebbe avuto nei confronti di Mahler un atteggiamento che nei suoi indulgi e nel suo riserbo riesce difficilmente comprensibile?

Gundula Janowitz

Forse vi erano obiezioni e remore di fondo, e forse la convinzione che in nessun altro compositore potessero risultare tanto problematiche la piena fedeltà allo spirito dell’opera e la compiuta realizzazione timbrica e formale di un materiale musicale assai lontano dalle stratificazioni sonore e dalla spiritualità di Bruckner. D’altra parte bisogna sottolineare che Karajan, perfezionista per grazia di Dio, non si lasciò né distogliere dalle sue convinzioni né indurre dalle osservazioni malevole di qualche critico a seguire tendenze musicali alla moda.
Karajan non volle affrettare i tempi e solo nel febbraio del 1973, a poco meno di 65 anni e a quasi vent’anni da quando aveva assunto la guida dei Berliner Philharmoniker, incise con quest’orchestra per la prima volta un’opera di Gustav Mahler, la Quinta Sinfonia, ora riproposta all’ascolto in questa collana discografica.
Sei mesi dopo Karajan diresse la Quinta al Festival di Salisburgo. Il successo fu strepitoso, anche se tra i puristi non si erano spente del tutto le voci di dissenso. Avevano da ridire un po’ su tutto: in un atteggiamento saccente gravato da pregiudizi, criticavano nella sua sostanza la concezione estetica che aveva animato Karajan, disapprovando le presunte inflessioni artificiose e dolciastre della perfetta e raffinata veste sonora da lui elaborata. Criticavano anche di non poter cogliere efficacemente in lui quel piglio concitato, quegli stravolgimenti, quelle lacerazioni e scissioni che rispecchiano in sonorità stridenti l’intimo conflitto tra l’uomo e l’artista.
E l’enumerazione delle manchevolezze percepite dai seguaci della dottrina interpretativa pura potrebbe ancora prolungarsi. Ma in considerazione della distanza di tempo che si è frattanto venuta a creare, sarebbe ben più sensato cercare il sostegno di criteri di giudizio più obiettivi, che senza trasfigurare persone e cose, senza l’ipoteca di sovrastrutture ideologiche, consentano almeno di ripensare e correggere giudizi errati.
Anche Karajan, l’esteta e il mago dei suoni, ha offerto con questo suo documento discografico – a dispetto di qualunque sorta di critica – un significativo, originale contributo all’interpretazione di Mahler, in una magistrale realizzazione della sua Quinta Sinfonia composta nel 1901/1902 e quindi eseguita per la prima volta a Colonia nel 1904.
Quello che il compositore ha ideato in spirito e tecnica per una compagine strumentale dalla ricca gamma coloristica, Karajan e la sua prestigiosa orchestra l’hanno tradotto in immagini sonore con un virtuosismo senza precedenti, capace di realizzare empiti e raffinatezze, angosce e lacerazioni di quei tempi cruciali in tutta la loro grave e minacciosa carica profetica.
Una ricerca lunga e complessa per il direttore stesso, e una scoperta tarda per l’ascoltatore!

Peter Fuhrmann
(Traduzione: Gabriele Cervone)

Questa registrazione della sinfonia n. 5 è una delle migliori che abbia mai sentito. L’intensità dall’inizio alla fine è impressionante, così come lo è la sezione ottoni della CSO.
È emozionante sentire come la CSO suoni con grande potenza e con la sezione archi in grave che dona a questa composizione una particolare atmosfera. Il lato negativo di questa esecuzione live è l’Adagietto. Questo movimento sembra forzato e non così sentito come alcune delle altre grandi registrazioni. Toglie anche la spinta propulsiva della sinfonia, che viene prontamente ripresa durante il rondò-finale.
Peccato per la scarsa qualità della registrazione, perché l’esecuzione è davvero notevole. In generale molto rumore di fondo, e soprattutto il movimento “Adagietto” ha il livello troppo basso e lo “scherzo” nei momenti più intensi sembra quasi distorcere.
Registrazione eseguita nel 1991.

Sinfonia n. 5 in do diesis minore

La Quinta sinfonia fu scritta da Mahler durante i mesi estivi del 1901 e del 1902 trascorsi a Maiernigg, sul Wörthersee, e riflette la piena maturità raggiunta dal compositore come artista e come uomo. A quarant’anni compiuti egli era una personalità influente dell’Opera di Vienna e uno dei più stimati direttori d’orchestra dell’epoca; le sue composizioni erano inserite nei Festivals musicali e nei programmi di direttori d’orchestra importanti, come Richard Strauss, Nikisch e Weingartner. La sua vita privata subì nello stesso periodo un cambiamento sostanziale, dopo aver conosciuto nel novembre del 1901 la figlia di un illustre pittore viennese, l’incantevole e intelligente Alma Schindler, che sposò nel marzo dell’anno successivo. Contemporaneamente a questa sinfonia Mahler compose i primi tre Kindertotenlieder (Canti dedicati ai fanciulli morti) su poesie di Friedrich Rückert, sostenitore del più acceso lirismo romantico e considerato un epigono di Goethe e della poetica racchiusa nei «Dolori del giovane Werther». Il clima sentimentale, doloroso e straziante, dei Kindertotenlieder è presente anche nella Sinfonia in do diesis minore, tanto da segnare un distacco di Mahler dal contenuto letterario delle prime quattro sinfonie, quelle che vanno sotto il nome delle Wunderhorn-symphonien, in quanto legate alle liriche medioevali popolari tedesche pubblicate da Arnim e Brentano e conosciute con il titolo del «Corno magico del fanciullo» (Knaben Wunderhorn).

La Quinta sinfonia venne eseguita per la prima volta in un concerto a Colonia il 18 ottobre 1904 sotto la direzione d’orchestra dello stesso autore, che raccolse un successo di stima. Poco dopo venne presentata a Praga e a Berlino con esiti contrastanti e tali da indurre il musicista a rivedere la partitura e a pubblicarla in altre due versioni, alle quali va aggiunta quella stampata nel 1964 da Peters a Vienna nella edizione curata da Erwin Ratz per conto della «Internationale Gustav Mahler Gesellschaft». L’organico strumentale di questa sinfonia, che supera la durata di un’ora, è molto denso e corposo e comprende quattro flauti, tre oboi, tre clarinetti, due fagotti, ottavino, corno inglese, clarinetto basso, controfagotto, sei corni, quattro trombe, tre tromboni, un basso tuba, quattro timpani, grancassa, piatti, tamburo, glockenspiel, tam-tam, nacchere, arpa e una massa estesa di archi, che dovrebbero figurare «in möglichst zahlreicher Besetzung», cioè nella formazione più numerosa possibile. Per questa vastità di impianto e di costruzione, oltre che per la varietà e ricchezza di immaginazione e di idee musicali, la Quinta è un’opera poderosa e massiccia che si inserisce, pur potenziandone la struttura e il discorso orchestrale, nella grande tradizione sinfonica tedesca.

Essa è divisa in tre parti: la prima è costituita dai primi due movimenti, la seconda dallo Scherzo, la terza dagli ultimi due movimenti. Il tema scandito in modo persistente dalla tromba, che funge da leit-motiv, descrive il tono cupo e drammatico della marcia funebre, snodantesi come una processione (la partitura indica «Wie ein Kondukt», dal latino conducere che sta ad indicare una musica di tipo processionale, che anticamente accompagnava l’entrata dell’officiante in chiesa).

Alma Schindler

La frase della tromba è certamente un ricordo, una categoria delle reminiscenze, direbbe il filosofo Adorno, delle musiche militari ascoltate da Mahler bambino, quando viveva nella cittadina di frontiera della Moravia, Jihlava. Essa poggia su due gruppi tematici di tono elegiaco, uno dei quali in re bemolle maggiore e in
dolenti seste parallele, in posizione consequenziale al tema della marcia funebre, e l’altro in la minore, nella stessa tonalità del secondo movimento, che è caratterizzato da un attacco concitato e affannoso, dominato dalle strappate violente e vigorose degli archi. La musica sale di tensione, fino a toccare punte di disperata drammaticità; l’orchestra aumenta di spessore e il gioco strumentale si infittisce e sfocia in un corale in re maggiore degli ottoni di luminoso splendore, rielaborato successivamente nel Rondò conclusivo. Il grido di disperazione si attutisce e si estingue tra sonorità dolci e delicate: un colpo secco e pianissimo dei timpani pone fine all’Allegro.
Lo Scherzo di rilevante estensione (dura quasi 18 minuti) ha la fisionomia ritmica di un caratteristico Laendler austriaco, annunciato da un tema gioioso dei corni, cui segue un agile e fresco contrappunto tra la cornetta e i primi violini. Il Trio centrale è contrassegnato da un malinconico e nostalgico assolo di corno, riecheggiante il mondo fantasioso e fanciullesco del ciclo poetico del «Knaben Wunderhorn» e in un certo senso anche schubertiano e bruckneriano. Su questo tema si innesta un motivo di valzer elegante e spigliato, prima di ritornare al clima festoso iniziale, concepito in forma di variazione su una intelaiatura sinfonica densa e succosa, espressione del tormento compositivo del musicista.
Il momento distensivo e contemplativo della sinfonia è racchiuso nell’Adagietto per arpa e archi, dove la sensibilità creatrice mahleriana tocca uno dei punti più alti e commoventi della propria inventiva. E’ una celebre pagina in forma di Lied (A B A), il cui seme melodico troverà ampia risonanza nei Kindertotenlieder; lo struggente psicologismo romantico in essa racchiuso si esprime attraverso un interessante passaggio di modulazioni dal fa maggiore al sol bemolle maggiore, con accordi e impasti armonici di sapore vagamente tristaneggiante. Il senso introspettivo dell’Adagietto è in netto contrasto con il carattere estroverso e brillante del Rondò successivo, preceduto da un «sipario» di ventitré battute nel quale una figurazione umoristica dei fagotti è seguita dalla melodia corale del secondo movimento, in questo caso intonato dal clarinetto.
Lo sviluppo del Rondò è irresistibile ed è contrassegnato dalla fuga molto animata e vivace degli archi, di impronta classicheggìante: più volte Mahler rievoca in forma di variazione il tema cantabile dell’Adagietto e termina la sinfonia con un taglio contrappuntistico e corale di possente respiro e alla maniera di Bruckner. Secondo alcuni musicologi in questo finale si riconoscono varie presenze: da certi passaggi della Sinforna «Oxford» di Haydn alla «Jupiter» di Mozart, dall’ultimo tempo della Seconda sinfonia di Beethoven ad alcune trovate provenienti dai Maestri cantori di Wagner. Ma non si può negare che la sigla espressiva di questa partitura non sia profondamente mahleriana, in quanto, come ha scritto Bruno Walter, la Quinta sinfonia «è fatta di musica appassionata, selvaggia, piena di pathos, briosa, solenne, delicata e piena di tutte le sensazioni dell’anima umana». Non per niente essa è stata paragonata al romanzo-fiume di stile proustiano, dove realtà e immaginazione si fondono in un modello sintattico ed estetico in continuo sviluppo e cambiamento di situazioni psicologiche.