Mahler Gustav

Sinfonia n. 9 in re maggiore

Il 20 agosto 2010 alla serata d’inaugurazione annuale del Festival di Lucerna Claudio Abbado ha diretto l’Orchestra del Festival di Lucerna in una performance epocale della nona Sinfonia di Gustav Mahler. Fortunatamente la serata è stata registrata anche in video. Sebbene ci siano già molte belle registrazioni della magnifica nona sinfonia Mahleriana – inclusa quella del più giovane Abbado che dirige la Berliner Philharmoniker Orchestra nel 1999 e la direzione di Claudio, così preferiva farsi chiamare dagli orchestrali, con la Mahler Jugendorchester nel 2005 – questa “esperienza” risulta perfetta in ogni aspetto. Sicuramente il finale “Adagio” deve essere uno di quei rari casi in cui la musica si ferma quando il movimento si avvicina silenziosamente al completamento. Lo spartito lo prevede, ma l’orchestra, il maestro e il pubblico sono sbalorditi dall’incantesimo del lungo silenzio che segue, altissimo momento espressivo e commovente. Video e audio eccezionali. Imperdibile!

Sinfonia n. 9 in re maggiore

Nell’autunno del 1912 Alban Berg scriveva alla moglie: «Ho suonato di nuovo la Nona di Mahler. Il primo movimento è la cosa più Splendida che Mahler abbia scritto. È l’espressione di un amore inaudito per questa terra, del desiderio [Sehnsucht] di vivere in pace con la natura e di poterla godere fino in fondo, in tutta la sua profondità, prima che giunga la morte. Perché essa arriva senza scampo. L’intero movimento è permeato dal presentimento della morte. Si presenta in continuazione. Ogni sogno terreno culmina in questo (da qui la sempre nuova agitazione che cresce impetuosa dopo i passi più delicati), al massimo grado naturalmente in quel passo incredibile in cui il presentimento della morte diviene certezza, in cui la morte stessa si annuncia “con forza inaudita” proprio nel mezzo della più profonda e più dolorosa gioia di vivere. E poi il lugubre assolo di violino e viola e quei suoni soldateschi: la morte in corazza! Contro tutto ciò non c’è più resistenza! Ciò che ancora sopraggiunge mi sembra come rassegnazione. Sempre con il pensiero all’aldilà, che si manifesta proprio in quel passo “misterioso” simile all’aria rarefatta – ancor più in alto delle montagne – sì, come nello spazio che si fa più rarefatto (Etere). E di nuovo, per l’ultima volta, Mahler si rivolge verso la terra – non più alle lotte e alle azioni, di cui si sbarazza (come già nel Lied von der Erde, con i mordenti passaggi cromatici discendenti), bensì soltanto ormai completamente alla natura. Come e quanto a lungo vuole godere ancora delle bellezze della terra! Lontano da ogni fastidio, egli vuole mettere casa [Heimat] nell’aria libera e pura dello Semmerin, per respirare a pieni polmoni questa aria, la più pura di questa terra, con respiri sempre più profondi, perché questo cuore, il più splendido che mai abbia pulsato tra gli uomini, possa espandersi sempre di più, prima di dover cessare di battere».
L’interpretazione di Berg merita di essere riportata per intero, perché fornisce un punto di vista sicuramente vicino a quello di Mahler. La Nona Sinfonia rappresenta non solo l’ultimo percorso compiuto dell’autore, ma anche il canto del cigno di tutta la «civiltà della sinfonia», giunta al termine del suo ciclo dopo un secolo e mezzo di storia. Le osservazioni di Berg mettono in luce diversi elementi peculiari. Il primo e il più importante è il rapporto con la morte. Il tema è costante nel lavoro di Mahler, ma le sue ultime opere (Das Lied von der Erde, Nona Sinfonia e i frammenti della Decima) nascono da una riflessione così pervasa dal pensiero dell’imminente fine, sia nel contenuto, sia nella forma

musicale, che il musicologo Hans F. Redlich le ha riassunte nella definizione «Trilogia della morte».
La morte in carne e ossa era comparsa nella vita di Mahler nell’estate del 1907. Il 5 luglio il compositore perse all’improvviso la figlia Marie. A distanza di pochi giorni, gli fu diagnosticata una grave disfunzione cardiaca congenita, che non lasciava molte speranze. In queste condizioni di spirito fu portata a termine l’erculea impresa dell’Ottava Sinfonia, ma con essa un ciclo si era ormai esaurito.
L’esperienza della morte fu una drammatica cesura, che separò due epoche della sua vita professionale e creativa. Altre circostanze, in quell’estate luttuosa, costrinsero infatti il compositore ad aprire una nuova fase. In primo luogo era finito il lungo braccio di ferro tra Mahler e Vienna. In primavera, dopo l’ennesima cabala orchestrata in sua assenza, Mahler aveva rassegnato le dimissioni dalla Hofoper. Accompagnato da veleni e polemiche, l’audace rinnovatore del teatro viennese decise di andare a New York per tentare una nuova e poco fortunata avventura.
Mahler lasciò quell’anno anche la villa di Maiernigg, in Carinzia, dove era solito trascorrere l’estate componendo. Si trasferì l’anno seguente in una piccola fattoria ad Alt-Schluderbach, nel Tirolo meridionale, vicino a Dobbiaco. Il differente paesaggio rispecchia la trasformazione profonda avvenuta nell’animo del musicista.
Mahler aveva abitudini piuttosto rigide. Si rinchiudeva per lavorare in una casetta in mezzo al bosco, come se la sua anima si potesse nutrire solo a contatto con la natura, il mondo “altro” e “felice” contrapposto a quello meschino e di sofferenza degli uomini. Il confronto tra le due casette, quella di Maiernigg e quella di Alt-Schluderbach, è abbastanza impressionante. La prima è una solida costruzione in muratura, nascosta e protetta dalla vegetazione, con i rami degli alberi che entrano fin quasi dentro la finestra; la seconda, invece, una fragile edicola in legno, ai margini del bosco di abeti, immersa nella luce radente filtrata dai rami. L’una pare un tempio, l’altra un eremo. In questa nuova dimensione ascetica Mahler iniziò ad abbozzare la Nona Sinfonia, nell’estate del 1908. La Nona, cresciuta in simbiosi con il ciclo vocale Das Lied von der Erde, fu completata l’1 aprile 1910, secondo quanto scrisse l’autore a Bruno Walter. Mahler non potè ascoltare le sue ultime opere, che furono eseguite postume. Walter diresse la Nona a Monaco il 21 novembre del 1911 e Das Lied von der Erde a Vienna il 26 giugno 1912.
Ciascuna Sinfonia di Mahler racchiude un nucleo poetico, che stabilisce nella forma e nello stile musicale un determinato contenuto spirituale. Ciascuna è un romanzo, che contiene un mondo spirituale perfettamente compiuto. Le osservazioni di Berg, corroborate da altre informazioni di prima mano, ci indicano qual è il soggetto della Nona. Walter scrisse nel suo libro su Mahler: «Il titolo dell’ultimo canto [di Das Lied von der Erde], Der Abschied (L’Addio) si sarebbe potuto usare anche per la Nona». Un’altra persona a diretto contatto con Mahler, il direttore d’orchestra olandese Willem Mengelberg, annotò nel 1918 sulla sua partitura:

Lied von der Erde è: Addio all’«amico»! (all’umanità!) 9te Symphonie è: Addio a tutto ciò che ama
– e al mondo
-! e alla sua arte, alla sua vita, alla sua musica
– I mov. Addio ai suoi cari (sua moglie e sua figlia) malinconia!
– II mov Danza macabra («Devi scendere nella tomba») Finché campi, dimentica il cattivo umore
– III mov Humor nero -! Lavoro, affari, tutti gli inutili sforzi se li ingoia la morte!!
trio – un ideale estraneo (motivo originario)
Canto di vita di Mahler
– IV mov L’anima di Mahler canta il suo addio! Egli canta tutto il suo essere. La sua anima canta – canta –
per l’ultimo addio: «Leb wohl» (addio)!

Le testimonianze non lasciano dubbi, ma per cogliere l’originalità dell’ultimo romanzo musicale di Mahler è necessario comprendere come lo specifico contenuto si trasforma in discorso musicale. Nel rapporto tra musica e idea risiede il particolare carattere che contraddistingue in modo inconfondibile le opere dell’ultimo Mahler.
La struttura complessiva della Sinfonia si basa sull’equilibrio tra la forma ternaria e quella binaria. 3 contro 2 costituisce una proporzione instabile e coerente, che si rifrange anche nei moduli inferiori. Questo rapporto non è solo un principio formale, ma assolve, come vedremo, una funzione poetica ben precisa.
La Sinfonia è divisa in quattro movimenti: I Andante comodo – II «Im Tempo eines gemächlichen Ländlers» (In tempo di un tranquillo Lädndler) – III Rondo- Burleske – IV Adagio.
I due movimenti centrali, però, sono concepiti come un unico panello: sommati insieme, equivalgono in durata a ciascuno dei due movimenti esterni. Si delinea quindi una forma complessiva ad arco, ripartita in 3 sezioni: 1 + (1 + 1) + 1.
– III mov.
Il primo movimento è forse la pagina tecnicamente più complessa e raffinata che Mahler abbia mai composto. Non stupisce che un musicista estremamente sensibile alla costruzione formale come Berg sia stato colpito così a fondo dall’Andante comodo. Mahler combina assieme, con grandissima abilità, due principi della tecnica compositiva: lo sviluppo e la variazione. Il risultato è una forma che restituisce il senso di equilibrio architettonico caratteristico della forma-sonata, mantenendo allo stesso tempo il sapore di un’estrema libertà espressiva.
Un altro aspetto molto interessante della tecnica compositiva dell’ultimo Mahler è messo in luce dal modo in cui sono organizzate le battute iniziali.
La musica di Mahler procede quasi sempre per gesti, segnali, citazioni. Il primo di questi segnali, che costruisce anche il punto di partenza della Sinfonia, è la citazione del «tema della morte» dell’Ottava Sinfonia di Bruckner. Alla quarta battuta un corno suona un tema di cinque note, su cui Mengelberg annotò «Thema Liebe», tema dell’amore. Alla sesta battuta, in levare, i secondi violini aggiungono l’elemento decisivo, l’intervallo discendente di seconda, che costituisce il vero asse melodico e armonico d i tutta la Sinfonia.
Il tono intero discendente è un vocabolo musicale molto preciso nel linguaggio dell’autore, sempre associato all’idea di abbandono e di distacco. L’intervallo, protagonista anche dell’Adagietto della Quinta e dello Abschied di Das Lied von der Erde, compare per la prima volta in Mahler nel Lied «Ich bin der Welt abhanden gekommen» (“Ormai non mi ha più il mondo, mi ha perduto”, trad. it. di Q. Principe).
La breve introduzione, sei battute in tutto, sembra insignificante, un semplice mormorio dell’orchestra, come se la musica si risvegliasse lentamente da un sogno. In realtà Mahler accumula uno dopo l’altro gli elementi essenziali, sui quali costruisce l’intero movimento. Ogni dettaglio, per quanto minuto, è organizzato con rigore matematico, ma per rendere più precisa l’espressione emotiva. Non a caso Leibniz definiva la musica come exercitium arithmeticae occultum nescientis se numerare animi “un esercizio inconsapevole di matematica in cui la mente non si rende conto di calcolare”.

Claudio Abbado

Il mondo sinfonico di Mahler è costituito da una fitta rete di associazioni e di rimandi con la propria musica. In Mahler occorre parlare di metamorfosi, più che di sviluppo, perché attraverso la trasformazione continua di piccoli elementi si conforma in modo nuovo la figura musicale. Alcune figure-segnale sono distribuite lungo il percorso per articolare la forma secondo il progetto poetico dell’insieme. Dopo quello dell’amore ascoltato all’inizio, il più importante di tali richiami è il tema del destino, che risuona in un disegno cromatico discendente dei corni. Il motivo, che annuncia il presagio della morte, si ripresenta varie volte, sempre in relazione alla struttura della forma sonata, indicando così un percorso poetico ben preciso. Per esempio, compare poche battute dopo l’inizio
dello sviluppo, nel clima tragico stabilito dall’improvvisa modulazione a Mi bemolle minore. Il presagio della morte conferisce dunque al contesto un contorno narrativo nuovo. Alcuni elementi che nell’introduzione erano oggetti quasi neutri e privi d’espressione (un ritmo di tre note ribattute e una figura melodica dell’arpa), si trovano calati ora in una dimensione angosciosa, come dentro a un paesaggio illividito dall’oscurarsi del cielo.
La spaventosa tensione accumulata nello sviluppo raggiunge l’apice con l’esplosione del ritmo di tre note, suonato “alla massima forza” da tromboni e tuba, la cui sonorità allude per tradizione al mondo soprannaturale. Corni, controfagotto e contrabbassi contrappongono al Do degli ottoni un Fa diesis, da cui scaturisce un urto di tritono, l’intervallo più dissonante del sistema tonale. Dopo la conflagrazione, avviene un fatto inaudito. «Wie sin schwerer Kondukt», come un solenne corteo funebre, è indicato in partitura. Mahler crea un episodio che sembra la mimesi sonora di un autentico corteo e introduce un elemento di realismo nel cuore della Sinfonia. Nella percezione del pubblico il motivo delle trombe sfila attraverso lo spazio, come se provenisse da una banda di palcoscenico, sfruttando la dinamica (f-ff-f) e l’armonia (Do maggiore – Si maggiore – Re maggiore). Il coup de théàtre costituisce uno strappo alla logiformale della Sinfonia. L’irruzione della Marcia Funebre rappresenta un elemento volgare dal punto di vista estetico, ma il ritorno del primo tema, dopo un simile episodio, assume un significato drammatico di ben altra intensità.
Dopo aver assistito alla rappresentazione della propria morte, infatti, l’autore si abbandona al dolce respiro dell’intervallo discendente di seconda, nella cullante frase degli archi. Solo alla fine si chiarisce il senso di tutto il percorso. Il movimento è una celebrazione della morte, una drammatica rappresentazione della lotta, del combattimento, della sconfitta e della rassegnazione di fronte alla morte.
I due movimenti centrali offrono un netto contrasto rispetto ai movimenti estremi. Mahler rappresenta in questi due pannelli il mondo degli uomini. L’opposizione natura-civiltà è un tratto caratteristico del pensiero di Mahler, fin dalla giovinezza. «Se l’odioso potere della nostra moderna ipocrisia e menzogna – scriveva a Joseph Steiner nel 1879 – mi ha condotto al punto di disprezzare me stesso, se il rapporto tra vita e arte, che in noi mai si interrompe, ha fatto sì che io provi disgusto per tutto ciò che mi è sacro, arte, amore, religione, non esiste altra scelta che l’autodistruzione». Poi la lettera prosegue in un’altra direzione: «il mio riso beffardo si scioglie in pianto d’amore. E devo amarlo questo mondo con i suoi inganni e la sua superficialità e con il suo eterno ridere». La frattura tra l’Io e il mondo non si ricompose mai in Mahler. Malgrado la posizione sociale e la stima della parte più aperta del pubblico, Mahler sentiva di non essere accettato fino in fondo aVienna, in quanto ebreo e in quanto artista. Il

senso di sradicamento, di separazione dalla società, trova in questo doppio pannello della Nona una tragicomica raffigurazione.
Il “comodo Ländler” dev’essere «un po’ goffo e molto grossolano». Il tono intero discendente, sebbene mascherato in modo lezioso dal trillo, costituisce la risposta degli strumenti a fiato alle viole e ai fagotti, che scandiscono la danza rustica. Il sentimento della nostalgia si salda in questo modo al carattere volgare della danza. La struttura formale è composta da tre elementi:
– la danza rustica in Do maggiore (A)
– un tempo di Valzer più mosso, tonalmente instabile (B)
– un Valzer lento di carattere dolce e languido in fa maggiore (C)
Mahler è il primo autore a trasfigurare il Valzer in una grande metafora poetica. Le 621 battute che costituiscono il movimento sono forse il primo esempio dell’identificazione del Valzer con la civiltà viennese, alla stregua del Rosenkavalier di Strauss o della Valse di Ravel.
In questo movimento diventa particolarmente evidente la tecnica di Mahler del collage musicale. Il processo di frammentazione si nota particolarmente nella condotta dinamica. Mahler usa la dinamica secondo una logica spesso indipendente dal fraseggio, in modo quasi espressionista. Una melodia, per esempio, comincia in primo piano per poi diminuire bruscamente di volume a metà della frase, come se dall’oceano della memoria affiorassero relitti destinati a scomparire subito nel nulla. Mahler ottiene effetti espressivi, senza ricorrere a violenti contrasti timbrici. Echi, ripetizioni, richiami risuonano all’improvviso come lampi nella notte aumentando il senso di straniamento. L’ossessiva insistenza rende le immagini inquietanti, il trillo deforma la melodia in un orpello osceno. Il culmine della tragica pantomima è raggiunto all’inizio dell’ultima sezione, dove la grazia sensuale della danza si trasforma in brutalità quasi animalesca. I violini, come prostitute imbellettate, lanciano striduli arpeggi sopra lo zum-pa-pa degli ottoni e il tutto sfocia nella grottesca parodia di un’orchestrina da ballo. Non v’è dubbio che Alban Berg abbia visto in questa pagina un modello per la scena nella taverna di Wozzeck.

Gustav Mahler

Per il Rondo-Burleske successivo Mahler adotta uno stile contrappuntistico. Per esser più precisi, la musica è la parodia di un contrappunto severo. «Sehr trotzig», molto cocciuto, è l’indicazione del movimento. Secondo l’opinione di Mengelberg, il movimento esprime gli inutili sforzi dell’uomo di fronte all’eternità della morte. L’ironia, nascendo dalla comprensione della distanza irriducibile tra l’uomo e il mondo, è un classico tema della cultura romantica, che Mahler accoglie in pieno. L’umorismo consiste qui nel collegare l’arte del contrappunto, luogo delle regole per eccellenza, con l’idea che le azioni umane siano durevoli. Il mondo della tecnica appare subito deformato. La tromba scandisce all’inizio un motto, ma compie un’entrata sbagliata dal punto di vista tonale, perché cade sull’intervallo dissonante di quinta diminuita. La tonalità di La minore si afferma solo alla settima battuta, con l’esposizione corretta della testa del tema. Il concatenarsi irrazionale delle entrate crea la sensazione di un accumulo caotico di elementi; segue una banale Marcetta, costruita su frasi di otto misure, che fluttua in una sorta di eterea armonia. La memoria della musica militare è uno degli elementi più caratteristici del linguaggio di Mahler, che associava il suono delle bande ai ricordi infantili di Jihlava e della caserma di fianco alla casa dei genitori. Alla fine del Rondò si apre all’improvviso una parentesi. Mahler spalanca le finestre su un panorama di pace e nel Corale compare una figura musicale, un gruppetto, che diventerà l’elemento fondamentale dell’Adagio. La transizione al Burleske conclusivo avviene gradualmente, in dissolvenza incrociata, a partire da una caustica figura graffiata dai clarinetti. Il ritmo squadrato del tema prende consistenza, fino a riportare il movimento nell’alveo del suo carattere percussivo, che si tramuta alla fine in un’orgia sfrenata d’impeto selvaggio.
La densa materia poetica accumulata nel corso della Sinfonia trova sbocco nell’Adagio finale. L’autore risolve il conflitto tra arte e vita, anzi ogni conflitto tra l’essere e il mondo, in un totale abbandono al mistero religioso della morte. Il primo indizio lo troviamo proprio nel famoso gruppetto, chiave di volta della frase all’unisono dei violini. Il suo carattere espressivo discende dal mondo di Bach. Mahler, che non adopera mai a caso un elemento musicale, si rivolge nella pagina finale della sua «Sinfonia della morte» all’arte di Bach. La struttura dell’Adagio si articola in una serie di forme caratteristiche dello stile delle Passioni: Recitativo libero e accompagnato, Corale-Aria, Aria drammatica. Mahler racconta la storia della propria morte e della trasfigurazione nel divino, identificando se stesso nella figura di Cristo.
Nell’Ottocento la musica sacra aveva trovato un’alta espressione nel momento del conflitto, in autori come Beethoven, Schubert e Verdi. Con Mahler ci troviamo di fronte a un atteggiamento diverso, che nasce dal carattere peculiare delle sue creazioni musicali. Mahler sentiva la figura di Cristo, morto per redimere il mondo dalla sofferenza e dal dolore, come un modello drammatico. Il protagonista della Sinfonia rivive, nella propria morte e trasfigurazione, la passione di Gesù. Nell’inquietante linea d’ombra che passa tra la chiesa e il teatro, l’Adagio della Nona è forse la musica sacra più profonda che il Novecento abbia prodotto.
Lo stile richiama l’Abschied di Das Lied von der Erde, nella straordinaria leggerezza con cui la musica sembra sollevarsi da terra. La prima frase, dal timbro scuro, è un Recitativo che ignora quasi il solfeggio. L’ingresso del Corale porta un respiro di tranquillità, appena velato dalla tonalità di Re bemolle. Alla fine il fagotto, come un Evangelista narratore, introduce una frase in minore, un «Ecce homo» che ha la funzione di ritornello. Lo schema Recitativo-Aria si ripete in varie forme, accumulando la tensione per la grande cadenza verso il grandioso ritorno del Corale in Re bemolle. La trasfigurazione musicale raggiunge nella coda del movimento la più assoluta trasparenza, con un incredibile svuotamento e alleggerimento progressivo, per arrivare a un massimo di concentrazione espressiva con il minimo di materia possibile.
A battuta 153 Mahler scrive in tedesco «esterbend», mentre fino allora aveva usato l’italiano “morendo”. Nella musica di Mahler il termine esterbend compare altre due volte: nel I movimento della Seconda Sinfonia, dove si parla di luce primordiale, e nel finale del Canto della terra. Dunque la morte è la ricongiunzione dell’eterno oltre il suono e il silenzio. Nelle battute finali dell’Adagio si mormora un’ultima citazione, dai Kindertotenlieder. “Im Sonnenschein! Der Tag ist schön auf jenen Hòh’n!” (“in pieno sole! La giornata è bella su quelle alture”, tr. it. Q. Principe). L’addio alla vita è dunque nostalgia del calore e della luce. «Con intimo sentimento», indica la partitura. L’armonia si ricompone, infine, nella nuda semplicità dell’accordo di Re bemolle. Rimane, a increspare la perfezione immobile dell’ultimo accordo, un alito di vita, il lento battito del gruppetto, prima che il suono scompaia per sempre nel nulla.