Mendelssohn Felix
Concerto per violino in mi minore op. 64
Wilhelm Furtwangler è stato uno degli ultimi direttori d’orchestra romantici. I suoi tempi in questi Concerti sono ben marcati e scorrevoli e il suono dell’orchestra è esuberante. Ha registrato il Concerto di Beethoven con Menuhin nel 1947 e di nuovo, nella stessa versione EMI nel 1954. Questa incisione poi rimasterizzata nel 1984 è straordinaria per la portata e l’ampiezza dei movimenti con un meraviglioso dialogo tra l’orchestra e il solista. La parte dell’orchestra è eccezionalmente dettagliata ed elaborata rispetto a quella del violino, In questa composizione sono presenti melodie incantevoli insieme a passaggi drammatici. Nel primo movimento le cinque battute d’attacco dei timpani vanno a pervadere l’intero movimento. Il secondo assume la forma di tema e variazioni con due intermezzi per violino fortemente commoventi e riflessivi. Il terzo è un rondò allegro. Risulta più vivace rispetto ai primi due movimenti, con notevole varietà di forme e una coda vivace. A differenza di quanto accade nel concerto di Beethoven, il solista è quasi sempre al centro dell’attenzione nella versione di Mendelssohn. Menuhin suona con lirismo e impeto; questa partitura contiene una serie di melodie magnifiche. La parte dell’orchestra è dettagliata ed elaborata, sebbene sia subordinata al solista. Wilhelm Furtwangler e i Berliner Philharmoniker accompagnano con grande maestria Yehudi Menuhin. I passaggi di transizione tra il primo e il secondo movimento e tra il secondo e il terzo, sono di grande importanza in questa composizione.
Yehudi Menuhin
Il primo movimento è un allegro molto appassionato, il secondo consiste in un lungo tema in forma sonata e il terzo in un allegro ma non molto. Questa fantastica esibizione fa emergere la profondità di questo Concerto. Doverosa la collocazione tra le grandi registrazioni del secolo. Registrazione eseguita nel 1954 e rimasterizzazione effettuata dal 1984 al 1999.
CD altamente raccomandato.
Concerto per violino e orchestra in mi minore op. 64
Il Concerto per violino e orchestra in mi minore op. 64 di Mendelsshon fu e rimane uno degli evergreen dei repertori internazionali e uno dei capisaldi della letteratura per lo strumento. Come la gran parte dei Concerti di epoca romantica, anche questo illustra a pieno titolo la collaborazione tra compositore e interprete, in questo caso il violinista Ferdinand David, primo violino
dell’Orchestra del Gewandhaus. Nel luglio 1838 Mendelssohn scriveva all’amico: «Vorrei proprio scrivervi un Concerto per violino per il prossimo inverno, ne ho in testa uno in mi bemolle, il cui inizio non mi lascia un minuto di pace». Ma dovette passare un anno prima che il compositore facesse di nuovo allusione alla sua proposta, e solo come risposta ad un nuovo invito di David: «È molto gentile da parte vostra reclamare da me il Concerto», scrisse nell’agosto 1839, «e io ho il più vivo desiderio di scrivervene uno, ma il compito non è semplice. Voi lo vorreste brillante, e come credete che uno come me lo possa! Il primo assolo deve essere tutto nella tonalità di mi».
Wilhelm Furtwangler
Celiando, Mendelsshon alludeva forse al carattere più osservato che permeava il suo primo tentativo nel genere, il Concerto in re minore, scritto nel 1822 a soli tredici anni, in cui è manifesta l’impronta bachiana anche se già smaliziata la conoscenza dello strumento. L’opera tuttavia non fu completata che nel settembre 1844, durante un soggiorno di convalescenza a Soden, presso Francoforte sul Meno, e continuamente perfezionata prima di darla all’editore per la stampa nel dicembre. Conobbe la sua prima esecuzione, assente l’autore ammalato, il 13 marzo 1845 con David e sotto la direzione del danese Niels Cade. Il 3 ottobre 1847 Mendelsshon potè invece ascoltarlo nell’esecuzione del giovane Josef Joachim, appena un mese prima di morire.
Lavorando al Concerto Mendelssohn consultò regolarmente il violinista sia per questioni di struttura formale e di dettagli che sugli aspetti pratici della scrittura per solo. Di più, una buona parte della cadenza del primo movimento come noi la conosciamo, si crede sia stata scritta proprio da David. Il carattere esecutivo del pezzo, tuttavia, è legato all’equilibrio che deve instaurarsi tra virtuosismo e rigore, in una asciuttezza che non ammette sbavature sentimentali pur nell’ampia retorica espressiva romantica.
Concerto in re maggiore per violino e orchestra, op. 61
Il Concerto in re maggiore opera 61 è la principale composizione per violino e orchestra del compositore, risalente alla fine del 1806 e quindi contemporanea della Quarta Sinfonia, dei tre Quartetti dell’opera 59, del Quarto Concerto per pianoforte. È estremamente probabile che il Concerto sia stato composto per esaudire la richiesta di un solista di prestigio, il violinista Franz Clement (ventiseienne all’epoca della composizione, nonché direttore al Theater an der Wien), che aveva fra l’altro diretto la prima esecuzione della Terza Sinfonia e la ripresa di Fidelio.
Secondo la testimonianza di Carl Czerny (Pianoforte-Schule op. 500), allievo ed amico del maestro, Beethoven avrebbe redatto la partitura in un lasso di tempo assai breve – come sembra confermare lo stato piuttosto disordinato ed incompleto dell’autografo – e la avrebbe terminata con appena due giorni di anticipo sulla prima esecuzione. Questa ebbe luogo a Vienna, al Theater an der Wien, il 23 dicembre 1806. Franz Clement riscosse un successo personale, al quale non fu certo estraneo un “numero” straordinario, consistente nell’esecuzione, fra i primi due tempi del Concerto, di una sua Sonata per violino, suonato su una sola corda e imbracciato, oltretutto, capovolto.
Tuttavia – nonostante la differente testimonianza di Carl Czerny – le recensioni dell’epoca si mostrarono severe verso la composizione. Scriveva la «Zeitung für Theater» dell’8 gennaio 1807: «È opinione unanime fra gli intenditori che [il Concerto] non manchi di bellezze, ma che nell’insieme appaia del tutto frammentario e che le infinite ripetizioni di passaggi banali possano facilmente ingenerare monotonia». Al di là del parere di un singolo critico la partitura incontrò nei decenni seguenti una scarsissima fortuna presso pubblico ed esecutori; i successivi tentativi di imporre la composizione nel repertorio (ad opera di Tomasini, a Berlino nel 1812; Baillot, a Parigi nel 1828, Vieuxtemps, a Vienna; Uhlrich, a Lipsia nel 1836) rimasero sostanzialmente senza effetto; fino a quando, nel 1844, il tredicenne Johann Joachim la eseguì per la prima volta a Londra sotto la direzione di Mendelssohn, dando l’avvio ad una trionfale riscoperta.
La causa principale di questo misconoscimento deve essere individuata principalmente nell’essere il Concerto opera 61 una composizione poco alla moda. L’affermazione, presso il “nuovo” pubblico borghese, del gusto Biedermeier aveva favorito la diffusione di un tipo di concerto in cui il contenuto puramente musicale e il ruolo dell’orchestra erano ridotti al minimo e l’interesse era concentrato unicamente sull’esibizione delle doti di “bravura” del virtuoso. Lo stesso Beethoven, per favorire la incerta diffusione editoriale del Concerto, ne curò personalmente una versione pianistica, provvista di quattro eclatanti cadenze autentiche e improntata a uno stile brillante, virtuosistico e quasi chiassoso. La proposta di una “doppia versione” (violinistica e pianistica) della partitura era venuta nel 1807 dal compositore Muzio Clementi, che, nelle vesti di editore, aveva promosso la seconda edizione a stampa del Concerto, a Londra nel 1810 (ma non a caso anche la prima edizione, pubblicata a Vienna nell’agosto 1808 per i tipi del Bureau d’arts et d’industrie, aveva la stessa “doppia” destinazione).
Il Concerto opera 61, invece, è opera aliena per sua natura da eccentriche estroversioni. La scrittura solistica, innanzitutto, mostra un deciso orientamento verso un fraseggio levigato ed elegante che, pur richiedendo un alto cimento tecnico, poco concede al virtuosismo puro; tende insomma più a coinvolgere espressivamente l’ascoltatore che non a stupirlo. Anche il “problema” fondamentale posto dal genere del concerto, ossia il rapporto che intercorre fra il solista e la compagine orchestrale, viene risolto da Beethoven in modo piuttosto dissimile rispetto ai Concerti per pianoforte; non si tratta infatti di un rapporto conflittuale, che vede il solista porsi come netto antagonista verso l’orchestra. Il violino invece, pur mantenendo un forte profilo individuale, stabilisce con l’orchestra un’intima complicità, che deriva dalle pastose scelte timbriche dello strumentale, dall’assenza di marcate contrapposizioni dinamiche, dal rilievo concertante degli strumenti a fiato (avvertibile soprattutto quando gli archi siano, come all’epoca, in formazione ridotta).
L’organizzazione formale del Concerto segue le linee principali degli interessi dell’autore nei primi anni del secolo, dividendosi (come le Sonate opera 53 e 57, il Quarto e il Quinto Concerto per pianoforte) in due grandi blocchi, il primo stabilito da un movimento in forma sonata, il secondo da un breve movimento contemplativo che ha una funzione introduttiva rispetto al Finale (in genere un Rondò). Tuttavia il contenuto musicale della partitura si allontana da quei caratteri che hanno fatto versare fiumi di inchiostro sul Beethoven «eroico» e «titanico».
Felix Mendelsshon
Questi sono i due concerti per violino più famosi del repertorio romantico, quindi insieme sono una coppia da sogno. Beh, nelle mani di Anne Sophie Mutter ed Herbert von Karajan, lo diventano davvero. Il suono del violino della Mutter sembra venir fuori senza sforzo. L’accompagnamento dei Berliner Phlilharmoniker è molto bello e sempre emozionante. Nonostante entrambi i pezzi siano interpretati alla perfezione, trovo che l’esibizione del concerto di Bruch sia maggiormente meritevole, soprattutto per la complicità tra strumento solista e orchestra. Fantastico anche il secondo movimento del concerto di Mendelssohn per l’estrema liricità. Qui l’orchestra funge solo da accompagnamento. Splendido l’audio in DDD. Ascoltatelo quando siete con gli amici senza dire nulla e se chiedono di chi sia questo CD, non sono veri appassionati di musica concertistica. Registrazione in DDD eseguita nel 1981 e rimasterizzazione effettuata nel 2001. Ultraraccomandato.
Menndelssoh Concerto per violino e orchestra in mi minore op. 64
Destinatario di questo concerto, assai popolare, fu un carissimo amico di Menndelssohn, il violinista Ferdinand David, che durante la lunga gestazione del lavoro (1838-44) dette più volte consigli al compositore per quanto riguardava la stesura della parte solistica, e ne fu poi il magistrale interprete
quando Mendelssohn stesso diresse la prima esecuzione del lavoro il 13 marzo 1845, al Gewand-haus di Lipsia.
Il Concerto per violino op. 64 deve la sua fortuna soprattutto alla fascinosa invenzione tematica e al brillantissimo rilievo della parte del solista, bilanciato dalla felicità della scrittura orchestrale. Altrettanto importanti sono però le caratteristiche formali del concerto, in cui l’originalità di un grande protagonista della stagione romantica convive con la sicurezza costruttiva di un degno erede dei classici.
Anne Sophie Mutter
Dietro l’irregolarità dei tre movimenti fatti succedere senza pause (con un breve Allegretto per collegare l’Andante al finale) o dell’ardito ingresso del violino solista già all’inizio del primo tempo, dietro allo slancio lirico che percorre ininterrottamente l’opera quasi fondendo ogni schema formale in un’unica bruciante offerta espressiva, si rivela altresì un’attenta saggezza artigianale. Anche proposte tematiche indimenticabili come quelle su cui è costruito il primo movimento, anche il lirismo commosso e fluente dell’Andante, nonché il virtuosismo aereo e fantastico del finale si compongono infatti in un insieme di raro equilibrio, sotto la conduzione di una mano sagace.