Monteverdi Claudio
Vespro della beata vergine
Avevo giá l’edizione in VHS.
Il DVD esalta la magnificenza della registrazione nel luogo della esecuzione dell’epoca. Semplicemente eccezionale.
Da consigliare a tutti gli amanti dell’arte in generale.
Vespro della Beata Vergine da concerto composto sopra canti fermi sex vocibus et sex instrumentis, SV 206
La stagione estiva 1993 dell’Accademia di Santa Cecilia a Villa Giulia si apre, a trecentocinquanta anni dalla morte, nel nome di Claudio Monteverdi, il musicista italiano più rappresentativo del XVII secolo per aver saputo conciliare nella sua poderosa opera i valori del polifonismo e della monodia accompagnata, l’ideatore del dramma in musica che, attraverso le alterne vicende di stili e di scuole, gli arricchimenti e gli sviluppi della tecnica vocale, strumentale, teatrale e scenica, rimarrà costante nelle sue linee fondamentali fino ai nostri giorni. Suo è lo stile concitato, sua l’applicazione agli strumenti dei pizzicati e dei tremoli, secondo la maniera italiana introdotta subito dopo in Germania da Heinrich Schütz, suo è il nuovo linguaggio armonico legato alla concezione psicologica delle famiglie strumentali e dei timbri dell’orchestra. Soprattutto sua è la capacità di risolvere con chiarezza di idee e organicità logica i problemi della realizzazione e dell’espressione lirica nel più stretto connubio di musica e poesia, additando la funzione eminentemente teatrale di entrambe le parti in modelli esemplari, studiati e analizzati prima che la questione fosse affrontata da Gluck e da Wagner.
Di Monteverdi viene eseguito il grandioso e complesso lavoro (quasi un’ora e mezza di musica) che va sotto il nome di Vespro della Beata Vergine, apparso per le stampe nel 1610 con dedica al Papa Paolo V e scritto sopra canti fermi a 6 voci e 6 strumenti, come è indicato nel titolo della composizione che suona esattamente così: “Vespro della Beata Vergine da concerto composto sopra canti fermi sex vocibus et sex instrumentis”. Esso si compone di dodici parti, di cui alcune non appartenenti al rito liturgico del Vespro per la festa della Beata Vergine, come il Duo Seraphim a 3 voci, l’Audi Coelum a 6 voci e la Sonata sopra Sancta Maria. L’orchestra nella sua forma originale (si deve tener conto delle modifiche subite dagli strumenti dal tempo di Monteverdi ad oggi) è costituita da un organo, tre cornetti, due tromboni, un trombone doppio, due e a volte tre viole da brazzo, un contrabbasso da gamba e in alcune battute del Magnificat da due fifare e due flauti.
Il Vespro è uno dei momenti più alti e solenni della musica religiosa, anche se non di stretta osservanza chiesastica, di Monteverdi. In quest’opera la religiosità non si condensa più nella meditazione contrappuntistica tramandata dalla tradizione con la severità della tecnica, usata nel gioco delle imitazioni e delle sequenze, quasi a trattenere gli impulsi vitali del canto. Nel Vespro, al contrario, il sentimento religioso è vivo e intenso e si configura spesso come una preghiera e un inno alla divinità, concepita come la più perfetta entità spirituale da cui discende la vita umana in tutte le sue ramificazioni profane e terrene.
Sir John Eliot Gardiner
Sin dal primo brano (Deus in adjutorium) si avverte l’ampio respiro del canto monteverdiano, dagli spaziosi accordi e dai ritmi vivaci rinsaldati e irrobustiti dalla magnificenza corale. Nel salmo Dixit Dominus la voce del tenore avvia con naturalezza ritmica un’articolata polifonia, che apre la via alla recitazione sillabica del falso bordone, quasi un parlato di tutte le voci. Non mancano intrecci contrappuntistici alternati ad effusioni ariose, e tra un periodo e l’altro sono introdotti ritornelli strumentali che «si possono sonare et anche tralasciare secondo il volere». Il mottetto ad una sola voce Nigra sum per tenore è un pezzo monodico su testo tolto dal “Cantico dei Cantici”; ha un andamento di canto abbastanza voluttuoso, ma non in contrasto con il tono religioso del
V espro.
Il salmo Laudate pueri a otto voci risponde ad una visione musicale polifonica e poliritmica, continuamente variata nelle coloriture e negli spunti tematici. Pungentemente espressiva è la coda con improvvisazioni contrappuntistiche sulla parola «Amen», sino a sciogliersi in eleganti giochi sonori, somiglianti ad un madrigale. Un carattere madrigalesco presenta anche il Pulchra es a due voci, così come molteplici atteggiamenti stilistici profani affiorano nel salmo Laetatus sum a sei voci, contraddistinto da sortite virtuosistiche di canto.
Un’atmosfera assorta e pensierosa avvolge il Duo Seraphim a tre voci, punteggiato da un asciutto contrappunto tenorile sorretto da pochi strumenti, fra cui l’organo. Luminoso, robusto e potente è il successivo salmo Nisi Dominus a dieci voci per doppio coro, poggiato sull’onnipresente cantus firmus e sviluppato con sonorità sontuose, di gusto veneziano. L’Audi coelum a sei voci inizia con una parte di tenore dalle fioriture liriche e non priva di effetti d’eco. Dopo la cadenza sulla parola «omnes» («omnes haec ergo sequamur») entrano le altre cinque voci in una polifonia ariosa in cui le imitazioni si richiamano a motivi cantabili.
Segue il Salmo 147 Lauda Jerusalem a sette voci in cui il canto in lode della divinità risplende con straordinaria purezza armonica secondo quel gusto polifonico, semplice e immediato, che appartiene alla genialità del compositore cremonese.
Una pagina indicativa della spiritualità monteverdiana può definirsi la Sonata sopra Sancta Maria per otto strumenti. La voce solista, che in una moderna esecuzione da concerto può benissimo essere raddoppiata all’unisono, canta ad intervalli, per undici volte, un frammento liturgico sulle parole della litania della Beata Vergine, mentre l’orchestra svolge una serie di variazioni su un motivo inizialmente in ritmo di canzone francese. La frase melodica assume man mano robustezza ed espansione lirica su un tessuto armonico indicato dagli strumenti bassi (tromboni e viole) e a sostegno di un’architettura polifonica e strumentale, somigliante a quella di Frescobaldi, di cui Monteverdi non solo cronologicamente è contemporaneo.
L’inno Ave maris stella a otto voci rappresenta un altro momento essenziale della polifonia sacra monteverdiana, che si scompone in varie sezioni di canto con l’inserimento di ritornelli strumentali in misura ternaria connessa con la variante «Sumens illud».
Ed eccoci al Magnificat conclusivo del Vespro. Si sa che Monteverdi scrisse due Magnificat; il primo più denso e sostanzioso per sette voci e strumenti, quali violini, cornetti, viola da braccio e organo, mentre l’altro è per sei voci e solo organo. L’uno e l’altro, comunque, riflettono una grandiosità di concezione corale e dimostrano la forza inventiva e l’originalità creatrice del musicista. Il Magnificat a sette voci si dispiega in dodici sezioni, il Gloria e l’Amen compresi. Il Magnificat anima mea iniziale fornisce il motivo base, il cantus firmus circolante nelle varie parti dell’opera, ed è tenuto da una voce solista contrapposta alle altre del coro oppure agli strumenti. Segue brevemente poi l’Anima mea per solo soprano. Il canto dei due tenori neìì’Exultavit a tre voci è ad imitazione e in rapporto contrappuntistico con il contralto. Festoso e in fortissimo si presenta il Quia respexit con il vigoroso intervento degli strumenti, invitati a suonare «con più forza che si può».
Sir John Eliot Gardiner
Il Quia fecit sviluppa ritmi diversi in una varietà di soluzioni corali; le parti dei bassi si raggrumano fra di loro, in opposizione al cantus firmus del contralto. L’Et misericordia a sei voci sviluppa fra tenore e soprano un dialogo contrappuntato, così come indica il sottotitolo. Di tono drammatico è il Fecit potentiam, dove il canto dei violini fa da sfondo con delicate fioriture alla voce tenorile. Il suono penetrante dei cornetti rende timbricamente chiara l’introduzione cantabile del Deposuit; i violini poi si sostituiscono ai cornetti, servendosi dello stesso disegno melodico. Nell’Esurientes gli stmmenti si alternano con le due voci di soprano e infine si fondono e si amalgamano con esse. Nel Suscepit Israel a tre voci i due soprani svettano nell’acuto, quasi a formare una cupola di suoni, in cui si sente nello sfondo il cantus firmus del tenore. Il Sic locutus è una brillante combinazione strumentale di violini e di fiati dialoganti, con l’innesto del cantus firmus del contralto. Il Gloria Patri a tre voci è costruito sul motivo dei soprani in contrasto con le voci dei tenori, che ricamano vocalizzi arieggianti timbri strumentali. Il Magnificat si chiude con il Sicut erat in un clima di esaltante grandiosità vocale e strumentale e tra i più indicativi di questa cuspidale costruzione polifonica.