Nielsen Carl
Sinfonia n. 4 L’inestinguibile
Sono trascorsi alcuni anni da quando ho ascoltato per la prima volta questa splendida composizione Nielsiana, sicuramente la più nota tra tutte le sei sinfonie. Ero quindi curioso di verificare se la registrazione che ha innescato per la prima volta il mio amore per la musica di questo compositore fosse ancora valida oggi. Karajan qui fa ciò che pochi direttori oltre a Toscanini hanno saputo fare: fa cantare l’orchestra con linee potenti e trame sorprendentemente chiare ed equilibrate e meravigliosi melodie. Un plauso anche alla sezione archi dei Berliner Philharmoniker per il loro prezioso contributo. In un repertorio non consueto per Karajan un 5 stelle più che meritato. Audio in DDD eccezionale. Registrazione eseguita nel 1982. CD altamente raccomandato per non dire imperdibile!
Nielsen: Sinfonia n. 4 “L’inestinguibile”
Il compositore danese Carl Nielsen nasceva presso Odense nel 1865, il medesimo anno in cui nasceva il finlandese Jean Sibelius, l’altro importante compositore scandinavo, anch’egli attivo agli inizi del 20o secolo.
Tra le composizioni più importanti di Nielsen vi sono le sei sinfonie composte tra il 1892 e il 1925. Queste sinfonie contrassegnano con notevole chiarezza l’evoluzione stilistica del compositore che, dopo gli inizi sulla scia di Brahms, acquista sempre più una posizione autonoma tra tardo romanticismo ed espressionismo.
Diversamente da Sibelius, Nielsen è un compositore che lascia piuttosto in seconda linea l’elemento folcloristico, l’accento “nordico”. Se si prescinde dai suoi semplici canti, che nel frattempo hanno quasi assunto il carattere di canzoni popolari, la sua produzione sinfonica e cameristica non presenta citazioni liederistiche o accenti folcloristici.
Pur tuttavia vi si può sempre avvertire un’atmosfera sonora che rivela l’origine geografica del compositore.
La Quarta sinfonia di Carl Nielsen composta tra il 1914 e il 1916 ha il titolo “Det uudslukkelige” (L’inestinguibile). Nella prefazione alla partitura il compositore così spiega questa denominazione: “Con il titolo L’inestinguibile ho cercato di indicare in una parola ciò che solo la musica è in grado di esprimere compiutamente: l’elementare volontà di vivere. La musica è vita e come questa è inestinguibile”.
Dietro un titolo siffatto, che sembra quasi un appello, si sente non tanto una prosecuzione delle idee nietzschiane quanto piuttosto la reazione d’un compositore all’esperienza sconvolgente della prima guerra mondiale, che aveva interamente distrutto quella salda concezione del mondo delineatasi nel secolo XIX. In una situazione, in cui non solo valori e convinzioni, ma anche uomini furono annientati nel modo più spietato, la Sinfonia di Nielsen diviene un appello, a volte estatico, a ricordare e a riflettere su quel principio elementare di vita.
L’elementarità è qui un fattore di grande importanza e si avverte non solo nella intenzionalità di questa Sinfonia, che peraltro adempie alle esigenze classiche del genere (Adorno: “Le sinfonie sono orazioni pubbliche all’umanità”), ma anche nei dettagli compositivi. Così Nielsen cerca di dare nuova vita agli intervalli originari: ai rapporti di quinta e di ottava è conferita una funzione expressiva che è antica e nuova al tempo stesso (le tonalità di re maggiore, la maggiore e mi maggiore definiscono il centro tonale della Sinfonia).
Anche l’elemento ritmico viene ravvivato nuovamente: combinazioni inusitate di moduli già consunti generano effetti impressionanti e conturbanti. Da un punto di vista formale Nielsen tende l’impianto classicistico in quattro movimenti dell’opera in un arco compositivo ben serrato, dal momento che vi accentua il carattere ciclico attraverso una configurazione unitaria dei temi e una gran copia di relazioni interne, che si avvertono solo ad un ascolto ripetuto. Modelli formali del XIX secolo (la ripresa abbreviata di Mendelssohn, i tre gruppi tematici di Bruckner) fungono da punto di riferimento e di partenza; vi hanno poi grande importanza ed estensione i grandiosi sviluppi contrappuntistici e fugati, che prendono sempre più il posto delle tecniche classiche di scissione motivica.
Kerbert von Karajan
Ma ciò che senza dubbio fa maggiormente impressionare, al di là di ogni differenziazione formale, è la ricchezza delle prospettive timbriche e dinamiche della Sinfonia: dall’impeto insistente, quasi esclusivo dell’inizio o nel Finale (dove Nielsen ha scritto per i timpani due parti quasi solistiche e particolarmente virtuosistiche) all’intimità cameristica del “Poco allegretto”, dal carattere di intermezzo, e dell’inizio della sezione lenta che assume dimensioni bruckneriane.
La Quarta Sinfonia di Nielsen, al pari della Quinta e di ampie sezioni della Terza, costituisce un esempio rilevante d’un sinfonismo che senza rifiutare la tradizione si pone su una linea d’innovazione e che inoltre nella sua gestualità umana non potrà diventare antiquato.
Wulf Konold
(Traduzione: Gabriele Cervone).
Sinfonia n. 4 “L’inestinguibile”op. 29
Carl Nielsen è, dopo Niels Gade (1817-1890), il massimo rappresentante della scuola nazionale danese, e accanto ad Edvard Grieg e a Jean Sibelius – nato come lui nel 1865 – uno dei più grandi compositori scandinavi vissuti a cavallo tra Ottocento e Novecento. Nielsen visse gli anni della sua adolescenza nel piccolo villaggio natale di Norre-Lyndelse nell’isola di Fyn presso Odense, subendo le suggestioni del canto popolare e imparando a suonare diversi strumenti a fiato nella banda militare. Nel 1884, su invito di Gade, entrò al Conservatorio reale di Copenaghen, dove assimilò i modelli compositivi della musica strumentale tedesca. Terminati gli studi nel 1887 compì alcuni viaggi in Germania, in Francia e in Italia che gli consentirono di ampliare i suoi orizzonti musicali e di incontrare, nel 1893, Johannes Brahms, il compositore che aveva preso come modello.
Dopo le prime composizioni influenzate da Brahms, Nielsen ha via via individuato una cifra stilistica autonoma, difficilmente inquadrabile per la presenza di elementi derivati dal Romanticismo francese di Berlioz e di Franck, dalle scuole nazionali, dalla concezione orchestrale di Strauss e di Mahler, ma anche di sintomi del rinnovamento linguistico novecentesco, evidenti soprattutto nelle composizioni del dopoguerra. Ne deriva un linguaggio musicale sanguigno e antisentimentale, saldamente ancorato alla tonalità, e dotato di componenti popolari non esplicite, ma che si possono cogliere in alcune strutture melodiche – più vicine, come osserva Sergio Martinotti, alla dimensione lirica di Grieg che a quella epica di Sibelius – e nella concretezza plastica che assumono i materiali sonori.
Nella produzione di Nielsen, che comprende molta musica occasionale, varie composizioni vocali e corali, due opere (Saul e Davide e Mascherata), il poema sinfonico Pan e Syrinx lavori cameristici (tra cui quattro quartetti e il noto quintetto per fiati), dominano le sei sinfonie. Composte in un arco di tempo che va dal 1892 al 1925, dimostrano una concezione compositiva che, pur iscrivendosi nel solco della tradizione tedesca, presenta molti elementi innovativi e una gestualità basata su improvvisi scarti ritmici, timbrici e dinamici, sconosciuta alla tradizione del sinfonismo classico-romantico. Alle strutture sinfoniche Nielsen applica originali procedimenti di elaborazione armonica e fraseologica, basati più sull’analogia che sulla dialettica, e inserisce i temi, costruiti su precisi nuclei armonici, all’interno di un contesto che tende alla disintegrazione tonale. Non a caso Knud Jeppesen ha individuato nelle sinfonie di Nielsen la presenza di «toniche interscambiabili», che modificano di continuo la gravitazione tonale. A questi fattori va aggiunto il personalissimo gusto nell’orchestrazione, derivato in parte da Gade e caratterizzato soprattutto da una raffinata ricerca negli impasti dei fiati.
Composta tra il 1914 e il 1916, la Sinfonia n. 4 è la prima composizione che diede a Nielsen una notorietà internazionale. E anche oggi la sua sinfonia più nota e, insieme a quelle limitrofe – la n. 3 “L’espansiva”, composta tra il 1910 e il 1911, e la n. 5, composta tra il 1921 e il 1922 – la più rappresentativa del suo linguaggio musicale. Ad essa Nielsen attribuisce il sottotitolo “Det Uudslukkelige” (L’inestinguibile) che spiega così nella prefazione: «Con il titolo L’inestinguibile il compositore ha cercato […] di indicare in una sola parola ciò che solo la musica può esprimere compiutamente: l’elementare volontà di vivere. La musica è vita e, come la vita, è inestinguibile».
L’inestinguibilità non è quindi per il compositore una metafora o un elemento simbolico, che serva a giustificare una musica a programma, ma una qualità intrinseca alla musica stessa. Questa sinfonia diventa così un’affermazione di vitalismo, la forma sonora di un prepotente slancio vitale, di una strenua lotta per la vita, che si può forse mettere in relazione con l’impatto drammatico che la Prima Guerra mondiale suscitò sul compositore. In quel periodo, proprio mentre attendeva alla composizione della Quarta Sinfonia, Nielsen scrisse ad un amico: «il sentimento nazionale, che finora è stato considerato qualcosa di nobile e ammirevole, è divenuto una specie di sifilide spirituale che ha corroso il cervello […]».
In quattro movimenti senza soluzione di continuità, la sinfonia rispetta a prima vista gli snodi compositivi del sinfonismo tardoromantico. Ma è interessante osservare come la struttura tematica nasca da minimi rapporti intervallari (soprattutto di quinta), vere e proprie componenti “elementari” e “vitali”, che determinano un notevole compattamento della forma e fanno sì che le medesime cellule circolino in tutti e quattro in movimenti, creando una specie di forma ciclica. Ogni movimento si basa sulla successione di sezioni diverse, ciascuna costruita come un organismo che raggiunge un culmine e poi si estingue, ma dalle cui ceneri ne nasce sempre uno nuovo. Ed è proprio in questa logica costruttiva, in questo continuo susseguirsi di addensamenti, disgregazioni e nuovi addensamenti, che sembra risiedere il principio dell’inestinguibilità musicale. Il vitalismo che caratterizza questa sinfonia nasce anche dalla continua tensione verso un polo tonale, raggiunto soltanto nel climax finale in mi maggiore; nelle ampie sezioni contrappuntistiche che prendono spesso il posto dell’elaborazione tematica; nella continua ricerca dei contrasti e delle fratture improvvise, che determinano un percorso musicale sempre carico di tensione; nell’incessante alternarsi timbrico-strumentale tra la dimensione sinfonica e quella cameristica, che permette a Nielsen di passare dalle esplosioni ai sussurrati, e di isolare a sorpresa singoli timbri strumentali.
Carl Nielsen
In questa dimensione orchestrale, caratterizzata da colori densi e cangianti e da un uso massiccio dei fiati, emergono due gruppi di timpani, ai quali Nielsen attribuisce una grande importanza strutturale, prescrivendo anche che vengano posti dirimpetto al pubblico. Una scelta in chiara sintonia con l’idea della lotta e della vitalità, ma anche con il rifiuto di Nielsen per le svenevolezze romantiche
e per le atmosfere timbriche sfumate. Come testimonia una sua celebre frase: «un’arpa nell’orchestra è come un capello nella minestra».
L’impulso ritmico del primo tema, nell’Allegro iniziale, è subito sottolineato da alcune cellule dei timpani. Ad esso si contrappone un secondo motivo introdotto dai flauti (tranquillo), e poi un terzo dal carattere di danza (risoluto e giusto), preceduto da una successione di note ribattute nelle viole, esempio di vero e proprio gesto sonoro stridente e improvviso. Il secondo movimento, Poco allegretto è un intermezzo dalla scrittura cameristica, avviato da un quartetto di fiati (due clarinetti e due fagotti) al quale si aggiungono via via gli altri legni e poi gli archi. L’intero movimento, tutto in pianissimo, risulta costruito come un raffinato gioco di incastri tonali e timbrici, movimentato solo da qualche momentanea accelerazione. Nel terzo movimento, Poco adagio, quasi andante, domina invece il registro lirico. Al motivo iniziale dei violini, che si espande come una lunga arcata carica di pathos, accompagnata solo dai pizzicati degli archi bassi e dai timpani, fa seguito una breve sezione corale (poco adagio) subito interrotta dall’improvvisa entrata dei fiati (un poco agitato): un’intrusione ritmica e timbrica che si sviluppa via via come un ampio fugato. La progressiva stratificazione di tutta l’orchestra porta alla conclusione con un movimento rapidissimo degli archi (con anima) che ripristina il clima vitalistico del primo movimento e prepara il finale. Il quarto movimento, Allegro, appare anche più impetuoso del primo, del quale riprende alcuni elementi tematici, e suggerisce a Nielsen un uso del tutto inconsueto dell’orchestra con spunti veramente sperimentali, soprattutto nel fitto dialogo tra i timpani – descritto dall’autore come «qualcosa che ha a che fare con la guerra» – che introduce l’apoteosi finale.