Pergolesi Giovanni Battista
Stabat Mater
Lo Stabat Mater di Pergolesi è, a mio parere, uno dei pezzi più belli della musica classica settecentesca. L’autore ha composto questo bellissimo spartito all’età di ventisei anni poco prima di morire. Ho ascoltato diverse versioni dello Stabat Mater, ma la mia preferita in assoluto è questa versione incisa con la London Symphony Orchestra diretta da Claudio Abbado. La soprano Margaret Marshall e il contralto Lucia Valentini Terrani sono entrambi superbi e angelici in questa performance soprattutto nella traccia finale (Quando corpus morietur). Audio eccezionale. Altamente raccomandato. Registrazione eseguita nel 1985.
Pergolesi: Stabat Mater
Stabat Mater dolorosa – il testo poetico di questa Sequenza composta di venti stofe, ognuna di tre versi e legate a due a due dalla rima, risale al secolo 13o e con tutta probabilità ha una matrice francescana. Una volta era attribuito a Jacopone da Todi, morto nel 1306. Con toccanti parole si dà qui espressione al dolore di Maria alla vista del Figlio Crocefisso e alla speranza dell’umanità di redimersi per la sofferenza e morte di Cristo.
Durante il secolo 14o, con le loro peregrinazioni i Flagellanti contribuirono notevolmente alla diffusione di questa Sequenza, che divenne così una delle liriche religiose più radicate nella coscienza popolare.
Lo Stabat Mater era allora cantato isolatamente anche durante la messa, ma solo nel 1727 Benedetto XIII lo introdusse ufficialmente nel Missale Romanum come Sequenza, in connessione con le solennità per i Sette Dolori di Maria (il venerdì successivo alla prima domenica di Quaresima o il 15 settembre).
Alla fine del secolo 16o, nel periodo post-tridentino, lo Stabat Mater era intanto già stato impiegato come inno nelle preghiere delle ore canoniche. La storia delle composizioni polifoniche sul testo dello Stabat Mater si può ripercorrere con relativa chiarezza.
Lucia Valentina Terrani
Infatti, da una parte i compositori si sono dedicati con una certa regolarità a questo testo sacro, sì che se ne possono contare esempi nelle più disparate epoche stilistiche; d’altra parte il numero complessivo degli Stabat Mater è rimasto limitato, e ciò sicuramente anche perché le possibilità d’impiego liturgico o paraliturgico di questo testo non erano troppo ampie a confronto con le Messe e alcuni Salmi.
Le più antiche composizioni polifoniche sullo Stabat Mater risalgono al periodo intorno al 1500 (Josquin Desprez, Gaspar van Weerbeke); quindi si va dalle composizioni di Palestrina, Lasso o Aichinger a quelle di Alessandro Scarlatti, Caldara e Joseph Haydn, a quelle di Schubert, Rossini, Dvorák, Liszt e Verdi fino al secolo 20o inoltrato (Poulenc 1950, Penderecki 1962).
Ma nella considerazione generale il più famoso degli Stabat Mater è quello che il ventiseienne Pergolesi compose poco prima della morte. Giovanni Battista Pergolesi nasceva il 4 gennaio 1710 a Jesi nella provincia di Ancona. Ricevette le prime lezioni di musica nel suo paese natale, e probabilmente poco dopo il 1720 fu mandato a studiare a Napoli presso il Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo. Qui ebbe per maestri anche Gaetano Greco e Francesco Durante. Nel 1731 iniziava la vera e propria attività compositiva di Pergolesi, che doveva durare solo cinque anni e rimase incentrata soprattutto sulla musica operistica e sacra, scritta esclusivamente per Napoli e Roma.
Di salute debole fin dalla nascita, Pergolesi moriva il 16 marzo 1736 a Pozzuoli. Tra le sue ultime composizioni c’era il Salve Regina in do minore e appunto lo Stabat Mater. Tra le opere teatrali di Pergolesi ha una rilevanza particolare l’Intermezzo La serva padrona, per essere la prima opera in assoluto del genere buffo.
Quest’Intermezzo fu composto da Pergolesi nel 1733 per essere rappresentato tra gli atti dell’opera seria Il prigionier superbo.
Lo Stabat Mater fu scritto da Pergolesi su incarico della nobile Confraternita dei Cavalieri della Vergine dei Dolori. La composizione di Pergolesi doveva sostituire lo Stabat Mater di Scarlatti, che per tradizione la Confraternita cantava durante le orazioni nei venerdì di Quaresima, ma che intanto era considerato un po’ antiquato.
Con le sue due voci soliste, con il suo organico strumentale per soli archi e basso continuo Pergolesi seguiva il modello scarlattiano – sicuramente per soddisfare i desideri della Confraternita.
Lo stesso vale per la divisione del testo in una serie di arie e duetti, dove ogni singolo brano è basato su una o più strofe. Inoltre Pergolesi impiega molti moduli espressivi utilizzati nella musica operistica del suo tempo, ma vi sa fondere chiaramente elementi del tradizionale stile liturgico.
In tal modo ha saputo creare brani dal carattere più disparato e una forma
globale musicalmente differenziata, nonostante l’esiguo numero di voci soliste – con poche possibilità di combinazione dunque – e nonostante che il tono dominante del testo rimanga invariato. Pergolesi dispone di una grande inventiva melodica; contrasti dinamici in ambito ristretto o ripetizioni ad eco di brevi motivi si incontrano di frequente; ritardi ricchi di tensione e cromatismi – anche in forma di intervalli eccedenti e diminuiti – si trovano accanto a delicati passaggi di terze e seste parallele.
Margaret Marshall
Fra i tratti caratteristici della sua musica vi sono inoltre ritmi lombardi, abbellimenti, cadenze d’inganno e tipiche cadenze intermedie (realizzate mediante accordi di settima e nona di dominante). E son soprattutto molti di questi tratti peculiari, compresa la presentazione del materiale tematico nel preludio orchestrale, a rivelarsi nel Duetto Stabat Mater, con i suoi ritardi sovrapposti, o nell’Aria del soprano Vidit suum dulcem natum, che contiene il passo di così profonda sensibilità “dum emisit spiritum”.
Il Duetto Fac, ut ardeat, in stile fugato, offre un esempio di adattamento di tecniche contrappuntistiche – stretti, scambio di voci – al linguaggio musicale dell’epoca, mentre brani come l’Aria del contralto Quae moerebat e il Duetto Inflammatus et accensus sembrano tradire una gestualità di tipo piuttosto operistico.
Sono ben poche le composizioni del genere che abbiano suscitato nel mondo musicale un’entusiastica ammirazione e al tempo stesso anche una decisa disapprovazione.
Già Padre Martini ne criticava il carattere, a suo giudizio troppo teatrale e laico; altri muovevano appunti al modo di trattare il testo o alla concezione formale. Gli innumerevoli ammiratori invece scorgevano nello Stabat Mater l’ideale del nuovo, “sensitivo” stile sacro. La prospettiva critica odierna considera questo Stabat Mater, con la sua affascinante fusione di antico e nuovo, con le sue flessuose melodie e la sua fervente sensitività, come uno degli esempi più caratteristici dello stile musicale napoletano.
Wolfgang Hochstein (Traduzione: Gabriele Cervone)