Prokofiev Sergej

Pierino e il lupo – Sinfonia Classica

Si tratta di composizioni molto note, eseguite magistralmente da Claudio Abbado sul podio della The Chamber Orchestra of Europe. Divertente come di consueto l’interpretazione di Roberto Benigni nella composizione “Pierino e il lupo”. Registrazione eseguita nel 1990. Audio eccezionale. Altamente raccomandato. CD di difficile reperibilità.
“Trascorsi l’estate del 1917 nella più completa solitudine, nella campagna vicino a Pietroburgo, leggendo Kant e lavorando moltissimo. Il pianoforte l’avevo lasciato di proposito in città, perché desideravo di provarmi a comporre senza di esso. Sino a quell’epoca avevo sempre composto al pianoforte, ma avevo anche notato che il materiale tematico composto facendone a meno era spesso migliore. Avevo intenzione di comporre un’intera Sinfonia senza l’aiuto del pianoforte: in quest’opera i timbri orchestrali avrebbero dovuto essere più puri. Nacque così l’idea di una Sinfonia nello stile di Haydn, poiché la tecnica di Haydn mi era divenuta familiare in seguito agli studi compiuti nella classe di Cerepnin. Sono convinto che se Haydn fosse vissuto ai nostri giorni avrebbe serbato parte del suo vecchio stile arricchendolo però di alcune novità. Questo è il tipo di Sinfonia che volli scrivere: una Sinfonia in stile classico. Quando cominciò a prendere forma concreta la battezzai col nome di “Sinfonia classica”.
Così scrive Prokofiev nella sua autobiografia a proposito della sua Prima Sinfonia in re maggiore.
Condotta a termine verso la fine dell’estate 1917 (ma in realtà parte del lavoro risaliva ad abbozzi dell’anno prima), la Sinfonia classica fu eseguita per la prima volta sotto la direzione dell’autore a Pietroburgo il 21 aprile 1918, due settimane prima che Prokofiev lasciasse la patria per recarsi in America.
La cifra stilistica della Sinfonia classica è quella di una ricreazione musicale di forme antiche con spirito e mezzi moderni. Alla saldezza classica della forma corrisponde una modernità che scava a fondo nella materia musicale per rivelarsi anzitutto in certi scarti armonici che, pur senza stravolgerlo, ne arricchiscono lo sviluppo.
Altrettanto caratteristiche sono le pungenze ritmiche che punteggiano la partitura e l’eleganza della strumentazione, ricca di continue, inattese soluzioni timbriche, ma non priva di certi tratti di umorismo.
Assai personale appare l’invenzione melodica, che oscilla fra il ricalco dei modelli classici e la stilizzazione tutta novecentesca di brevi incisi efficacemente caratteristici.
I quattro tempi seguono lo schema della Sinfonia haydniana. Al primo tempo (Allegro) in forma-sonata, incalzante e pieno di trovate, fa seguito un Larghetto intensamente espressivo, di vena nostalgica, con un timido accenno di bonaria ironia tra le righe. Il terzo tempo, una Gavotta ripensata sul modello della cerimoniosa danza di corte settecentesca, è il gioiello della Sinfonia; mentre il Finale (Molto vivace) celebra con impeto brillante il piacere ritrovato in una conclusione serena.
Agli inizi del soggiorno americano, nel pieno della composizione dell’opera “L’amore delle tre melarance”, risale l’Ouverture su temi ebraici op. 34. Già nell’ottobre 1918 a New York Prokofiev aveva ricevuto la richiesta da parte di un gruppo di musicisti ebrei suoi amici, il complesso strumentale “Zimro”, di scrivere un piccolo pezzo da camera su melodie ebraiche autentiche fornitegli per l’occasione. Dopo aver in un primo momento rifiutato, Prokofiev accettò l’invito e nell’autunno 1919 scrisse il lavoro per un sestetto formato da clarinetto, quartetto d’archi e pianoforte: lavoro che venne eseguito con grande successo a New York il 26 gennaio 1920. Solo molti anni più tardi, nel 1934, la partitura fu orchestrata dall’autore per una piccola formazione sinfonica: come esempio di una musica chiara basata su un folklore autentico.
In realtà molti dubbi sono stati avanzati sulla autenticità di queste melodie, che sembrano piuttosto reinventate su modelli precisi. La seconda versione (op. 34 b) si fa comunque preferire sia per una maggiore, più preziosa ricerca armonica sia per l’attrattiva della strumentazione, che le conferisce varietà timbrica in un calcolato dosaggio di ombre e di luci, di malinconia e di fervore.
Pierino e il lupo, per voce recitante e orchestra, op 67, è una fiaba musicale per bambini che Prokofiev compose su proprio testo nel 1936, quasi a voler evadere, con un geniale gioco, dalle violente polemiche che imperversavano allora in Unione Sovietica sul ruolo e le funzioni della musica. Essa ha lo scopo non solo di divertire ma anche di esercitare i ragazzi a riconoscere attraverso il racconto i vari strumenti d’orchestra. Ciascun personaggio è rappresentato da un differente strumento: l’uccellino dal flauto, l’anatra dall’oboe, il gatto dal clarinetto, il nonno dal fagotto, il lupo da tre corni, Pierino dal quartetto d’archi, gli spari dei cacciatori da timpani e gran cassa, inoltre ogni personaggio ha un suo tema conduttore, associato con gli strumenti.

Sergej Prokofiev

Ed espressamente l’autore raccomanda nella prefazione alla partitura di “mostrare prima dell’esecuzione tali strumenti ai ragazzi e suonare i vari temi conduttori, così che, in tal modo, impareranno a identificare il timbro speciale di questi strumenti durante l’esecuzione”. Il racconto musicale si snoda sull’esile fiaba di Pierino che, con l’aiuto dell’uccellino, riesce a catturare il lupo cattivo: nella marcia trionfale della fine tutti i temi e gli strumenti si ripresentano insieme, in una sorta di gioiosa apoteosi. Che è anche, dal punto di vista compositivo, il momento in cui le relazioni ritmiche e armoniche, e non solo tematiche, mettono a nudo la salda rete in cui sono intrecciate.
Se Pierino e il lupo è un capolavoro di finezza e di invenzione che stimola la fantasia e accresce la sensibilità (cosa che lo rende godibilissimo anche a un pubblico adulto), la Marcia in si bemolle maggiore op. 99, composta nel 1943- 44, è un pezzo d’occasione celebrativo, che si colloca tra il grandioso affresco di “Guerra e pace” e l’ambizioso progetto della Quinta Sinfonia. Questo brano di strepitosa forza ritmica – tratto nel quale si riconosce la mano di Prokofiev – può far la delizia di chi ami il genere della marce militari; anche se la nuova strumentazione per orchestra da camera che qui viene presentata, togliendo le grossolanità bandistiche, invita a considerarlo come una pagina di musica di un grande compositore, cui mai vennero meno il decoro e la fulminante capacità inventiva.

Sergio sablich

Pierino e il lupo

Nel 1927, dopo nove anni trascorsi tra Europa occidentale e America, Sergej Prokof’ev tornò in Russia per una trionfale tournée di concerti, durante la quale vennero gettati i semi del suo definitivo ritorno in patria, che avvenne nel 1933. Su questa decisione pesarono in parti uguali la stanchezza per la frenetica vita del concertista di successo, lo scontento per la superficialità del mondano pubblico occidentale, il riaccendersi del sentimento d’appartenenza alla cultura russa e l’adesione entusiastica all’ideologia del socialismo: su quest’ultimo punto Prokof’ev si dimostrò, come spesso avviene agli artisti, incredibilmente ingenuo e ottimista, per non dire sprovveduto. Eppure aveva tutti o quasi tutti gli elementi per trarre le dovute conclusioni su quel che il ritorno in Unióne Sovietica avrebbe significato per la sua vita privata e artistica, perché dal 1932 la musica in tutta l’URSS era sotto il diretto controllo dell’Unione dei Compositori Sovietici, cioè del regime, e lo stesso Comitato Centrale del Partito aveva indicato le linee cui dovevano attenersi i compositori: dare un contenuto sociale alle loro opere, rivolgersi al pubblico più ampio possibile, utilizzare un linguaggio musicale tradizionale e facilmente accessibile, valorizzare il patrimonio della musica popolare. Ma non bastava, altri fatti molto preoccupanti si stavano verificando: proprio nel gennaio del 1936, quindi pochi mesi prima che Prokof’ev e la sua famiglia si trasferissero definitivamente nell’appartamento che avevano a Mosca dal 1933, era apparso sulla “Pravda” l’articolo intitolato “Caos anziché musica”, con la condanna dell’opera Lady Macbeth del distretto di Mszensk di Sostakovic e, implicitamente, di tutta la musica non conforme ai principi del realismo socialista.
È possibile che, nell’entusiasmo per il ritorno nella sua terra e tra la sua gente, alcune delle “raccomandazioni” ufficiali non sembrassero del tutto irragionevoli a Prokofev, che oltretutto non era stato preso personalmente di mira dall’articolo della “Pravda”, ma difficilmente potevano essergli sfuggite le implicazioni d’un tale minaccioso attacco a Sostakovic e alla musica “formalista”. Forse per una reazione a quest’atmosfera che stava diventando irrespirabile, o forse per il desiderio di lavorare su scala ridotta dopo una serie di partiture di grande dimensione, Prokof’ev si dedicò per qualche tempo quasi esclusivamente alla musica per bambini, che oltretutto, postulando un pubblico vastissimo e un linguaggio accessibile, lo metteva sufficientemente al riparo da scontri col regime: nacquero allora Musica per bambini, op. 65 (dodici pezzi facili per pianoforte), Tre canti infantili, op. 68 e Pierino e il lupo, op. 67, per recitante e orchestra, la cui prima assoluta venne diretta dal compositore stesso, nel 1936, alla Filarmonica di Mosca.
La musica di Pierino e il lupo è d’una semplicità disarmante, soprattutto se paragonata alle dimensioni e alla complessità delle partiture che i compositori (e tra questi Prokof’ev stesso) scrivevano in quegli anni. Questa sua semplicità potrebbe anche indurre nell’equivoco di sottovalutarla, ma non è affatto eccessivo definire un capolavoro questa piccola opera musicale sui generis. Soprattutto Pierino e il lupo è un esempio perfetto di ciò che dovrebbe essere la musica per l’infanzia, riuscendo in quello che non riesce né allo splendido L’enfants et les sortilèges di Ravel, che in realtà non si rivolge all’infanzia ma dà vita ai ricordi e ai rimpianti d’un adulto, né al magistrale The Young Person’s Guide to the Orchestra di Britten, che fa fare ai giovani la conoscenza degli strumenti musicali ma non li diverte e non ne sollecita l’immaginazione, per non parlare di quella miriade di pezzi brevi e facili destinati all’infanzia solo perché adatti a dita piccole e inesperte.
Pierino e il lupo, il cui testo è di Prokof’ev stesso, è invece una vera e propria fiaba, di quelle che affascinano ogni bambino e che vengono ricordate per sempre, anche quando si diventa adulti. Ciascun personaggio di questa fiaba è rappresentato da un tema musicale e da uno strumento dell’orchestra, secondo gli abbinamenti più naturali: l’uccellino cinguettante è caratterizzato dal flauto (nel registro acuto), l’anatra dall’oboe, il gatto dal clarinetto (nel registro grave e “con eleganza”), il nonno brontolone dal fagotto, il lupo spaventevole dai corni, il protagonista Pierino da tutti gli strumenti ad arco, le fragorose scariche dei fucili dei cacciatori dai timpani e dalla gran cassa (Prokof’ev consiglia di far ascoltare i vari strumenti e relativi temi all’inizio del pezzo, a scopo didascalico).
Roberto Benigni

La voce recitante racconta la fiaba e parallelamente la musica la commenta passo passo, con una quantità d’immagini sonore spesso più vivide e precise di qualsiasi parola, come il rapido arrampicarsi del gatto o il lamento flebile e tragicomico (“doloroso” dice la partitura) dell’anatra nella pancia del lupo. La fiaba si conclude con un piccolo corteo trionfale di Pierino e dei suoi amici, che dà modo a Prokof’ev di far riascoltare rapidamente tutti i principali temi di quest’incantevole composizione.

Sinfonia classica

Assieme al Primo Concerto op. 19 per violino, la Sinfonia in re maggiore condivide, come data di composizione, un numero fatidico, il 1917, dell’anno cioè che per la Russia fu quello della Rivoluzione d’ottobre e per Prokof’ev segnò la conclusione dello sfolgorante suo apprendistato creativo, in cui tutte le premesse della vastità e della varietà della produzione musicale negli anni successivi trovarono già la loro enunciazione e definizione.
Fin dal giorno in cui nacque Prokof’ev cominciò a sentir musica in casa perché la madre era una buona pianista, con un notevole repertorio. Ad evitare che l’incontenibile esuberanza dell’inventiva giovanile di Prokof’ev avesse a disperdersi, provvidenziale fu a undici anni, nel 1902, l’incontro a Mosca con
Tane’v e, su consiglio di quest’ultimo, con Glière, pedagogo di gran fama. Già in quell’estate Glière trascorse le vacanze a Sonzovka, insegnando musica a Sergej Prokof’ev che nel 1904 fu presentato a Glazunov, venendone incoraggiato a frequentare il Conservatorio: dopo il brillante esame d’ammissione, il giovanetto si iscrisse al corso di armonia di Ljadov nel 1904 e nel 1906 al corso di strumentazione di Rimskij-Korsakov e di pianoforte con Winkler. Nel 1908, dopo la scomparsa di Rimskij-Korsakov, seguì la classe di composizione di Vihtol, e poi con Cerepnin il corso di direzione.
Da due anni, su invito del critico Karatijgin, Prokof’ev prendeva parte alle “Serate di musica contemporanea” di Pietroburgo, conoscendo lavori di Debussy, Roussel, Reger, Wolf, Strauss, Schönberg, Rachmaninov, Skrjabin, Stravinsky, e non mostrando alcuna soggezione ad esibirsi in pubblico come pianista. Cerepnin, oltre a stimolare le aspirazioni innovataci di Prokof’ev, sapeva contemporaneamente radicare in lui l’amore per la tradizione di Haydn e di Mozart, per le eleganti forme delle danze del diciottesimo secolo e per la trasparente strumentazione classica. Lasciato il Conservatorio nella primavera del 1914, Prokof’ev si giovò d’una vacanza-premio e visitò Parigi e Londra ove fece la conoscenza, tra gli altri, di Djagilev e di Stravinsky. Già allora il giovane compositore risultava in grado di analizzare la varietà della propria attività creativa e la poliedricità dell’ispirazione, come risulta da un emblematico inciso dell’Autobiografia: «La prima linea su cui si è sviluppato il mio lavoro fu la linea classica, che si può far risalire alla fanciullezza e allo studio delle Sonate di Beethoven, che ascoltavo nell’esecuzione di mia madre. La seconda linea, il filone moderno, comincia dall’incontro con Tane’v, quando egli mi rimproverò la “crudezza” delle mie armonie. La terza linea è la toccatistica o motoria, suggerita dalla profonda impressione che destò in me la Toccata di Schumann, la prima volta che la udii. La quarta linea è lirica: dapprima essa appare come un sentimento pensoso e meditativo, per lo più associato con melodie lunghe. Gradirei limitarmi a queste quattro linee e considerare la quinta, la “grottesca”, come una semplice deviazione. Preferisco infatti che la mia musica sia descritta con le tre parole che descrivono i vari gradi dello Scherzo: capricciosità, ilarità, beffa».

Claudio Abbado

Conosciuta la prima volta a Pietrogrado il 21 aprile 1918, con l’ex Orchestra di Corte diretta dall’autore, la Prima Sinfonia non intende essere un’ironica imitazione dello stile settecentesco ma la creazione originale di un artista moderno che procede fra vecchie strade abitate da nuove generazioni. In tale prospettiva va “letta” la frase di Prokof’ev secondo cui «se Haydn fosse vissuto ai nostri giorni, egli avrebbe parte del suo vecchio stile, pur accettando nello stesso tempo qualcosa di nuovo». Il primo movimento è un conciso Allegro in forma-sonata nella tonalità di re maggiore dall’incedere rapido e leggero. Il primo tema, enunciato con brio, è di stampo haydniano o mozartiano, ma è caratterizzato da uno schema armonico capriccioso, spostandosi in do maggiore alla seconda sua apparizione, per tornare poi alla tonalità d’impianto. Una transizione, con una frase singolare, porta al secondo soggetto, in la maggiore, che assume un tono garbatamente burlesco per i salti di due ottave dei violini, le note ornate, l’accompagnamento in staccato del fagotto. L’esposizione si conclude con una sezione che amplia il respiro del primo tema.
Lo sviluppo è basato sul trattamento successivo del primo tema, della transizione e del secondo tema: in particolare, come ha notato l’Asaf’ev, il secondo motivo è trasformato da un “elegante, giocoso tema” nei “massicci passi di un gigante”. Invertendo l’ordine iniziale dell’esposizione, la ripresa comincia con il primo tema in do maggiore per passare poi al re maggiore e restare in questa tonalità sino al termine. Il Larghetto, in la maggiore, è un aggraziato tempo in forma ternaria scritto nello stile di un minuetto. La sezione principale è contraddistinta da un tema che effonde accenti di tenerezza nei registri più alti dei violini, su un accompagnamento calmo e misurato. La sezione centrale imprime all’incedere della musica la scansione di una ritmica moderna su marcati contrasti dinamici che si rifanno genericamente ai moduli stilistici classici. Segue la ripresa della parte principale. Secondo il Nestyev, «lo stile dell’esposizione, spiccatamente il ritmo e il colore armonico, anticipa singolarmente l’atmosfera di certe danze in Romeo e Giulietta, come la Danza delle fanciulle delle Antille, per esempio». Il terzo movimento è una pungente Gavotta, in cui la genialità di Prokof’ev si esplicita nel risalto al parallelismo dei salti di ottava, nelle libere sovrapposizioni di triadi maggiori, nelle cadenze impreviste. Un episodio mediano della Gavotta è costituito da una tradizionale musette ove si colgono echi di canti popolari russi. Conclude la Sinfonia n. 1 un gaio Finale in forma-sonata e in tempo Molto vivace.
Il primo soggetto del movimento è contraddistinto da arpeggi ascendenti e discendenti, passaggi di scale, piccole frasi gustosamente reiterate dai violini. Il secondo tema si caratterizza per lo spirito arguto del sinuoso e ondulante motivo dei legni. Un terzo tema, in la maggiore, porta a conclusione l’esposizione con una frase melodica tipicamente russa. Quest’ultimo motivo dà vita allo sviluppo in un susseguirsi di imitazioni sino ad una stretta che conduce alla ripresa. Ancora con il Nestyev, «le classiche immagini della musica del diciottesimo secolo vengono qui a riflettersi quasi attraverso il prisma del canto russo».

Ouverture su temi ebraici

Questa composizione, scritta per l’inusuale organico formato da clarinetto, pianoforte e quartetto d’archi, ha origine da una richiesta del clarinettista Simon Bellison, leader dell’Ensemble Zimro.

The Chamber Orchestra of Europe

Il gruppo, giunto a Chigago nel mese di settembre 1919 dopo una lunga tournée in Russia e in Oriente, volta anche a raccogliere fondi per l’istituzione di una scuola di musica a Gerusalemme, si esibisce con successo anche a New York; qui Bellison incontra Sergej Prokofiev, già suo compagno di studi al Conservatorio di San Pietroburgo, e gli consegna un taccuino con melodie popolari ebraiche invitandolo a comporre un brano per la sua formazione. Prokofiev, solitamente restio ad utilizzare melodie altrui, al momento rifiuta la proposta e accantona il quadernetto poi, incuriosito da quei motivi, inizia a scrivere qualche accompagnamento e, in appena due giorni, abbozza un breve pezzo che prende forma definitiva in poco più di una settimana.
L’Ouverture viene eseguita per la prima volta il 2 febbraio 1920 al Bohemian Club di New York con Prokofiev al pianforte; successivamente, e prima di sciogliersi nel 1922, l’Ensemble Zimro lo ripete almeno due volte alla Carnegie Hall con il proprio pianista, Leo Berdichevsky, e con la pianista ospite Lara Cherniavsky.
Presto l’Ouverture diventa molto popolare; alcuni musicisti, e lo stesso Prokofiev nel 1934, ne fanno una trascrizione per orchestra, tuttavia la versione cameristica originale è quella più conosciuta e più spesso eseguita.
Impostato in chiave di do minore, il brano è in forma-sonata con due temi contrastanti. Il primo tema, introdotto dal clarinetto, è vivace e festoso, ricorda
la musica “Klezmer”, melodie della tradizione ebraica che accompagnano balli e matrimoni; il secondo tema, proposto dal violoncello e poi dal primo violino, è un motivo cantabile e nostalgico. Dopo una breve sezione di sviluppo e la ricapitolazione emerge il sorprendente, impetuoso finale.