Rachmaninov Sergej
Concerto n. 2 per pianoforte e orchestra
Due magnifici spartiti russi interpretati da quell’istrione pianista sovietico che fu Sviatoslav Richter. Splendida la direzione di Stanislav Wislocki sul podio della Warsaw Philharmonic Orchestra, soprattutto del mio amatissimo concerto n.2 di Sergej Rachmaninov. Registrazioni eseguite dal 1959 al 1960 e rimasterizzazione effettuata nel 1975. Audio buono. Altamente raccomandato.
Concerto n. 2 in per pianoforte e orchestra in do minore op. 18
Pianista, compositore e direttore d’orchestra, Rachmaninov nasce nella tenuta rurale di Oneg dove viene avviato dalla madre allo studio del pianoforte che poi prosegue nel Conservatorio di Mosca. Durante gli anni di apprendistato entra in contatto con i principali compositori russi del momento ma è influenzato in particolare da Ciaikovskij diventando l’ultimo grande compositore romantico. Mentre sviluppa la sua prestigiosa carriera di pianista celebrato in tutto il mondo, si dedica alla composizione prediligendo un linguaggio cosmopolitico, impregnato di elementi della musica occidentale, solo raramente memore del patrimonio musicale popolare russo. Il fiasco ottenuto il 15 Marzo 1897 a Pietroburgo con la presentazione della Prima Sinfonia ne stravolge la mente e deve ricorrere alle cure ipnotiche del dott. Nikolaij Dahl. Nel frattempo con diversa fortuna, si dedica alla direzione d’orchestra presso il Teatro Bolscioij di Mosca. Dirige con clamoroso successo alcune grandi opere ed apporta sostanziali modifiche alla disposizione dell’orchestra: non più il direttore al centro dell’orchestra ma con gli orchestrali schierati di fronte al podio. La rivoluzione dell’Ottobre 1917 lo costringe ad abbandonare definitivamente la Russia ed a proseguire all’estero la sua attività di celebrato pianista e di compositore. Dopo una tournè europea il 10 Novembre 1918 giunge negli Stati Uniti dove risiede definitivamente fino alla morte che lo coglie nella sua casa di Beverly Hills il 28 Marzo 1943.
Presentato a Mosca il 9 Novembre 1901 con l’autore al pianoforte ed Alexandr Ziloti alla direzione il Concerto n. 2 per pianoforte ed orchestra in do minore op. 18, dedicato allo psichiatra Nikolaij Dahl che lo ebbe in cura, rappresenta la prima opera matura di Rachmaninov. Pagina di traboccante di un pathos tipicamente post-romantico, unisce ad una scrittura solistica ai limiti delle possibilità esecutive, una tematica di notevole espressività, ricca di enfasi e di scoperto lirismo, nel solco della migliore tradizione ciaikovskiana.
Tempo I – Moderato. Dopo un’introduzione di accordi a piene mani, compare il primo tema. Sugli arpeggi del pianoforte il tema è affidato prima a violini e viole raddoppiati dal clarinetto, poi ai violoncelli ed infine a tutti gli archi con l’accompagnamento dei fiati. Questo gruppo tematico è riecheggiato dal solista che poi propone un conciso episodio (Un poco più mosso) culminante in un accelerando-crescendo a piena orchestra. Una frase della viola introduce il secondo tema esposto dal solista al quale si affiancano archi, clarinetto e fagotto. Direttamente dal secondo tema sgorga una terza idea, divisa in imitazione tra pianoforte e legni e subito stemperata in una transizione. La chiusa dell’esposizione (un poco più mosso) è un episodio di agilità solistica per il pianoforte. Lo sviluppo (moto precedente) è introdotto dall’orchestra che introduce nuovi elementi tra cui un tema di marcia scandito da bassi e timpani. Segue un brillante episodio (Più vivo) con l’elaborazione del primo tema e che prosegue in tempo ancora più mosso (Più vivo) con un rapido gioco delle mani nel registro acuto. L’apice dello sviluppo è raggiunto dall’orchestra con una combinazione del secondo tema e del motivo di marcia sostenuta dagli accordi a piene mani del pianoforte. L’andamento di quest’ultima parte è concepito in crescendo ed in accelerazione fino al grandioso ed enfatico allegro che prepara la ripresa. Quest’ultima si apre in tempo Maestoso (Alla marcia) con gli archi che espongono il primo periodo del primo tema con il commento dei pesanti accordi del pianoforte.
Aleksandr Ziloti
Il secondo periodo (Meno mosso) è appannaggio del solista con il sostegno di legni, corni ed archi e sfuma in un ritardando-diminuendo. Il secondo tema (Moderato) che ricompare col corno solo sulle note tenute dei clarinetti e dei fagotti, viene sviluppato dal pianoforte con una riproposta degli arpeggi che abbiamo ascoltato in vari punti del brano. Una coda virtuosistica (Meno mosso) in ritmo di marcia ed il ritorno del primo tema affidato ai violocelli ci porta al finale.
Tempo II – Adagio sostenuto. Il brano si apre con un’introduzione orchestrale sulla quale entra il pianoforte che avvia la prima parte. Il tema è dialogato prima tra flauto e clarinetto su arpeggi del pianoforte, poi passa al solista con un’inversione delle parti (arpeggi al clarinetto), e quindi nella chiusa sognante ai violini primi (gli arpeggi tornano al pianoforte). La parte centrale (Un poco più mosso) si apre con un’elaborazione pianistica del tema cui si abbina un controcanto dei legni, finché la frase tematica torna al clarinetto sollecitando un’articolata risposta del solista ed un episodio di natura divagante. Segue una transizione (Più animato) per pianoforte solo basata sullo stesso frammento tematico. E’ poi la volta di un episodio virtuosistico (Più mosso) che elabora alcuni motivi tematici con accompagnamento orchestrale, e culmina attraverso una fermata in una sgargiante cadenza pianistica. Nella ripresa della prima parte (Adagio sostenuto) il tema è affidato ai violini sui caratteristici arpeggi del pianoforte. Conclude una coda sontuosa in cui l’ampia frase cantabile dei violini è accompagnata da accordi e arpeggi (pianoforte), note tenute (corni e bassi) e ancora arpeggi (flauti e clarinetti).
Tempo III – Allegro scherzando. Nell’introduzione orchestrale compaiono motivi di marcia (archi) ed accordi a pieno organico. Al termine di una fluida cadenza del pianoforte, la ripresa dei motivi di marcia accompagnati da flauti, clarinetti ed archi pizzicati sfocia nel primo tema incisivo e pulsante, esposto dal solista con pirotecnico virtuosismo. Un episodio pianistico accompagnato da legni, corni ed archi, si chiude con la scansione a pieni accordi del primo tema. Una transizione del pianoforte (Meno mosso) conduce al secondo tema (Moderato) di carattere cantabile, intonato da oboe e viole col sostegno di corni e bassi pizzicati. L’idea tematica è raccolta ed amplificata dal pianoforte sino alla ricomparsa del ritmo di marcia dell’introduzione (Meno mosso). Il ritorno all’Allegro scherzando (Moto primo) è una stringata riconduzione verso il primo tema. L’episodio solistico seguente (Più mosso) è una nuova transizione verso il primo tema che riappare in dialogo tra pianoforte ed orchestra (Presto). Un fugato che si basa sul primo tema (orchestra e pianoforte) si chiude con un’esplosione orchestrale (Più vivo). Ricompare nuovamente la transizione pianistica (Meno mosso) che apre la ripresa del secondo tema (Moderato) affidato a flauto e primi violini ed al pianoforte, e del motivo di marcia (Meno mosso). Il ritorno dell’Allegro scherzando (Moto primo) porta entrate successive di legni ed archi che sembrano aprire un nuovo episodio mentre invece i rapidi arpeggi del solista ci portano ad una sorta di coda. Questa (Alla
breve. Agitato) si fonda sulla testa del primo tema (flauto con controcanto dei violoncelli) e culmina con una reminiscenza (Presto) a pieno organico, della prima entrata del pianoforte. Una breve cadenza pianistica introduce la ripresa del secondo tema (Maestoso) intesa come grande climax a piena orchestra, con massicci accordi del pianoforte, prima che il movimento concluda con una chiusa trionfale nei tempi (Più vivo) e poi (Risoluto).
Prokofiev Concerto n. 5 per pianoforte e orchestra in sol maggiore op. 55
Nessun dubbio che il pianoforte sia lo strumento centrale della creatività di Prokof’ev. Ne fa fede innanzitutto uno sguardo al catalogo del compositore: cinque Concerti pianistici, nove Sonate portate a termine più alcuni abbozzi, una miriade di brevi composizioni, un nutrito catalogo per pianoforte a quattro mani, oltre all’impiego del pianoforte come supporto nella produzione cameristica e vocale. Ma, al di là di questa incidenza numerica, lo stesso Prokof’ev fu uno dei più grandi pianisti del suo tempo, avviato fin da giovanissimo a una carriera di concertista, dopo aver studiato con la madre, poi con Alexander Winkler, infine, dal 1909, con Anna Esipova.
Non a caso la maggior parte della produzione pianistica di Prokof’ev venne composta direttamente per servire il Prokof’ev virtuoso, in una prospettiva che in qualche modo si richiamava alla grande tradizione del pianismo mitteleuropeo. Una diretta correlazione si stabilisce dunque fra compositore ed esecutore. Lasciate alle spalle le esperienze adolescenziali, Prokof’ev assimila uno stile pianistico che risente della lezione di Liszt, filtrata attraverso la scuola di Anton Rubinstein, e le suggestioni simboliste di Skrjabin. L’assimilazione della tradizione, tuttavia, è parallela al suo rigetto; alla scrittura visionaria e timbricamente studiatissima di Skrjabin, Prokof’ev preferisce un suono aggressivo e percussivo, una incisività ritmica, passaggi di carattere toccatistico, derivati anche dallo studio della musica del 700. Nel pianismo di Prokof’ev, insomma, tutta l’eredità del pianismo romantico sfocia in una concezione dello strumento che si potrebbe dire percussiva; e questo tratto percussivo dell’esecutore si traduce, per il compositore, nell’attribuire alle sue composizioni pianistiche un dinamismo che rimane un elemento innovativo e costante, al di là di una logica evoluzione.
Si comprende dunque come proprio attraverso i primi tre Concerti pianistici, scritti nel 1912, 1913, 1921, e segnati da una netta preminenza del solista sull’orchestra, Prokof’ev si affermasse nella doppia veste di compositore- esecutore con un successo di scandalo, prima in Russia, poi in America ed Europa.
Wilhem Furtwangler
L’entusiasmo iconoclasta di queste partiture fece il giro dei continenti suscitando le reazioni più diverse, ma lasciando comunque un segno. Storia diversa quella del Quarto Concerto, scritto nel 1931 per la sola mano sinistra e dedicato al pianista Paul Wittgenstein, che aveva perso la destra durante il conflitto mondiale, ma che respinse poi la partitura, destinata ad essere eseguita postuma.
Composto nel 1932 dall’autore quarantunenne, il Conceno n. 5 in sol maggiore op. 55 precede di poco il definitivo ritorno in Russia del compositore, ormai pienamente affermato. Le stesse vicende esecutive di questa partitura mostrano come il caso Prokof’ev fosse stato ormai assimilato dalla cultura musicale europea; la prima esecuzione avvenne a Berlino, il 31 ottobre 1932, sotto la direzione di Wilhelm Furtwängler; al concerto prendeva parte anche Paul Hindemith, come violista in Araldo in Italia di Berlioz; in sala sedevano sia Schönberg che Stravinskij; e sembra difficile immaginare una serata che potesse accostare in modo altrettanto significativo i maggiori compositori europei. Con la sua nuova partitura Prokof’ev toccò nei due mesi seguenti Varsavia, Mosca e Leningrado, per arrivare subito in America, dove ripetè la sua esecuzione sotto la direzione di Bruno Walter. Quanto basta per rendersi conto che un nuovo Concerto di Prokof ev era destinato a galvanizzare l’attenzione degli ambienti musicali di tutto il globo.
«Il mio problema essenziale, in questo Concerto, fu di creare una tecnica che fosse diversa da quella dei miei precedenti concerti», ebbe a dichiarare l’autore. Di qui, è facile domandarsi che legame abbia questa partitura con le precedenti, e cosa presentasse invece di originale. La risposta risiede probabilmente
nell’individuare quei tratti del Concerto che in qualche modo possono essere ricondotti alla poetica del neoclassicismo, che si era imposta un po’ ovunque nel decennio precedente, non trovando tuttavia Prokof’ev fra i primi sostenitori. Dal neoclassicismo Prokof’ev era fermamente distante per uno stile che non contemplava l’oggettivismo assoluto del materiale, ma piuttosto l’iconoclastia ribelle verso la tradizione tardoromantica. Ciò nonostante è proprio la scrittura pianistica, come suggerisce l’autore, il tratto più innovativo del Concerto; se i Concerti pianistici della stagione neoclassica, basti pensare a Stravinskij e Ravel si volgono verso un alleggerimento della scrittura, qualcosa di simile avviene nel Concerto op. 55, dove Prokofev ricerca un equilibrio maggiore fra solista e orchestra, e affida al pianoforte una scrittura più essenziale, più sobria, volta alla ricerca di una sonorità traslucida. Il che non vuoi dire tecnicamente meno impegnativa; l’uso del registro acuto della tastiera costringe infatti a continui salti e spostamenti di grande cimento tecnico. Nuova è inoltre la costruzione complessiva del Concerto, articolata in cinque movimenti ben distinti fra loro.
Le caratteristiche specifiche di questo Concerto op. 55 possono essere apprezzate immediatamente nel movimento iniziale, Allegro con brio, dove il pianoforte appare subito impegnato in grandi e icastici salti di registro – sottolineati anche dagli spostamenti d’accento – e spesso anche in una funzione di arabesco rispetto alle linee melodiche affidate agli archi e ai fiati. Nell’insieme questo movimento si allontana dalla forma classica, e presenta piuttosto una plastica giustapposizione di situazioni contrastanti, in cui non mancano ritorni tematici e un episodio lirico che stempera l’aggressività prevalente.
Il Moderato ben accentuato che si colloca in seconda posizione è in realtà una marcia graffiante e ironica, una delle tante marce cui Prookof’ev si è magistralmente applicato; i ritmi incisivi di ottoni e percussioni sostengono le volate del pianoforte; questa idea di base si alterna con episodi diversivi e si ripresenta poi ogni volta in una diversa scrittura strumentale. Segue una Toccata, movimento che riprende il materiale melodico del tempo iniziale; per spiegare questa scelta non bisogna pensare a un’idea ciclica di Concerto, ma piuttosto al desiderio di aprire un momento di virtuosismo puro; e d’altronde già l’espressione “Toccata” riporta al virtuosismo libero e fantasioso della musica barocca. Questo breve movimento è insomma una sorta di posticipazione della cadenza che manca nel tempo iniziale.
Sergej Rachmaninov
Con il Larghetto ci troviamo di fronte alla pagina lirica della partitura, unica concessione espressiva che esuli dall’ambientazione prevalente del Concerto. Anche in questo caso, comunque, il tema in ribattuti conserva una connotazione di elegante graffito; come dire che anche questo tempo mantiene i medesimi principi degli altri movimenti, convertiti però verso finalità contemplative. Completa è l’integrazione con l’orchestra; molti materiali tematici passano ai legni, mentre il pianoforte compie delicati arabeschi. Si staglia però l’energia dell’episodio centrale, che porta a una intensa perorazione di arte retorica, in cui si fondono il lirismo degli archi e gli accordi e arpeggi del solista.
L’ultimo tempo si basa sulla giustapposizione di sezioni contrastanti; basterebbe osservare i cambiamenti delle indicazioni di tempo: Vivo – Appena più mosso – Più mosso – Più tranquillo – Coda. Allegro non troppo. Dinamismo e
martellamento vitalistico sono le parole d’ordine di questo tempo, che accoglie comunque alcuni passaggi di tecnica semplificata nonché una sezione centrale basata sull’intimismo di sonorità contenute, che si spegne con il pianoforte solo; la coda è costruita come un grande climax che parte da un grazioso motivo degli archi soli per coinvolgere tutta l’orchestra e il solista in una conclusione trascinante di effetto immancabile.