Rossini – Respighi

La Boutique fantasque

Tre composizioni da non perdere per la lo vivacità e dolcezza. Ottima la direzione di Richard Bonynge sul podio della National Philharmonic Orchestra. Un’ora circa di musica piacevole e rilassante. Registrazioni effettuate dal 1981 al 1983. CD di difficile reperibilità. Audio in casa DECCA come di consueto eccezionale. Raccomandato.

La Boutique fantasque

Non si sottolinearità mai abbastanza quanto Sergej Djaghilev, il geniale impresario dei Ballets Russes, sia stato determinante per gli sviluppi della musica del nostro secolo, pur non essendo direttamente coinvolto nella creazione artistica. Senza di lui probabilmente il giovane Stravinsky non avrebbe ne scritto tra il 1911 e il 1913 i tre rivoluzionari balletti che sarebbero rimasti tra le sue creazioni più originali, ne effettuato nel 1919-1920 la sorprendente virata dal fauvisme al neoclassicismo sancita dal balletto Pulcinella su musiche di Pergolesi. Poi è andata a finire che Stravinsky è stato considerato l’iniziatore del neoclassicismo, ma in realtà questo titolo spetterebbe a Djaghilev, che prima di coinvolgere Stravinsky aveva già commissionato analoghe rivisitazioni della musica del passato a Vincenzo Tommasini e a Ottorino Respighi: il primo aveva rielaborato alcune sonate clavicembalistiche di Domenico Scarlatti per un balletto di soggetto goldoniano, Le donne di buon umore, rappresentato a Roma nel 1917, mentre il secondo nel 1918 aveva “arrangiato e trascritto” musiche di Rossini per il balletto La boutique fantasque, che venne rappresentato in forma di balletto al teatro Aihambra di Londra il 5 giugno 1919, precedendo quindi d’un anno la prima del Pulcinella di Stravinsky all’Opera di Parigi. Tutti e tre i compositori convinti da Djaghilev a scrivere basandosi su una musica preesistente (quella che è stata poi definita musica al quadrato) ricevettero da lui delle indicazioni vincolanti quanto alle linee generali ma molto elastiche quanto alla concreta realizzazione, cosicché l’abilità d’orchestratore, la ricchezza d’idee e il distacco ironico di ciascuno dei tre poterono emergere chiaramente dalle musiche da loro composte.
Va dunque a Djaghilev il merito d’aver catalizzato questa tendenza neoclassica, che tuttavia, pur stentando a precisarsi e a svilupparsi, era già nell’aria, come dimostra il fatto che proprio Respighi aveva appena scritto la prima delle sue tre suites intitolate Antiche arie e danze per liuto (1917), libere trascrizioni di musiche italiane dei secoli sedicesimo e diciassettesimo. Respighi era già autore di opere teatrali, di liriche vocali, di musica da camera e di trascrizioni e revisioni (praticamente vere e proprie riscritture) di musiche del passato, ma soprattutto era noto per Pini di Roma, il primo dei tre poemi sinfonici ispirati alla sua città d’adozione: insomma era un compositore che aveva dimostrato di sapersi muovere in vari generi e in vari stili, ma era soprattutto ammirato per la portentosa abilitàd’orchestratore. Per Respighi, come per il suo maestro Nikolaj Rimskij-Korsakov e per ogni musicista che abbia una profonda sensibilità per il colore orchestrale, un effetto strumentale non era fine a se stesso ne era buono a tutti gli usi ma era strettamente correlato alla melodia, all’armonia e al ritmo:per questo l’orchestrazione della Boutique fantasque è meno sgargiante e ricca (ma tutt’altro che inferiore) di quella dei tre poemi sinfonici romani, cui è universalmente legata la sua fama d’insuperato maestro dell’orchestrazione. L’ispirazione rossiniana si rivela inoltre il più efficace antidoto contro i rischi del turgore e della retorica, cui non sempre Respighi riuscì a sfuggire in altre situazioni; infatti, come si è già detto, per questo suo balletto rielaborò musiche di Rossini, precisamente una serie di pezzi pianistici e di liriche da camera tratti dalle Soirées musicales e dai Péches de vieillesse, scritti dall’autore del Barbiere di Siviglia a Parigi dopo essersi ritirato dall’attività d’operista. Rossini è per

Sergej Djaghilev

Respighi un punto di partenza, su cui intervenire non solo con la sua orchestrazione ma anche con numerose modifiche, particolarmente importanti per quanto riguarda armonia e ritmo, mentre talvolta si riconosce ancora chiaramente qualche melodia dell’originale; insomma la musica rossiniana viene completamente smontata e rimontata da Respighi. Il risultato è un intrigante e stimolante gioco di scambi e di rimandi, in cui Rossini non è più Rossini, Respighi non è più Respighi e diventa difficile se non impossibile capire a chi dei due attribuire la paternità di ciò che si sta ascoltando, se al compositore dell’Ottocento o a quello del Novecento.
Non bisogna dimenticare che La boutique fantasque, sebbene venga prevalentemente eseguita come pezzo da concerto, è nata come balletto, con la coreografia di Leonide Massine (che ne fu anche il primo protagonista) e con le scene e i costumi di André Derain: era ambientata in un negozio di giocattoli e i vari episodi si prestavano ad essere musicati come una suite di danze caratteristiche. La durata complessiva è considerevole, eppure gli otto agili pezzi hanno la precisione e la luminosità di dettagli proprie delle miniature e tengono sempre viva l’attenzione con la varietà di ritmi e di motivi (il merito va diviso grosso modo in parti uguali tra Rossini e Respighi), e soprattutto con un fuoco di fila d’originali invenzioni timbriche (in questo caso il merito è tutto di Respighi), di cui non si può nemmeno tentare di dar conto. L’Ouverture è chiaramente composta da due parti: una vivace marcia, punteggiata dai tocchi degli strumenti a fiato, che sembra venire da lontano e avvicinarsi con un leggero ma costante crescendo, è seguita da un brioso Allegretto, che s’interrompe brevemente per lasciare spazio a un’espressiva e cullante melodia dell’oboe, quindi riprende e conclude l’Ouverture, conducendo alla Tarantella, un’esplosione gioiosa e spumeggiante, ma allo stesso tempo controllata e al riparo da qualsiasi cedimento popolaresco. Anche la Mazurka è divisa in due parti; la prima alterna un tema volteggiante e leggero dei violini agli interventi pesati e goffi dei fagotti, tuba e contrabbassi, la seconda, dopo un breve intermezzo in tempo lento, viene introdotta da un velocissimo staccato dei violini e prosegue con un dialogo tra un pettegolo ottavino e gli archi disinvolti ed eleganti. I cosacchi della Danse cosaque, nonostante qualche ritmo rudemente scandito e qualche cadenza dal leggero sentore di Russia, sembrerebbero essersi ormai dimenticati delle steppe e piroettare a proprio completo agio nei saloni della buona società ottocentesca. L’approccio ironico e deformante è evidente anche nell’Allegretto grottesco del Cancan, brulicante e frenetico, in cui risuonano anche i clacson delle automobili (se ne ricordò probabilmente Gershwin all’inizio del suo Un americano a Parigi). Il Cancan s’intenerisce poi in un Andantino, che porta senza scosse alla Valse lente, il brano di maggiori dimensioni del balletto: ci si alternano vari valzer, languidi e malinconici, delicatamente orchestrati, un po’ cajkovskiani: sarebbe facilmente
intuibile che l’atmosfera è notturna, anche se non ci fossero i rintocchi della campana ad annunciare, proprio all’inizio, che sono le dieci. La notte è ormai fonda nel Nocturne, l’ennesimo prodigio d’orchestrazione di Respighi, che dipinge una notte incantata, sospesa e arcana con pochi, magici tocchi: una melodia del violino e del violoncello soli, aureolata dall’eco lontana degli strumenti a fiato, dai placidi arpeggi dell’arpa e dal lieve tintinnare argenteo della celesta, col sottofondo delle note tenute dagli archi gravi. Con un cambio repentino d’atmosfera attacca il brillante Galop finale, vorticoso e inarrestabile, orchestrato in modo sempre leggero, nitido, luminoso, un vero caleidoscopio di timbri.

Benjamin Britten Soirés Musicales op. 9

Benjamin Britten ha 23 anni, ed è ancora lontano dalle esperienze teatrali (la prima operetta Paul Bunyan, su libretto di William Auden, è del 1941), quando inizia a divertirsi con le musiche di Rossini. L’occasione è data dalla colonna sonora per le silhouettes cinematografiche di “The Tocher” (la dote), di Lotte Reiniger, regista di molti lungometraggi animati dalle ombre cinesi. Più volte (Carmen, Papageno, un incompiuto Elisir d’amore) si rivolse al melodramma, con opere che nel nostro paese non hanno mai incontrato il dovuto riconoscimento. Non sarebbe inutile recuperarle: «nessuno – scrive Georges Sadoul – prese il posto della Reiniger nel campo dell’animazione delle ombre cinesi».
Erano anni in cui Britten componeva – imparando, guadagnando, senza vergognose pruderie – musiche di scena per qualsiasi media le richiedesse: radio, teatro, cinema. La commissione della Reiniger provoca il primo incontro con Rossini; l’esito è giudicato soddisfacente se, due anni dopo la prima stesura, Britten rivede il lavoro, decidendo di pubblicarlo come opera a sé stante: la suite debutta a Londra nel dicembre 1930. Inizio di una fortunata carriera concertistica, che non impedirà alla musica di continuare ad ispirare danzatori e coreografi. Il titolo distingue le due fruizioni: in presenza di una coreografia, si declina al singolare.
La prima versione prevedeva una “small orchestra”; flauto, oboe, clarinetto, tromba, trombone basso, percussioni (tamburo, cimbali, triangolo, castagnette), arpa, archi. L’adattamento per “full orchestra” amplifica, ma non aggiunge altre voci strumentali.
Tre anni più tardi, su invito di Lincoln Kirstein, direttore dell’American Ballet Company, Britten comporrà una seconda suite, ancora in cinque movimenti, da Rossini: nascono cosi, dopo le Soirées, le Matinées musicales op. 24. E il gioco si esaurisce qui.

Benjamin Britten

I cinque scherzi delle “Soirées” – “Marcia” (si bemolle maggiore), “Canzonetta” (fa maggiore), “Tirolese” (do maggiore), “Bolero” (sol minore), “Tarantella” (si bemolle maggiore) – non sono trascrizioni da Rossini. Britten non sceglie una pagina specifica, un tema, una melodia; eppure, si apre la partitura e, nelle simmetrie, nei crescendo dinamici, nelle marcate differenze dell’intensità
sonora, nel gusto per la strumentazione, l’inganno riesce: sembra Rossini. Sembra soltanto, perché il gioco di Britten sta nel diventare più rossiniano del proprio ispiratore: l’imitazione si trasforma in parodia, originale. Se la “Marcia” è buffa, Britten la rende grottesca (Allegro brillante, semiminima indicata tra 126/132 di metronomo); se la “Tarantella” è vivace, qui diventa trascinante (Presto vivace, semiminima 168/176, e vibrante corona sull’unisono finale). Le indicazioni di “leggiero” e “marcato” si susseguono frequentemente come rapidi, numerosi sono i passaggi dal forte, al piano, al mezzo forte. L’orchestrazione è brillante, accurata e all’esecuzione è richiesto di evitare un Rossini/Britten straripante, uniforme. Perché in ambedue i compositori vive sempre, nell’enfasi come nel momento patetico, l’ironia. Cosi, nell’Allegretto grazioso della “Canzonetta”, mentre gli archi disegnano terzine legate e “dolcissime”, un improvviso cambio di tempo ( animando e allargando) crea un breve, efficace spaesamento: effetto teatrale, come un richiamo alla stupefatta sospensione dei personaggi rossiniani quando si ritrovano tutti, ognuno con le proprie furbizie, perplessità, con i propri progetti, al concertato finale del primo atto. Altro “sipario” usato da Britten è il ricorso al pizzicato degli archi, che separa, segue e precede, le brevi incursioni ascendenti dei fiati, il ritmo marcato delle percussioni. Ecco, nel “Bolero”, quasi preludio al finale, il trillo e la sequenza di terzine di semicrome delle castagnette.
Il giuoco viene condotto nel rispetto delle convenzioni tonali: sorprendente, da parte di Britten, poteva essere il contrario. Nell’Europa degli Anni Trenta, il compositore inglese trovava dunque ancora motivo di divertimento e di ispirazione in questo Rossini, che oggi – e le celebrazioni per il bicentenario della nascita lo sottolineano – sappiamo racchiudere soltanto un aspetto del suo universo espressivo. L’invito di Britten è a non dimenticarlo. Forse la pensava, riguardo a Rossini, come Beethoven. E, a differenza del titano, non aveva motivi per essere punto dall’invidia.

Benjamin Britten Matinées musicales op. 24

Britten ha composto due suites orchestrali di cinque movimenti ciascuna su temi presi da musiche di Rossini ed elaborati liberamente secondo un gusto strumentale di raffinato ed elegante eclettismo. Esse sono le Soirées musicales op. 9, pubblicate nel 1936 e utilizzate come commento sonoro a un film di Lotte Reiniger intitolato «La dote» e le Matinées musicales. op. 24, scritte nel 1941 su incarico di Lincoln Kirstein, al quale sono dedicate, per uno spettacolo dell’American Ballet Company.

Ottorino Respighi

Le due suites furono riunite insieme nel 1948 in un balletto presentato a Bruxelles con il titolo di Fantasia italiana. Mentre le Soirées si articolano in una Marcia, una Canzonetta, una Tirolese, un Bolero e una Tarantella, le Matinées sono formate da una Marcia, un Notturno, un Valzer, una Pantomima e un Moto perpetuo. Ambedue le suites hanno in comune la freschezza melodica, la gradevolezza della strumentazione e l’abilità della orchestrazione, nello spirito di un omaggio rispettoso e niente affatto parodistico al genio di Rossini.
La Marcia iniziale dell’op. 24 utilizza motivi delle danze del primo atto del Guglielmo Tell in un piacevole impasto di suoni realizzati tra gli strumentini e i corni e i tromboni; il Notturno è una melodia cantabile resa più penetrante e sognante dalle figurazioni della celesta; nel Valzer brillante e vaporoso si distinguono i colori «oscuri» delle armonie dei violoncelli e dei clarinetti; la Pantomima è un grazioso arabesco ricamato tra il clarinetto, il flauto e gli strumenti a fiato; il Moto perpetuo finale, che ha il sottotitolo indicativo di «Solfeggi e gorgheggi», è una riproduzione in sintesi dei celebri «crescendo», che restano, nella loro travolgente forza fonica e ritmica, la sigla espressiva del musicista pesarese.