Strauss Richard

Also Sprach Zarathustra

La Deutsche Grammophon ha svolto un meraviglioso lavoro di rimasterizzazione digitale per questa registrazione trentennale, che vede pubblicate le migliori opere orchestrali di Richard Strauss con un Herbert Von Karajan al suo meglio. La direzione e la musica di Also Sprach Zarathustra è perfetta. La chiarezza e lo splendore sembrano essere sempre marchio di fabbrica dei Berliner Philharmoniker quando diretti da Von Karajan. Registrazioni eseguite dal 1973 al 1974 e rimasterizzazione effettuata nel 1995. Audio eccezionale, imperdibile!

Karajan e Strauss

Era la settimana di Pentecoste: mi trovavo nel Grosses Festspielhaus di Salisburgo quando da una sala lontana udii librarsi il suono più meraviglioso che si possa immaginare. Parlo di sala, ma si trattava in realtà dell’auditorium principale del Festspielhaus. I filosofi medievali avrebbero probabilmente identificato quel suono con la musica delle sfere: erano von Karajan e i Berliner

Philharmoniker i quali provavano il passaggio per archi divisi che si trova poco dopo l’inizio di Also sprach Zarathustra (Così parlò Zarathustra) di Strauss. Questo è il punto in cui l’autore, dopo il tranquillo intervento del corno a significare il beffardo “Credo in un solo Dio” di Nietzsche, dipinge un ritratto riccamente espressivo dell’uomo primitivo. Come molti musicisti austriaci e tedeschi della sua generazione von Karajan fu probabilmente influenzato da Strauss. Egli era affascinato dalla genialità di Strauss nelle vesti di direttore, compito nel quale riusciva ad essere così calmo, così logico e ritmicamente avveduto, nonché era ispirato dalla musica del maestro bavarese. Le più grandi pagine di Strauss – l’epilogo del Don Quixote, Metamorphosen, l’ultima mezz’ora del primo atto dal Cavaliere della rosa – lo toccavano nell’intimo come nessun altro pezzo del suo repertorio.
Quando dirigeva Strauss Karajan era come il compositore bavarese alla testa di un’orchestra impegnata nell’esecuzione dei suoi pezzi, incapace cioè di volgarità.
In Così parlò Zarathustra nessuno ha mai prodotto un suono più lucente, più ampio nel suo spettro e più ricco nei suoi toni di quello ottenuto da von Karajan con i Berliner Philharmoniker. Pure, non vi è nulla di superfluo o di esagerato in questa esecuzione. Perfino il famoso “Tanzlied”, in cui il superuomo nietzschiano saltella alle melodie di un lascivo valzer viennese, viene reso estatico e puro. Il fatto è che Così parlò Zarathustra è ben più che un mero, tipico oggetto in vetrina fin-de-siècle: al termine, ad esempio, dopo il terribile rimbombo della campana di mezzanotte, Uomo e Natura vengono visti l’uno vicino all’altra, ma al tempo stesso anche tragicamente separati tra loro, con la tonalità di si posta a contrasto dell’adiacente eppur armonicamente lontanissima tonalità di do, un messaggio questo sinistramente profetico per la nostra epoca così cosciente della problematica ambientale.
Un po’ briccone egli stesso, dotato di un malizioso spirito umoristico, von Karajan amava Till Eulenspiegel, anche se non sembra aver mai avvertito l’urgenza di dirigerlo altrettanto spesso di quanto fece, ad esempio, Furtwangler, il quale nei suoi ultimi anni lo diede in concerto più di quaranta volte. Don Juan, invece, figurò regolarmente nei programmi di Karajan. Il maestro lo incluse nel suo primo concerto professionistico che ebbe luogo a Salisburgo il 22 gennaio 1929. Don Giovanni era in locandina anche a Vienna nel gennaio 1946, quando Karajan diresse per la prima volta i Wiener Philharmoniker, e continuò ad essere da lui eseguito fino agli anni ottanta, periodo in cui i suoi interessi erano già rivolti verso uno Strauss più filosofico e meno ispirato dalla tematica erotica. Non occorre certo insistere sul fatto che la musica di Strauss presenta enormi difficoltà tecniche per un’orchestra e per il suo direttore. Occorre eseguire con precisione quanto è scritto in partitura, ma la musica è al di là delle note e delle figure stampate. Strauss una volta fermò l’orchestra che

era stata preparata dal sostituto su ogni dettaglio, fino all’ultima semicroma dell’intera pagina. “Posso udire tutte le note”, si lamentò: “Ora, per cortesia, datemi un’idea della musica!”
Sotto questo profilo von Karajan ha sempre posseduto una padronanza assoluta sia delle partiture straussiane che dello spirito necessario a dirigerle. A tale proposito può bastare un aneddoto che riguarda proprio l’apertura del Don Giovanni, la prima battuta, notoriamente difficile: l’ardente slancio sincopato ascendente degli archi e la di poco successiva entrata di legni ed ottoni, trombone basso compreso. Un trombonista inglese ricorda che “Karajan fece un gesto vago, etereo, che gli archi afferrarono al volo, e il primo violino aprì loro la strada per la rapida ascesa. Io, però, non vidi né avvertii alcun attacco, Karajan teneva le sue braccia lì, a mezz’aria, non batteva certo il tempo come un maestro di banda, e mancai l’entrata. A quel punto credo che la maggior parte dei direttori si sarebbe messa a strepitare e a urlare, ma Karajan invece lanciò una semplice occhiata, come a dire “io conosco il mio mestiere, spero che lei possa dire altrettanto del suo… quando arriveremo alla ripresa lei saprà esattamente come mi comporto, vedremo cosa sarà in grado di fare lei”. Ovviamente quando arrivammo alla ripresa io ero ben pronto ed entrai al punto giusto. Karajan diede un’altra volta un rapidissimo sguardo, come a dire “va bene”, e su questa entrata mancata non scambiammo neanche una parola”.

Richard Osborne
(Traduzione: Massimo Acanfora Torrefranca)

Già il quadro sonoro dei Berliner Philharmoniker è più morbido, più trasparente; tutto è portato al massimo livello. Karajan amava il dettaglio e la raffinatezza, in Don Juan e Till Eulenspiegel segue amorevolmente il tratto di ogni arabesco, in Zarathustra si immerge letteralmente nelle fermate assai dilatate dell’inizio. Karajan è perfettamente cosciente di quanto possa trarre dagli archi dei suoi Berliner. Li lascia crogiolarsi ed assaporare voluttuosamente ogni sfumatura tonale.

Munchner Merkur (1974)

Se dev’essere Zarathustra, allora sia Karajan. L’ampiezza dinamica, la raffinatezza dei passaggi, la squisita alchimia sonora, la mobilità di un cantabile degli archi costantemente legato, la veemenza irrefrenabile dei momenti più intensi, infine la brillantezza orchestrale rendono questa registrazione decisamente impareggiabile.

HIFI Stereophonie (1974)

Chi potrebbe mettere in dubbio che dall’”amore a prima vista” di Karajan per i Berliner sia nato un connubio artistico da cui entrambe le parti hanno tratto il loro massimo splendore? Non a caso è uscito proprio in questo periodo un cofanetto di dischi con poemi sinfonici di Richard Strauss, inestimabile documento di come, sotto la guida del loro direttore, i Berliner Philharmoniker siano cresciuti tecnicamente ed artisticamente sino a superare il loro stesso livello, pur già oggetto di ammirazione. È sempre stata una prerogativa di Karajan saper interpretare in modo consono una strumentazione creata con la maestria ed il virtuosismo di Strauss.

Opernwelt (1975)

La Deutsche Grammophon ha pubblicato nel 1984 l’ennesima versione di queste due splendide partiture; secondo il mio modesto parere l’incisione è forse un po’ troppo digitale, ma davvero vivida e dettagliata. La musica è, come ho detto prima, meravigliosa e nessuno può avere seriamente dei dubbi sul fatto che Karajan sia fatto su misura per Strauss. Detto ciò, non sono sicuro che la versione di Also Sprach Zaratustra sia migliore della registrazione meno recente del 1974, forse è tutta il contrario (sia dal punto di vista dell’interpretazione che della registrazione). Probabilmente l’audio analogico è più caldo e naturale, ma quello digitale rivela maggiori dettagli. Il Don Juan è ugualmente eccellente. Comunque sia sarebbe ridicolo non dare il massimo a questa versione.

Strauss: “Don Giovanni” & “Zarathustra”

Don Giovanni e Zarathustra sono come le due varianti, differenziate però nei loro fini ultimi, di una grande ricerca: se da una parte c’è l’essere d’eccezione che vuol provare estasi sensuali sempre nuove, dall’altra c’è colui che aspira alla liberazione dello spirito, all’ideale del “superuomo”. Nel confrontarsi musicalmente con queste due figure il giovane Richard Strauss si lasciò certo ispirare da modelli letterari: da scene del poema drammatico di Nikolaus Lenau, dal dramma “La fine di Don Giovanni” di Paul Heyse e da “Così parlò Zarathustra” di Friedrich Nietzsche. In seguito il compositore contestò però energicamente una stretta correlazione tra poesia e poema sinfonico: un programma poetico poteva senz’altro indurre a originali sviluppi musicali, “ma dove la musica non si evolve logicamente da se stessa, essa diviene musica letteraria”. – La prima esecuzione di Don Juan, l’undici novembre 1889, destò un’eco entusiastica e segnò l’inizio della fama di Strauss, allora appena venticinquenne e maestro di cappella a Weimar.
Nel 1890 Don Juan era già entrato nel repertorio dell’Orchestra Filarmonica di Berlino. E questo poema sinfonico op. 20 ebbe una particolare importanza non solo per lo stesso Strauss: insieme alla Prima Sinfonia di Gustav Mahler, eseguita pure per la prima volta nel 1889, Don Juan segna infatti “l’avvio dell’era musicale moderna dalla continuità di una linea evolutiva” (C. Dahlhaus).
“La partitura non solo è così intitolata, ma è proprio Don Giovanni”: così la caratterizzò il compositore Felix Draeseke, contemporaneo di Strauss. All’irrequieta ricerca del nuovo non può più bastare il modello della forma- sonata, che viene qui ampliato e infranto dall’inserimento di episodi autonomi in forma di rondò. Con il dissolversi della forma-sonata subiscono modificazioni anche le sue componenti funzionali: nell’ambito della disposizione formale il tema viene ad assumere ora un rilievo minore. Gli sviluppi di Don Juan sono segnati da idee musicali sempre nuove, finché nella sua sezione conclusiva la passione tempestosa si raffredda e svanisce. Nella rigogliosa e così riccamente differenziata sonorità orchestrale si può quindi avvertire come Strauss abbia acquisito già un proprio inconfondibile accento.
Alcuni anni dopo il compositore fu colto dall’ondata di entusiasmo per Nietzsche, caratteristica di quell’epoca. Egli aveva intanto riveduto il suo primo poema sinfonico Macbeth, e aveva riscosso altri successi con Morte e trasfigurazione e Till Eulenspiegel. Strauss iniziò la composizione di Così

parlò Zarathustra, tratto liberamente da Nietzsche, nel 1894; la prima esecuzione ebbe luogo due anni dopo. Questo poema sinfonico non è però una professione di fede, non è una filosofia in suoni. È qui raffigurato il rapporto dell’uomo con il mondo e con la natura, ma anche la via e le peregrinazioni del genio creatore, che libero da legami affettivi è impegnato nella ricerca di nuovi valori. Originariamente Strauss voleva dare a questa sua composizione il sottotitolo “Ottimismo sinfonico in forma fin de siècle, dedicato al 20o secolo”: niente risuona qui come un potenziamento sonoro di Nietzsche, come ancora oggi il Zarathustra straussiano viene spesso e volentieri frainteso. Il simbolismo tonale così carico di tensioni, che sta ad indicare le sfere correlate dell’uomo e della natura, è un momento centrale della composizione. L’accostamento contrastante, che nel “Canto del pellegrino notturno” diviene simultaneità, delle due tonalità di do maggiore e si maggiore è un modulo applicato non indifferentemente, ma con piena consapevolezza. Per Strauss questo alternarsi di tonalità rappresentava anche un problema compositivo, che egli intendeva qui risolvere. Molto tempo prima di Schonberg, egli pure “sperimentava” con un tema di dodici note, e significativamente nella sezione in forma di fuga “La scienza”. Ma Strauss non andò oltre il tentativo: questo tipo di musica-scienza non poteva indicare al compositore l’ulteriore via da percorrere.

Rita Fischer
(traduzione: Gabriele Cervone)

Sembra incredibile che questo disco sia stato inciso nel 1959. La rimasterizzazione digitale fa di questo pezzo una registrazione totalmente nuova. Le percussioni qui e nel Till Eulenspiegel sono davvero nitide. All’indice numero 7 “Das Grablied” (canto funebre) è presente un glissando degli archi dei Viener Philharmoniker che vi farà sussultare di incredulità. Questa registrazione è inoltre esaltata dall’eccellente documentazione in allegato, inclusi gli sforzi eroici degli ingegneri che hanno doppiato le parti dell’organo che erano state suonate in una chiesa vicina (non c’è l’organo nella Sofiensaal). L’organo è stato sintonizzato al passo della VPO. Una lettura decisamente affascinante. Registrazioni eseguite dal 1959 al 1961 e rimasterizzazione effettuata nel 1987. Questa preziosa perla purtroppo non è più disponibile singolarmente ma si trova inserita in un cofanetto comprendente 9 Cd intitolato “Karajan – The legendary Decca recordinngs” pubblicato nel 2008, in occasione del ventesimo anniversario della morte del direttore salisburghese. Altamente raccomandato.

Richard Strauss: Don Giovanni – Morte e trasfigurazione – Così parlò Zarathustra

Non passa sera senza che in qualche grande sala da concerto non venga eseguito
questo o quello dei poemi sinfonici di Richard Strauss, che hanno mantenuto un posto di rilievo nel repertorio orchestrale da quando sono stati composti quasi un secolo fa. I loro antecedenti diretti furono i poemi sinfonici di Liszt, straordinario virtuoso della tastiera, ma degno di non minore fama come compositore visionario ed istigatore di questo genere particolare.
Strauss completò il suo Don Giovanni nel 1889 all’età di venticinque anni. A ormai quasi cent’anni, questo libertino non ha perduto niente del suo potere di eccitare e sedurre il pubblico. Il riferimento letterario è qui un dramma in versi incompiuto del poeta tedesco Nikolaus Lenau, tre estratti del quale fanno da cappello alla partitura di Strauss. Essi non descrivono gli eccessi amorosi di Don Giovanni, come sembra spesso suggerire la partitura, ma piuttosto le sue meditazioni filosofiche su sé stesso, che sono lo sfondo su cui il personaggio viene ritratto. Il Don Giovanni è un movimento sinfonico in forma-sonata con due episodi importanti nello sviluppo. È tanto facile identificare due scene d’amore quanto lo scattante ed eroico tema iniziale in maggiore che descrive Don Giovanni. Né ci si può sbagliare sulla natura della cinerea, fredda e sconsolata conclusione in minore.
Nel 1885, quattro anni prima di comporre il Don Giovanni Strauss aveva stretto amicizia con Alexander Ritter, che faceva parte dell’Orchestra di Meiningen, e che aveva distolto l’attenzione del giovane compositore dai modelli classici per avvicinarlo alle partiture di Berlioz, Liszt e Wagner. E fu Ritter a comporre i sessantadue versi che fanno da prefazione a Morte e trasfigurazione, composto in una variante di forma-sonata nel 1889. Lo stesso Strauss definì più esattamente il programma del suo poema sinfonico, in cui cercò di presentare le ultime ore di un uomo di alti ideali.
Il malato giace addormentato sul letto, con il respiro irregolare e pesante. Svegliandosi dopo dolci sogni, è straziato da terribili dolori. L’attacco passato, i suoi pensieri ritornano alla sua vita passata; gli passano davanti infanzia e giovinezza, poi, quando riprende il dolore, gli ritorna alla mente l’ideale che ha cercato di realizzare e presentare in forma d’arte. Si avvicina l’ora della morte e l’anima abbandona il corpo per trovare compiuto nell’eternità quello che non era stato realizzato in terra.
Strauss aveva trentadue anni quando, tra il febbraio e l’agosto del 1896, compose Così parlò Zarathustra in omaggio al genio di Friedrich Nietzsche. La prima parte del Prologo di Zarathustra, con cui si apre il libro di Nietzsche, fa da prefazione – come riferimento culturale e non come programma – alla partitura straussiana. Il vero e proprio programma musicale comincia con Zarathustra che contempla il sorgere del sole prima della sua discesa dalle montagne per trovare il mondo degli uomini.
Strauss indica la sequenza degli episodi nel modo seguente: Introduzione – Degli abitanti del retromondo – Dell’aspirazione suprema – Gioie e passioni – Canto funebre – Delle scienze – Il convalescente – Canto danzato – Canto del viaggiatore notturno. Più importante dei temi dell’opera è però il contrasto tra due tonalità vicine e tra i loro modi maggiore e minore.

La Sofiensaal di Vienna

Se si tiene presente questo fatto il programma risulterà più chiaro, perché Strauss è tanto preoccupato del conflitto delle idee quanto dello svolgimento cronologico della narrazione.

Traduzione: DECCA 1987