Strauss Richard
Ein Heldenleben – Siegfried Idyll
Con tutto il rispetto alle critiche sulla qualità di quest’esibizione del 1959 (sopratutto determinata della mancata opulenza sonora dei Berliner Philharmoniker, sonorità che svilupperanno più tardi tramite l’intenso lavoro profuso da Herbert von Karajan), posso affermare, secondo il mio modesto parere, il virtuosismo e la passione sono oltremodo presenti anche in questa incisione datata 1959. I tecnici dalla DG hanno compiuto un miracolo e l’audio risulta vivido e corposo. Sono trascorsi circa sessant’anni ma la differenza tra le più blasonate registrazioni e questa risulta minima. Ciliegina sulla torta: una bella interpretazione dell’“Idillio di Sigfrido”, uno spartito poco eseguito, ma molto bello. Vi è un’altra registrazione di “Vita d’eroe” risalente pero a metà degli anni 80. Ho notato una notevole espansione del suono dovuta soprattutto alla tecnica DDD, al carisma di Karajan e ad una maggiore intesa coi Berliner Philarmonicker Questi due Cd rappresentano l’inizio e la fine della collaborazione della grande orchestra con un grande direttore. Registrazioni eseguite dal 1959 al 1977 e rimasterizzazione effettuata nel 1996. Rigoroso collocarli nella vostra preziosa collezione. Altamente raccomandati per non dire imperdibili!
Karajan dirige Strauss e Wagner
La prima volta che Herbert von Karajan diresse Ein Heldenleben di Strauss a Ulma, nella serata di domenica 26 novembre 1933, “in occasione (ovvero, più precisamente, in previsione) dell’anniversario di Strauss”. La piccola orchestra del teatro era stata ampliata enormemente per la circostanza, e la cospicua parte solistica – con cui Strauss ritrasse la moglie Pauline, linguacciuta, volubile, nondimeno amabile – era stata affidata a Willy Kleemann, primo violino dello Staatstheater di Stoccorda. In uno stato di grande eccitazione, Karajan scrisse ai suoi genitori a Salisburgo che forse lo stesso compositore vi avrebbe assistito (una notizia purtroppo infondata): Strauss era stato uno dei primi idoli di Karajan – il direttore non meno che il compositore – ed il concerto di Ulma doveva certamente divenire un evento memorabile nella carriera del giovane direttore.
Un quarto di secolo doveva trascorrere prima che Karajan riaffrontasse il pezzo, un ritardo causato forse più da soggezione che da scarso interesse. Nella tarda estate e nell’autunno del 1958 vi lavorò con fervore insieme ai Berliner Philharmoniker, e nel marzo successivo nacque la presente registrazione. Anche questa fu una pietra miliare nella carriera di Karajan: la sua prima incisione per la Deutsche Grammophon dopo la guerra.
“Krauss per Strauss” era stata per molto tempo la parola d’ordine fra collezionisti e i critici ai tempi dei 78 giri e nei primi anni dell’era degli LP; si riferisce a Clemens Krauss, un altro degli idoli del giovane Karajan. In una recensione di questa registrazione di Ein Heldenleben lo scrittore e musicologo inglese Derych Cooke enumerava i pregi di Krauss come direttore straussiano, usando espressioni quali “foga incalzante”, “sottilissima arguzia”, “insidiosa sensualità”. Ma il lavoro nell’esecuzione di Karajan non era meno interessante per quanto diverso. Benché non sminuisse l’umorismo o la sessualità della melodia, di quella di Pauline in particolare (alla travolgente personalità di Michel Schwalbé era affidato il violino solista), questi era incline ad una concezione più ampia, più solenne della musica, come del resto lo stesso Strauss. Karajan dirigeva Ein Heldenleben – osservava Cooke – con un gesto ampio che risultava, “cosa peraltro sorprendente, non pomposo, bensì veramente elevato”. E continuava: “In questo caso si potrebbe dire che Karajan penetra la superficiale grossolanità del lavoro per rilevarne la grandezza celata in profondità”.
Secondo Karajan, la chiave per comprendere la grandezza del lavoro è nell’epilogo. Ed è effettivamente stupefacente che un trentaquattrenne – Strauss completo Ein Heldenleben verso la fine del 1898 – potesse scrivere una musica con un sì forte carattere di commiato. Dopo gli atteggiamenti pomposi dell’eroe, dopo le dispute con i critici, gli alterchi in famiglia, e varie altre battaglie reali o immaginarie, l’eroe passa in rassegna la sua vita – nel caso di Strauss, la meravigliosa serie di poemi sinfonici che aveva preceduto Ein Heldenleben – prima di rifugiarsi nella relativa tranquillità di una vita in campagna.
La melopea pastorale del corno inglese non soltanto evoca il mondo agreste, ma ci richiama alla mente Don Quixote, il personaggio straussiano prediletto da Karajan, allorché anche questi si ritira dal mondo: le nubi si sollevano ed egli muore in pace. Nell’epilogo di Ein Heldenleben si verifica uno strano tumulto, non dissimile dal misterioso rumore proveniente da dietro le quinte nell’ultimo atto de Il giardino dei ciliegi di Cechov. Ma è un tumulto che contrasta con il senso di quiete, intensificandolo. Sul modo in cui Karajan affrontò l’epilogo Cooke osservò: “Questa coda dolce e amara, protratta, tranquilla, ha sempre avuto un tono sentimentale perché è stata eseguita in maniera invariabilmente appassionata, e Krauss non fa eccezione; Karajan, invece, con la sua interpretazione contenuta, sommessa, dischiude la sublime conclusione che Strauss intendeva”.
Wagner non manifestò mai l’intenzione di ritirarsi in campagna, ma nel Siegfried-Idyll si sofferma a guardare indietro. Il pezzo fu composto in occasione del compleanno, il giorno di Natale del 1870, della moglie Cosima, che aveva sposato l’estate precedente. Il titolo originale del lavoro era “Idillio di Tribschen, con il cinguettio di Fidi ed un levar del sole tinto di arancione, offerto come augurio sinfonico di buon compleanno a Cosima dal suo Richard, 1870”. Forse soltanto i wagneriani fanatici sanno che arancione era il colore della carta che ricopriva le pareti della camera da letto di Cosima; quanto al resto, non è difficile identificare in Tribschen la casa dei Wagner sul lago di Lucerna, e riconoscere in Fidi un diminutivo di Siegfried, eroe dell’opera omonima nonché nome dato al figlio nato il 6 giugno 1869 dall’unione di Wagner con Cosima von Bulow (come si chiamava allora).
Come ogni regalo che si rispetti, il Siegfried-Idyll fu un’assoluta sorpresa per la destinataria, benché l’amico di Wagner, il direttore Hans Richter, dovesse aver suscitato la perplessità generale esercitandosi continuamente con la tromba in giro per la casa (per sole – pur fondamentali – 13 battute). “Una serie di confidenze domestiche” è la definizione che Ernest Newman diede del Siegfried-Idyll. Una descrizione che calza a pennello. Meno burrascoso delle “confidenze domestiche” di Strauss e dell’assillante Pauline, è un inno quieto, un semplice canto di ringraziamento per l’affetto che lega le persone.
Richard Osborne
(Traduzione: Manuela Amadei)
Vita d’eroe, completato il 27 dicembre 1898, si colloca tra il Don Chisciotte e la Sinfonia domestica e vuole essere, come quest’ultimo Poema sinfonico, una specie di ritratto autobiografico dell’autore. La prima esecuzione di Ein Heldenleben ebbe luogo il 3 marzo 1899 nalla sala del Museumsgesellschaft di Francoforte sul Meno sotto la direzione dello stesso compositore, con Willy Messe (1859-1939) violino solista. Dopo pochi giorni, il 22 marzo, il lavoro venne presentato a Berlino dall’Orchestra dell’Opera di Corte diretta da Strauss, ma con un altro violino solista, Karl Halir (1859-1909), discepolo come Hess del grande Joseph Joachim. Il pubblico rimase disorientato dall’aggrovigliato sinfonismo della partitura e non mancarono critiche più ostili che favorevoli.
Fu Willem Mengelberg e l’orchestra del Concertgebouw di Amsterdam, ai quali è dedicata la partitura, ad imporre questa composizione all’attenzione di tutti, musicisti e non, e portarla al successo, che si estese prima negli Stati Uniti e poi in Europa. Lo scrittore e musicologo Romain Rolland, ammiratore di Strauss, espresse a suo tempo su questo poema il seguente giudizio: «Opera straordinaria, inebriata d’eroismo, colossale, barocca, triviale, sublime. Un eroe omerico vi si dibatte in mezzo ai sogghigni della folla stupida, branco d’oche strillone e zoppicanti… Nessun dubbio che il pensiero di Beethoven abbia spesso ispirato, stimolato, guidato quello di Strauss. Ma l’eroe di Strauss è ben diverso da quello di Beethoven…».
La partitura, la cui esecuzione dura quaranta minuti e si basa, su un organico strumentale massiccio (tra l’altro prevede otto corni, tre tromboni, un nutrito schieramento di archi e una cospicua batteria con una grande cassa rullante, chiamata Rührtrommel), si divide in sei sezioni, le quali si susseguono senza interruzione e si intitolano: L’eroe, Gli avversar! dell’eroe, La compagna dell’eroe, il campo dì battaglia dell’eroe, Le opere di pace dell’eroe, II ritiro dal mondo e la fine dell’eroe. Dal punto di vista formale il lavoro somiglia ad una sinfonia di ampie proporzioni. Il movimento iniziale è un primo tempo con l’esposizione dei temi principali e il relativo sviluppo sino alla conclusione nella tonalità della dominante. Negli Avversar! dell’eroe il discorso sinfonico continua, dopo l’interpolazione di uno Scherzo grottesco. Nella Compagna dell’eroe la struttura sinfonica è interrotta da un lungo assolo del violino, sfociante in un Andante molto cantabile, con i temi di questa e della prima sezione. Nel Campo di battaglia si snoda la seconda parte dello sviluppo, mentre le Opere di pace possono considerarsi come la terza parte dello sviluppo. Il ritiro dal mondo e la fine dell’eroe sono la coda, divisa in due parti, della Sinfonia.
Il Poema si apre con un tema vigoroso e deciso, indicante la personalità dell’eroe dominatore e sicuro di sé: è una frase di plastica e viva inventiva straussiana, su cui si innestano altri tre temi.
Herbert von Karajan
Dopo un vivace contrappunto, il tema principale è sottoposto ad un brillante crescendo che sbocca in una vigorosa cadenza, quasi una sfida a tutti coloro che vorranno intralciare il cammino dell’eroe. Ed eccoli i disturbatori e gli avversar!, indicati dai ritmi taglienti degli oboi, dei clarinetti, dei fagotti e dei flauti; ad essi si uniscono le due tube con suoni fastidiosi e ripetitivi. Dapprima l’eroe ascolta pazientemente e il suo tema appare deformato nel corno inglese; egli vorrebbe dialogare e far capire le proprie ragioni, ma le chiassose
interferenze dei nemici aumentano e allora non gli resta che scacciarli e disfarsi di loro.
Tutto si calma quando si sente l’assolo del violino, che intona il tema della donna: una lunga serie di arabeschi in forma di variazioni, quasi ad esprimere la volubilità della natura femminile. L’eroe fa il galante e il cascamorto, ma la donna l’interrompe continuamente. Alla fine giunge la scena d’amore con la fusione del tema della donna e di quello dell’eroe: è una melodia calda e di penetrante effetto lirico, in cui si inseriscono, oltre al violino, le voci soliste del flauto, dell’oboe e del clarinetto. Appena cessa l’accordo dell’arpa si riascolta il tema degli avversari che cede il passo agli squilli delle trombe: è il momento della lotta e dell’affermazione della personalità dell’eroe. Il suo .tema si scontra con quello degli oppositori in una fitta tessitura polifonica con dissonanze e politonalismi di notevole efficacia sonora. La frase che caratterizza l’eroe e quella che sintetizza l’amore si uniscono in un canto trionfale sempre più impetuoso e prorompente, in una progressione orchestrale di straordinaria e trascinante tensione. L’eroe, questo simbolo della volontà di potenza in chiave individualistica, è al colmo della gloria e ripercorre le tappe ascensionali della propria vita. L’Heldenthema sovrasta imponente su tutto, ma vengono citati i temi principali dei poemi sonori precedenti: dal Don Giovanni al Cosi parlò Zamthustra, da Morte e trasfigurazione al Don Chisciotte (flauti e oboi rievocano la partenza di quest’ultimo per le sue imprese cavalieresche), dal Till Eulenspiegel al Macbeth, dal Lied Traum duch die Dämmerung (Sogno nel crepuscolo), quanto mai morbido melodicamente, al canto doloroso di Guntram, che conclude il quadro delle reminiscenze straussiane.
Ancora gli avversari fanno sentire la loro presenza ma l’eroe, dopo averli sbaragliati, decide di ritirarsi e di allontanarsi dal mondo: sul ritmo ostinato dei timpani per quindici battute il corno inglese intona un’aria pastorale, espressione della rassegnazione e della pacificazione del superuomo con se stesso. Si snoda allora una melodia grave e solenne, vanamente disturbata dagli avversar! descritti con il loro tema armonicamente modificato. Ma ogni cosa è inutile, perché l’eroe è stanco e rifiuta la lotta: questo stato d’animo viene espresso da una stupenda frase dei corni, arricchita dall’assolo del violino e dall’intervento dei fiati. Il solenne accordo finale si distende come un arcobaleno, in cui è riflesso il cammino dell’eroe, dalla vita alla morte. E l’eroe, non c’è dubbio, è proprio lui, Strauss, così come lo ha descritto Romain Rolland, durante un incontro a Parigi nel marzo 1900 per dirigere Heldenleben e Zarathustra: «Strauss è alto, agile, molto elegante e altero, sembra di razza più fine di quella degli altri artisti tedeschi in mezzo ai quali si trova. È sprezzante, esigente e soddisfatto del successo».
Strauss: Vita D’Eroe
“Si compone sempre e solo se stessi”, disse Richard Strauss una volta, in una professione di fede tardo-romantica nello splendore e isolamento dell’uomo creativo, nel senso di Stirner e di Nietzsche. La rappresentazione stilizzata del proprio Io caratterizza in modo palese il poema sinfonico “Vita d’eroe”, terminato nel 1898, come caratterizzerà più tardi la sua riduzione ad idillio familiare, la “Sinfonia domestica” del 1903. Affettazione antiborghese e autocompiacimento borghese, scherno nei confronti dei gretti avversari e temperata euforia alla “Zarathustra” alimentano questa ampia partitura in un solo movimento. Dal punto di vista strutturale essa si basa grosso modo sul tipo della forma-sonata in senso classico, divisa in quattro parti e ricca di interludi e sviluppi. “Vita d’eroe” è stata spesso accusata di essere l’autoesaltazione di un borghese che si dà le arie di un eroe, altre volte è stata derisa come un prodotto vanaglorioso del mondo guglielmino. Entrambi sono giudizi sommari. Con il tronfio mondo guglielmino ha ben poco a che fare il pathos soggettivo di un eroe che viene celebrato solo nelle sue “opere di pace” – con questa espressione Strauss, un uomo assolutamente apolitico, intendeva le prestazioni artistiche. Allo stesso modo non si può associare a quel mondo la conclusione in tono rassegnato di questo poema sinfonico, una ninna nanna, un elogio della quiete e
dello splendido isolamento. Già il tema principale offre utili indicazioni circa la psicologia dell’eroe straussiano. Nella stessa tonalità dell'”Eroica” beethoveniana, mi bemolle maggiore, nella misura di 4/4 e con l’indicazione “vivacemente mosso” si leva una figura musicale caratterizzata da un lato da terzine ascendenti, simili a una fanfara, e da sedicesimi che si precipitano energicamente verso il basso – dall’altro, da numerose minime che formano dei centri di gravità. L’eroe si fa largo, poggia su robuste fondamenta e non si lascia distogliere dalla sua tranquillità interiore. Questa fermezza è la qualità principale dell’eroe straussiano. I conflitti non provengono dall’interno, da dubbi e problemi, ma dal di fuori, dall’angusto mondo degli “avversari”. Un voluttuoso “motivo amoroso” e un motivo conclusivo, che si rifà al tema dell’eroe, completano l’esposizione. Prima dello sviluppo è inserito uno Scherzo grottesco: “Gli avversari dell’eroe”.
È una sfilata di caricature di invidiosi, eterni nostalgici e criticoni, colorita delle stridenti e mordaci note dei legni. Fa seguito uno Scherzo capriccioso intitolato “La compagna dell’eroe”; il soggetto è raffigurato in tutta la sua capricciosità, sentimentalità e imprevedibilità con un assolo estremamente difficile del primo violino. In modo simile alla commedia “Intermezzo” e alla “Sinfonia domestica” Strauss tratteggia – qui in un realismo non certo lusinghiero – il carattere capriccioso di sua moglie Pauline. A ciò subentra brevemente la pace dell’Adagio. Poi le trombe richiamano alla lotta: si apre “Il campo di battaglia dell’errore”, uno sviluppo molto ampio dove l’orchestra di 110 elementi è spinta a una grossa profusione di dinamica e virtuosismo.
Il tema dell’eroe fa la sua vittoriosa ricomparsa. La ripresa porta a una nuova sezione: “Opere di pace dell’eroe”, una retrospettiva su motivi delle opere giovanili di Strauss tra “Don Giovanni”, “Guntram” e “Don Chisciotte”, un catalogo permeato dalla tematica dell’eroe e che annovera le gesta creative e pacifiche di un eroe assolutamente civile. Il tema della rassegnazione nella “Fuga dal mondo e piena realizzazione dell’eroe” conduce alla coda. La trasfigurazione dell’eroe ha inizio già in vita. Ancora una volta scorrono velocemente i motivi del poema sinfonico come in un’ultima rassegna. Per l’ultima volta riecheggia il tema dell’eroe. Poi negli archi più volte divisi si compie un’apoteosi lirica, che non equivale a un’auto-glorificazione, bensì a una dichiarazione di modestia. L’eroe non desidera né una marcia vittoriosa né un monumento fatto di fanfare trionfali, ma solo la sua pace. Nelle ultime battute prima della conclusione in fortissimo, le trombe intonano il motivo della natura di “Così parlo Zarathustra”, simbolo del luogo in cui l’eroe può veramente trovare pace e raccoglimento.
Karl Schumann
(Traduzione: Gianmario Borio)
Registrazione eseguita nel 1995. Audio eccezionale. Raccomandato
Con Una vita d’eroe (Ein Heldenleberi) composto nel 1898 ed eseguito il 3 marzo dell’anno successivo a Francoforte sul Meno sotto la direzione dell’autore con Willy Hess violino solista, Richard Strauss concludeva, non ancora trentacinquenne, il capitolo della sua esperienza creativa che più d’ogni altro era servito a creargli una notorietà di «enfant terrible» della musica dell’ultimo Ottocento destinata a venir presto revocata in dubbio da rivoluzioni di ben altro radicalismo, al punto che non da ieri Strauss è per noi, anziché il pericoloso sovvertitore che per qualche tempo era parso, il più genuino rappresentante di un’epoca e di un gusto perfettamente datati e conchiusi. Una vita d’eroe è infatti l’ultimo dei grandi poemi sinfonici del periodo giovanile di Strauss, iniziato già nell’86, a ventidue anni, con una pagina eccezionalmente significativa pur nella sua immaturità come la «fantasia» Aus Italien, e proseguita per oltre un decennio attraverso una serie di capolavori irripetibili, troppo spesso assenti oggi, dopo mezzo secolo di ineguagliata fortuna, dal repertorio concertistico, per lo meno da noi: da Don Giovanni (1888) a Macbeth (1890 nella seconda versione), a Morte e trasfigurazione (1889), a Till Eulenspiegel (1895) a Così parlò Zarathustra (1896), a Don Chisciotte (1897). Tutte opere la cui fisionomia costruttiva si affida, esteriormente, all’assunto del «programma» letterario, della «storia» da narrare attraverso i suoni, e la cui capacità di presa immediata sfrutta le risorse di una tecnica di orchestratore, o meglio di un modo di scrivere per l’orchestra, senz’altro privi di termini di confronto all’epoca se si eccettuino le partiture di Mahler, l’altro grande dominatore, sia pur con intenzioni ed esiti diversissimi, della gigantesca orchestra postromantica. In mezzo a questi due estremi – la dipendenza apparente da un’ispirazione extramusicale nel momento creativo e l’abilità di creare rutilanti prospettive sonore – stava in realtà una natura di compositore di estrema maturità e consapevolezza formale, che certo non lasciava guidare lo svolgimento di un pezzo soltanto dalle idee più o meno elevate dei canovacci poetico-letterari, né si limitava, nello stendere partiture così complesse e irte di difficoltà, a cercare un effetto pronto e sicuro sul pubblico; ma che faceva musica in modo genuinamente sinfonico, nel senso di una profonda elaborazione del materiale tematico, memore di secoli di tradizione contrappuntistica e sonatistica, secondo una vocazione squisitamente germanica. Pur rinunciando in partenza a proseguire su un cammino, quello della Sinfonia, che con le composizioni di Brahms e di Bruckner si era definitivamente concluso (le Sinfonie di Mahler, il «grande inattuale», avrebbero rappresentato un capitolo a sé, sotto ogni punto di vista), Strauss applicava dunque al genere della musica «a programma» inaugurato da Berlioz e Liszt e a un linguaggio musicale irremissibilmente marcato – nel tessuto armonico come nell’organizzazione strumentale – dalla lezione wagneriana una
concezione del fatto compositivo che costituiva soprattutto un aggiornamento, anche in termini vistosi, di tecniche consacrate dalla storia.
Richard Strauss
Il che, oltre a ricondurre Strauss, al di là dell’immagine di rivoluzionario provvisoriamente e impropriamente attribuitagli, nell’alveo di una precisa direttrice storica, concorre a garantire la solidità anche formale dei suoi poemi sinfonici, in apparenza così sfrenati nell’estroversa espansione fantastica.Giunto alle soglie del nuovo secolo, prossimo a raggiungere una maturità anagrafica che forse gli pareva recare l’obbligo di un mutamento di rotta, Strauss rinunciò definitivamente a proseguire sulla via del poema sinfonico: alla composizione puramente orchestrale sarebbe tornato solo nel 1903, a cinque anni dal completamento di Una vita d’eroe, e con un lavoro come la Sinfonia domestica, ancora una volta programmatico, ancora una volta grandioso nelle proporzioni, ancora una volta lussureggiante nella veste sonora, affidata a un’orchestra enorme, eppur caratterizzato da una sorta di ripiegamento nel quotidiano affatto estranea alla proiezione fantastica conferita ai poemi giovanili da assunti filosofici o poetici di ben altra ambizione; la tappa successiva, nel 1915, sarebbe stata la Sinfonia delle Alpi, e qui veramente l’elefantiasi formale e fonica sarebbe parsa pletorica ed esteriore, le smisurate visioni naturalistiche, pur nel loro indubbio potere di suggestione, prive di quell’autenticità di sentire che in precedenza si era imposta come uno dei migliori caratteri del suo lavoro. Non per nulla la serie delle maggiori opere teatrali di Strauss coincide cronologicamente con questa diminuzione d’importanza della composizione orchestrale: cui avrebbe corrisposto, nella magnifica vecchiaia del musicista, un ritorno di fiamma stupendo ma lontanissimo dai modi della produzione giovanile, con le meravigliose Metamorfosi affidate nel ’46 alla trasparenza di un organico di ventitre archi solisti.
Molte cose fanno pensare che Strauss abbia concepito Una vita d’eroe con la chiara consapevolezza del suo significato di addio al genere fin allora da lui preferito. Il tema letterario del poema è squisitamente autobiografico e riepilogativo: l’«eroe» è qui senza dubbio il compositore stesso, nel senso che egli riconsidera qui tutta la sua esistenza umana e artistica, quasi per chiarire a se stesso il senso della propria opera e della propria avventura morale; non necessariamente per autoglorificarsi, ma per ribadire il senso organico e l’importanza interiore dell’esperienza finora vissuta. Ed è quanto mai significativo, a questo proposito, che la partitura di Strauss, oltre a svolgere con la consueta adesione e pertinenza il tema letterario del lavoro, articolando i gesti sonori e i rapporti musicali lungo le linee di quello, includa una gran quantità di autocitazioni, soprattutto dai poemi sinfonici precedenti; raddoppiando quindi la funzione «mimica» di figure musicali già impiegate e dunque provviste in partenza di un significato evidente. Una vita d’eroe finisce pertanto per imporsi, se non come il migliore fra i poemi sinfonici di Strauss, certo come il più denso di significati; con in più l’interesse che nasce dal vedere qui all’opera un compositore ormai giunto, facendo tesoro di tutte le realizzazioni precedenti, a
un’efficienza tecnica e a padronanza di mezzi tali da farlo apparire al meglio delle sue capacità.
Il lavoro si propone come un’amplissima costruzione sinfonica, articolata in sei sezioni ben distinte ma senza soluzione di continuità, provviste ciascuna di un titolo e di indicazioni esplicative; e che qui, quanto e forse più che per ogni altra composizione a programma, è importante seguire avendo occhio anche al loro significato extramusicale: L’eroe, Gli avversari, La compagna, Il campo di battaglia, Le opere di pace, Ritiro dal mondo e fine dell’eroe.
1. L’eroe. Il protagonista del poema si annuncia fin dall’inizio con un gesto musicale deciso e pieno di energia volitiva; altri tre temi dipingono la sua potenza d’immaginazione, la profondità del suo sentire, la sua vitalità. Dopo una serrata elaborazione, un imponente crescendo porta alla vigorosa riaffermazione del tema principale.
2. Gli avversari. Il tono grottesco, caricaturale, con il quale Strauss presenta qui i nemici dell’eroe, ovviamente veduti come personaggi meschini e petulanti, genera un episodio tipicamente rappresentativo di quelle «arditezze» di linguaggio che fecero la fama del giovane musicista. Gli «avvenimenti» di questa scenetta sono facilmente intuibili dal giuoco dei timbri orchestrali e dei temi, in particolare per il modo in cui il motivo principale dell’eroe entra in rapporto con quello degli avversari.
3. La compagna. Questo episodio è dominato dalle espansioni del violino solista, cui è affidata la raffigurazione della compagna dell’eroe e attraverso di lei dell’eterno femminino. Anche qui la rappresentazione si fa estremamente concreta, passando in rassegna i diversi umori della compagna, mostrandoci l’eroe nelle varie fasi del suo rapporto con lei fino al tenero colloquio intrecciato dai due personaggi musicali. A questo segue bruscamente un marziale appello delle trombe, ad annunciare la sezione successiva.
4. Il campo di battaglia. Tornano i temi dell’eroe e (modificato) dei nemici. La raffigurazione sfrutta con diabolica abilità tutte le risorse di una vastissima percussione e degli ottoni: allo scontro segue l’inevitabile vittoria salutata da un canto trionfale cui è chiamata a partecipare la compagna; i sordi colpi di timpano insinuano però una sensazione di oscura e lontana minaccia.
5. Le opere di pace. Si chiarisce qui il senso più «privato» di Una vita d’eroe, con la sfilata delle citazioni dai lavori precedenti, assunti a raffigurare le azioni dell’eroe e anche, forse, i diversi lati del suo carattere. Dapprima è Don Giovanni, poi Zarathustra, Morte e trasfigurazione, Don Chisciotte (non manca il tema di Sancio Panza), Till Eulenspiegel, l’opera Guntram, Macbeth, un Lied, Sogno nel crepuscolo: un mosaico di sapiente costruzione, nel quale torna a irrompere brevemente il tema degli avversari, dando origine a un nuovo episodio di lotta.
6. Ritiro dal mondo e fine dell’eroe. La quiete interiore finalmente conseguita dall’eroe è espressa in un episodio quasi pastorale, dove la musica tende a creare un’atmosfera di elevata riflessività. C’è ancora un ultimo momento di contrasto, poi la luminosa conclusione data dal tema della compagna: la trasfigurazione è siglata da un accordo lungamente sostenuto dai fiati.