Strauss Richard
Eine Alpensinfonie
La grandezza di Karajan deve essere giudicata alla luce della concentrazione e della passione da lui applicata nelle sessioni delle prove: una vera lezione accademica indimenticabile, da cui si comprende appieno la sua poetica e la sua arte direzionale. Nonostante a detta di molti queste registrazioni, fatte negli ultimi anni di vita di Karajan, non siano il massimo artisticamente parlando, io le adoro perché ritengo che, oltre a far traspirare la sua forza d’animo, dal punto di vista delle sonorità riprodotte siano perfette. Ecco, se proprio vogliamo trovare un difetto, può essere che siano talmente perfette da sembrare quasi finte e montate in maniera artificiale. Invece non dimentichiamoci che è stato il primo cd pubblicato dalla DGR ad essere registrato in DDD, cioè ogni singola fase dalla registrazione alla masterizzazione sono fatti digitalmente.
Un cd da non perdere, fino a quando rimarrà disponibile nella versione originale, e non “impaccata” in un cofanetto. Imperdibile!
Richard Strauss: Sinfonia delle Alpi
Richard Strauss scrisse Eine Alpensinfonie (Sinfonia delle Alpi) nel periodo tra l’ottobre 1914 e il febbraio 1915, rifacendosi ad un progetto del 1911. Questa composizione, che è l’ultima grande opera sinfonica straussiana, completa con un certo ritardo quella serie di otto poemi sinfonici che si era conclusa con la Sinfonia domestica del 1903. La Alpensinfonie fu eseguita per la prima volta a Berlino, il 28 ottobre 1915; l’orchestra era la Hofkapelle di Dresda, diretta dallo stesso Strauss. La Alpensinfonie può essere considerata come il prototipo di una musica a programma descrittivamente definita. Ciò diviene immediatamente chiaro se si considerano i 22 sottotitoli programmatici che non solo caratterizzano le singole stazioni di questo “Tour d’orchestre” alpino, ma definiscono anche la varia articolazione e gli ampi contrasti di espressione e di tempo di questa composizione in un unico movimento. Non costituisce certo una sorpresa il fatto che la Alpensinfonie alla sua prima apparizione fosse contestata, infatti molti critici ponevano in dubbio tutto quel genere di musica strumentale che si ispirava a fattori extramusicali e che da essi era condizionata. Oggi invece ci si accosta con maggiore pacatezza al genere della musica a programma e persino un chiaro intento descrittivo non è più soggetto a priori ad un verdetto estetico: se si volesse infatti rilevare, ribaltando la famosa espressione beethoveniana, che la Alpensinfonie è “più pittura che sensazione”, non verrebbero meno la grandissima ammirazione e il fascino per la maestria di questa “pittura”. Non solo l’ascoltatore ma anche soprattutto il musicista rimane sempre nuovamente incantato dalla sonorità dell’orchestra e dalla finezza delle combinazioni e valori timbrici.
A tale proposito l’inizio della composizione offre subito un esempio istruttivo. L’immaginazione poetica Nacht (Notte) fa muovere la fantasia musicale del compositore. In considerazione dell’essenza temporale della musica, in un primo tempo il fenomeno Nacht con tutte le sue implicazioni e corrispondenze viene convertito nella temporalità di un procedimento sonoro che è adeguatamente delineato per via associativa: in Nacht invece di una immagine musicale statica, possiamo udire come le tenebre, tradotte in linguaggio di suoni, calano davanti ai nostri… orecchi. Anticipando tecniche sonore dell’avanzato secolo 20o, Richard Strauss fa cadere un velo sonoro intessuto di seconde maggiori e minori, che per la sua struttura può essere considerato come un cluster diatonico, ma che per il suo effetto dà l’impressione di un impenetrabile e densa compagine sonora. Si osservi ora però l’interdipendenza tra la struttura delle altezze sonore e la disposizione dei timbri: mentre il velo costituito dagli intervalli di seconda si realizza nel gruppo degli archi divisi in venti voci, i clarinetti e i corni (il cui timbro mostra una consistenza relativa paragonabile a quella dei corpi solidi) segnano il sostegno tonale dell’aereo intreccio di seconde: infatti essi fanno rilevare timbricamente il si bemolle in quattro ottave e il re bemolle.
Richard Strauss
L’accordo dei tromboni che risuona dopo otto battute fa balenare nel costante pianissimo un delicato splendore metallico e si inserisce quasi inavvertitamente con i suoi suoni superiori di re bemolle e si bemolle in due direttrici sonore che la densa tessitura degli archi ha tralasciato, approntando così indirettamente questi due strati sonori per i tromboni.
A tali sottili procedimenti sonori, ideati da un orecchio musicale straordinariamente raffinato, si affiancano eruzioni sonore imponenti, addirittura pompose, tali da soddisfare un’esigenza di monumentalità derivata dal secolo precedente. L’orchestra di proporzioni gigantesche prescritta da Strauss, deriva non tanto dalla predilezione per il monumentale, quanto piuttosto da un’esigenza di varietà. Ancora nel quadro conclusivo della Alpensinfonie in cui ritorna la rappresentazione di Nacht, sono impiegati quasi tutti gli strumenti dell’orchestra, compreso l’organo obbligato, senza che per questo sia neutralizzato l’effetto di un quadro naturale dipinto a pastello.
Peter Petersen
(Traduzione: Gabriele Cervone)
Eine Alpensinfonie (“Sinfonia delle Alpi”) poema sinfonico op. 64
Strauss compose la Alpensinfonie tra il 1911 e il ’15, a circa otto, nove anni di distanza dall’ultimo dei suoi nove Poemi sinfonici (da Aus Italien 1887 alla Symphonia Domestica 1904), ma ne aveva tenuto in sé a lungo, addirittura dalla prima giovinezza, il nucleo di ispirazione, che è, poi, una ferma convinzione della sua vita e della sua arte, cioè il concetto ultraromantico del primato dell’eroe e dell’artista nell’umana civiltà.
Dopo il successo mondiale di Salome (1905), di Elektra (1909) e soprattutto del Rosenkavalier (1911) Strauss sembrava deciso a lasciare il sinfonismo puro per il teatro d’opera, e in un certo senso così è stato. Infatti, già durante le prove del Rosenkavalier egli si era messo al lavoro per Ariadne auf Naxos, la cui stesura (o meglio, la stesura della prima versione) è contemporanea, anno per anno, alla Alpensinfonie: essendone il perfetto opposto. Tanto è agile, sottile, ellenica Ariadne, tanto è pingue, maestosa, germanica la Alpensinfonie.
Sulla ragione di questo inatteso ritorno al grande sinfonismo descrittivo in anni nei quali il suo stile era ormai diverso, si è detto di tutto. Ma la vita interiore di Strauss, uomo in apparenza sicuro, fermo, impassibile e cordiale, esplicito e loquace nelle centinaia di lettere che scrisse (le più sono splendenti di precisione, di intelligenza, di arguzia) – la sua vita interiore, dicevo, è restata un segreto inespugnabile. La Alpensinfonie, dunque, può significare un contraddittorio ripensamento, o essere segno di crisi personale, o espressione di un formidabile timore sui tempi e sulle sorti della cultura (in questo il pessimismo dell’antidemocratico Strauss era ben fermo), o infine fu bisogno di una definitiva, ed estrema, dichiarazione di fede romantica e tedesca e di panteismo anticristiano. Questa enorme ‘Sinfonia’, insomma, è un ingombrante
enigma, che nella spettacolare sonorità nasconde molto, volendo dire forse troppo.
Infatti, può essere vero che per raccontarci una sua gita in montagna Strauss abbia messo al lavoro un’orchestra gigantesca (maggiore di quella dell’Elekctra: a rispettare le richieste del musicista qui 137 persone!) con una scrittura di stupefacente complessità tematica e polifonica? Certo, Strauss amava stendere autobiografie musicali (Heldenleben, cioè Vita d’eroe, e l’eroe è lui; Symphonia Domestica, nelle cui note agiscono la famiglia Strauss e i parenti, così sarà poi con l’incantevole commedia Intermezzo) e ne godeva, perché il suo genialissimo io era ben nutrito, disinvolto, ironico. Ma in questa Alpensinfonie di là dall’evidente compiacimento per l’ineguagliato magistero tecnico (questa è forse, con La donna senz’ombra, la partitura di Strauss più complicata, originale, fantasiosa: e Strauss se ne vantò con qualche frase poco felice) ci sono poche tracce di divertimento o di ironia. L’occasione esterna del lavoro fu, sì, l’amore di Strauss per la montagna, e in particolare per le Alpi bavaresi che egli ammirava dalla sua villa a Garmisch, però qui, anche tra prati, fiori, ruscelli, cascate, il pensiero e l’immaginazione vogliono andare ben oltre.
Come nell’Oro del Reno si comincia con l’oscurità primigenia e, diversamente dall’Oro del Reno, non si finisce nella luce ma giù, di nuovo nel buio. Ho detto all’inizio dell’idea di eroismo esistenziale ed estetico che aveva Strauss, ereditata dal Romanticismo tedesco di Schopenhauer e di Nietzsche e sorretta dal significato che egli dava all’arte di Beethoven e di Wagner. C’è da aggiungere che al primo progetto dell’enorme quadro, Strauss aveva dato per titolo Der Antichrist, L’Anticristo, a significare una rappresentazione dionisiaca della natura, rappresentazione che sarebbe concessa solo all’uomo superiore, all’eroe artista e filosofo. Quindi nella Alpensinfonie quello che si sente (ed è spesso musica di spettacolare magnificenza) conta meno di quello che si dovrebbe vedere, l’immagine grandiosa ed oscura del mondo nato dalla pura vitalità. E la ascesa, con discesa, alpestre vorrebbe essere un viaggio iniziatico in questa forza del mondo, dalla notte alla notte, come ho già detto, attraverso ventidue ‘stazioni’, o figure, o esperienze, con tre momenti culminanti o punti provvisori di arrivo (2. Sonnenaufgang, Sorgere del sole; 13. Auf dem Cipfel, Sulla cima; 19. Gewitter una Sturm, Temporale e bufera). Ma la tecnica musicale, e drammatica, della Steigerung, della ‘crescita di tensione verso un vertice’, tecnica che Strauss adopera sempre con virtuosismo, qui ha una così frequente funzione da dare sazietà in chi ascolta.
Herbert von Karajan
L’inesauribile fecondità immaginativa, descrittiva e tecnica dei mezzi musicali ci dispensa da una parafrasi di tutti e ventidue gli episodi: infatti Strauss tutto ciò che intende esprimere, paesaggi o emozioni, i boschi, i ruscelli, le cascate d’acqua, il vento, le bufere, gli entusiasmi, le paure, lo mette in musica con tale scrupolosa evidenza che i suoni sono i testi esplicativi di se stessi. Non c’è neppure necessità di seguire la musica leggendo i titoli, perché, ripeto, quasi ogni suono, tema musicale, colore strumentale creano visivamente l’oggetto (basti additare all’attenzione l’apparizione della cascata, incorrotta iridescenza e liquidità sonora).
Eppure in così accentuato ‘realismo’ sono intatte, anche se non immediatamente percepibili, la volontà e la capacità costruttiva del grande musicista, nei rapporti (di durata e di impianto tonale) tra le diverse sezioni, nelle relazioni tematiche, nelle poderose sovrapposizioni contrappuntistiche dei temi: con l’ostentata bravura di riesporre, al momento dello Abstieg (19. La discesa), in ordine inverso tutti i temi del viaggio in salita, e quasi tutti in forma rovesciata: fantastica esperienza di un ‘viaggio’ all’indietro.
Ecco, per concludere possiamo pensare che con la Alpensinfonie Strauss ci abbia dato un’autocelebrazione e un eloquente compendio del suo genio, della sua dottrina, della sua fede naturale e pagana e, infine, del suo passato – con i limiti in cui un così insolito e ardimentoso progetto è costretto.