Strauss Richard
Sinfonia domestica – Macbeth
Il CD contiene due fra le opere meno note – comunque meno eseguite – di Richard Strauss, cioè la Sinfonia domestica op.53 e il Macbeth op.23, registrate a Vienna nel 1983 da Lorin Maazel alla guida dei Wiener Philarmoniker.
Nel caso della Sinfonia domestica, composta nel 1903, si tratta di un’opera che intende narrare lo svolgersi proprio di una giornata della vita domestica dello stesso Strauss: al suo interno infatti temi specifici contraddistinguono Richard Strauss, in qualità di marito e di padre, la moglie, il figlio, i nonni e si è immersi negli eventi che caratterizzano il normale ménage familiare, il gioco, l’amore, i litigi, le tensioni, infine la serenità riconquistata con cui termina la sinfonia.
Ci si potrebbe aspettare una partitura intimistica, lieve e delicata, mentre si è di fronte ad una delle composizioni più lunghe e complesse di Strauss, con tanto di orchestra rinforzata e sonorità timbriche molto accentuate.
Nel caso di Macbeth – eseguito per la prima volta nel 1890, ma abbozzato e a lungo meditato almeno nei tre anni precedenti – si tratta in effetti del primo poema sinfonico di Strauss, che abbandonò la tradizionale quadripartizione della sinfonia per abbracciare il nuovo modello compositivo, risolto nell'”Allegro, un poco maestoso”; tratto ovviamente dal dramma di Shakespeare, il poema non affronta tanto l’evolversi della vicenda, mettendo piuttosto in risalto il dramma vissuto da Macbeth che aspira alla corona, ma è sempre in preda ai dubbi e ai rimorsi, e il contrasto psicologico con la moglie, molto più determinata nell’assolvimento dell’obiettivo prefissato.
Per eseguire tali composizioni è necessario disporre di un’orchestra particolarmente duttile, capace di esprimere grandi volumi e sonorità, ma anche di evidenziare i diversi stati d’animo e i contrasti psicologici, sottolineati da chiare dissonanze, insiti nelle due partiture: dunque, niente di meglio dei Wiener Philarmoniker in forma smagliante e di Lorin Maazel in stato di grazia, che ebbe il merito di valorizzare due opere fino ad allora immeritatamente poco note ed ora giustamente inserite dalla Deutsche Grammophon nel prestigioso catalogo degli “Originals”. Audio eccezionale. Altamente raccomandato.
Sinfonia domestica op. 53
Nell’arco dell’intensa e poliedrica attività compositiva di Strauss la Symphonia domestica si colloca tra i due poemi sinfonici Ein Heldenleben (Vita d’eroe) e Eine Alpensinfonie (Sinfonia delle Alpi). Il musicista cominciò a scrivere la «Domestica» nel 1902, poco dopo l’andata in scena della sua seconda opera Feuersnot (Fuochi di San Giovanni) e la terminò nel 1903, dirigendola per la prima volta al Carnegie Hall di New York il 21 marzo 1904. Sin d’allora questo poema sinfonico suscitò discussioni e riserve da parte della critica per il suo acceso e scoperto carattere autobiografico. Quando il lavoro venne eseguito il 1° giugno dello stesso anno a Francoforte, diretto sempre dall’autore, si scatenò una vera tempesta contro Strauss, accusato di essere un egocentrico e un megalomane per aver voluto descrivere musicalmente una qualsiasi giornata della sua vita familiare, fatto ritenuto esclusivamente privato e da non interessare il pubblico. Si sviluppò tra critici di opposte opinioni anche una vivace controversia sulla validità estetica della musica a programma, perseguita in quel momento da Strauss, rispetto alla cosiddetta musica assoluta o pura, da Mozart a Brahms. Infatti la Symphonia domestica vuole essere un album, o meglio, un ritratto di famiglia dedicato affettuosamente dall’artista «alla mia cara moglie» (la cantante Pauline de Ahna, sposata a Weimar il 10 novembre 1894) e «a nostro figlio» (il primo unico figlio di Strauss, Franz, nato il 12 aprile 1897). La partitura originale conteneva sottotitoli esplicativi per le varie sezioni, che in un secondo tempo il compositore cancellò, dietro consiglio dell’amico e scrittore Romain Rolland, prima della presentazione parigina della Sinfonia. Ad esempio, i temi principali sono ora contrassegnati dalle indicazioni Tema I, Tema II e Tema III, mentre nell’originale erano specificati come tema del marito, tema della moglie e tema del figlio. Qualche annotazione descrittiva però è rimasta, come ad esempio «Ganz der Papa, Ganz die Mama» (Tutto suo padre, tutto sua madre), quando gli zii e le zie vedono per la prima volta il bambino.
Pauline de Ahna
Una particolarità di questa composizione è data dalla scelta delle tonalità che indicano simbolicamente i vari personaggi: il fa maggiore è il simbolo del marito, il si maggiore si riferisce alla madre, mentre per il figlio si oscilla fra il re maggiore e il re minore. Dopo l’eroismo barocco della Vita d’eroe Strauss nella «Domestica» si abbandona all’idillio borghese, narrando una storia di tutti i giorni che si svolge tra le mura casalinghe in modo tranquillo e operoso, pur tra le bizze e le impennate di umore, addolcite dalla visione serena di un bambino che cresce sano e vivace. Contrasta con la semplicità dell’argomento lo schieramento orchestrale mastodontico, comprendente circa centodieci elementi, tra cui, oltre il resto, cinque clarinetti, quattro saxofoni facoltativi (Strauss consiglia: «Soltanto in caso estremo ad libitum») e sessantadue archi. Tuttavia questo organico è impiegato spesso in forme ridotte e adeguate alle attuali esigenze e disponibilità strumentali.
La partitura è concepita in un solo movimento, articolato nelle quattro sezioni tipiche della sinfonia: un’introduzione, uno scherzo, un adagio e un finale fugato. Il primo tema (il marito) è una raccolta di brevi motivi, ognuno di essi indicativo di un elemento psicologico: comodo (violoncello), sognatore (oboe), pensieroso (clarinetti), fiero (archi) e felice (tromba). Quindi viene il tema della moglie, presentato da flauti, oboi e violini, ed è una allusiva inversione del primo motivo del marito. I Temi I e II si intersecano fra di loro e si alternano prima di giungere al Tema III (il figlio) affidato ad un espressivo assolo dell’oboe d’amore. La tranquillità familiare si interrompe allorché il bambino è presentato ai parenti: il Ganz der Papa delle zie viene sottolineato dalle trombe e dai clarinetti, mentre gli zii sentenziano il loro Ganz die Marna attraverso il suono robusto dei corni e del trombone. Segue lo Scherzo (Felicità dei genitori e gioco del bambino) in cui il Tema III è trattato sulla falsariga di un canto popolare, poggiato sulle armonie dei fiati e delle viole.
Si fa sentire il tema dei genitori, specie quello per violino solo della madre: inoltre si intravedono in embrione certe idee musicali che Strauss svilupperà nelle future composizioni, come nella dolcissima Ninna-nanna (ripresa da una celebre barcarola di Mendelssohn) prefigurante il soliloquio della Marescialla nel primo atto del Rosenkavalier. La pendola (Glockenspiel) suona le sette e il bambino va a dormire: il pezzo si chiude nell’atmosfera sognatrice del crepuscolo, con una melodia cantata dal flauto e dai clarinetti bassi.
La prima parte dell’Adagio descrive il marito (che è poi Strauss stesso) al lavoro nel suo studio nel fissare le idee sul pentagramma: gli archi appaiono straordinariamente intensi. Con la riapparizione del tema della moglie si assiste ad un’appassionata scena d’amore, dove l’orchestra acquista un respiro possente
e si espande con una varietà timbrica che appartiene al migliore Strauss. A poco a poco all’immaginazione subentra il richiamo alla realtà: suonano le sette del mattino e la famiglia si ridesta alla vita di tutti i giorni, faccendiera e vivacemente rumorosa.
Richard Strauss
Nel finale il musicista ricorre ad una doppia fuga per sottolineare il risveglio, seguito da un’allegra baruffa, condotta con finissimo senso musicale (un omaggio alla baruffa wagneriana dei Maestri cantori?). Un episodio trattato dagli strumenti a fiato precede la lunga ed esuberante sezione conclusiva in cui ritornano tutti i temi, rielaborati ed ascoltati con un virtuosismo orchestrale che ancora oggi impressiona l’ascoltatore e resta l’elemento più valido e duraturo di questo poema sinfonico, nella cui coda il suono dominatore dei corni vuole essere una glorificazione della personalità del figlio, in quanto erede e continuatore della famiglia.
Macbeth poema sinfonico op 23
«Sono in una fase di grande attività, e sto lavorando a un pezzo orchestrale, Macbeth, che naturalmente è di natura molto aspra e trascinante, e ad una sonata per violino». Queste parole, inviate il 23 giugno 1887 dal ventunenne Richard Strauss come ultima lettera a Lotti Speyer, impallidita passione del compositore, costituiscono la prima traccia importante della creazione del poema sinfonico op.23; creazione che si sarebbe trascinata ancora per diversi anni prima di trovare una veste definitiva. La medesima lettera contiene anche un dettagliato resoconto del successo di scandalo suscitato pochi mesi prima da Aus Italien, la fantasia sinfonica che, in qualche modo, segna un’autentica svolta nella carriera e nel pensiero del compositore.
La conoscenza, avvenuta nel 1885, di Alexander Ritter, buon violinista e modesto compositore di trent’anni più vecchio, aveva costituito per il giovanissimo Strauss l’incontro con una sorta di guida spirituale, in grado di trasformare il lungo apprendistato artigianale sulla composizione e sulla materia musicale, in riflessione sulla teoria dell’arte, e, in maniera particolare, sul pensiero di Schopenhauer e di Wagner, che Strauss guardava con sospetto e ostilità per una tradizione familiare di cui meglio si dirà oltre. Di qui, l’arruolamento di Strauss nelle file del movimento neotedesco; cresciuto nel culto delle teorie di Hanslick su una musica “pura” e autoreferenziata, delle partiture sinfoniche di Brahms, Strauss si convertì al fronte opposto, al culto neotedesco – che postulava come una composizione dovesse appoggiarsi invece a un programma narrativo filosofico o letterario – mostrandosi pronto a raccogliere e a tenere alta e viva la fiamma che era stata di Wagner e di Liszt.
Dopo Aus Italien, la fantasia sinfonica a programma che era stata la traduzione musicale di questa transizione, Macbeth fu dunque il primo vero e proprio poema sinfonico del compositore; e quindi la sua genesi tormentata, come anche le sue arditezze e il risultato complessivamente sofferto e non del tutto maturo – che si è tradotto anche in una scarsa fortuna della partitura – sono dovuti alla ricerca del nuovo, e alla difficoltà di approdare a una riva solida e
amica. Terminato all’inizio del 1888, il poema sinfonico venne accantonato dall’editore Spitzweg, nonché giudicato severamente da Hans von Bülow, il grande pianista e direttore che tre anni prima aveva voluto Strauss come suo assistente a Meiningen. «Bülow – scrisse Strauss nelle sue “Betrachtungen und Erinnerungen” (“Considerazioni e ricordi”) – già a priori reagì con raccapriccio alle dissonanze presenti in Macbeth, ma ebbe perfettamente ragione quando notò, a proposito della conclusione prevista dalla prima stesura di quel poema sinfonico, che la marcia trionfale di Macduff (in re maggiore!) era un’assurdità. Un’ouverture per Egmont, egli osservò giustamente, può benissimo finire con una marcia trionfale di Egmont, ma un poema sinfonico ispirato alla figura di Macbeth non può concludersi con il trionfo di Macduff».
Di qui la decisione del compositore di rielaborare la partitura; ma nuove idee lo spinsero a rimandare il progetto: la creazione del primo capolavoro, Don Juan, poi quella di Also sprach Zarathustra e di altri lavori ancora. Lungo doveva essere il tragitto delle revisioni: a una nuova versione diretta dall’autore a Mannheim nel gennaio 1889, seguì pochi mesi più tardi una prova tenuta a Meiningen da Fritz Steinbach, e poi – in una definitiva versione ultimata nel novembre 1891 – la prima vera esecuzione a Berlino il 29 febbraio 1892, con l’autore sul podio dei Filarmonici, e un esito entusiastico. Ma le esecuzioni, negli anni successivi, erano destinate a diradarsi.
Poema sinfonico, dunque; nel riallacciarsi all’assunto che aveva ispirato a Liszt i suoi capolavori orchestrali, Strauss mantiene la consapevolezza che l’idea poetica che deve sottendere alla partitura non può per questo prendere il sopravvento sulla logica del contenuto musicale. Ecco quindi che Macbeth mantiene liberamente, nella sua organizzazione, la forma del primo movimento di sonata, e fa a meno di un programma vero e proprio; piuttosto intende offrire, attraverso il contrasto fra gruppi tematici, la contrapposizione fra il personaggio shakespeariano, posseduto dall’anelito del potere ma nel contempo preda di dubbi e incertezze, e quello della sua sposa, che lo incalza insaziabilmente verso nuovi delitti. Questo progetto, sperimentale per Strauss, si realizza anche tramite un impiego duttilissimo dell’orchestra sinfonica, che si arricchisce di strumenti rari, come la tromba bassa, e li usa sopratutto secondo accurate selezioni. Non mancano le aggregazioni pletoriche e retoriche, e non manca quell’ansia tipicamente giovanile di dire tutto e subito, accalcando gli spunti e inserendo nella conduzione del discorso diversivi e momenti episodici che incrinano a tratti la scorrevolezza della costruzione.
Romain Rolland
Una breve introduzione di poche battute appare quasi come una citazione dell’incipit della Nona Sinfonia di Beethoven; segue il primo gruppo tematico, sopra il quale l’autore scrive sobriamente: Macbeth; vi troviamo una idea aggressiva in minore, e una seconda più dubbiosa e ripiegata. Su un tremolo degli archi, sono i legni ad esporre il secondo gruppo tematico, che si avvale di una didascalia più lunga: all’indicazione Lady Macbeth viene fatta seguire, in tedesco, la citazione “Affrettati qui, così ch’io possa versare i miei spiriti nelle tue orecchie…”, le parole con cui, nel dramma di Shakespeare, la protagonista immagina di spronare il consorte al primo delitto. Non solo l’esposizione si nutre essenzialmente del conflitto fra questi due caratteri, ma anche la sezione dello sviluppo, estremamente lunga ed elaborata, riprende questi due temi per trascinarli in un percorso aspro e complesso, che costituisce un vero e proprio climax; alcuni altri elementi possono essere interpretati come l’arrivo dell’esercito di Macduff, o i battiti della porta dopo il delitto di Duncan; mentre nella riesposizione, libera e succinta, il secondo tema viene ripreso in pianissimo, con la valenza dell’allucinazione e della follia della protagonista. Ma nessun descrittivismo innerva questa partitura, che si basa piuttosto su associazioni simboliche. All’affermazione degli squilli di ottoni, segue, per conclusione, la riproposta del tema “dubbioso” di Macbeth, come epigrafe riflessiva.